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    Parola di Dio

    ed evangelizzazione

    dei giovani

    Pascual Chávez V. 


    I
    l mio intervento si riferisce al numero 53 del Instrumentum laboris, dove si afferma che “la Chiesa ritiene necessario che i fedeli abbiano un largo accesso alla Sacra Scrittura” (DV 22). Questo è  “oggi un requisito indispensabile per la missione […] A questo scopo è necessario […] suscitare il movimento biblico tra i laici…, con particolare attenzione ai giovani”. In concreto, vorrei centrarmi sul come accostare oggi la Parola di Dio al mondo giovanile.

    Per rispondere alla domanda del Instrumentum laboris “come si va dalla vita al testo e dal testo alla vita”, o anche “come leggere la Bibbia con la vita e la vita con la Bibbia” (IL 22e) nell’evangelizzazione dei giovani, prendo spunto dal racconto di Emmaus, “un modello esemplare di incontro del credente con la stessa Parola incarnata (cf. Lc 24,13-15)” (IL 26b).

    Finalizzato a vivere l’esperienza pasquale, il racconto di Emmaus identifica il traguardo, la meta, cui deve arrivare il credente e disegna, allo stesso tempo, la strada, la metodologia, per arrivarci. L’episodio, cronaca di un fatto passato, illustra un camminare verso la fede e la comunità e ne descrive le tappe e i contenuti, sempre attuali. Il racconto lucano ci offre un preciso itinerario di evangelizzazione dove si dice chi, Gesù per mezzo della sua parola, e come, camminando insieme, si evangelizza.

    1.  Meta dell’evangelizzazione : incontrare Cristo riscoprendo la vita e la testimonianza nella Chiesa

    Il racconto si apre narrando l’allontanarsi da Gerusalemme di due dei discepoli di Gesù. Desolati per quanto è accaduto ormai da tre giorni, abbandonano la comunità, nella quale però ci sono alcuni che hanno cominciato a dire che è stato visto il Signore vivo; i due discepoli non possono credere a dicerie di donne (Lc 24,22-23; Mc 16,11). Soltanto alla fine del viaggio, quando vedranno Gesù ripetere il suo gesto di spezzare e condividere il pane benedetto, lo riconosceranno, per subito perderlo di vista e ritornare in comunità: la conclusione, inaspettata, del viaggio ad Emmaus fu il ritrovarsi con la comunità dei discepoli a Gerusalemme. Il Risorto non restò con loro ed essi non poterono restare da soli: fecero ritorno alla comunità, dove si incontra il Cristo.

    Riscoprire la comunità e ritrovarsi nella Chiesa, luogo per vivere la fede in comune, è la logica conseguenza dell’incontro personale col Risorto. Fuori dalla comunità l’annunzio del vangelo sembra rumore da non crederci (Lc 24,22-23). Se il Risuscitato non avesse fatto comunità con loro, durante il viaggio e nel focolare, i due discepoli non sarebbero arrivati a scoprirlo vivo, né avrebbero recuperato la voglia di vivere insieme. Notiamolo bene: non importa se colui che torna in comunità l’ aveva prima abbandonata; è però decisivo che si torni quanto prima, subito dopo aver visto il Signore. Soltanto chi recupera la vita comune, sa che con lui è stato il Risorto e recupererà la gioia di averlo sentito accanto (Lc 24,35.32).

    Se “la vita di comunione con Dio e con i fratelli è la meta dell’annuncio evangelico”, risulta decisiva “per l’evangelizzazione la testimonianza di una vita comune, poiché essa è l’esperienza che anticipa, come seme, la realtà che si aspetta”[1] . Se “la testimonianza è l’unico linguaggio capace di convincere i giovani che ‘Dio esiste e il suo amore può colmare una vita’ (Cost. SDB, 62), l’evangelizzazione deve curare, come opzione strategica, e “concentrare l’attenzione e lo slancio” sull’ “unità della, e nella, Chiesa, che è il segno evangelico che Gesù domanda ai discepoli da lui inviati nel mondo”[2].

    Si deve dunque temere per una evangelizzazione, qualsiasi siano i suoi metodi e senza mettere in dubbio le sue migliori intenzioni, che non parte da una vita in comune, portata avanti con gioia dagli evangelizzatori, e che non propone agli evangelizzati la gioia di aver incontrato Cristo nella comunità. Se così fosse, essa sarebbe un’evangelizzazione che non è nata dall’incontro col Risorto ne può sfociare nell’incontrarsi con Lui. Quelli che videro il Risorto e mangiarono con Lui non poterono trattenerlo; ma recuperarono la voglia di raccontare l’esperienza vissuta, ritornando alla loro comunità. Ciò non è casuale, ma prova una legge dell’esistenza cristiana: chi sa e proclama che Gesù è Risorto, vive in comune la sua esperienza: “l’incontro con Gesù Cristo nella fede ha nella Chiesa il suo luogo privilegiato”[3].

    Anche se dobbiamo riconoscere che “l’appartenenza dei giovani alla Chiesa non giunge immediatamente a maturità”[4], bisogna dire che se non vivono in essa, la fede degli evangelizzatori e quella dei giovani sarebbe deficiente. “Mancherebbe il riferimento indispensabile per vivere da credenti”. L’obiettivo finale dell’incontro con Cristo, il suo certificato di garanzia, è vivere l’esperienza di Chiesa, “maturando così il senso di appartenenza alla comunità cristiana”[5].

    2.  La metodologia : camminare insieme

    La ragione, probabilmente, per cui l’episodio di Emmaus risulta così attuale sta nella sua contemporaneità con la nostra situazione spirituale. È facile sentirsi identificati con questi discepoli che tornano a casa, prima del tramonto del sole, carichi di saperi e di tristezza.

    Andare delusi da Gesù, il punto di partenza

    Più che quanto era accaduto in Gerusalemme, fu l’intima frustrazione personale il punto di partenza del viaggio verso Emmaus: lo sconforto dei discepoli nasceva dalla disperazione che li invase a causa del come si era conclusa la loro avventura con Gesù di Nazaret (Lc 24,17-21). Avevano vissuto assieme a lui e la convivenza aveva svegliato in loro le migliori speranze: “profeta potente in opere e in parole davanti a Dio e a tutto il popolo”, sembrava che “fosse lui che avrebbe liberato Israele” (Lc 24,19.21); invece, la sua morte in croce aveva sepolto tutte le loro aspettative. Era più che logico che sentissero il fallimento, sentissero di essere stati ingannati. Proprio perché prima si erano appassionati di lui, si sentirono fortemente delusi dopo quanto era avvenuto.

    Che la delusione fosse la ragione dell’allontanamento dei discepoli, che la stanchezza accumulata in tre anni di sequela di Gesù e l’amarezza per come era finita li portassero ad abbandonare la vita comune, deve servirci come ammonimento. Oggi i giovani condividono poche cose con questi discepoli, ma forse nessuna tanto quanto la frustrazione dei loro sogni, la stanchezza e il disincanto nel discepolato; seguire Gesù, pensano sovente, non merita, non vale la pena: un morto, un assente, non vale la loro vita.

    È l’ora di andare verso Emmaus. Nel cammino, con le loro angosce, c’è pure l’opportunità di un incontro con Gesù. Non si deve però andare da soli. I giovani hanno bisogno di una Chiesa che si avvicini ai loro problemi e al loro sconforto, che non solo con essi condivida il cammino e la fatica, ma anche sappia conversare con loro, assumendo le loro incertezze. Come potrà la Chiesa rappresentare il Signore risorto, se non si mostra preoccupata nelle loro cose e per la loro vita? “Andare ed incontrare i giovani dove si trovano, accoglierli disinteressatamente e con premura nei nostri ambienti, metterci in attento ascolto delle loro domande e aspirazioni sono per noi scelte fondamentali che precedono qualsiasi altro passo di educazione alla fede”[6]. Questa fu, perlomeno, la prima scelta di Gesù sulla via di Emmaus.

    Dal sapere tante cose su Gesù al lasciarlo parlare, durante il cammino

    Sulla strada, soltanto lo sconosciuto sembra non avesse alcuna idea sull’accaduto in Gerusalemme (Lc 24,17-24). Ma conoscere tante cose su Gesù non portò i discepoli a riconoscerlo; conoscevano il kerygma ma non erano arrivati alla fede, sapevano tanto su di lui ma non erano capaci di vederlo camminare accanto a loro; sapevano tanto su un morto, sì da non riuscire a vederlo vivo. Lo sconosciuto dovette impegnarsi a fondo per farli arrivare a vedere l’accaduto sotto la luce di Dio, secondo le Scritture: così, contemplando Dio nella storia di Gesù, scoprirono il piano di Dio e si spiegarono tutto: la morte del maestro non era stata né sfortuna né tragedia, ma parte di un programma divino di salvezza.

    Come Cristo, la sua Chiesa deve rinunciare ad alimentare nei giovani speranze inconsistenti, false aspettative, e insegnare a sopportare quel che accade, in loro e attorno a loro, aiutando a rileggere gli eventi alla luce di Dio, secondo la sua Parola: le illusioni, le speranze fasulle, anche se sorte nel seguire Gesù, non hanno futuro. Se vogliamo che la nostra erudizione sul Cristo diventi vangelo di Dio per i giovani, se desideriamo che tutto quello che accade sia un incontro con Lui, dobbiamo restituire alla sua Parola il ruolo di guida sovrana della loro esistenza. Mentre non facciamo loro vedere il quotidiano nel piano di Dio, finché essi non sentono la sua voce nelle parole/eventi che si succedono attorno a loro, né individuano la sua mano nelle nostre che li aiutano, la nostra scienza non li condurrà a conoscere Cristo. Questo è il sapere che non possiamo assolutamente trascurare.

    Se non parliamo loro, portandoli alla convinzione di che tutto l’accaduto è parte di un grande, meraviglioso, progetto divino, frutto e prova d’un colossale amore, come riusciranno i giovani a sentirsi amati da Dio? Per riuscirci, dovremmo diventare i loro compagni nella ricerca di senso della vita e nella ricerca di Dio[7]. Ecco qui un percorso, poco adoperato ancora nella Chiesa, molto urgente per i giovani: senza conoscere le Scritture, non si conosce il Cristo'[8].

    Accogliere Gesù in casa propria, la tappa decisiva

    Giunti ad Emmaus, i discepoli non erano ancora arrivati alla conoscenza personale di Gesù, non avevano identificato il Risorto nello sconosciuto accompagnatore. In realtà, Emmaus non fu la meta del viaggio, ma una tappa decisiva. Invitato a restare, ancora sconosciuto, Gesù ripete il suo gesto senza dire parola: ospite a casa d’altri, l’ospitato non tarda a diventare anfitrione; e come padrone benedice e distribuisce il pane. La prassi eucaristica è tra i già credenti parola d’ordine della sua reale presenza.

    I due di Emmaus non riconobbero il Signore quando assieme a lui facevano strada e da lui imparavano a capire il senso degli avvenimenti; la sola spiegazione delle Scritture non aprì loro gli occhi, solo riscaldò i loro cuori (cf. Lc 24,32); camminare con Gesù e sentire la sua voce non fu sufficiente. Quello che Gesù non riuscì a fare con l’accompagnamento, con la conversazione, con l’interpretazione della Parola di Dio,  si compì con il gesto eucaristico: gli occhi per contemplare il Risorto si aprono dove Lui, anche se non ben riconosciuto, ripete il gesto che meglio lo identifica (Lc 24,30-31). paradigma

    Il racconto di Emmaus può essere paradigma della biografia spirituale dei nostri giovani: oggi noi non abbiamo altro accesso diretto al Signore Gesù che quello che ci offre la comunità radunata nel suo nome per benedire il pane e condividerlo; soltanto la memoria eucaristia può dare al nostro cuore, non soltanto gioia e fervore, ma occhi per vedere il Signore e la voglia di riconoscerlo.

    Una lettura della Scrittura, anche se fa scoprire il piano di Dio nel quotidiano e riscalda il  cuore, se non porta all’incontro con Cristo nella comunità radunata intorno alla mensa eucaristica non serve a nulla. Non importa se si è affaticati o delusi, come i due discepoli ad Emmaus; quando si spezza e si condivide il pane in comunità, Gesù esce dall’anonimato: “non si edifica comunità cristiana alcuna, se non ha come radice e cardine la celebrazione dell’Eucaristia”[9].

    Un’educazione alla fede che dimentichi o rimandi l’incontro sacramentale dei giovani con Cristo, non è il modo di trovarlo con sicura efficacia. La celebrazione eucaristica è, e deve rimanere, “fonte e culmine dell’evangelizzazione”"[10]. L’eucaristia è  “la fonte e il culmine della vita cristiana”[11]. È una falsa scusa il dire che non tutti i giovani sono abbastanza preparati per celebrare l’incontro con Cristo: poiché incontrarlo non è stato mai conseguenza del loro sforzo, neppure frutto del loro desiderio, ma grazia di Cristo, che si fa incontrare da quelli che ama. Erano quelli di Emmaus ben preparati per scoprire il Signore nello sconosciuto compagno di strada?

    Nell’avventura dei due di Emmaus troviamo le tappe decisive, e successive, da percorrere per rifare, nell’educazione alla fede dei giovani, l’esperienza pasquale che accompagna la nascita della vita in comunità e della testimonianza apostolica. “Facciamo tutto ciò sull’esempio del Signore e seguendo il metodo della sua carità sulla strada di Emmaus. Ripetiamo i suoi atteggiamenti: prendiamo l’iniziativa dell’incontro e ci mettiamo accanto ai giovani; con loro percorriamo la strada ascoltando, condividendo le loro ansie ed aspirazioni; a loro spieghiamo con pazienza il messaggio esigente del vangelo; e con loro ci fermiamo, per ripetere il gesto di spezzare il pane e suscitare in essi l’ardore della fede”.[12]

    Proposizioni

    1. Nella via ad Emmaus Gesù si presentò ai discepoli conversando con loro. L’accostamento alla Parola di Dio non può ridursi alla lettura e comprensione del testo biblico, ma è il cammino per incontrare Gesù Risorto; una lettura della Parola che non diventi incontro personale è destinata a fallire.

    2. Nella via ad Emmaus Gesù si presentò ai discepoli accompagnandoli durante tutto il cammino. Per aprire l’intelligenza e i cuori, Gesù accompagnò i discepoli durante il cammino, anche se questo era di allontanamento dalla comunità, e si interessò dei loro problemi. L’evangelizzatore deve adottare il metodo di Gesù: accompagnare il cammino e condividere la vita degli evangelizzati.

    3. Nella via ad Emmaus Gesù si presentò ai discepoli ascoltando le loro preoccupazioni e spiegò quel che era successo riferendosi alle Scritture che parlavano di Lui. Scoprire il piano di Dio nella propria storia è l’obiettivo della lettura della Scrittura; il piano di Dio si svela quando si trova il senso di ciò che ci è  accaduto in Cristo Gesù.

    4. Il riconoscimento di Gesù fu solo possibile nell’incontro eucaristico. Una lettura della Parola che non sia preambolo e tappa previa all’incontro eucaristico non ridona la fede, né fa ritornare in comunità.

    [1] Cf. CG 21 (Capitolo Generale 21 dei SDB), 34.

    [2] CG 23 (Capitolo Generale 23 dei SDB), 219.

    [3] CG 23, 140.

    [4] CG 23 ,141.

    [5] CG 23, 140.

    [6] CG 23, 98.

    [7] Cf.  CG 23, 122-128.

    [8] Cf.  DV 25.

    [9] PO 6.

    [10] PO 5.

    [11] LG 11.

    [12] CG23 93.

     

    (Intervento al Sinodo sulla Parola di Dio)


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