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    FxF: formazione per formatori


    Un’esperienza salesiana

    A cura di Mario Delpiano

    (NPG 2002-05-7)



    PREMESSA

    Le tre Ispettorie dell’Italia Meridionale dei Salesiani di don Bosco e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, spinte dal comune carisma educativo-pastorale, hanno realizzato, nel corso degli ultimi tre anni, una rivisitazione sistematica e approfondita del Piano della formazione degli animatori di gruppi giovanili e del corrispondente cammino delle Scuole di animazione nel sud della penisola. Un percorso impegnativo ed arricchente al contempo, nel quale i formatori stessi si sono venuti a trovare nella felice situazione di formatori-formati. Una esperienza straordinaria, perché non nata a tavolino, ma sviluppatasi dalla riflessione intorno alla prassi formativa attuale. Dunque un grande feedback, una azione correttiva di ritorno, e al contempo una prospettiva che è parsa a tanti di noi innovativa della formazione.
    A partire dal mese di aprile 1999 gli incaricati/e della formazione degli animatori degli oratori del sud d’Italia (il responsabile dell’Oratorio-Centro Giovanile ricopre solitamente il ruolo di formatore di formatori) con i relativi coordinatori regionali e ispettoriali della pastorale giovanile, hanno avviato il primo momento di riflessione critica insieme agli animatori più carichi di esperienza del Movimento giovanile salesiano, intorno alla prassi formativa corrente degli animatori, aiutati dal contributo di un esperto esterno.
    Il confronto approfondito e critico verteva intorno al cammino di formazione per gli animatori che aveva orientato e regolato la prassi formativa nel decennio degli anni ’90. La riflessione andava e tornava dalla pratica corrente delle Scuole di animazione al Piano formativo, il documento «istituzionale» di riferimento, evidenziando problematiche e prospettive. Avevamo innestato un processo di revisione della prassi e della impostazione teorica della formazione, facendo luce sui nodi problematici della formazione e verificando urgenze di cambiamento.

    Il feedback dalla prassi corrente e dalla sua pianificazione

    Questi i nodi critici e le esigenze emerse dalla ricerca insieme:
    * La necessità di prendere sul serio l’animazione culturale e il suo progetto d’uomo. Occorreva svilupparne più approfonditamente l’antropologia, il suo impianto d’obiettivi conseguente e il suo modo di coniugare uomo-cultura-comunicazione, onde ripensare la stessa gerarchia di obiettivi formativi per gli animatori stessi. L’animazione doveva poter emergere come modello formativo ed educativo specifico e originale, all’interno del pluralismo dei modelli circolanti sul mercato della formazione.
    * Il nodo critico per eccellenza infatti veniva individuato nel rapporto che avrebbe dovuto venire ad instaurarsi tra animazione, educazione secondo la tradizione carismatica salesiana (il cosiddetto Sistema Preventivo), la pastorale giovanile e la catechesi, con tutte le discipline afferenti ad esse, che dovevano lasciarsi provocare dal modello antropologico e comunicativo dell’animazione.
    * L’altro nodo critico era rappresentato dai destinatari della formazione o, se vogliamo, dai giovani animatori e pre-animatori, i compagni di viaggio dell’avventura formativa. Ripartire dai destinatari significava allora lasciarsi provocare dalla condizione giovanile del contesto di fine anni 90 e del meridione (giovani secolarizzati, frammentati, con identità debole) in modo che la selezione degli obiettivi formativi e dei contenuti fosse maggiormente aderente al «punto di partenza» dei diversi cammini formativi.
    * Altro elemento era rappresentato dai livelli formativi, dalle scansioni metodologiche. Affioravano, dall’analisi del piano e più ancora dalla lettura critica della prassi formativa corrente, impostazioni e metodologie ancora troppo rigide e astratte, sganciate abbastanza fortemente dall’esperienza quotidiana dell’animazione, che ricalcavano in forma ridotta impostazione e piani formativi «dei tempi del seminario», nei quali era predominante la preoccupazione di indottrinamento, di cumulazione e stratificazione delle informazione e delle discipline, senza prevedere i tempi e le condizione di «verificabilità e di trasferibilità» dei contenuti, assunti ad assoluto. Occorreva ridisegnare i contenuti a partire da un processo di selezione che assicurasse la centralità degli obiettivi formativi rispetto ai contenuti stessi.
    * Inoltre la parola «circolarità» (e per gli amici «ermeneutica») appariva la consegna dominante: circolarità da assicurare tra prassi e teoria nella formazione, tra esperienza e contenuti, tra destinatari e competenze descriventi funzione e ruolo, tra antropologico e teologico, tra impianti teorici e metodologie.
    * Dalla giustapposizione di momenti formativi scanditi dalle differenti discipline occorreva passare all’approccio interdisciplinare, anche se ciò appariva un po’ per tutti l’entrata nel regno degli «apprendisti stregoni».

    Per un ripensamento radicale

    Nel processo di revisione radicale del Piano formativo occorreva improrogabilmente che si assicurasse:
    – la revisione delle «zone territoriali»;
    – l’accompagnamento da parte delle strutture di coordinamento;
    – il recupero di un livello regionale e interregionale nella formazione, poco presente al momento e che rischiava di rinchiudere gli animatori in formazione nella cerchia dei pochi e sempre gli stessi, senza apertura e confronto allargato con altre prassi formative;
    – una chiarificazione concordata circa le età di ingresso nell’esperienza formativa e la definizione dei prerequisiti. E ciò in un contesto nel quale la realtà sfida fin dai primi anni dell’adolescenza ad assumere ruoli di responsabilità e di animazione verso i più piccoli, e dove a 18 anni si assiste alla migrazione di masse dei giovani verso l’università.

    UN PROGETTO DI FORMAZIONE PER FORMATORI (FxF)

    Da questa prima revisione comune emerse prioritaria la necessità di rivedere il «pacchetto dell’offerta formativa» delle scuole di animazione a partire dalle due maggiori stimolazioni emerse:
    – la centralità dell’animazione culturale dentro un modello ermeneutico per ripartire da essa e ricomprendere tutti gli altri contenuti disciplinari;
    – l’interdisciplinarietà come metodo; per far dialogare approcci sempre parziali e diversi alla realtà (rappresentati dalle discipline) in direzione di un «approccio-linguaggio-metodologia» che segnasse la formazione degli animatori con il carattere della interdisciplinarietà.
    Si è pensato perciò di attuare la revisione di questo progetto attraverso una metodologia di tipo «partecipativo». Infatti, anche per un aiuto concreto a chi in loco accompagna gli animatori, e quindi è responsabile almeno dell’80% della loro formazione, è maturata l’idea che sarebbe stato poco efficace affidare ad un’équipe il compito di rivedere il piano formativo.
    Perché non cogliere questa esigenza come opportunità di pianificare, nel corso degli anni necessari, con gli incaricati di Oratorio-Centro Giovanile, primi responsabili della formazione? Si pensò quindi di realizzare una serie di incontri per la formazione degli animatori delle unità di base (oratori, centri giovanili, centri di aggregazione), nella forma di stages.
    Si passò così dalla FxA (Formazione degli Animatori) alla FxF (Formazione dei Formatori).

    * Gli obiettivi di questo cammino formativo con i formatori erano i seguenti:
    – far crescere nei responsabili della pastorale giovanile la consapevolezza dell’indispensabilità di un cammino formativo per animatori in loco, di cui essi stessi devono farsi carico;
    – maturare una visione comune e condivisa circa i temi dell’animazione culturale e l’identità dell’animatore nella pastorale giovanile;
    – ripensare i contenuti della formazione tenendo presente la centralità dell’animazione culturale dentro un modello ermeneutico e l’interdisciplinarietà come metodo;
    – offrire laboratorialmente, e perciò esperienzialmente, gli elementi metodologici da utilizzare nel cammino di formazione;
    – elaborare insieme un Progetto di formazione per gli animatori del Meridione salesiano.

    * I contenuti degli incontri si sarebbero articolati essenzialmente nelle seguenti unità:
    – presentazione e scelta condivisa di un modello formativo formale;
    – individuazione dei problemi presenti nella prassi formativa e formulazione dei bisogni formativi presenti a livello istituzionale, nei soggetti e nel contesto;
    – delineazione di un profilo di identità e di competenze dell’animatore;
    – articolazione metodologica dei contenuti e degli interventi.

    * La metodologia sarebbe stata quella dell’animazione stessa. Non era possibile formarsi all’animazione senza utilizzare la sua stessa metodologia, e perciò:
    – coinvolgimento e corresponsabilità nel procedimento del compito formativo, utilizzando dinamiche di gruppo, lavoro cooperativo, confronto e chiarificazione assembleare, dialogo e partecipazione nella ridefinizione comune e condivisa dei contenuti;
    – modalità di stages di due giorni residenziale, onde ottimizzare il lavoro collettivo, superare il rischio della frammentarietà, prevenire le fughe dalla responsabilità del lavoro comune;
    – punto di partenza per ogni percorso di elaborazione doveva essere assolutamente l’esperienza formativa e di animazione dei formatori stessi.
    Non dunque metodo della lezione frontale, ma elaborazione dal basso dei contenuti e confronto successivo con esperti o fonti autorevoli, per giungere a una chiarificazione condivisa;
    – utilizzo della strumento della progettazione e programmazione curricolare, e degli itinerari educativi.

    PRIMO TEMPO DEL CAMMINO FxF: ANALISI DELLA PRASSI FORMATIVA

    Il lavoro di revisione, preceduto da un sondaggio presso tutti gli Oratori-Centri Giovanili circa la nostra attuale offerta formativa, è stato realizzato in più tempi.
    Il primo tempo presentava una impostazione di tipo metodologico. Nella prima due-giorni di stage formativo venne realizzata l’analisi della attuale situazione formativa e, contemporaneamente, l’impostazione di tutto l’intero progetto di revisione.
    Il lavoro risultava scandito nel seguente modo:
    * In un primo momento veniva realizzata la «recensione». I partecipanti erano invitati a individuare i problemi e le difficoltà che sperimentavano nella formazione degli animatori, a partire dalla prassi formativa che essi avevano sperimentato nel corso degli anni sul loro territorio. (Si tenga presente che i formatori provenivano da realtà territoriali di pastorale giovanile collocate nelle regioni della Campania, Puglia, Basilicata e Calabria).
    * I problemi e le difficoltà individuati erano in seguito raggruppati attraverso una «ragnatela» che ne indicava ed evidenziava le connessioni.
    * Alla presentazione ragionata attraverso l’analisi delle cause e dei contesti (la ragnatela) è seguito il lavoro comune di una messa in ordine delle connessioni, con lo sforzo di individuare anche le priorità e i nodi problematici emersi dal lavoro collettivo di analisi della situazione di partenza da cui avrebbe dovuto prendere avvio la «nuova formazione».
    * Infine si sono raccolti i problemi, le difficoltà, individuati ed esposti sui cartelloni, entro alcune reti di raccolta predisposte.
    Si parte dai contenitori e si collocano in essi, a seconda della loro natura, i problemi/difficoltà individuati secondo lo schema illustrato nel riquadro che segue.

    Griglia di riflessione

    CON CHI?
    Soggetti destinatari

    – I giovani oggi vivono una pluralità di appartenenze che genera frammentazione.
    – Gli appartenenti al gruppo degli animatori si sentono spesso derisi o scanzonati da parte degli altri giovani.
    – I giovani spesso abbandonano l’Oratorio-Centro Giovanile per diversi motivi; di conseguenza sono costretti a congedarsi anche dall’animazione, soprattutto a motivo degli studi universitari da realizzare in città e regioni lontane dal contesto sociale in cui sono finora vissuti.
    – Spesso gli animatori sono coetanei degli stessi destinatari.

    IN QUALE SITUAZIONE?
    Contesto socioculturale

    – Frammentazione.
    – Pluralismo culturale e morale.
    – Povertà culturale di tanti ambienti di vita, sopraffatti dalla cultura omologante del consumo.
    – Animazione intesa come moda e con significati ben diversi da quelli che vogliamo intendere.
    – Difficoltà di linguaggio, di comunicazione e di relazione.

    CHI?
    Soggetti istituzionali

    * I formatori
    – Spesso i formatori non hanno una competenza di base che li abilita a pensare e a gestire cammini formativi coerenti ed adeguati.
    – A volte i formatori sono dei bravi organizzatori di attività, ma incapaci di curare e tessere relazioni umane positive.
    – Il compito di essere formatori è isolato rispetto agli altri impegni ricevuti lungo il percorso della propria vita, oppure si sovrappone a mille altri impegni affidati loro dalla comunità.
    – La passione educativa per i giovani non sempre viene condivisa nelle sue espressioni esterne dai membri della propria comunità.
    – Gli educatori avvertono una certa difficoltà a fare proposte forti ai giovani.
    – Non sempre gli animatori sono coinvolti in tutte le fasi della progettazione e programmazione educativa.
    * Le comunità educative e pastorali
    – Nelle comunità spesso si nota una diffusa frammentazione culturale e pastorale.
    – I cambi di guardia a livello di responsabile dell’Oratorio-Centro Giovanile sono vissuti spesso in modo traumatico soprattutto da parte dei destinatari.
    – I diversi approcci alla realtà pastorale, in genere, non sempre salvaguardano il valore dell’unità e della comunione fra i membri della comunità.
    – Si nota una certa difficoltà nel gestire la corresponsabilità con giovani che diventano adulti.

    IN CHE SENSO?
    Il modello dell’animazione

    – In ordine alla concezione di animazione spesso si registrano esperienze e responsabilità formative che sottendono modelli diversi di animazione.
    – A volte l’animazione è intesa in modo riduttivo, esclusivamente da una prospettiva funzionale, strumentale, quale la esclusiva applicazione delle tecniche.
    – Si rischia di identificare l’animazione culturale con il pensiero della istituzione che la propone.

    DOVE?
    Profilo e competenze dell’animatore

    – Si è riscontrata a questo livello una debolezza culturale, in quanto nei documenti finora avuti a disposizione non sono stati definiti in maniera chiara profilo e competenze di un animatore, creando confusione anche di linguaggio.
    – Difficoltà a farsi guidare da parte degli stessi animatori.
    – Il rischio di ridurre l’animazione ad un puro attivismo, generando in tal modo confusione, se non addirittura svendita dell’identità.

    CHE COSA?
    I contenuti

    – Molte volte risultano astratti rispetto alle reali esigenze del contesto e dei destinatari.

    COME?
    Il metodo

    – Linguaggio obsoleto.
    – Proposte non sempre graduali rispetto alle esigenze reali dei destinatari.
    – Incertezza sul reale posto da attribuire alle tecniche.
    – Organizzazione delle risorse da parte dei soggetti istituzionali.

    QUANTO?
    La verifica

    Il lavoro svolto attorno ai problemi e alle sfide emergenti dall’analisi delle Scuole di animazione in atto e della prassi formativa all’animazione ci ha fatto capire che era quanto mai urgente costruire una piattaforma comune attorno al quadro generale dell’animazione, alla sua antropologia e al sistema metodologico che essa attiva.
    Provare a mettere insieme concezioni diverse di animazione appariva una sfida formativa davvero interessante e impegnativa al contempo per gli stessi formatori, ormai abituati dall’esperienza di formatori a considerare immodificabile e definitivo il quadro generale dell’animazione che si erano costruiti.

    SECONDO TEMPO DEL CAMMINO FxF: VERSO UN MODELLO CONDIVISO DI ANIMAZIONE

    Un secondo tempo nella riflessione, corrispondente ad un’altra due-giorni, è stato dedicato al confronto circa l’idea e la concezione di animazione di ciascuno, il confronto tra i modelli circolanti di essa, al fine di giungere ad una concezione e ad un modello condiviso tra tutti.
    L’avvio è consistito nell’esercizio di una tecnica non verbale di lavoro, che ha permesso ai partecipanti di esprimere la propria idea-immagine di animazione.
    In un secondo momento si è ricavato, attraverso il gioco della interpretazione della metafora o dei simboli, un ventaglio di rappresentazioni e concezioni, tutte contenenti elementi reali dell’animazione, ma non del tutto esaustive.
    È seguito poi un tipo di lavoro più sistematico, teso alla individuazione e a una tipologizzazione dei vari modelli di animazione emergenti, dopo di che è stata offerta la possibilità di confronto del nostro lavoro con una sintesi recente sul tema.
    Il lavoro che è seguito ha rappresentato uno dei momenti magici dell’esperienza.
    Dapprima ognuno è stato invitato a confrontarsi con i documenti autorevoli dell’animazione culturale, onde maturare la consapevolezza che non siamo noi gli inventori dell’animazione, ma ci collochiamo dentro un filone di esperienza e di riflessione sull’esperienza formativa che ci precede e che si riesprime anche attraverso la nostra esperienza.
    Dal confronto con «ciò che l’animazione dice di sé» si è tentata una convergenza da parte di tutti i partecipanti attorno ad una «ipotesi di quadro sistematico condiviso sull’animazione oggi per noi, nel nostro contesto», con l’aiuto di un esperto esterno. Il quadro comune di riferimento voleva richiamare l’importanza di una convergenza attorno agli snodi dell’animazione oggi, cioè attorno alla sua antropologia, oltre che al suo quadro metodologico, e attorno alla circolarità ermeneutica tra l’animazione culturale, la pastorale giovanile e la tradizione carismatica salesiana del «Sistema Preventivo».

    Verso un modello condiviso di animazione
    Nodi di convergenza

    0. Consapevolezza di essere collocati dentro una storia più grande

    Il modello dell'animazione culturale è l’esito specifico di un grande cammino di ridefinizione dell'educazione nella sociocultura del post-moderno, segnata dal pluralismo dei modelli e dalla frantumazione dei grandi sistemi.

    * C'è una storia dell'animazione che dobbiamo conoscere e «riconoscere», e una memoria storica dell’animazione che rispettiamo e di cui dobbiamo riappropriarci: non siamo noi gli inventori nel nostro oratorio dell'animazione culturale!

    * Dentro questa storia trentennale, dentro il cammino italiano dell’animazione, «ci siamo dentro»; altri ci hanno preceduto e ci hanno coinvolti. È una memoria che parla un linguaggio che è «anche» nostro (quello della tradizione vivente del Sistema Preventivo di don Bosco) ma non esclusivamente.

    * Dentro questo contesto l'animazione culturale trova le motivazioni e le risposte ai suoi «perché? chi te lo fa fare?», ampiamente condivise: la passione per la vita, vissuta da credenti come passione per il Regno, e declinata nel quotidiano come passione educativa.

    1. Dentro il ridefinirsi del discorso educativo

    L'animazione culturale va vista come tentativo di ridire oggi, nei profondi e veloci cambiamenti del post-moderno: «Che cosa vuol dire ancora educare? E, per la nostra tradizione educativa, che cosa significa, dopo la modernità e in un tempo di post-modernità, il Sistema Preventivo di don Bosco?».

    Allora, animazione culturale:

    * all'incrocio dei processi di formazione, socializzazione, inculturazione, educazione;

    * quale «modello educativo specifico» collocato all'interno del pluralismo dei modelli educativi circolanti;

    * la definizione di modello rinvia al tipo di risposte che si hanno all’insieme delle domande che possono definire un modello formale (perché? in quale contesto? chi e con chi? che cosa? dove? come?).

    2. Le coordinate antropologiche dell'animazione culturale

    L’animazione culturale è anzitutto un modo di pensare l’uomo, la storia e il suo destino:

    * l'uomo come soggetto di desiderio e di progettualità: «animale incompiuto»;

    * l'uomo dell’animazione culturale è «uomo sistemico» dell'animazione: sistema aperto (indeterminazione), complesso (al centro il problema dell'identità), in rete (relazionalità) con altri sistemi;

    * l'uomo come «animale linguistico»: cultura, comunicazione, simbolica, ermeneutica (un modo di rapportarsi alle differenze culturali-linguistiche) e dunque progettualità della e nella cultura;

    * l’uomo nella discontinuità dello spazio/tempo umano: apertura al problema del senso; simbolico, alterità e trascendenza.

    3. Un modo di leggere la realtà

    L'animazione culturale sviluppa un proprio modo di leggere la realtà socioculturale e giovanile, orientato dal «punto di vista» che essa si è data e che è rappresentato dalle sue pre-comprensioni.

    È la parte più mobile e variabile, dal momento che la situazione cambia continuamente e velocemente. Tutti cogliamo la differenza tra la lettura della realtà colta in termini di sfida e provocazione fatta nei «quaderni dell'animatore», e quella che abbiamo davanti nelle letture analitiche più recenti.

    Tale cambiamento è indicato oggi da una serie di attenzioni nuove:          

    * dalla crisi di identità storico-culturale dell'uomo contemporaneo alla crisi della temporalità e della memoria;

    * dalla crisi dei meccanismi di trasmissione culturale alla nascita dei «non-luoghi» educativi;

    * dall'implosione del linguaggio alla morte del desiderio nella cultura del bisogno (crisi della progettualità);

    * una secolarizzazione incompiuta o malata (che non permette l’incontro con l'alterità vera).

    4. L'animazione come capace di coniugarsi con i processi di evangelizzazione

    L’animazione rappresenta il modello educativo ideale per realizzare le esigenze che scaturiscono dalla dimensione educabile della fede. Questi i tratti che ne definiscono lo stretto rapporto pur nella consapevolezza della discontinuità tra educazione ed educazione alla fede:

    * la passione per la vita (animazione) diventa passione educativa e si coniuga con la passione per il Regno entro cui annunciare il Signore della vita;

    * l'educazione e i suoi processi costituiscono una via privilegiata di evangelizzazione;

    * è nato così un modo di «dire la fede» (modello narrativo in catechesi), di «celebrare la fede» (i molteplici linguaggi giovanile per danzare e cantare la vita) e di «vivere la fede» (diaconia, cioè servizio e impegno) dentro la passione per la vita e dentro la passione educativa dell'animazione e la sua competenza comunicativa;

    * l'esperienza dell'evangelo vissuto e annunciato dentro la vita di educatori.

    5. L'animazione per dire oggi il Sistema Preventivo

    Queste alcune delle consapevolezze maturate nella prassi formativa e nella riflessione pedagogica:

    * non c'è dualismo tra tradizione pedagogica codificata nel Sistema Preventivo di don Bosco e modello dell’animazione; tra sistema preventivo vivente

      nella prassi contemporanea ispirata alla tradizione vitale di tale carisma educativo e vivere l'animazione oggi come stile di evangelizzazione;

    * la memoria del sistema preventivo apre l'animazione a nuove intuizioni e provocazioni, proprio mentre l’animazione ha provocato un profondo ripensamento della prassi e del sistema preventivo nell’oggi dell’educazione e della cultura con le sue nuove sfide (ermeneutica continua).

    6. La risposta alle sfide: il progetto dell'uomo nuovo dell'educazione alla fede nello stile dell'animazione culturale

    Gli obiettivi dell'animazione sono collocati dentro e in grande sintonia con la logica dell'itinerario di educazione alla fede.

    * I tre grandi obiettivi del dire la passione per la vita:

    – l'identità personale e culturale oltre l'identità debole per passare dai significati al senso;

    – la solidarietà con l'altro, generatrice di partecipazione e di nuova socialità aperta;

    – l'apertura all'oltre e al mistero che viene incontro all'uomo e abita il quotidiano (il senso come «dono e perdono»).

    * Nell'incrocio con le cosiddette aree dell'itinerario di educazione alla fede:

    – verso l'incontro con Cristo vissuto come determinante (non coabitante né concorrente);

    – nella grande compagnia dei credenti (la chiesa aperta verso il regno);

    – riscoprendo la passione per la vita come vocazione e ritrovando in essa la radice di interiorità (spiritualità).

    7. Le scelte qualificanti del metodo dell'animazione culturale

    Si tratta di scelte qualificanti per organizzare le risorse dentro un modello metodologico specifico per ridire oggi il «come» del sistema preventivo attraverso l’animazione:

    * l'accoglienza come capacità di abbassare la soglia per essere aperti a tutti (tra atteggiamento e organizzazione dell'ambiente, interessi e temi generatori);

    * l'evento della comunicazione educativa e «la relazione educativa» dell'animatore come cuore del metodo;

    * il «patto educativo» per coinvolgere tutti i soggetti nella qualità dell'educazione e la rete dei soggetti del patto;

    * la scelta del gruppo primario, luogo della relazione educativa diffusa e la «comunità educativa», luogo della comunicazione vitale tra gruppi e luogo della loro soggettività educativa (protagonismo/partecipazione);

    * l'esperienza come contenuto e i linguaggi come strumento che lavorano e scavano l'esperienza (il simbolico) per «cogliere-interpretarne» il senso (le attività in funzione del fare esperienza);

    * la progettazione e verifica come strumenti della circolarità del processo;

    * gli strumenti e le tecniche di animazione... per imparare a farne a meno.

    Alla proposta del quadro condiviso e dei nodi attorno ai quali prioritariamente assicurare la condivisione, è seguita la discussione in gruppo e poi in assemblea, che ha verificato:
    – il livello reale della condivisione; ci siamo accorti che non basta dire sì a quello che è scritto da altri, ma va riformulato;
    – i «punti deboli» delle nostre concezioni rispetto al quadro di riferimento offerto;
    – le «parole-chiave», quali elementi simbolici che sembravano oggi condivisi a tal punto da vantare un cammino consolidato nella prassi formativa e pastorale;
    – i nodi concettuali sui quali occorrerà insistere maggiormente nella formazione dei nostri animatori, e perciò da privilegiare rispetto alla concezione di animazione corrente.
    Non sono mancate certo le difficoltà e le perplessità che nel confronto sono emerse:
    – c’è chi sostiene che oggi non ci sono nodi di convergenza sul modello proposto dell’animazione culturale, perché non conosciuta in profondità, né vissuta;
    – mancano i riferimenti diretti all'Oratorio, l’animazione in oratorio; il rischio è che l’Oratorio diventi un «non luogo» educativo;
    – nella riflessione risulta difficile il passaggio dalla teoria alla prassi; si viaggia spesso su binari paralleli: i libri, la vita; e si rischia di dare così alla formazione all’animazione la logica della scuola;
    – alle nostre difficoltà si aggiunge una non condivisione o conoscenza di tali idee da parte delle comunità educativo-pastorali, di cui formatori e animatori sono parte integrante;
    – si registra una scarsa consapevolezza del quadro antropologico dell’animazione;
    – emerge allora chiaramente quanto la prassi catechistica sia lontana da quanto si dice e si sperimenta in animazione (ci sono formatori di animatori che portano la sensibilità e le esigenze dell’ambiente parrocchiale);
    – si evidenzia una confusione e una sovrapposizione o delle disarticolazioni tra le aree dell'animazione culturale che raccolgono gli obiettivi e le aree degli itinerari di educazione alla fede;
    – si sottolinea la necessità di vivere di più l’accoglienza, la comunicazione, la relazione educativa, che puntano alla persona più che alla massa.

    TERZO TEMPO DEL CAMMINO FxF: IL PROFILO E LE COMPETENZE DELL’ANIMATORE

    Assicurata la condivisione attorno alle coordinate antropologiche e metodologiche dell’animazione e il suo rapporto di circolarità con la pastorale giovanile, una nuova tappa del nostro lavoro è stata quella, non meno importante, dedicata all’approfondimento e alla delineazione della figura dell’animatore oggi, relativamente al suo profilo e alle sue competenze.
    Proprio l’approfondimento di analisi della situazione di crisi nella formazione degli animatori nel contesto meridionale ci ha spinto anzitutto ad una scelta strategica: attendere a fare la proposta di animazione alle soglie della maggiore età implica, nel nostro contesto meridionale, la cancellazione di ogni possibilità formativa, dal momento che l’80 % degli adolescenti del sud si orientano verso la formazione universitaria che li allontana dalla propria situazione e dal territorio. Attendere i 18 anni per proposte formative al servizio dell’animazione vuol dire rinunciare quasi completamente a coltivare animatori. D’altra parte molti adolescenti, nel periodo della loro formazione secondaria, ma anche diversi adolescenti lavoratori, esprimono la loro disponibilità e il loro entusiasmo nel coinvolgersi verso servizi di supporto e di sostegno all’animazione. È l’universo di quelli che chiamiamo i «pre-animatori»: un esercito di volontari al servizio dell’animazione che durante le estati-ragazzi diventano una vera pattuglia di risorse.
    La prima scelta strategica nata dunque dal confronto con la realtà giovanile è stata quella di scommettere su due percorsi formativi all’animazione: la formazione dei pre-animatori e quella degli animatori.
    Con la consulenza dell’esperto è stato messo a punto lo strumento, una griglia di lavoro che permetta a ciascun formatore, e al gruppo che si è dato un suo compito istituzionale (l’elaborazione di un piano formativo pluriennale e ciclico), di organizzare in maniera sistematica il lavoro sul profilo di animatori e pre-animatori, e che tenga conto degli atteggiamenti, delle conoscenze e dei comportamenti.
    La condivisione, non senza fatica, ha permesso ai partecipanti di ritrovarsi attorno a due griglie di raccolta, organizzate attorno ai seguenti indicatori:

    * Prerequisiti: occorreva saper indicare il punto di partenza della formazione e quelle che sono le condizioni minime per accedere a questo processo formativo (sia esso di pre-animatore o di animatore). Nel definire i prerequisiti è importante assumere il criterio dell’accoglienza e della lettura educativa della situazione del giovane, senza essere selettivi (questo sì, questo no!) e essendo capaci di riconoscere che alcuni elementi richiesti possono darsi «ancora in forma embrionale o implicita»; essi potranno poi maturare e svilupparsi nella formazione.

    * Profili: attraverso la descrizione dei profili il gruppo di lavoro ha cercato di riesprimere, nel proprio linguaggio, quello che viene immaginato come «esito» del processo formativo messo in atto. Il profilo descrive i cosiddetti «obiettivi intermedi» della formazione dell’animatore e del pre-animatore.

    * Competenze del saper essere, sapere, saper relazionarsi, saper fare. Nella attenzione al processo di scomposizione di obiettivi e della loro operazionalizzazione, eravamo consapevoli di tradurre il profilo in competenze educative. Qui ci veniva in soccorso il modello ormai consolidato della tripartizione: atteggiamenti, conoscenze, comportamenti. Pur ritrovandoci profondamente in esso, tuttavia, avendo a che fare con competenze fortemente sbilanciate nella direzione della comunicazione e della relazionalità, abbiamo concordato di modificare la griglia delle competenze: non una tripartizione ma una quadripartizione:
    – a quello che chiamavamo atteggiamenti diamo il nome di «saper essere», che indica la globalità di una competenza ancora non scomposta e operazionalizzata;
    – alle conoscenze diamo il nome di «sapere»;
    – i comportamenti vengono scomposti in «saper relazionarsi, cioè in competenze relazionali, e in «saper fare» cioè in competenze operative, organizzative, procedurali.
    Ci è parso che questa quadripartizione funzionale rispondesse maggiormente alla esplicitazione delle competenze da formare nel profilo degli educatori.

    Realizzato lo strumento, il compito arduo è stato quello di far funzionare lo strumento per mettere un po’ di ordine tra tutte le competenze immaginate e formulate, e organizzare gli obiettivi della formazione in una maniera coerente e sistematica.
    Il lavoro non è stato per nulla facile, e in alcuni casi è parso a molti macchinoso e poco gratificante. La difficoltà vera è che spesso si mette in atto una vera e propria resistenza ad esplicitare e a formulare in termini linguistici chiari quanto si è convinti di possedere chiaramente in mente. L’elaborazione di un piano comune di formazione implica comunque anche la fatica della condivisione per chiarire insieme il «dove vogliamo andare».
    Il lavoro si è svolto a tappe: prima la definizione dei prerequisiti, poi il profilo, quindi le competenze del saper essere, e solo successivamente la operazionalizzazione indicata.

    QUARTO TEMPO DEL CAMMINO FxF: I CONTENUTI E LE RISORSE

    A questo lavoro al contempo impegnativo e affascinante, è seguito un altro tempo. In esso si intendeva compiere un passo in avanti rispetto al precedente piano di scuola per animatori: e cioè predisporre l’individuazione, in forma prioritaria, delle risorse metodologiche per la sua realizzazione.
    Il cambiamento di prospettiva era indotto da una scelta a monte che nasceva da una convinzione condivisa: la questione della formazione degli animatori non era prioritariamente questione di «scuola», quanto di esperienza. Il luogo vero della formazione è la vita, l’esperienza quotidiana di animazione, non la «scuola». La formazione nasce dalla circolarità tra l’esperienza e la riflessione, anche strutturata e ragionata, su di essa, a partire da essa e ritornando ad essa.
    Questo momento di lavoro è stato preparato e avviato da un input esterno che raccogliamo nel riquadro che segue.

    Un modello per recensire i «contenuti» nella formazione degli animatori

    1. Un cambio di mentalità

    Occorre coltivare la consapevolezza di un cambio di modello: si tratta di un approccio epistemologico (modalità attraverso cui si accede alla conoscenza e trascrizione del contatto con la realtà del mondo) diverso dal percorso tradizionale.
    Il prima: un modello contenutistico nella formazione di tipo disciplinare.
    Una volta stabiliti gli obiettivi (ordinariamente solo conoscitivi) ci si preoccupava di allestire i «contenuti», identificati con «le cose da sapere» e anche da «saper fare», organizzati attraverso le discipline.
    Perciò la scuola per animatori contemplava «tanto» di approccio al testo biblico, tanto di teologia, tanto di psicologia e di scienze umane, tanto di memoria pedagogica salesiana identificata con la memoria di don Bosco e del suo sistema educativo (sistema preventivo) filtrato e accompagnato dalla maturazione della pedagogia salesiana.
    L’ oggi: modello ermeneutico esperienziale e perciò interdisciplinare.
    Quale la logica di questo modello?
    * Il «cambiamento globale» (non solo di mappa mentale e di quantità e qualità delle conoscenze) che si intende perseguire, attraverso la definizione di finalità ed obiettivi, e poi in termini di competenze. Un cambiamento non più «molecolare» ma «molare». Il cambiamento da produrre nella formazione degli animatori e pre-animatori è stato definito in termini di atteggiamenti, conoscenze, comportamenti, e che poi abbiamo tradotto in «saper essere», «saper relazionarsi», «sapere» e «saper fare».
    * Nel porre l’attenzione a questo tipo di «cambiamento» ci rendiamo conto che il «materiale» con cui far «macinare» i processi formativi, cioè il materiale da elaborare, i cosiddetti contenuti, non si riduce al «sistema di conoscenze, cioè rappresentazione categoriale della realtà, più o meno organizzate e scientificamente codificate». Ciò non basta. Ci siamo detti che tale «materiale da elaborare» per produrre cambiamento è l’esperienza.

    2. L’esperienza come «contenuto» della formazione degli animatori

    Se voglio che un ragazzo impari ad andare in bicicletta (... che un animatore diventi capace di condurre un gruppo in stile di animazione) non è sufficiente che egli «conosca la bicicletta»: che riesca a simbolizzarla, ne sappia rappresentare le singole parti e sappia montarle, ne conosca il principio di funzionamento, le leggi della meccanica, e sappia descrivere uno dopo l’altro tutti i movimenti che occorre fare per avviarsi, pedalare e raggiungere la meta, magari vincere il giro.
    Perché avvenga il cambiamento proposto, sono consapevole che il ragazzo debba «fare l’esperienza di andare in bicicletta»: questo vuol dire che deve aver a che fare con una bicicletta vera, deve provare a montarla, vedere qualcuno come fa a partire e pedalare… e anche a frenare. Provare a pedalare anche se rischia qualche caduta. Sapersi rialzare e se si buca la ruota, sapere come ripararla o conoscere da chi farsi aiutare per ripararla.
    Fare esperienza per produrre cambiamento nelle persone, un cambiamento che induca delle abilità, esige dunque che il giovane animatore o pre-animatore:
    * sia a contatto diretto con la realtà rispetto alla quale si intende acquisire competenze di intervento;
    * sia capace di recepire creativamente il contatto con la realtà attraverso degli strumenti culturali. Dunque esiste uno stretto rapporto tra contatto con la realtà e capacità di ricevere questa realtà dentro contenitori-filtri (categorie culturali adeguate alla conoscenza della realtà oggi, e non di ieri, nemmeno dei tempi di don Bosco, perché lui è rimasto al secolo scorso!); la capacità di cambiare dal contatto con la realtà dipende proprio dalla strumentazione utilizzata nella ricezione di quanto la realtà ci rinvia di ritorno dalla nostra azione su di essa (feedback);
    * capacità di ritorno alla realtà esperienziale con categorie culturali tali da poterla interpretare criticamente e culturalmente collocati. Questo vuol dire che c’è un momento importantissimo che è quello in cui si permette alle persone di acquisire categorie nuove di interpretazione della esperienza con la quale hanno contatto tutti i giorni.
    Esiste perciò una circolarità tra il fare esperienza e le categorie interpretative adeguate.

    3. Selezionare i contenuti della formazione

    La selezione dei contenuti esige dunque un lavoro a doppio livello:
    La selezione delle «esperienze» (i «contenuti esperienziali») che un giovane pre-animatore o animatore deve poter fare, aver fatto o comunque deve essere garantito di poter «vivere» nel corso della formazione, in modo tale che egli non parta a scuola di animazione come una «tabula rasa», bensì giunga come portatore di esperienza in parte elaborata e, probabilmente, in gran parte da elaborare criticamente.
    * Occorre quindi chiedersi: quali esperienze deve aver fatto e portare come bagaglio, e quali dobbiamo far fare? Tenendo conto che tante esperienze attraversano la vita quotidiana di un adolescente e giovane, e tante altre vengono proposte nel cammino di educazione alla fede di qualsiasi gruppo nel biennio o triennio oratoriano. Solo alcune esperienze vanno assicurate specificamente per pre-animatori e animatori.
    * Nell’analisi del lavoro svolto abbiamo notato che a volte si confonde tra attività ed esperienza.
    È vero che c’è uno stretto collegamento tra attività ed esperienza. Non c’è esperienza senza attività programmate. Ma l’esperienza in genere implica un insieme o sequenza di attività connesse o anche una ripetitività dell’attività stessa.
    La selezione delle categorie culturali interpretative dell’esperienza stessa onde essa diventi davvero occasione di cambiamento globale.
    In questo senso all’esperienza da elaborare corrispondono dei «contenuti linguistici» di tipo interdisciplinare o anche disciplinare. Diventa perciò facile chiamare per nome i segmenti di saperi, di saper relazionarsi, di saper fare operativamente, che compongono le cosiddette «discipline» della formazione degli animatori.


    Nel porre l’attenzione a questo «cambiamento», ci rendiamo conto che il «materiale» con cui far maturare i processi formativi, i cosiddetti contenuti, non si riduce al «sistema di conoscenze» più o meno organizzate e scientificamente codificate, come nel piano precedente. Ciò non basta.
    Ci siamo detti che tale «materiale da elaborare» per produrre cambiamento è l’esperienza.
    Fare esperienza rappresenta una condizione necessaria per produrre cambiamento nelle persone, un cambiamento che induca delle abilità.
    È intorno a quest’ultima riflessione che l’assemblea si è impegnata a dare un contributo in vista di un reale sviluppo delle Scuole di animazione. Nel lavoro di individuazione delle esperienze ci si è resi conto che tutta la vita dell’adolescente e del giovane, la vita dell’oratorio e quella di scuola o famiglia, offre dei contributi alla formazione. Le esperienze individuate si collocano infatti in gran parte al di fuori del «tempo della scuola»; così come esso non è più identificato come il tempo della formazione.
    L’esperienza e il cammino di animazione in oratorio, l’esperienza stessa contenuta nel cammino di gruppo della propria fascia di età, che non va annullato proprio perché in esso si compie il cammino di aiuto-animatore e animatori, diventa il luogo quotidiano dove «si vive in laboratorio» il cammino di formazione all’animazione. Ciò non esclude che alcune esperienze particolari vadano individuate e programmate appositamente in relazione alle tappe formative dell’animatore e del pre-animatore.Una volta recensite le esperienze, su di esse si è modulato il lavoro di identificazione e di selezione dei contenuti formativi.
    La colonna della «strumentazione» ha quindi permesso di individuare i materiali didattici di riferimento da utilizzare e condividere.

    ALLARGARE I CERCHI CONCENTRICI DELLA FORMAZIONE DEGLI ANIMATORI

    L’ultima tappa del lavoro è stata quella di individuare i diversi livelli formativi.
    Il livello di base e quello ordinario è dato dal «locale»: il proprio oratorio, la associazione di appartenenza, la comunità parrocchiale. La formazione va giocata e scommessa sul territorio e nella situazione socioculturale in cui si opera.
    Per questo le cosiddette «scuole di animazione» hanno la loro consistenza, articolazione e gestione prevalentemente a livello locale e/o zonale, quando la vicinanza di comunità educative e la condivisione dei medesimi obiettivi favorisce e richiede il mettere insieme le risorse e l’esperienza sul medesimo territorio.
    Non sono stati esclusi però altri livelli formativi: soprattutto quello «regionale», oltre a quello interregionale.
    Certe opportunità formative e certi stages divengono praticabili e sono realizzabili solo quando, ad un livello più alto del locale, dove spesso sono assai ridotte e rarefatte le risorse, si mettono insieme risorse di persone, risorse strumentali e risorse economiche. In questo caso il principio di sussidiarietà permette di assicurare occasioni formative eccellenti qualificate dalla eccezionalità e dalla straordinarietà che non ogni oratorio o centro di aggregazione può concedersi.
    Ma c’è anche un’altra ragione, non funzionale e strumentale, che sollecita ad allargare il cerchio della formazione dei pre-animatori e degli animatori oltre il «locale», che spesso significa anche il parrocchiale, il territorialmente circoscritto: è quel livello di comunione, di condivisione di spiritualità e di unità educativa e pastorale, quale una Chiesa locale, una Provincia religiosa, una Associazione o Movimento di dimensioni ampie, in ogni caso un «carisma educativo» hanno bisogno e dovere di assicurare, affinché ciò ricada come ricchezza e «qualità» nella vita e nella prassi formativa di tutti.

    (A cura di Mario Delpiano e Sr Palma Basile)


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