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    Cristiani nel mondo


    Testimonianze delle fatiche e delle gioie dei giovani

    a cura di Elena Marcandella

    (NPG 2020-05-73)

    “Si inizia per piacere, si continua per amore”
    Serena Dal Pos *

    Questa frase mi ha guidata quando ancora la strada non mi era chiara. Negli anni di animazione all’oratorio mi veniva spontaneo avvicinare in modo particolare i ragazzi più poveri, in tutte le sfaccettature della povertà. Mi dicevano che avevo una propensione speciale per ‘i casi difficili’ ma non lo capivo bene, perché mi veniva spontaneo, e non mi costava affatto fatica, anzi mi faceva piacere.
    Così, finito il liceo, ho intrapreso gli studi universitari per diventare assistente sociale. Una decisione presa probabilmente con un pizzico di ingenuità, pensando di poter salvare il mondo, almeno quello più povero.
    Ora lavoro presso un piccolo comune della provincia di Treviso. Essendo l’unica assistente sociale mi occupo di tutte le aree: minori, famiglie, anziani, stranieri, disabilità. Le povertà con cui mi scontro quotidianamente sono svariate. L’entusiasmo iniziale è ben presto svanito lasciando spazio a paure, incertezze, delusioni e fortunatamente da subito ho percepito un forte senso del mio limite. Ho capito che la professionalità acquisita negli studi e nei tirocini formativi e il mio desiderio (seppur buono) di voler essere d'aiuto, non bastavano ma era necessario andare oltre. Oggi mi è chiaro che non è possibile tenere separati il lavoro dal cammino cristiano che, seppur con le fragilità che vivo, mi permette di essere una professionista che - oltre a guardare il bisogno per cui la persona è in carico ai servizi sociali - tenta anche di avere uno sguardo "diverso" sul prossimo che mi ritrovo davanti. Qualche volta mi chiedo: come le guarderebbe Dio queste persone? Sono convinta che vivere cristianamente il proprio lavoro non significhi essere professionalmente più bravi di altri, ma avere appunto questo sguardo "diverso", che guarda la persone nella loro interezza, che non si accontenta di offrire "solo" una risposta immediata ed efficace al bisogno espresso (che molte volte non è altro che la punta dell’iceberg), ma che ha a cuore la "salvezza" delle persone.
    Penso alla storia di Paola (nome di fantasia) che un giorno si è presentata chiedendo informazioni per poter interrompere la gravidanza. In quel momento, se mi fossi basata solo ed esclusivamente sulla sua domanda, le avrei consegnato un depliant con le indicazioni che cercava. Ma la vita ha un valore inestimabile e non avrei mai potuto lasciarla uscire dall’ufficio solo con un depliant e le sue angosce. Da lì è nato un veloce percorso (veloce perché ci sono dei tempi precisi per poter scegliere di interrompere la gravidanza) di conoscenza, fiducia, dialogo, di incontri personali e telefonate. Paola aveva paura, aveva dentro di sé il terrore di non riuscire a dare al suo bambino ciò di cui aveva bisogno perché sia lei che il marito erano senza lavoro. Si vergognava a condividere la reale motivazione per la quale voleva abortire, il suo bisogno quindi non era l’interruzione di gravidanza ma trovare qualcuno che le dicesse che non era sola, di aver fiducia e che il loro bambino era (è!) una ricchezza superiore a qualsiasi conto bancario.
    Nel mio lavoro c’è il rischio di diventare dei burocrati, di starsene dietro una scrivania compilando carte. Purtroppo servono anche quelle, e si può fare tanto da dietro una scrivania, ma si può fare ed essere molto di più in trincea, in prima linea. Lì sul fronte delle anime in tempesta, nei tumulti di cuori soli, sulle creste della sofferenza. Ed è lì che io voglio stare, è lì che sento di poter dare un po’ di me assieme al mio bagaglio di vita. Il mio cammino cristiano, la certezza dell’Amore del Signore che ci sostiene, mi aiuta anche a rischiare, a non rimanere riparata nel bivacco sicuro della mia postazione d’ufficio, distante dal cuore delle persone. Nel mio piccolo e con tutta l’umiltà di cui c’è bisogno.
    Molte volte chiedo al Signore che ci sia Lui dove io, con la mia professionalità e con i miei limiti, non riesco ad arrivare; ciò non mi fa sentire "perdente" ma in cordata con Lui, consapevole del fatto che da sola non raggiungerei nessuna meta. In fondo si rimane in piedi grazie ad affetti veri e profondi, grazie a relazioni che si basano sulla Verità e che portano in sé l’intento reale della salvezza, e non perché si è forti. Le mie battaglie più grandi le vivo quando intuisco che il bene "vero" delle persone viene messo in secondo piano e viene data priorità a scelte più vantaggiose, quando la persona diventa un mezzo e non il fine. In quei momenti, più che mai, devo trovare la forza (e anche il coraggio) di espormi, costi quel che costi, cosciente del fatto che non vi è nulla di più importante e prezioso rispetto alla vita di una persona e alla sua dignità.
    Tutto ciò è semplice? Certamente no. Le fatiche, le tentazioni, le paure sono molte e alle volte mi ritrovo in preda allo sconforto, ma a fine giornata mi dico sempre che ne vale la pena. ‘Ne vale la pena’ è una promessa di Eternità. È una certezza d’amore e di fedeltà: è scalare una montagna, con tutte le fatiche e difficoltà di ciò che comporta, perché sono certa che l’orizzonte in vetta sarà l’Infinito. ‘Ne vale la pena’ è la mia giaculatoria nei momenti in cui mi attanaglia la tentazione di lasciare, di mollare la presa, nei momenti in cui penso di non essere e dare abbastanza. Nella lotta quotidiana, il ‘trionfo’ del domani.
    Quotidianamente cerco semplicemente di voler bene alle persone che incontro e di lasciarmi voler bene. A volte succede che siamo travolti da amori immeritati. Amori che ci avvolgono, e che in qualche modo non sappiamo perché e come possano aver incrociato le nostre vite, amori che vanno oltre a ciò che avevamo anche solo potuto sperare. È un'esperienza che non entrerà mai nei registri contabili della vita. Ma è grazie a questi amori che noi viviamo, e di questi amori dovremo far vivere. In questo mondo preparato da Dio per noi – se si è fedeli ad esso – si incontra l'amore.
    E allora, quello che si è iniziato per piacere, si continua per Amore.

    * 30 anni. Ha frequentato le scuole presso le Figlie di Maria Ausiliatrice a Conegliano e l’oratorio prima come animata poi come animatrice.
    Ha lavorato per oltre 4 anni negli uffici della Pastorale Giovanile dell’Ispettoria Salesiana San Marco di Mestre-Venezia. Ora opera come assistente sociale in un comune alle porte di Treviso.

    Di questo mondo ma non troppo!
    Davide Ignazio Mastropierro *

    Il mondo cambia e si evolvono modelli, standard e principi; negli schemi di oggi al centro ci sono i soldi, i social, una sessualità spregiudicata, la volgarità, la logica del “ma cosa ne ho in cambio?”, la popolarità e il “che lavoro fai?” come elementi essenziali per inquadrare una persona, piuttosto che il “ti piaciono le farfalle?” come avrebbe voluto il Piccolo Principe. Volontariato, formazione morale e cristiana, riservatezza e condivisione sono valori meno ampiamenti condivisi, quasi alienanti.
    Eppure, la logica cristiana non è così assurda e distante, anche il cristiano dona solo dopo aver ricevuto, dopo aver ricevuto il dono della vita, della famiglia, dell’amore, di un letto e un tetto, del fatto che nonostante siamo così fragili che un semplice virus può metterci in ginocchio, abbiamo vissuto a lungo senza problemi. A stravolgere gli schemi è solo la prospettiva della fede che fa riconoscere tracce di Dio nel quotidiano. Come sdebitarsi? Facile: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Da qui il mio bisogno di chi ha bisogno di me.
    Fatto sta che non sempre è facile relazionarsi con altri giovani che non vivono questa dimensione, sono ben consapevole che i pensieri che esprimo in un momento di formazione in oratorio cambiano forma in un confronto tra amici in università. Le mie sono maschere? Beh, un po’ sì. Certo è che bisogna saper mediare tra il non sentirsi né brutti anatroccoli, rassegnati alla logica comune, né già bellissimi cigni nel fare da maestri, o peggio, volare in alto con distacco, perché se non siamo in funzione degli altri, che siamo a fare? La via di mezzo è per me un’umile testimonianza della serenità a cui conduce il camminare col Signore.
    Penso a quella riunione in cui allontanai un ragazzo “difficile”, col rischio di perderlo e di farlo perdere. Paradossalmente i destinatari della missione educativa si rivelano nemici della stessa ma proprio per questo dovrebbero essere destinatari privilegiati. Questo è il campo in cui lavorare, anche se non lo scelgo io. Harry Potter viveva in una realtà minacciata dalle forze oscure, la sua storia non poteva di certo incentrarsi sulla sua passione per il Quidditch! Qual è il mio campo? E la mia missione?
    Un altro aspetto è quello relazionale. Perché andare a cinema con un amico se ci sono servizi on demand con cui scegliere un film comodo sul divano, perché discutere in famiglia nel salotto le notizie del TG se quando voglio le leggo e commento liberamente da dietro lo schermo del telefonino? E che innovazione il commercio online! Che grande dono avere qui, tutto e subito! Quanto ci è stato utile proprio nel recente periodo di quarantena! Bisogna cavalcarle queste opportunità per poter coprire distanze più lunghe ma anche capire quando scendere per camminare a piedi, perché senza sporcarci le scarpe perdiamo un contatto sano col nostro essere corporeo e relazionale. Anch’io dopo aver fallito nel tentativo di aprire la Bibbia prima di uscire di casa al mattino, sfrutto ora Telegram per leggere il Vangelo del giorno, anche seduto in treno. D’altro canto mi sto anche sforzando a staccare Internet, quando posso.
    Di questo mondo ma non troppo, o come diceva Don Bosco: “Camminate coi piedi per terra e col cuore abitate in cielo”.

    * Del 1997. Nasce a Velletri e vive ad Ostia fino a 9 anni. A Molfetta conosce l’oratorio salesiano e diviene poi animatore. È membro della segreteria MGS Puglia e studente di Ingegneria Meccanica del PoliTo.

    Un quotidiano discernimento
    Giuseppe Toscano *

    Come vivo il mio essere cristiano nella quotidianità di ogni giorno? Offro una semplice riflessione personale, segnata dalla gioia e dalla fatica di comprendere quotidianamente come vivere da cristiano credibile vivendo quindi gli insegnamenti di Gesù di cui, e primo tra tutti, l’Amore per gli altri.
    Ogni giorno per me è un nuovo giorno da vivere, unico, diverso dai precedenti, come un nuovo foglio bianco che mi viene donato per riempirlo principalmente con i colori dell’Amore; potrebbe anche essere l’ultimo foglio e per questo non amo alzarmi tardi la mattina perché non voglio sprecare quel foglio e desidero colorarlo più che posso.
    Da alcuni anni, inizio la mia giornata leggendo il Vangelo del giorno insieme ad una riflessione pubblicata da un prete su Facebook. Quella Parola guida la mia giornata, condiziona il mio agire, mi dà forza, conforto nei momenti tristi e l’esempio di Gesù mi insegna ogni giorno come vivere da cristiano in tutte le piccole e grandi scelte che sono continuamente chiamato a prendere perché la vita del cristiano è un continuo discernimento. Non sempre faccio le scelte giuste, forse di più sono quelle sbagliate, ma affido tutto a Dio e poi Lui ogni volta mi sorprende trasformando i miei errori e le mie fragilità in nuove opportunità per amare.
    Dopo, mi piace programmare la mia giornata su dei fogliettini volanti e i miei amici da anni mi prendono in giro per il fatto che potrei utilizzare delle agendine o il cellulare ma ancora nessun dispositivo è riuscito a superare l’utilità e la praticità dei fogliettini. Su quei pezzi di carta scrivo di tutto: dalle cose che devo fare durante il giorno ai piccoli momenti di preghiera da ritagliare, fino alle chiamate o messaggi da mandare e spesso mi pongo questa domanda: come posso amare oggi? Ma nonostante programmi minuziosamente l’intera giornata, le cose più belle sono quelle che non posso programmare, come la chiamata di un amico, quelle persone che incontri, tante situazioni che possono capitare e da cui spesso mi lascio smontare i programmi per accoglierle.
    Vivere da cristiani non è sempre facile, oggi più che mai è un andare contro corrente e spesso si va incontro a derisioni e giudizi. Ormai si pensa che pregare, partecipare alla messa, avere dei valori cristiani sia una cosa solo per preti e suore e che un giovane cristiano non è chiamato a vivere, è un bigotto. In particolar modo negli ambienti universitari che frequento non mancano le occasioni per mettermi continuamente in discussione, e non sempre è facile vivere da cristiano e sentirsi libero di essere se stessi. Ma la soluzione di certo non è quella di isolarsi: Gesù stava in mezzo a tutti e soprattutto amava tutti e da Lui ogni giorno cerco di imparare questo. Soprattutto all’università ho tanti amici atei, e per me stare in mezzo a loro da cristiano non significa parlare loro di Dio ma semplicemente portare Dio a loro amandoli, perché l’amore che dono a loro è quell’Amore che Gesù ogni mattina mi insegna leggendo quel pezzetto di Vangelo e che io durante il giorno provo a vivere nelle relazioni, in quello che mi accade, e nel prendere delle decisioni spesso mi chiedo: «Gesù, tu cosa faresti?». Questo per me significa vivere da cristiano nel mondo, cioè avere una direzione che è il Vangelo, che se lo vivi ami, e l’amore condiziona le tue scelte, la tua vita e anche quella degli altri: accogliere un ragazzo straniero, parlare con un fratello senza tetto per strada e vedere se ha bisogno di qualcosa, aiutare un collega, un amico, ascoltare una persona che ha bisogno di parlarti, sono tutte opportunità che ogni giorno in un ambiente universitario e in una grande città come Palermo mi si presentano per colorare quel foglio bianco.
    Mentre quando mi trovo a Pietraperzia nel mio piccolo paesello, magari non incontro il barbone per strada ma provo ad amare la mia famiglia, i miei amici e mi piace tanto donare parte del mio tempo per i bambini dell’oratorio.
    La mia fede è cresciuta proprio lì, tra quelle mura dell’oratorio e il mio cuore è senza dubbio salesiano. Grazie all’esperienza dell’oratorio ho incontrato persone fantastiche, ho scoperto di avere qualche talento, ho sperimentato la mia passione per i bambini e per questo ho intrapreso il percorso di studi in scienze della formazione primaria. Tra poco dovrei laurearmi e sono tanti i sogni. Mi piacerebbe insegnare in una scuola di periferia in cui sono presenti quei bambini che nella vita hanno avuto di meno, “scartati” dalla società. Non so ancora quello che mi aspetta e cosa farò, a volte ho paura di sbagliare direzione, ma sono sicuro del fatto che quando ami le persone che la vita ti mette accanto non sbagli mai direzione perché “tutto quello che avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me”, questo è l’essenziale.
    Dio mi ha creato per amare, tutti siamo stati creati per amare e ogni giorno sperimento un Dio che mi ama concretamente, lo fa attraverso le persone che mi mette accanto ed è bello quando ti accorgi di questo. Soprattutto nei momenti in cui sono triste arriva sempre quella persona giusta a consolarmi, consigliarmi. C’è una frase di Padre Pino Puglisi che racchiude questo segreto: “Dio ti ama ma sempre tramite qualcuno”. Questo significa che oltre ad amarmi attraverso gli altri si serve anche di me per amare gli altri. Per questo credo che essere cristiano nel mondo significhi principalmente donare la vita, rendere migliore la vita degli altri, delle persone che incontri e davanti a tanta miseria e povertà non domandarsi perché, ma credere che forse Dio per alleviare quella sofferenza ha creato proprio te.
    La vita è una grande scommessa e tocca a noi scegliere come vivere: possiamo scommettere sul fatto che tutto finisca qui su questo mondo e allora vivremo in un certo modo; se invece scommettiamo sul fatto che la vita continui pensando che siamo fatti per il cielo e che in questa vita siamo solo di passaggio, allora vivremo in un altro modo e vivremo amando.
    Non so molto su cosa ci aspetta... ma su una cosa sono certo: vivere da cristiano su questo mondo significa lasciare un segno bello e vivere pienamente, perché gli insegnamenti di Gesù sono pieni di Amore. Mi piace pensare che un giorno Dio mi farà questa domanda: cosa hai fatto di bello nella vita? E io gli mostrerò la mia raccolta di fogliettini volanti...

    * 24 anni, animatore e studente in Scienze della Formazione Primaria. Ama la sua terra, la Sicilia, e con la futura professione spera di spendersi per essa e in particolare per quei bambini che nella vita hanno avuto di meno.

    “Nel mondo, ma non del mondo” (Gv 17,14)
    Elena Mastellari *

    Cosa può significare per un giovane d’oggi questo versetto del Vangelo? Che io sia nel mondo è un dato di fatto: sono nata su questa terra e vivo insieme alla mia famiglia in una bellissima città; eppure mi viene detto che io non sono di questo mondo. Mi ritrovo allora a vivere la mia vita lì dove sono, ma con una tensione verso l’altro e verso l’Alto. Verso l’altro perché sono costantemente immersa nelle relazioni (non passa giornata in cui io non entri in contatto con altri, anche solo virtualmente) e verso l’Alto perché so che è quella la meta e che è Lui che mi sta guidando.
    Essere nel mondo significa che non posso vivere senza prestare attenzione a chi mi è stato messo accanto, che sia in famiglia, in università, con gli amici o in oratorio, e neanche fare finta che fuori dalla mia casa non ci sia una realtà in continuo cambiamento. Per me significa essere presente agli altri, intessere relazioni e avere uno sguardo ampio su ciò che mi circonda adempiendo i miei diritti e doveri. Sarei un’ipocrita se pensassi di poter raggiungere il Paradiso senza dare il mio contributo su questa terra: oltre ad essere un’incredibile perdita di tempo (una vita intera!) non raggiungerei di certo il mio obiettivo. Si tratta di accorgermi che Gesù mi dà l’incredibile possibilità di costruire il Paradiso fin da ora, lì dove sono: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”. Non dobbiamo aspettare di essere morti per accorgerci degli altri!
    Per me si tratta di vivere anche con speranza, quella che dovrebbe caratterizzare ciascun cristiano. Non è il mero ottimismo, una pacca sulla spalla, l’andrà tutto bene. La speranza, quella che viene da Lui, è un dono che ci è stato fatto, è la certezza che la morte è stata vinta. E questo nel mio quotidiano significa che anche le fatiche che il vivere comporta, acquistano senso solo se fatte nel Suo nome, con e per amore. È un allenamento perenne: riconoscere la vita che è nascosta dietro ogni cosa, ogni gesto e assumere un atteggiamento di servizio verso il prossimo. A mia volta poi sono chiamata a portare alle persone che incontro questa speranza, autentica perché viene da Lui.
    In questa quarantena mi sono allenata anche a tornare all’essenzialità: dovendo stare chiusa in casa ho rivisto le mie priorità e subito si è fatta sentire la nostalgia delle cose che davvero porto nel cuore e il più delle volte mi sono accorta che più che cose sono persone.
    Io ho bisogno di essere in relazione con gli altri per raggiungere la meta, e per stare insieme agli altri non posso pensare di potermi estraniare in un “mondo tutto mio”. Costa fatica, non lo nego, ma la posta in gioco è alta: si tratta della felicità della mia vita e quella di chi mi incrocia nel suo cammino. Sguardo verso l’Alto ma sempre tesa verso l’altro.
    O per dirla come il nostro don Bosco: “Camminate con i piedi per terra e col cuore abitate in cielo”.

    * 23 anni, di Ferrara. È al 5° anno di Scienze della Formazione Primaria all'università di Bologna, è Aspirante salesiana cooperatori e Membro della Consulta Nazionale per il territorio MGS Lombardia Emilia Romagna.

    Non proteggermi dal mondo ma abbracciarlo
    Angelo Forte *

    Essere in questo mondo, senza essere del mondo. Pare Amleto, ma non lo è. Si tratta di quanto ogni cristiano è chiamato a fare nella quotidianità dei suoi giorni.
    Non essere del mondo porta alla mente un gesto molto semplice: alzare lo sguardo verso il cielo. È una consapevolezza, da acquisire un passo dopo l’altro, di avere principio e destinazione, alfa e omega, in Dio, nel Cielo, appunto. Alzare lo sguardo e accogliere dentro la nostra finitezza un respiro di infinito. Però che fare mentre si è su questa terra? In fondo noi, in questo mondo, ci siamo. Il rischio grande è quello della fuga mundi, di chiuderci nella dimensione celeste una volta di fronte alle paure, al male, al peccato, alle difficoltà.
    Ho sempre cercato nella mia vita di non proteggermi dal mondo ma di abbracciarlo. Penso possa essere pericoloso cercare di rintracciare Dio nelle nostre esistenze chiudendoci in una bolla di vetro, evitando il contatto (un po’ come oggi in tempi di virus) con tutto ciò che possa in qualche modo corrompermi, deviarmi, contaminarmi. Esposto in questi termini sembra così lontano, eppure credo avvenga molto più frequentemente di quanto si creda: a me, ad esempio, che sto avvicinandomi alla laurea, quando rifletto sul percorso professionale da intraprendere spesso mi viene da domandarmi, una volta individuato un determinato ambito lavorativo, se possa mai essere possibile vivere quella professione da cristiano; nella mia piccola esperienza da animatore, invece, mi sono reso conto del fatto che talvolta la mia bolla di vetro sia stata dare poca rilevanza, attenzione a situazioni personali di giovani che ho incontrato che con ogni probabilità mi avrebbero messo profondamente in gioco e in discussione, e in difficoltà. Che rabbia, allora, provavo dentro di me per aver creduto che il Paradiso, il Cielo, Dio potessero raggiungersi più facilmente semplicemente evitando le situazioni di rischio.
    In realtà credo fortemente che l’unico modo per poter essere veramente del Cielo sia abbracciare la totalità di questo mondo terreno. Non rimanendo ancorati allo stesso, che è un altro rischio. Vivere come alfa e omega dell’esistenza la materialità del mondo, le sue strutture, le sue criticità. Abbracciare, allora, alzando lo sguardo.
    Neanche troppo in realtà: una cosa che spesso dimentico è che Dio non solo abbia creato questa Terra ma abbia anche deciso di abitarla, e questo fa tutta la differenza del mondo! Gesù è stato qui. Ciò significa che per ricordarci la nostra appartenenza al Cielo non è necessario fissarlo fisicamente o metaforicamente per ore, rischiando di alienarci dal luogo privilegiato di incontro con Dio, e cioè il luogo dove siamo. In vari momenti di difficoltà spirituale cercavo Dio altrove, oltre me, fuori da me, salvo (ri)scoprirne la sua presenza nello spazio-tempo specifico che ero chiamato a vivere. Nel cuore della quotidiana realtà.
    Chiaro è che abbracciare il mondo implica abbracciarne ogni parte. Anche il male più profondo che ne è radicato, anche il nostro male, le nostre dinamiche di peccato. Si può sostenere che il male sia la negazione e il rifiuto di Dio, nel macro e nel micro. Nel mondo e nel mio cuore. D’altra parte, a livello personale, è nelle mie fragilità più grandi e nei miei comportamenti più riconducibili al concetto di “male” che io ho trovato la più vera e forte presenza di Dio nella mia vita.
    L’infinito subentra là dove esiste il finito, ed ecco che ha senso percepire forte la presenza di Dio in tutte quelle manifestazioni di finitezza dell’uomo.
    Penso che allora il modello più vero di chi è nel mondo, pur non essendo dello stesso, sia proprio Gesù: incarnazione della scelta di Dio di abitare questa terra, vive il mondo in tutta la sua pienezza, senza mai stancarsi di rivolgere lo sguardo, e di puntare il dito, verso il Cielo, che è la direzione di tutti noi.

    * 23 anni, di Latina, all'ultimo anno di giurisprudenza a Roma. Presta servizio come catechista presso l'oratorio salesiano di Latina. Ama il basket, la scrittura e i colori.


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    p a g i n A


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