Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email

    Nell'unità dello Spirito (Seconda parte di: Dire Dio ai giovani)


    Juan E. Vecchi, DIRE DIO AI GIOVANI, Elledici 1999




    Riconoscere lo Spirito

    «Paolo, arrivando alla città di Efeso, trovò alcuni discepoli e domandò loro: "Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete diventati cristiani?". Gli risposero: "Non abbiamo nemmeno sentito dire che esista uno Spirito Santo"» (At 19,1-2).
    È probabile che oggi tutti i «cristiani» ne abbiano sentito parlare. Chi prende parte all'eucaristia invoca la sua presenza perché il pane e il vino diventino il corpo e il sangue di Gesù e perché la Chiesa si riunisca in un solo corpo.
    Lo Spirito Santo viene nominato spesso in documenti, prediche, racconti, testimonianze. Ci sono movimenti, celebrazioni e raduni che si riferiscono a lui. Sembra un protagonista dei nostri tempi. E certamente lo è, in forma diversa dai soliti!
    Il Papa ha scritto una lettera tutta dedicata a lui dal suggestivo titolo: «È Signore e dà la vita». In quest'espressione si vedono già tre caratteristiche dello Spirito: la libertà, con cui opera nella storia dell'uomo (è Signore!), il dono segnato dall'abbondanza e gratuità (dà), e la vita piena, secondo i desideri profondi dell'uomo e il progetto di Dio a cui tendono tutte le sue ispirazioni.
    Meno frequente però è sapere chi è lo Spirito Santo e come opera: non è comune l'attenzione alla sua presenza. Non lo si vede e non ha una storia personale come Gesù. Non ha immagine o figura che dica immediatamente quello che è. Lo si percepisce attraverso i suoi doni e quello che opera: i suoi frutti, direbbe Gesù. E infatti anche S. Paolo enumera i frutti dello Spirito in una lista incompleta, ma molto espressiva: «amore, gioia, pace, comprensione, cordialità, bontà, fedeltà, mansuetudine, dominio di sé» (Gai 5,22). Un'altra lista di doni enumera la saggezza, la capacità di consiglio, la fortezza, il senso di Dio, lo spirito religioso. Nell'infondere tutto ciò lo Spirito non agisce dall'esterno, ma ispira e illumina la coscienza, la mente e il cuore.
    Nella Scrittura viene rappresentato col fuoco, col vento, con lo scatenarsi repentino dell'energia umana per il bene degli uomini, in forma di amore, zelo per la giustizia, liberazione dall'oppressione. Se ne vedono la forza e gli effetti, ma la fonte o sorgente è inconoscibile. È la pista che Gesù dà a Nicodemo: «Il vento soffia dove vuole; uno lo sente, ma non può dire da dove viene né dove va» (Gv 3,8).
    Siamo dunque invitati ad imparare a far attenzione allo Spirito, riconoscere i suoi doni, essere pronti a gioirne, e vivere secondo le sue ispirazioni.
    È importante dunque dirci dove rivolgere gli occhi per scorgere la sua presenza.
    Guardiamo in primo luogo Gesù: concepito per opera dello Spirito Santo nel seno di Maria. La sua umanità, che affascinava i discepoli e le folle, è costruita dallo Spirito. Luca racconta che «Gesù fu pieno di gioia per opera dello Spirito e disse: "Ti ringrazio Padre, Signore del cielo e della terra..."» (Lc 10,21) . Le parole, la preghiera, gli insegnamenti nascono nel suo cuore dallo Spirito che lo unisce con un profondo amore al Padre e agli uomini. In un'altra pagina, riferendosi alla sua missione, Gesù dice: «Il Signore ha mandato il suo Spirito su di me. Egli mi ha scelto per portare il lieto messaggio ai poveri» (Lc 4,18) . L'ispirazione, l'energia, le scelte insolite della missione di Gesù nascono dalla sua identificazione con lo Spirito di Dio.
    Potremmo continuare con molti episodi finché Gesù fa conoscere lo Spirito ai discepoli, glielo promette e glielo comunica dopo la Risurrezione perché possano, come comunità, percorrere i tempi fino alla sua venuta.
    E qui abbiamo il secondo «luogo» dove riconoscere la presenza e l'opera dello Spirito: la Chiesa. La verità che essa medita, cerca e predica sulla vita umana, la preghiera con cui si rivolge a Dio, l'unità che si vede tra i fedeli, i doni diversi con cui molti si danno a compiere la missione di Cristo, la santità quotidiana che nessuno racconta e quella straordinaria che oggi va sui giornali e la televisione, dicono che lo Spirito è all'opera. Gli Apostoli cominciarono a predicare e a formare comunità segnate dalla fede dopo che lo Spirito era venuto su di loro. Dunque coraggio, fede, eloquenza, amore, testimonianza, visione del futuro sono i beni e i doni che lo Spirito fa fiorire nella comunità cristiana.
    Ma l'opera dello Spirito la si può vedere nelle singole persone, in particolare nei cristiani che nel battesimo lo hanno ricevuto e di lui sono diventati templi. Ci sono cose che procedono dalla coscienza, dal cuore, dalla mente, dalla profondità della persona trasformata. Quando vedi la fede ardente e convinta, quando scorgi il senso di Dio, quando ti colpisce una valutazione saggia delle cose del mondo, quando vedi un amore al prossimo che si dona senza misura, puoi pensare che nel cuore della persona sta agendo lo Spirito che diciamo Santo.
    Santo, perché? Perché unisce misteriosamente a Dio e a tutto quello che da lui procede e a lui si orienta, e conseguentemente unisce agli uomini attraverso l'energia più dolce e potente, l'amore, da dove viene l'unità, la concordia, la solidarietà, la capacità di donazione.
    Ancora un altro scenario: il mondo inteso come genere umano coinvolto in una storia di cui fa parte tutto quello che sentiamo ogni giorno attraverso telegiornali e simili. Scopri la ricerca sincera della verità, il desiderio di bene che c'è in tanti uomini e donne, la nobiltà e il disinteresse nelle iniziative. Giovanni Paolo II, nella sua ultima lettera sulle missioni, fa questo commento: «Lo Spirito si manifesta in maniera particolare nella Chiesa e nei suoi figli: tuttavia la sua presenza e azione sono universali, senza limiti né di spazio né di tempo (...). È all'origine stessa della domanda esistenziale e religiosa dell'uomo, la quale nasce non soltanto da situazioni contingenti, ma dalla struttura stessa del suo essere (...). Lo Spirito infatti sta all'origine dei nobili ideali e delle iniziative di bene dell'umanità in cammino» (n. 28). Con la risurrezione di Gesù, infatti, questo mondo ha avuto una irruzione superabbondante dello Spirito. Chi non possiede la chiave di Gesù non riconosce lo Spirito in tutto il movimento del mondo. Lo sguardo del credente scorge invece la sua azione nell'apertura a Dio anche confusa, nel desiderio di dignità, nelle iniziative generose che mirano alla realizzazione della persona.
    La sfida è quella di superare la miopia, vedere nelle persone, nella Chiesa e nel mondo l'opera dello Spirito. E stato collegato, non casualmente, con la speranza. Essa infatti è tensione tra una promessa convincente e la sua realizzazione.
    Proprio lo Spirito mette in noi i semi dei beni definitivi, ci aiuta così a valutare con saggezza altre offerte, ci sostiene e spinge verso il compimento.

    Lo Spirito: zoom sui giovani

    A Gesù piacevano i simboli e le parabole della vita: la gestazione, il bimbo che nasce, il seme che germoglia, il tralcio che cresce vitalmente unito alla vite, l'albero che produce frutto, il fico che diventa sterile.
    Adoperò una di queste parabole per spiegare a Nicodemo gli effetti della presenza dello Spirito: «Nessuno può entrare nel regno di Dio se non nasce da acqua e Spirito. Dalla carne nasce carne, dallo Spirito nasce spirito» (Gv 3,5-6).
    La vita ha un principio interno di sviluppo, non rigido e deterministico, ma certamente coerente. Dai rovi vengono rovi, dai fichi si raccolgono fichi.
    S. Paolo ha una visione simile dell'esistenza umana: chi nasce «dalla carne» si sviluppa nella sua direzione e produce i suoi frutti. Ma il cristiano rinasce dallo Spirito che gli è donato nel battesimo. In lui lo Spirito agisce non solo come «suggeritore», «ispiratore» «compagno» o «maestro», ma come principio generatore della forma che prende la vita ed energia per arrivarci.
    La vita cristiana ha, come ogni forma di vita, una legge: quella dello sviluppo dall'interno. Inizia nel battesimo come un seme, cresce nel tempo e arriva al suo compimento. C'è uno stato germinale e c'è una maturità: «Io, fratelli, finora non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma ho dovuto farlo come chi parla ad esseri carnali, a neonati in Cristo. Vi ho dato da bere latte, non nutrimento solido, perché non eravate capaci» (1 Cor 3,1-2). S. Paolo parla di bambini e di adulti, di imperfetti e perfetti, di ignoranti riguardo alla fede e di sapienti, di carnali e spirituali.
    Ma che cosa «crea» lo Spirito e di che cosa è principio, seme ed energia di sviluppo?
    Lo Spirito dà origine nel cristiano a una nuova coscienza: quella di figlio di Dio, che si è manifestata in Gesù. Egli sempre, persino nel momento di maggiore apparente solitudine, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Si è affermato che Cristo non ebbe mai il sentimento dell'orfano. Abbandonato da tutti, si sentì sempre accolto dal Padre. La medesima coscienza affiora, si sviluppa progressivamente e si manifesta anche a livello psicologico nel credente: in qualsiasi frangente, sente la presenza ed esprime la fiducia in Dio suo Padre.
    Lo Spirito Santo genera nel cristiano una nuova intelligenza: è l'intelligenza della fede, capace di percepire il mistero di Dio, e di scoprire alla sua luce il senso che hanno il mondo e gli avvenimenti della storia. Spesso la fede è stata considerata una saggezza che viene dallo Spirito. Chi vede la propria vita e la storia senza Dio non è animato dallo Spirito. Chi scorge Dio nella storia propria e dell'umanità è guidato dallo Spirito, perché Dio si è manifestato nell'avvenimento principale della storia, quello di Gesù.
    Lo Spirito genera un nuovo rapporto umano, al di sopra della nazionalità, razza, cultura, religione, stato economico: è l'amore, partecipazione a quello di Dio; per cui non si fa differenza tra connazionali e stranieri, credenti e non credenti, ricchi e miseri, maschi e femmine..., ma tutti sono un'unica creatura (cf Gal 3,28). È il superamento delle discriminazioni, del senso di superiorità, del desiderio di sfruttamento.
    Lo Spirito ci insegna un linguaggio nuovo che ci consente di rivolgerci a Dio esprimendo i sentimenti filiali e ci ispira quello che dobbiamo dire. Egli ci dà anche il contenuto e il vocabolario per l'annuncio del Vangelo e apre alla sua comprensione chi parla e chi ascolta. E il comunicatore invisibile tra i due. Per questo si parla tanto dello Spirito nel contesto dell'evangelizzazione (cf EN 75).
    In breve. Lo Spirito ricrea la struttura interiore della persona: le dà il senso della sua identità, la possibilità di operare nel mondo con la visione e l'energia di Cristo, di andare oltre l'immediato e il materiale attendendo la grande manifestazione per la quale tutta la creazione raggiungerà la sua condizione perfetta (cf Rom 8,19-22).
    Chi è nato dallo Spirito è chiamato a svilupparsi secondo lo Spirito. Non ha ricevuto soltanto alcune qualità fisse, esterne e transitorie, quasi fossero vestiti, gioielli o regali di anniversario. Possiede invece una specie di codice genetico conforme al quale e per forza del quale egli va crescendo.
    Passiamo dall'immaturità allo stato adulto per l'illuminazione progressiva e l'adesione gioiosa alla verità. Esse ci aiutano a vedere il senso della nostra vita e del mondo, con sempre maggior convinzione e profondità alla luce dell'avvenimento di Cristo.
    Cammino verso la «forma perfetta» è la purificazione da dipendenze e schiavitù, egoismi, passioni distruttive, fino a raggiungere la libertà interiore. Conversione, riorientamento, rotture, nuove solidarietà vengono stimolati quasi come da «un istinto» in colui che è guidato dallo Spirito.
    Strettamente collegato, anzi come causa di questo, c'è il desiderio, il gusto, lo sforzo di conformare la nostra vita a quella di Cristo inserendoci nel suo mistero, attraverso l'ammirazione, l'adesione, l'attenzione, il rapporto, l'amore. La finalità e il percorso dell'iniziazione cristiana consiste nel portare «a conformarsi a Cristo, a vedere la storia come lui, a scegliere e ad amare come lui, a sperare come insegna lui, a vivere come lui la comunione col Padre» (cf DCG 38).
    Il risultato è il cristiano «adulto», l'uomo «spirituale». Nel linguaggio cristiano «spirituale» ha un significato peculiare. Non si oppone a materia, come pensavano alcuni filosofi, ma a «carne» cioè chiuso all'oltre, alla grazia salvatrice di Dio e all'amore. Non vuol dire dunque immateriale, ma pervaso da Dio e ordinato a lui, qualunque sia la sua natura fisica. Spirituale non è dunque colui che rinnega, fugge o ignora la sua parte corporea, ma colui che assume e ordina tutto nella carità. Difatti è la «carità che si è diffusa nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci è stato dato», investendo la totalità della persona, corpo e coscienza, progetto temporale e speranza definitiva.
    È illuminante ascoltare da S. Paolo le manifestazioni della fase infantile della nostra vita nello Spirito o del livello «carnale» della nostra mentalità.
    Una di queste manifestazioni è l'incapacità di accettare il Vangelo nella totalità delle sue esigenze e nella sua originalità. S. Paolo chiama immaturi i Corinzi perché si perdono dietro l'eloquenza umana e le spiegazioni complicate e non colgono la sapienza semplice ispirata da Dio, che c'è nell'evento di Cristo (cf 1 Cor 2,1ss).
    È segno dello stato infantile l'essere trascinato da motivi umani come la gelosia, la voglia di eccellere nella comunità con carismi vistosi. Così come lo è il pensare che la libertà consista nel realizzare i propri comodi, il «libertarismo senza finalità», o il non essere capaci di superare i conflitti anche con sacrificio da parte nostra, e dunque, la rottura dell'armonia nella comunità umana o cristiana. Soprattutto lo è l'instabilità e la volubilità della fede, non saldamente ancorata alla parola di Dio, che si lascia trascinare o dalle mode secolari o dalle fantasie religiose o dalle dottrine transitorie.
    Ci sono d'altro canto pagine incomparabili sulla maturità della persona nello Spirito. Essa è purificazione dal male e superamento di quello che è imperfetto, ma anche fioritura massima delle potenzialità che ci sono in noi. Segni della maturità sono, in primo luogo, la sicurezza o evidenza dell'amore che Dio ha per noi e, quindi, la pace e la serenità interiore, per cui sappiamo che «né la morte, né la vita, né gli angeli né alcuna creatura potrà separarci dall'amore di Cristo» (cf Rom 8,38-39); la generosità per cui non ci si limita a quello a cui ci obbliga la legge, ma ci si dona con libertà e gioia; l'impegno radicale e totale per il Vangelo; l'amore ai fratelli come regola per operare, in ogni circostanza, al di sopra di calcoli e convenzioni, al di sopra dei nostri diritti e dello stesso culto.
    Quando questi dinamismi e atteggiamenti crescono, si raggiunge la statura di Cristo: lo Spirito dà unità ai pensieri, agli affetti, ai desideri, alle azioni; si manifestano nella persona i suoi frutti maturi: l'amore, la gioia, la pace, la pazienza, la benevolenza, la bontà, la fedeltà, la mitezza, il dominio di sé (cf Gal 5,22-23).
    Così vediamo i giovani in umanità e fede. E ci colpisce come la vita di Cristo va prendendo forma in loro. Scorgiamo in loro un principio misterioso di vita, oltre il fatto biologico e le capacità razionali, una sorgente che nel corso degli anni va creando le «differenze» del cristiano, cioè la sua identità. Egli è un «tempio vivo dello Spirito».

    Avvenimenti dello Spirito

    L'unione sincera tra le persone ci impressiona sempre favorevolmente.
    Unità, concordia, solidarietà sono beni che l'uomo desidera. Ne ha bisogno: per la sua vita più ancora che per i suoi fini pratici. Questi beni hanno una sola fonte: la capacità di amare. Un'unione costruita sul male e sull'interesse non dura. La si riesce a mantenere esternamente solo con violenza o inganno. Mafia e regimi ne sono due esempi eloquenti. Ma se ne trovano anche abbondanti su scala minore.
    La divisione ci fa soffrire, ci obbliga a lavorare in condizioni difficili, quasi a remare controcorrente. Ma è sempre in agguato, quasi fosse una componente della nostra natura. La discordia lacera le famiglie; la disunione seminata e coltivata provoca nella società conflitti con alti costi di vite, di beni e di civiltà. Ne sono prova le guerre etniche e le lotte per il potere. Ci sono anche manifestazioni più quotidiane di cui sono vittima coloro che vivono intorno a noi, in particolare i più deboli ed esposti. Alla radice c'è sempre l'egoismo individuale e collettivo, un certo disprezzo per gli altri considerati come concorrenti e ostacoli per i nostri fini.
    L'unione tra le persone nei sentimenti, nelle intenzioni, nell'operare è una grazia; ma anche uno sforzo. Richiede l'educazione del cuore.
    Soprattutto se non la si considera solo come assenza di conflitto, pura coesistenza, ma la si vive nelle sue forme positive di rapporto, comunione e condivisione di beni. Anzi, richiede addirittura «conversione», un ri-orientamento della mentalità con profondo cambiamento di visioni, interessi e progetti.
    La Bibbia descrive magistralmente la divisione interiore dell'uomo e i suoi conflitti esterni. Sono risultato del suo voler essere come Dio, decidere per conto proprio il senso della propria vita... Le alleanze che costruisce con questo proposito sono fasulle. Saltano presto. Anzi provocano immediatamente la contrapposizione tra l'uomo e la donna che erano stati chiamati ad essere una «sola carne». Mette l'uomo contro la natura che era destinata ad essere il suo giardino; crea una lotta per la sopravvivenza tra l'uomo e gli altri esseri viventi, tra i quali egli viveva pacificamente e a cui aveva dato il nome. Tutto accade perché ha ascoltato la voce del diavolo, «colui che divide», secondo il significato della parola. La rottura con Dio penetra nell'interiore dell'uomo, si diffonde nei rapporti umani, avvelena il suo atteggiamento di fronte alla natura animata e inanimata.
    Una parabola ugualmente espressiva è quella della torre di Babele. Gli uomini vogliono costruire tra di loro una civiltà che possa prescindere da Dio, non prendere in considerazione le sue leggi né temere i suoi castighi. Fanno una alleanza e un progetto. Ma il loro progetto e il loro linguaggio perdono il punto d'intesa. Non si capiscono più. Debbono separarsi per vivere ciascuno per conto proprio, anzi in opposizione e concorrenza tra di loro.
    L'avvenimento contrario come immagine e realtà è la Pentecoste. I discepoli radunati in preghiera nel nome e nel ricordo di Gesù ricevono un unico Spirito. Esso viene distribuito ai singoli, ma all'interno della comunità.
    Non è lo spirito del successo o dell'ispirazione individuale. Rinsalda il gruppo, gli dà il senso della missione comune. Uscendo, in un unico movimento e con un unico proposito, dal cenacolo dove erano insieme, trovano gente di tutti i popoli convenuta attorno a loro. Pur essendo di lingue diverse, ciascuno capisce quello che gli apostoli dicono.
    L'unità, l'unione, la concordia, la solidarietà saranno distintivi dei credenti: «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era comune» (At 4,32) . «Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore» (At 2,46).
    Sarà quello che il mondo diviso per religioni, razze, lingue, nazionalità e interessi più ammirerà. Sarà il compimento della preghiera di Gesù: che siano uno affinché il mondo creda (cf Gv 17,11). I cristiani saranno uomini di concordia, unione, collaborazione, solidarietà, pace. E ciò non perché rinuncino alla proprie differenze ma perché le vivono come un ricchezza da condividere. Non perché manchino loro motivi per contrapporsi, ma perché hanno capito quali sono i beni superiori per i quali lottare insieme. Non perché non abbiamo problemi individuali da risolvere, ma perché hanno imparato ad assumerli in solidarietà. S. Paolo indica la fonte di questo nuovo modo di vivere il rapporto sociale: «Noi siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo: giudei o greci, schiavi o liberi» (1 Cor 12,13).
    Questa forza unificante dello Spirito continua oggi nella Chiesa. L'ho visto dal vivo e da vicino in un momento singolare: il Sinodo per l'America. Sinodo non è una parola del nostro vocabolario quotidiano. I cristiani però dovranno includerla, come hanno fatto con altre che sembravano da addetti ai lavori. È l'adunanza dei vescovi convocata dal Papa per invocare lo Spirito Santo e orientare la Chiesa nel nostro tempo così pieno di sfide: una delle espressioni massime della corresponsabilità ecclesiale.
    In preparazione al Giubileo e in vista della nuova evangelizzazione del mondo che si affaccia al 2000 si realizzeranno cinque sinodi: uno per l'Africa, uno per l'America, uno per l'Asia, uno per l'Oceania; l'ultimo, nel 1999, sarà conclusivo per tutta la Chiesa. Va chiarito che il Sinodo non è paragonabile ad un parlamento, perché non si articola in partiti, coalizioni o rappresentanze di parti, anche se a volte qualche giornalista non riesce a vederlo se non in questi termini. È senza paragone: adunanza di famiglia perché la Chiesa è stata descritta come «Famiglia di Dio»; cenacolo perché vi si radunano i discepoli di Gesù in forza della sua memoria e in attesa dello Spirito; assemblea, «ecclesia» con volontà di confronto sincero e chiarificatore.
    Il Sinodo per l'America ha coinvolto circa 300 persone. Era la quindicesima assemblea dopo la costituzione dell'organismo da parte del Papa Paolo VI nel 1965.
    C'era diversità di lingue: spagnolo, portoghese, inglese, francese, indigeno. Varie erano le componenti ecclesiali: vescovi, religiosi, sacerdoti, laici e laiche. Molteplici erano le nazionalità e diverse le situazioni di provenienza: alcune di estrema povertà e altre di grande benessere. C'erano pure diversi riti e persino rappresentanti di altre confessioni cristiane. Si sentiva la varietà di accenti, di sensibilità e di prospettive.
    Eppure la convinzione di essere un solo Corpo non è venuta mai meno, ma ne è uscita rinforzata. La fede nell'unica missione è divenuta più salda e condivisa.
    Si è ravvivata in tutti la speranza nella grazia di Cristo per la salvezza del mondo. L'amore da portare là dove l'uomo cerca, lotta e soffre ha ispirato un progetto comune. Si è rinsaldata la comunione tra i vescovi e il Papa, tra i pastori del Sud e quelli del Nord; è nata una maggiore solidarietà tra le loro chiese; c'è stata una condivisione di fede con altre confessioni religiose presenti nel continente americano.
    La varietà non divideva né contrapponeva ma arricchiva. Il punto di unità era l'incontro con Gesù Cristo vivo e lo sforzo di comprendere come egli può essere oggi cammino di conversione, comunione e solidarietà.
    La comunione che cercavano non era solo per loro ma per l'umanità. Le divisioni e lacerazioni la attraversano nella sua totalità: un mondo che proclama la globalità ma che appare diviso in molte direzioni. Nel Sinodo si sono trovati il Nord ricco e il Sud povero per costruire una nuova solidarietà. I nativi, gli emigranti delle diverse ondate, i discendenti di coloro che sono stati portati come schiavi cercano di formare una famiglia unica nel nome dell'unico Padre.
    Così la Chiesa si unisce nello Spirito e diventa «segno e strumento» dell'unità del genere umano.
    L'unione dovunque la si veda è un dono perché suppone una combinazione non facile di orientamenti personali, interessi e disposizioni interiori. Ma è anche un compito. A percepirne le ragioni e i vantaggi si impara. La si costruisce con pazienza, con azioni quotidiane e con momenti straordinari.
    Oggi la sua esistenza e la sua costruzione, a livello immediato, medio e mondiale, fa parte dell'educazione dei giovani.
    Lo Spirito ci assiste con i suoi doni e con avvenimenti che segnano la direzione.

    Templi dello Spirito Santo

    S. Paolo lo dice di tutta la persona: il pensiero, il cuore, la vita sono dimora dello Spirito. Non solo perché portano il segno di quella sapienza e amore che ha mosso il Padre a creare l'uomo; ma perché lo Spirito ha riempito l'umanità di Gesù nel quale noi veniamo consapevolmente incorporati per la fede e il battesimo. «Dovete sapere che voi siete tempio dello Spirito Santo. Dio ve lo ha dato ed egli dimora in voi» (1 Cor 6,19). In seguito e nel contesto, la stessa espressione viene riferita anche in forma singolare al corpo (1 Cor 6,13.15.20). Non è un'immagine. E un dato di fatto. Quando non lo si prende in considerazione se ne soffrono le conseguenze.
    In verità questo nostro corpo lo sentiamo come un contenitore, un edificio dentro il quale agiscono delle energie, si muovono degli elementi e persino lavorano delle «macchine» che chiamiamo facoltà: l'intelligenza, la volontà, il sentimento. Esse hanno misteriose attitudini e dinamismi: l'intelligenza scava nella verità senza esaurirla né esaurirsi. Non ne perde il desiderio. Anche dopo sbagli e smarrimenti ci sono ripensamenti e conversioni. Il cuore pure, dopo traviamenti e prove negative, sente il fascino del Bene e del Bello. Attraverso queste disposizioni le nostre facoltà manifestano la loro origine e sono come finestre aperte verso Dio. Nella loro accensione e nel loro movimento opera lo Spirito.
    Non solo; attraverso il nostro corpo ci arriva dall'esterno nuovo materiale di sensazioni, impressioni e percezioni che la mente e il cuore macineranno ed elaboreranno in sinergia e interazione con gli organi corporali. Non solo vediamo con gli occhi e sentiamo con le orecchie; ma con essi pure pensiamo.
    Il corpo ha poi una straordinaria capacità di comunicare quello che siamo e pensiamo sotto il comando della volontà e oltre. La ballerina riesce a trasmettere emozioni, a creare una atmosfera e quasi a raccontare una storia. Il volto riproduce gli stati d'animo, la disposizione profonda che abbiamo verso la realtà e le persone. Vi scorgiamo persino i bagliori dell'intelligenza o il contrario.
    Gli artisti rimasero stupefatti della armonia del corpo. I biologi non riescono a scoprire il segreto del funzionamento sincronico e convergente di milioni di elementi grandi e piccoli con i loro tempi esatti di entrata in azione e le loro combinazioni. La vita è un mistero e quella umana ha nel corpo un suo segno rivelatore.
    Per queste e altre ragioni simili il corpo è al centro di molta attenzione e di molte cure. Per soddisfarle sono nate numerose industrie: vanno dalla salute al piacere, dalla bellezza allo sport, dalla ginnastica alla dietetica, dai consultori privati a grossi istituti di ricerca. La pubblicità poi punta sull'attaccamento all'immagine che diamo attraverso il nostro corpo: forma, look, eleganza, robustezza. E così pure stimola le sensazioni che hanno in esso come la loro sede: godimento, piacere.
    Tra le «offerte e domande» ci sono quelle che fanno forza sugli istinti: danneggiano la salute, consumano le energie corporali, distruggono la bellezza, ma soprattutto tagliano l'energia di vita, riducono le nostre facoltà, rendono sordi allo Spirito che lavora dentro di esse.
    Oggi, anche nella riflessione cristiana la dimensione corporale viene valorizzata. Si è ridisegnata l'immagine della persona umana, cercando di superare il dualismo che comportava svalutazione e diffidenza verso il corpo. Appare evidente la sua interazione con quello che chiamiamo spirituale nell'unità della persona. E non come un blocco compatto che reagisce di fronte alla dimensione spirituale; ma fuso, mescolato, compresente con esso, coagente in ogni nostro atto e pensiero. La nostra intelligenza ha anche dimensione corporale, così come ce l'ha il nostro amore a Dio e al prossimo. La sessualità ne è una prova. Leggiamo nella Gaudium et Sper. «Unità di anima e di corpo, l'uomo sintetizza in sé, per la sua condizione corporea, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore» (GS 14).
    Vangelo e liturgia cristiana hanno del corpo un'alta considerazione. Parlano del corpo di Maria da cui Dio prese carne, del corpo di Cristo diventato glorioso nella Risurrezione, offerto nell'Eucaristia, per il quale si entra in comunione con lui, del corpo della Chiesa che rende visibile il mistero dello Spirito. Nei sacramenti il corpo è il termine immediato del segno attraverso il quale la fede del credente accoglie la grazia che agisce nella persona. Lo esprime bene un testo di Tertulliano: «La carne viene lavata perché l'anima sia purificata; viene unta perché l'anima sia consacrata; viene segnata perché l'anima sia fortificata; viene adombrata dall'imposizione della mano perché l'anima sia illuminata dallo Spirito; viene nutrita dal corpo e sangue di Cristo perché l'anima sia saziata di Dio».
    È stimolante pensare, di fronte a un uomo o a una donna, a un bambino o a un malato: dentro ci abita lo Spirito, sono di fronte a un tempio. Il suo volto è come la porta di un tabernacolo. Suscita rispetto come di fronte a un mistero. Ed è tanto più facile pensarlo quanto più i suoi gesti, le sue scelte, i suoi atteggiamenti, il suo portamento e la sua vita ci riportano alle opere dello Spirito.
    D'altro canto ogni violenza portata sulla persona, come mutilazioni, torture, crudeltà, rapimenti, sperimentazioni, schiavitù varie, si configura come un sacrilegio, una violazione di un luogo santo.
    Appare dissennato, e gli effetti giustificano la dura qualifica, l'impiego del corpo con modalità improprie o per finalità immediate e meschine che distruggono le sue possibilità di espressione, di rapporto e di lavoro: dipendenze, sesso istintivo, abusi di vario tipo. Ne siamo tentati perché il corpo ci appare come la via più rapida per raggiungere il piacere e la sede dove esso si sente con maggior immediatezza e intensità.
    Nella formazione cristiana ci sono alcuni capitoli che riguardano tutta la persona prendendo di mira specialmente la sua dimensione corporale: la cura della salute nostra e degli altri, l'orientamento delle pulsioni conforme alla loro finalità e all'amore, il pudore o rispetto di sé e degli altri nell'espressione di sé, l'inviolabilità della persona.
    Uno sguardo sulla storia recente (torture, stermini, sperimentazione umana) e sullo scenario attuale (commercio di organi, prostituzione, dipendenze varie) ci dice quanto tale riflessione sia pertinente.
    Abbiamo bisogno di ripensare la presenza dello Spirito per prendere coscienza di quello che siamo e di quello che portiamo in noi.

    Regnare, servire

    C'è un rito che si ripete nella vita del cristiano: è l'unzione con olio consacrato. La si fa nel battesimo, nella cresima, quando si viene ordinati sacerdote o vescovo, quando si è malati e ci si prepara all'incontro definitivo con Dio. Nella maggior parte dei casi si accompagna con una invocazione allo Spirito Santo che in un inno della Chiesa viene chiamata unzione spirituale.
    Il rito non ha oggi corrispondenza totale nella nostra vita ordinaria. Noi adoperiamo unguenti per la bellezza, la salute e l'agilità. Con questi significati si possono collegare anche le unzioni sacramentali. Ma non usiamo più gli unguenti per affermare una condizione o stabilire una dignità personale. Il profumo non dice la carica della persona. L'unguento lo togliamo una volta che ha prodotto il suo effetto sull'organo che ne aveva bisogno. Profumo e unguento sono oggi funzionali e passeggeri.
    Per questo forse ci è difficile entrare nella logica dell'unzione sacramentale. Essa si cancella dalla nostra memoria e ne dimentichiamo il significato e gli effetti. I bambini della catechesi ricordano subito l'acqua quando si accenna al battesimo. Solo una parte minima pensa all'unzione.
    Nella storia religiosa, in particolare in quella di Israele, si ungevano soprattutto i re. Il prototipo di essi, Davide, è stato costituito legittimamente re con una cerimonia quasi segreta nella quale Samuele sparse olio sulla sua testa. Egli viene chiamato appunto l'unto del Signore.
    Il nome si applica poi per eccellenza a Gesù. Cristo, in ebraico Messia, vuol dire proprio «consacrato con l'unguento». Unendo le due parole come sovente facciamo, Cristo Re, accumuliamo due significati simili, ma allo stesso tempo ricordiamo quello che il nome «Cristo» non ci consegna più immediatamente.
    È un titolo che Gesù affermò solennemente, come adeguato per esprimere ciò che egli era. Quando Pilato gli domandò: «Dunque tu sei re?», spiegò che il suo regnare non seguiva il costume di questo mondo; comunque ci tenne a lasciare in chiaro la sua condizione (cf Gv 18,37).
    L'atteggiamento di Gesù di fronte alla regalità è doppio: rivendicazione e respinta. Da una parte egli viene annunciato come re sin dalla nascita, e ciò provoca addirittura una strage da parte di Erode. Re viene proclamato, senza resistenza da parte sua, dalla folla nell'entrata trionfale in Gerusalemme. E ciò solleva il timore e anche la gelosia dei suoi avversari. Come re si presenta quando si identifica con il Buon Pastore. Con tale immagine infatti si designava sia Dio che i re che in nome di Dio governavano il popolo.
    D'altra parte fugge quando lo vogliono proclamare re dopo la moltiplicazione dei pani (cf Gv 6,15). Rimprovera i discepoli che bisticciano per i posti nel futuro regno. E a carico dei re esprime delle riserve non lievi, raccomandando ai discepoli di non fare come loro. Egli infatti fu «unto» re non con olio materiale per esercitare un potere politico, ma con la pienezza dello Spirito Santo per redimerci dal male.
    Il cristiano partecipa della regalità di Cristo.
    A riguardo dell'uomo si sono dette cose di ogni genere, dalle cose più sublimi e ammirevoli a quelle più deprimenti e negative. E i fatti ne danno ragione. Le possibilità dell'uomo vengono comprese tra due estremi così lontani l'uno dall'altro che ci può star tutto: bontà e donazione senza misura e, d'altro canto, abissi di malvagità e perversione.
    Il salmo 8 canta la sua eccellenza, attribuendogli la regalità: «L'hai fatto di poco inferiore a un dio, l'hai coronato di forza e splendore; l'hai fatto signore dell'opera delle tue mani. Tutto hai messo sotto il suo dominio».
    L'uomo è chiamato a padroneggiare sui propri istinti e passioni. È invitato a superare gli stretti limiti del temporale aprendosi all'infinito di Dio. Gli è dato di dominare la terra per orientarla verso le sue finalità: la Scrittura lo presenta con il potere di dare il nome agli animali e alle cose, cioè di conoscerle a fondo e disporre con saggezza di esse. È abilitato a trasformare la realtà sociale mediante progetti di solidarietà. Gesù, d'altra parte, assicura i suoi discepoli che si sederanno con lui a giudicare il mondo. L'unzione significa questo carattere regale: dominare, orientare, giudicare.
    Dell'uomo si è detto pure che è re decaduto. Deve e può ordinare il creato. Spesso però ne diventa tiranno e depredatore provocando la rottura dell'equilibrio e dell'armonia. Delle proprie passioni diviene dipendente e schiavo sprecando le risorse del cuore e della mente. Dei simili giunge ad essere sfruttatore o nemico originando sofferenze e lotte sanguinose.
    Regnare è bello, ma non facile. Gesù spiegò che è servire. È questa una delle parole più impegnative che egli abbia pronunciato, soprattutto perché la collega alla finalità della sua venuta nel mondo e alla sua morte: «Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita» (Mc 10,45). Lo ha poi illustrato con la lavanda dei piedi.
    Il paradosso è evidente. Nel nostro linguaggio regnare corrisponde ad avere il potere e, nel migliore dei casi, usarlo per il bene comune con i corrispondenti privilegi. L'immagine regale la si usa per indicare il primato, l'eccellenza, la padronanza, il possesso con i relativi onori e vantaggi. Così sentiamo parlare dei «re» del petrolio, dell'oro, dell'automobile e delle regine in vari settori.
    Nel linguaggio di Gesù le prospettive sono diverse, anzi opposte: mettersi a disposizione, padroneggiare l'egoismo e le passioni, diventare l'ultimo, assumersi gli svantaggi perché altri abbiano vita e felicità.
    Il cristiano regna riordinando il proprio essere conformemente alla parola di Dio e alla sua condizione di figlio. Regna anche orientando le realtà del mondo secondo le loro finalità immediate e la loro destinazione ultima. Mette in gioco il suo potere regale quando si impegna a «liberare» i suoi simili dalle schiavitù e dai mali.
    Sa però, per l'esempio di Gesù, che tutto questo non lo otterrà con la forza, ma con l'amore, il servizio, il sacrificio, la donazione. È comunque destinato non a sottostare e dipendere, ma a presiedere e a vincere.
    Lo Spirito diffonde nel cuore del cristiano il senso della propria dignità e missione. Non solo gli ricorda la sua condizione, ma gli dà la capacità di svilupparla. Plasma l'animo regale. Lo provvede anche dello strumento principale, anzi unico per regnare: amare come Cristo. Gli ispira il tipo di intervento che più corrisponde al momento storico e la grazia di perseverare fino alla donazione totale di sé per gli altri.
    Queste prospettive appaiono particolarmente feconde per i giovani. Essi infatti sono esposti a dipendenze varie: dalle mode alle evasioni, da vincoli esterni condizionanti alle proprie pulsioni. D'altra parte sono in una fase di autoaffermazione che sovente sfocia nel desiderio di protagonismo secondo i modelli correnti. Le situazioni in cui si trovano molti suoi fratelli suscitano sentimenti di giustizia, progetti piccoli o grandi di aiuto e liberazione, sogni di uguaglianza.
    Ha bisogno di fiducia, di conoscenza dei fattori capaci di trasformare, di energia per reggere i processi lunghi. E quello che dà lo Spirito.

    I santi: capolavori di Dio

    «Chi fa i santi?» domandò la maestra. «Il Papa!» risposero in coro i bambini. Forse molti si fermano lì: nella dichiarazione di santità. I media se ne fanno eco, perché viene compiuta in circostanze vistose come una celebrazione in Piazza S. Pietro o una visita del Papa. Alcuni giungono alla lettura di una breve biografia e, attirati da qualche tratto, diventano simpatizzanti o devoti di qualche santo. S. Francesco, S. Antonio, Don Bosco, S. Benedetto hanno molti ammiratori anche tra i non cristiani e non credenti.
    La storia dei santi è appassionante. Essi rappresentano tipi umani originali e imprevedibili sul versante della bontà, della libertà nel donarsi. Illuminano in maniera straordinaria il valore e il senso della vita e hanno uno sguardo particolarmente profondo sul nostro rapporto con Dio e con il mondo. Si legge ancora con ammirazione e frutto Sant'Agostino. La piccola Teresa, con la sua narrazione della vita spirituale, ci è contemporanea.
    Ma più ammirevole ancora è la galassia dei santi e delle sante. Appaiono sotto tutti i cieli e in tutte le condizioni: uomini e donne, suore e madri di famiglia, intellettuali e ignoranti, sacerdoti e laici, adulti e adolescenti, pastori e martiri, missionari instancabili, come S. Francesco Saverio, e malati fisicamente immobili, come Alexandrina da Costa.
    In tutti si sente la presenza di Dio che dà un nuovo volto all'esistenza umana. Tutti riflettono, con particolare luminosità, la persona e il ministero di Cristo. Perciò non c'è campo della carità dove non ne appaia qualcuno: l'assistenza ai malati anche gravissimi, il soccorso ai giovani poveri di ogni tipo, la beneficenza, l'assistenza ai carcerati ed emarginati, l'educazione dei ragazzi, l'orientamento spirituale delle persone, l'evangelizzazione di coloro che non conoscono Cristo. Nell'insieme si sente la sinfonia dell'amore di Dio per noi, con i suoi diversi toni e possibilità. Per questo le biografie ci immergono anche nel tempo in cui il santo è vissuto e mostrano come vi reagisce un vero discepolo di Gesù.
    Santi e sante ci sono anche oggi, conosciuti da noi sebbene ancora non dichiarati dalla Chiesa. Poco tempo fa è morta Madre Teresa di Calcutta. Folle, anche di non cristiani, hanno preso parte ai suoi funerali. Personaggi di spicco hanno voluto renderle un omaggio finale di ammirazione. L'avevamo vista direttamente o per televisione percorrere diverse parti del mondo per incoraggiare la speranza, la cura della vita e la pratica dell'amore verso gli ultimi.
    Alcuni anni fa cinque monaci sono stati uccisi in Algeria. Avevano ricevuto l'invito a lasciare il paese per evitare la morte. Hanno scelto di rimanere per essere elementi di pace e testimoni della fede in mezzo a un popolo martoriato. Potremmo scrivere parecchi volumi sui santi di oggi, cercandoli anche nella nostra cerchia più vicina. La santità, che in alcuni appare eminente, è un dono fatto a tutti i battezzati. S. Paolo chiama santi i membri della comunità cristiana anche se denuncia le loro mancanze. Non si riferisce dunque alle loro qualità morali attuali, ma a un altro fatto: essi appartengono a Dio, sono stati raggiunti da Cristo con una chiamata o rivelazione, sono inabitati dallo Spirito. Vi è una bella espressione di Sant'Agostino: non chiamati perché santi, ma santi perché chiamati. Tale dono viene descritto come rigenerazione, nuova creazione, vita nuova, nuova nascita, adozione da parte di Dio, filiazione, inabitazione dello Spirito Santo, vita eterna.
    Dal dono consegue un compito, come avviene con la vita o con l'intelligenza: svilupparlo. È quello che lo Spirito fa. Egli come un Maestro interiore suggerisce, ispira, incoraggia, lancia luce sulla strada. Il cristiano risponde, segue, assume; così modella il cuore secondo la forma di Cristo. Quando questo dialogo raggiunge livelli alti di attenzione e di docilità creativa, ne viene fuori un santo: un capolavoro dello Spirito. Egli è l'artista delle singole opere e della «galleria»: la santità della Chiesa.
    I giovani si sentono oggi più che mai interessati alla vita dei santi: non solo perché il racconto, come forma di comunicazione, è all'ordine del giorno, e i mezzi ci hanno abituato a vedere personaggi e fatti piuttosto che a capire teorie o idee; ma anche perché le vicende, imprese, parole e testimonianze dei santi appaiono vicine ad alcune sensibilità giovanili.
    La nostra esperienza evidenzia il fascino che ha Don Bosco sui ragazzi e giovani. I ragazzi rimangono colpiti soprattutto dalle sue espressioni di amore paterno, di gioiosa fiducia in loro, di preoccupazione per la loro vita. Gli aneddoti, detti e realizzazioni non fanno altro che ricamare questo tema. La sua immagine raggiunge la mente, tocca il cuore ed entra definitivamente nella fantasia.
    Per i giovani si aggiunge il suo impegno totale e pratico in favore della persona, la comprensione dell'animo giovanile, le risorse educative che ha saputo svegliare a partire dall'amore, amicizia e vita di famiglia, la speranza da vivere e da dare.
    Sono interessanti gli effetti di questo avvicinamento simpatico: si rischiara la visione dell'esistenza, ci si sente trascinati verso la carità operosa, si gusta lo stare insieme, la vita cristiana appare appetibile. Per questo molti giovani diventano animatori, volontari, collaboratori, seguaci o ci tengono a chiamarsi suoi ex allievi.
    In lui lo Spirito ha plasmato il cuore di Padre e ha infuso la saggezza dell'educatore. Attraverso di lui continua nel tempo, comunicando la medesima passione educativa, gli stessi doni di generosità e sapienza (o senno o sagacia).
    Lo Spirito costruisce il circolo o alveo attraverso il quale si diffonde, quasi si trasmette, la santità: la suscita e la matura in alcuni; rende questi maestri e modelli propositivi che attirano verso di essa perché la presentano comprensibile e appetibile. Allo stesso tempo crea sintonia nel cuore di chi si avvicina a loro e suggerisce di mettersi al loro seguito.
    Così lo Spirito Santo appare non solo come l'artefice dei singoli capolavori e dell'intera galleria, ma anche l'accompagnatore di chi visita tale galleria e il Maestro della «bottega» o scuola dove si formano gli artigiani che collaboreranno con lui: i capi carismatici, i battistrada della spiritualità, gli apripista dell'esperienza cristiana in tempi o circostanze nuove.
    Come riscoprire lo Spirito? Aiutiamo i giovani a entrare nel panorama della santità e a coglierne l'ampiezza. Fermiamoci di fronte a qualche capolavoro e aiutiamo a gustarne la bellezza.

    «Ha parlato per mezzo dei profeti»

    È una delle poche cose che diciamo dello Spirito Santo nel Credo. Dev'essere dunque molto importante per identificare la sua persona e per individuare la sua opera. Infatti vuol dire che egli ha ispirato tutta quella visione religiosa della vita che si contiene nella Sacra Scrittura: i fatti che ci stanno alla base, la dottrina e gli orientamenti pratici, il senso della realtà, la lettura degli avvenimenti e le attese di futuro.
    Ha illuminato internamente coloro che dovevano agire, parlare o scrivere, muovendoli anche ad esprimersi. Ha collegato meditazioni, intuizioni e messaggi di epoche diverse e lontane l'una dall'altra attorno a un fatto: l'alleanza di Dio con l'uomo e la salvezza di quest'uomo da parte da Dio. L'opera che ha ispirato ha una unità, racconta e documenta una storia, anche se per chi non ne è al corrente sembra una «collezione» di pezzi eterogenei.
    I profeti hanno tra di loro un profilo biografico comune e una fisionomia simile. Sono suscitati, chiamati e a volte «presi» da Dio, del quale si innamorano e divengono ardenti difensori. Nella contemplazione di Dio acquisiscono anche una visione dell'uomo che dell'amore di Dio è l'oggetto. Perciò diventano anche strenui difensori dell'uomo contro tutti gli sfruttatori.
    Il racconto delle loro vocazioni è quanto di più interessante si può leggere nella Bibbia. Sono internamente mossi, quasi spinti da Dio, a parlare: ricevono il dono di una rivelazione e il compito di comunicarla al popolo o a coloro che governano. Ciò spesso provoca nel profeta ansietà e persino rigetto: tale è la difficoltà di parlare adeguatamente di Dio e tali sono i pericoli a cui si espone chi, in un ambiente corrotto o avverso, ricorda le conseguenze dell'amore di Dio per noi.
    Il messaggio completo è la vita del profeta: egli sovente accompagna l'annuncio con azioni simboliche che colpiscono e portano ad interrogarsi. In generale poi i profeti finiscono in carcere, vengono espulsi o addirittura ammazzati.
    Non sono indovini del futuro. Lo preannunciano leggendo gli avvenimenti alla luce della vocazione dell'uomo e del suo destino definitivo. Per questo possono fustigare le deviazioni, aprire gli occhi su quello che avverrà e allo stesso tempo proporre una grande speranza. Il profeta è l'uomo della verità, della fedeltà a Dio, della rettitudine nell'agire, della giustizia pubblica e privata, dell'amore e della misericordia. E testimonianza che sfida, coscienza critica, voce che non si lascia intimidire e tanto meno zittire.
    Tutto ciò sembra storia passata. Dipinti, statue e film che rappresentano i profeti con indumenti antichi, statura imponente, barba solenne, occhi penetranti e gesto energico possono far dimenticare che lo Spirito continua oggi a parlare per mezzo di profeti. Tali sono coloro che annunciano la buona notizia ai poveri o che denunciano autorevolmente corruzione, egoismi, sistemi di oppressione, deviazioni morali: alcuni con grande energia di gesti e parole, altri con iniziative o addirittura con una vita «alternativa» rispetto ai modelli correnti, altri con il consiglio e la compagnia.
    Gesù è il compimento delle profezie; lui stesso è il massimo dei profeti. Tutti noi, nel battesimo, abbiamo ricevuto da lui tre doni e relativi compiti: quello del sacerdozio, per cui offriamo a Dio la nostra vita insieme alla sua; quello regale, per cui non ci sottomettiamo alle cose, ma cerchiamo di trasformarle e orientarle secondo Dio; e quello profetico, per il quale sveliamo il senso degli avvenimenti e della realtà, proclamiamo la buona notizia del Vangelo e la vicinanza di Dio, denunciamo quello che non corrisponde alla vocazione dell'uomo e annunciamo il tempo in cui la salvezza dell'umanità apparirà compiuta.
    Per mezzo di noi lo Spirito continua a parlare se siamo capaci di cogliere le sue ispirazioni interiori e le esprimiamo con schiettezza nella parola e nella vita.
    Ai giovani si addice la profezia, proprio come si addice la verità, il senso e il futuro. Il segno dei tempi messianici è che «gli anziani avranno visioni e i giovani profeteranno». Per questo corrono dietro i profeti e sono disposti ad ascoltarli. Ne hanno bisogno come la società e la Chiesa hanno bisogno della profezia dei giovani: vissuto cristiano, iniziative, parole.
    E interessante dunque parlarne, aiutare ad ascoltare la profezia che proviene dalle comunità cristiane o da uomini e donne che hanno una biografia singolare, infondere il gusto della profezia.
    In un mondo segnato dalla comunicazione elemento importante del vivere cristiano è riuscire a far risuonare un messaggio evangelico con la propria presenza o col proprio agire. E importante quello che si raggiunge materialmente con le iniziative di bene; ma piú ancora quello che si suscita o risveglia, quello a cui si accenna per sollevare interrogativi, quello che si fa balenare, quello che si addita, le sfide che si lanciano con comportamenti alternativi alle logiche «normali» dell'esistenza.
    La dimensione profetica non va confusa tout court con la contestazione, in particolare all'interno della comunità cristiana, con la teatralità dei gesti oggi amplificati volentieri dai mezzi di comunicazione sociale, con la spettacolarità. È vero comunque che comporta rottura nei confronti dello scontato, superamento di visioni immediate verso l'oltre, conferma di quello che è piccolo e nascosto ma vero, come fece Gesù con gli atteggiamenti degli umili, manifestazione radicale di quello che è quotidiano e nascosto ma fecondo, come fanno i santi che assumono la povertà.
    Non è un mestiere facile essere profeti; perciò quelli che lo tentano con leggerezza e vanità finiscono per scoraggiarsi o ripiegare. «La testimonianza profetica richiede la costante e appassionata ricerca della volontà di Dio, la generosa e imprescindibile comunione ecclesiale, l'esercizio del discernimento spirituale, l'amore per la verità. Essa si esprime anche con la denuncia di quanto è contrario al volere divino e con l'esplorazione di vie nuove per attuare il vangelo nella storia, in vista del Regno di Dio» (VC 84).
    Ma è tutt'altro che triste o monotono. Porta la gioia delle beatitudini. Esse sono infatti il nocciolo della profezia di tutti i tempi.

    I martiri, testimoni radicali

    Il giorno di Pasqua del 1998, nel messaggio al mondo, il Papa ha associato in un unico ricordo i testimoni evangelici della risurrezione e i martiri del nostro tempo. Una delle iniziative per il giubileo è il martirologio del secolo XX, cioè il catalogo di coloro che dal 1900 fino ai nostri giorni furono uccisi per la fede. I Sinodi dell'Africa, dell'America e dell'Asia hanno annoverato il martirio e la memoria dei martiri tra i punti più importanti della vita cristiana odierna e della nuova evangelizzazione. Della vita e non solo della storia cristiana! I martiri non sono solo «glorie» o «esempi», ma rivelazione vivace di una dimensione dell'essere cristiano: la testimonianza di Cristo e della vera vita.
    Martirio, nel significato originale del termine, indicava la deposizione di un teste, per iscritto e sotto giuramento, con valore di prova: dunque il massimo di credibilità, di garanzia di verità, che si poteva chiedere.
    Il Vangelo applica la parola a Gesù che rende testimonianza del Padre e della vita vera con la parola e le opere; ma soprattutto con la passione e la morte. Egli è il testimone, il martire per eccellenza.
    La applica poi a coloro che raccontarono la risurrezione di Gesù o, successivamente, la annunciavano. Ciò comportava esposizione al fallimento e alla derisione e anche rischio di morte, come si verificò già all'inizio della Chiesa col martirio di Santo Stefano.
    Lo stesso Gesù associa questa confessione dei suoi discepoli ad una assistenza dello Spirito Santo. «Vi porteranno nei tribunali... e vi tortureranno... sarete miei testimoni di fronte a loro e di fronte ai pagani... Non preoccupatevi di quel che dovrete dire e di come dirlo. Non sarete voi a parlare, ma sarà lo Spirito del Padre vostro che parlerà in voi» (Mt 10,17-18.20).
    Presto e per sempre nella storia, martirio prese il senso di offerta della vita in morte cruenta a testimonianza della fede. Il martire non si difendeva con argomenti per dimostrare la sua innocenza di fronte a quello di cui veniva accusato. Anzi approfittava per parlare di Gesù, dichiarava quanto la fede in Cristo fosse importante per lui, confessava la sua appartenenza al gruppo cristiano. Aveva persino il coraggio di esortare giudici e carnefici a ricredersi e rinsavire.
    Oggi si uccide ancora per ragione di fede. Ne sono prova i sette monaci dell'Algeria e tanti altri, religiosi, religiose e fedeli laici, caduti dove imperversano l'integralismo o forme magiche di religiosità. Altri morirono e muoiono nell'esercizio della carità o nello sforzo di riconciliazione durante conflitti etnici, guerre civili e situazioni di insicurezza generale.
    È più frequente però una ragione «umana», legata profondamente alla fede. Così i regimi ideologici del secolo XX fecero stragi di credenti, cattolici, protestanti, ortodossi sotto l'accusa di opposizione al bene del popolo, di sovversione, di favoreggiamento dei nemici dello Stato. Non domandavano nemmeno se l'accusato volesse rinunciare alla fede. Lo eliminavano senza processo. Sovente lo diffamavano attraverso una stampa potente e inscenavano tribunali fantocci.
    È interessante vedere come si avvera la parola di Gesù: delle montature accusatorie ci siamo dimenticati. Di quello che i martiri hanno proclamato con la loro sofferenza e col loro silenzio ci ricordiamo e beneficiamo: il valore della vita, la dignità della persona chiamata alla comunione con Dio e alla responsabilità di fronte a lui, la libertà di coscienza, la critica contro tragiche deviazioni come il razzismo, l'integralismo, il potere assoluto dello stato, la discriminazione, lo sfruttamento dei poveri.
    Si dice che nessuna causa va avanti senza i suoi martiri, senza cioè coloro che ci credono fino a dare la vita per essa. La fede comporta sempre una certa violenza. Gesù insegna che alla vita piena si arriva attraverso la morte. Egli giunse alla gloria attraverso la passione. Chi vuole la corona, dice S. Paolo, deve sostenere la lotta e chi vuole il traguardo deve agguantare la corsa; e allenarsi con sacrificio.
    Oggi questo pensiero non ci è molto congeniale. C'è un dono dello Spirito Santo che ce lo fa capire e assumere: la fortezza. Tutti ne abbiamo bisogno. Forse nessuno vorrà ucciderci a motivo della nostra credenza religiosa. Ma c'è tutta una concezione cristiana dell'esistenza da sostenere e scelte di vita che richiedono lucidità e resistenza. E ci sono circostanze personali, malattie, situazioni di famiglia e di lavoro, che esigono un saldo ancoraggio nella speranza.
    Essere martire è una vocazione. Lo Spirito, non il giudice o il carnefice, fa i martiri, cioè i grandi testimoni. E come ogni vocazione, esprime una dimensione dell'esistenza cristiana che è comune a tutti.
    A Roma il ricordo dei martiri è familiare. Lo tengono vivo molte chiese, ma soprattutto le catacombe che riportano alle condizioni precarie della comunità cristiana in tempi di persecuzione e alle vicende in cui si videro coinvolti singoli cristiani per accuse che riguardavano la loro religione.
    Pitture, disegni, incisioni, sarcofaghi e ambienti sono una vera catechesi, una riflessione sulla fede fatta in «tempi» di martirio: tempi di minoranza, significatività provocatoria, prove, adesione e amore.
    In altri contesti è una realtà attuale, ma non sempre si trova la meditazione intensa, ricca e articolata che ci impressiona nei luoghi classici.
    I presupposti, le implicanze, quello che sottostà al martirio, è parte non prescindibile della formazione nella fede. Questa è fonte di gioia e di luce, ma non si offre a «buon prezzo». Le parabole del «tesoro nascosto», per il quale il compratore deve vendere quanto possedeva, ce lo ricordano.
    Il martirio è collegato ad una delle note senza le quali il Vangelo perde il suo colore, il suo sapore, il suo filo, la radicalità. E una specie di dinamismo interno per cui si punta verso il massimo possibile ed è tipico della fede. Non è integralismo, che è adesione cieca alla materialità delle proposizioni; non è massimalismo, che è pretesa e ostensione di coerenza nelle idee e nelle esigenze. E proprio «gusto» e conoscenza della verità, adesione di amore alla persona di Cristo.
    Giovanni Paolo II appoggiava il suo discorso su una constatazione: il nostro tempo ascolta più i testimoni che i «maestri». Nei giovani c'è una fibra che accoglie l'invito alla radicalità. Facciamola vibrare!

    Crescere in sapienza

    Il sapiente o saggio è una delle figure chiave nella esperienza religiosa raccontata nella Bibbia. Di alcuni si ricordano vita e opere. Di altri si trasmette la riflessione sull'esistente, piena di realismo, osservazioni sagaci, intuizioni originali e senso del mistero. La Bibbia comprende una serie di libri «sapienziali», ma soprattutto traccia ed esalta la figura del saggio, quasi sovrapponendola, con quella del giusto, del povero, del fedele.
    Il saggio guarda il mondo in modo lucido e senza illusioni. Ne conosce le tare, perciò lo contempla anche con benevolo umorismo. Mostra persino un discreto pessimismo riguardo alle speranze che l'uomo pone sulle realtà fuggevoli. Non evita gli interrogativi più assillanti né si accontenta di risposte facili.
    Sa pure che cosa si nasconde nel cuore umano: le risorse, le debolezze e le pieghe al maschile e al femminile. È sensibile alla grandezza che l'uomo possiede e sogna; ma vede anche la sua profonda solitudine, l'angoscia di fronte al dolore, lo stato indifeso davanti all'ingiustizia, il disorientamento di fronte all'incomprensibile, come il dolore, le calamità, la morte.
    Ha riflettuto anche sugli avvenimenti significativi e sull'insieme della storia umana. Si rifà dunque alla tradizione e ai contemporanei.
    Percorrendo le strade dell'esperienza umana e le interpellanze della realtà, risale a Dio che peraltro sente già nei palpiti del proprio essere.
    Non è però solo un pensatore o un attento osservatore delle cose e degli avvenimenti. Sente la responsabilità di insegnare e trasmettere. Perciò offre alle generazioni giovani e ai posteri quanto ha potuto raccogliere ed elaborare.
    La Scrittura sottolinea che la saggezza è un dono di Dio. Egli la possiede in pienezza e ne è la sorgente. In lui appare come una combinazione di amore, intelligenza e potere creativo. Essa l'ha ispirato e mosso nella creazione del mondo e dell'uomo. Trabocca anche nella Legge che offre luce e orientamento pratico per la vita. Si manifesta nella Provvidenza con cui il Signore dispone le cose e gli avvenimenti. E soprattutto si rivela nell'Alleanza che introduce gli uomini in una forma di esistenza ispirata all'amore di Dio e per Dio.
    Il sapiente, come il profeta, appare sotto l'influsso di Dio. Lo si vede in Giuseppe, il figlio prediletto di Giacobbe, portato in Egitto come schiavo, che interpreta il sogno del Faraone. Così pure in Daniele che spiega la visione di Nabucodonosor.
    Chi ha assaporato la saggezza ne rimane così innamorato che darebbe tutto l'oro del mondo per possederla più pienamente. Perciò la cerca, la chiede al Signore, evita quello che da essa lo distrae o allontana. Essa, d'altra parte, vi corrisponde e si dona. Perciò viene paragonata a un donna «diletta», a una sposa, a una madre, a un ospite che prepara un banchetto per i suoi amici. Provoca l'adesione e la ricerca, quasi seduce e poi si consegna e sazia.
    Paolo chiama Gesù sapienza di Dio, e non una sola volta. E quasi un sottofondo di molti suoi insegnamenti e riflessioni. In questo segue i Vangeli. Luca infatti mostra la sapienza innata di Gesù nell'episodio fra i dottori del tempio. E in seguito afferma che in essa cresceva al ritmo dell'esperienza umana (cf Lc 2,52). Gesù Maestro assume il modo di parlare dei saggi, con parabole e proverbi, con fatti della vita. La gente rimane ammirata della sua dottrina e dei suoi gesti, e si domanda da dove gli viene tale «saggezza». Alcune sue espressioni ricopiano quasi letteralmente quanto nei libri sacri si dice della sapienza. L'esempio più chiaro è: «Venite a me voi tutti che siete stanchi e io vi offrirò ristoro» (Mt 11,28).
    Lo stesso apostolo, riferendosi ai cristiani, parla di una saggezza spirituale che è dimensione interna della fede. Essa ci consente di penetrare il mistero del creato e andare oltre; di gustare quest'oltre e illuminare con esso il creato. Non coincide, anzi si contrappone alla conoscenza mondana che si soddisfa con i dati e non va al loro senso e origine, o si consuma in astuzie per affermarsi.
    La sapienza spirituale è conoscenza di Dio ottenuta per rivelazione e fede, onestà e ricerca sincera nell'ordine morale, sguardo libero e riflessivo sulla realtà, apertura alla solidarietà e all'amore.
    Il nostro mondo pluralista, complesso e libero, mette a prova la nostra capacità di discernimento e scelta: richiede saggezza. I discepoli di Gesù sono invitati ad esserne portatori diventando «sale e luce» nel tessuto dei rapporti e degli avvenimenti.
    Il cristiano non può essere «perso» o «cieco» nella realtà cosmica e storica. Non può nemmeno aggiungervi qualche preghiera o riferimento religioso vago per saltare queste realtà. Quando professiamo la fede in Dio creatore e redentore, accenniamo a un rapporto tra Dio e il mondo che rende comprensibili entrambi.
    Perciò i santi educatori hanno messo la saggezza come qualità dell'educatore, e l'amore ad essa, la sua acquisizione come obiettivo dell'educazione. Il percorso di Gesù adolescente fonda e giustifica tale indicazione.
    Tra i più entusiasti della saggezza c'è stato don Bosco. Secondo lui, il pensiero, l'atteggiamento, la prassi dell'educatore dovevano essere intrisi di ragione, fede e amore. Il contenuto dell'educazione doveva fondere istruzione, cultura, fede e solidarietà. Il tutto portava il giovane ad essere sano, saggio e santo: sanità, saggezza e santità erano le cifre della meta verso cui puntava.

    «Concepì dallo Spirito Santo»

    Maria diede a Gesù non solo il corpo, ma la natura umana. Così capita sempre quando una donna concepisce e dà alla luce. E se l'incarnazione doveva essere reale ciò era inevitabile anche per Gesù. Egli ereditò da sua Madre i tratti fisici, il gesticolare, forse il tono della voce e la cadenza nel parlare; ma anche la forma di pensare e il modo di reagire di fronte alle persone, ai problemi e alle cose. «Ti assomiglia in tutto» dovevano dirle le sue compagne, madri giovani, guardando Gesù.
    Alla generazione seguì l'educazione. Anch'essa contribuisce a «dare» la natura umana secondo la forma concreta in cui ciascuno la possiede. Il Vangelo ci tiene a dire che l'incarnazione fu reale pure riguardo a questo passaggio dell'esistenza. «Tornò a Nazaret con i suoi genitori»; e «stava loro sottomesso» (Lc 2,51). Non possiamo pensare a un rapporto filiale rispettoso e umile solo per il nostro esempio, ma internamente distante e autonomo: insomma, una finzione!
    Maria offriva realmente a Gesù quello che l'educazione familiare comporta; Gesù riceveva ed elaborava da ragazzo, da essere umano libero.
    I padri e gli autori spirituali hanno scritto pagine tenerissime sulla funzione nutrice di Maria e il suo contatto tattile con Gesù: abbracciare, baciare, dare il seno. Pittori e scultori l'hanno raffigurata quasi con diletto. «Tu, quando era bambino, lo accarezzavi tenendolo abbracciato al petto, mentre da te il latte succhiava» (Efrem Siro). È il rapporto materno che darà forma alla affettività, alla manifestazione umana del Cuore di Gesù.
    I vangeli lasciano vedere che ci fu anche quell'azione più specificamente formativa che ha luogo attraverso la parola, l'esempio, la correzione, la gestione della casa, l'introduzione nella società. Quello di Nazaret fu per Gesù un tempo di normale iniziazione nelle abitudini umane, nelle tradizioni religiose, nella cultura e socialità del proprio popolo. Maria diede la natura umana attraverso la generazione, la cura corporale e l'educazione materna.
    A mano a mano che cresce, ciascuno va poi modellando con nuove esperienze la propria personalità, il vocabolario e il giudizio, le prospettive e i progetti. Si rende autonomo da chi l'ha generato: conserva un patrimonio genetico, ma acquista, trasforma e cambia caratteri e attitudini.
    Gesù pure crebbe in età, sapienza e grazia; lo si vedeva svilupparsi e progredire. Lo Spirito che dimorava in lui con tutta la sua pienezza lo portava oltre quello che Maria aveva potuto dargli o poteva immaginare.
    Così quando intraprese la missione e fu proclamato dallo Spirito «Figlio di Dio» (Mt 3,17) , ebbe parole, gesti e poteri non spiegabili dalla sua origine umana. Lo capirono i suoi compaesani che, curiosi, interessati e scandalizzati, si domandavano donde gli venisse tanta saggezza, energia e autorità. Affermò inoltre la sua libertà di fronte a tradizioni, famiglia e leggi. Maria dovette rincorrerlo con la fede e con l'amore. Ma intanto quello che gli aveva dato non si cancellò.
    Perché Maria potesse trasmettere, attraverso la generazione e l'educazione, una natura umana inizialmente degna di accogliere e adeguata ad esprimere il Figlio di Dio, lo Spirito dovette lavorare nel suo pensiero, nella sua volontà, nei suoi sentimenti, nei suoi rapporti per renderli totalmente aperti a Dio, quasi riempiti di Dio. Come avrebbe potuto il Verbo assumere la natura umana che gli conveniva se questa fosse stata nella sua origine impermeabile, chiusa o solo distante da Dio? E che cosa avrebbe servito generare il Figlio di Dio, se poi durante il periodo della fanciullezza e dell'adolescenza, le parole, i gesti, gli insegnamenti di Maria non avessero corrisposto a questo primo momento?
    Lo Spirito rese i tratti e gli atteggiamenti di Maria capaci di manifestare il meglio dell'umanità in rettitudine, sincerità, bontà, energia, giustizia, bellezza di parole e di gesti. I discepoli e la gente arrivano a riconoscere e confessare la divinità di Cristo, per una grazia speciale, che aveva un passaggio obbligato nella sua umanità.
    «Concepì il Verbo prima nella mente e nel cuore che nel grembo» ripetono i testi liturgici raccogliendo il sentire del Vangelo e dei Padri che fissarono lo sguardo contemplativo su questo insolito avvenimento. «Ha custodito infatti, dice sant'Agostino, più la verità nella sua mente che la carne nel suo grembo. Cristo è verità, Cristo è carne. Cristo è verità nella mente di Maria, Cristo è carne nel grembo di Maria. Conta di più ciò che è portato nella mente di ciò che è portato nel grembo».
    Così preparata, Maria fu per Gesù la Madre, come la si intendeva ieri e la si intende ancora oggi: quella che concepisce e dà alla luce comunicando la natura come essa la possiede, non un'incubatrice o un seno imprestato; quella che accompagna, oltre il fatto generativo, la crescita biologica, psichica e spirituale fino alla autonomia secondo i compiti di una maternità umana.
    Lo Spirito non opera per forza né meccanicamente, ma per suggerimento, dialogo interiore, ispirazione. Si prende tutto il tempo necessario per fare con calma, a ritmo umano, un'opera completa e ben combinata. La sua specialità non è la produzione in serie; è la persona singola. Egli forgia uno a uno e si prende il tempo di una vita.
    Lo Spirito dovette dunque, sin dalla nascita di Maria, cominciare a modellare intelligenza, volontà, sentimenti, rapporti contando sempre sulla risposta della controparte.
    D'altra parte la veniva preparando da lontano, attraverso generazioni che vissero l'alleanza con Dio e seguirono quanto la legge ispirata da tale alleanza suggeriva riguardo al comportamento umano. Appaiono già prefigurazioni di Maria nelle immagini femminili di Sara, Rut, Ester, Giuditta e altre.
    Ma poi lo Spirito ispirò e sostenne Maria. Lei dovette rincorrere Gesù. La illuminò a Cana e, ai piedi della Croce, dilatò la sua anima affinché la sua maternità abbracciasse tutta la famiglia che ha origine nella morte di Cristo. Così dallo Spirito Santo e in forza di una nuova e definitiva «annunciazione» («Donna, ecco il tuo figlio»: Gv 19,26), lei concepisce la Chiesa.
    Ottima collaborazione tra lo Spirito e Maria: per dare vita a Cristo, uomo Dio, persona singola e comunità ecclesiale, suo corpo! Lo Spirito è l'artefice, l'ideatore e l'energia. Maria è accoglienza, disponibilità, collaborazione. Quest'avvenimento storico diventa criterio, modello e condizione per concepire e produrre quello che giova veramente al mondo.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu