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    Casa del mio pensiero

    Dopo un pellegrinaggio in Terra Santa


    Marta Feliciangeli

    Terra Santa


    Le cose vecchie sono passate: ecco, ne sono nate di nuove (2 Cor. 5,17).

    Da quando ho avuto l’occasione, un anno e mezzo fa, di visitare i luoghi dove Gesù ha vissuto, la Terra Santa è diventata la casa di ogni mio pensiero: la mia mente mi riporta sempre a quei luoghi e all’aria così particolare che lì si respira e tutto ciò che oggi sono o faccio dipende da quella settimana di luglio che ho trascorso in Israele. Alla partenza non avevo un grande rapporto con Dio o con il Vangelo e temevo di essere la persona sbagliata per un viaggio simile, pensando quasi di non meritarlo, considerato quanto poco sapessi di Gesù o dei luoghi che andavo a visitare. Ero però desiderosa di conoscere ed è questo che ha reso il pellegrinaggio una vera e propria scuola di vita.
    Sapendo di essere forse la pellegrina che aveva di più da imparare, mi sono limitata ad ascoltare in silenzio ciò che la guida diceva e, pur senza saperlo, sono andata a occupare l’ultimo posto tra gli invitati a nozze (Lc. 14:8). I giorni del pellegrinaggio intanto iniziavano a scorrere: Nazareth, Tabor, Cana, Tiberiade, Cafarnao, Gerico, Betlemme, Masada, Ain Karem. Luoghi bellissimi, ma che ancora non mi parlavano del tutto: avevo paura di tornare a casa senza un rapporto personale con Dio, guardavo gli altri pellegrini che erano con me e vedevo fede, costanza, coinvolgimento e commozione che a me non sembravano toccare.
    Il pellegrinaggio non poteva però concludersi senza la visita a Gerusalemme: lì finalmente Colui che ci aveva invitati tutti a nozze mi ha chiamata più avanti. È accaduto nella basilica del Santo Sepolcro, il luogo che ora mi è più caro al mondo. In fila per la visita ho pensato a lungo a cosa poter dire nei pochi secondi che mi erano concessi nel Sepolcro e ho scelto le parole del Credo che più sentivo adatte (sbagliandole nell’emozione): credo nella resurrezione dei morti e nella vita del mondo che verrà. È molto difficile spiegare come io mi sia sentita appena uscita: tra le lacrime di un pianto che assomigliava molto a quello di Pietro durante il Venerdì Santo, i colori del mondo apparivano diversi e mi sembrava che a tutto ci fosse risposta. Dopo aver visto e capito la Croce, il viaggio e il Vangelo hanno finalmente avuto senso. Al mio ritorno, sulla scia di quella pienezza d’animo, è stato momento di leggere il Vangelo e la Bibbia dalla prima all’ultima parola, ma soprattutto di accettare come Dio si stesse facendo sentire nella mia carriera universitaria. All’inizio del terzo anno di Lettere Classiche all’Università di Siena, fuorisede e con amici che non avrei mai voluto lasciare, sentivo quanto ciò che stavo studiando stesse perdendo importanza a favore di tutto ciò che avevo visto e sentito in viaggio. Il desiderio di cambiare percorso cresceva: cercavo di guadagnarmi piccole pause dallo studio per leggere il Vangelo e pregavo che il Signore mi desse una strada che portasse a Lui. A dicembre, il rifiuto da parte del mio relatore di una tesi sulla Terra Santa mi ha spinta a cercare altrove e Torino è sembrato il posto migliore per una Laurea Magistrale che riguardi ciò che mi appassiona e che mi faccia sentire come se fossi ancora nel mezzo del Lago di Tiberiade. Ho preso questa decisione cinque mesi dopo il pellegrinaggio e da quel momento in poi ho studiato in compagnia di Dio ogni parola dei miei testi universitari, solo per essere qui oggi a dedicare a Dio i miei studi.
    Egli nella Bibbia lo dice chiaramente: Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza (Ger. 29:11). Ora so che Dio non è lontano, che è con noi nella vita di tutti i giorni e che segue le nostre fatiche e i nostri successi, anche nello studio.
    Per usare le parole di Luigi Santucci, ricordiamoci che Gesù Cristo non è solo la sfolgorante speranza che nella mattina di Pasqua ha lasciato vuoto il sepolcro, ma è anche il falegname, dio di mani che hanno lavorato (o studiato) un altro giorno.


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