Domenico Sigalini, ANIMATORE: DALLA PARTE DELLE RAGIONI DI VITA, Elledici 2004
La spiritualità dell’animatore è la spiritualità dell'amore alla vita
Il filo
Dire spiritualità separata dall’identità non è molto corretto. Qui si vuole solo mettere in evidenza che nella figura dell’animatore soprattutto se si tratta di educatore alla fede, è necessario un colpo d’ala nella propria dimensione di vita credente. È la spiritualità del cristiano, ma anche la spiritualità di un cristiano che si vuol sporgere nella vita di un giovane e che vuol ritmare la sua vita credente sugli stimoli che provengono dai giovani, sui compiti che gli nascono per rispondere alla Parola di Dio di cui essi si fanno portatori.
È un contemplativo
Contemplare il Volto di Gesù significa dire prima di tutto a se stessi che il centro del nostro essere credenti è Lui: la sua persona, la sua vita: e tutto questo è racchiuso nel mistero del Suo Volto. È troppo facile collocare al centro di un qualsiasi servizio educativo ecclesiale le cose, gli impegni: ciò che si deve fare, le attività e le iniziative, ma nulla potrà parlare veramente al nostro cuore e al cuore dei giovani se al centro non si torna a porre con nuova intensità il mistero del Volto e la familiarità con esso. I veri educatori che ci hanno preceduto si sono posti di fronte al mistero di quel Volto e hanno provato a dire il loro stupore, la loro pietà, il loro amore, la loro fede. Noi pure dobbiamo immergere il nostro sguardo nel suo, per lasciarci salvare dalla dolcezza della sua misericordia; per lasciarci illuminare e orientare dalla sua Parola; per entrare nell’intimità dei suoi colloqui con il Padre. Lasciamoci guardare da Lui, e da Lui lasciamoci amare. È solo dall’incontro del nostro sguardo con il suo che il nostro pensiero sulla vita può acquistare quella pienezza che desideriamo per essa. Entro questa contemplazione si costruisce tutto il bagaglio di conoscenze fondamentali del credere cristiano. Non saranno verità astratte, ma saranno esperienze di dialogo con Gesù
È collaboratore di una trasformazione interiore opera dello Spirito
Nella vita di ogni giovane si sviluppano domande, ricerche, aspirazioni, cambiamenti. La silenziosa parola di Dio che interpreta, corregge, sostiene, inventa per ciascuno il proprio singolare percorso esistenziale, istruisce ogni essere umano sul modo in cui tale percorso è in grado di profilarsi entro gli eventi lieti e drammatici della condizione umana. L'educatore vive una sorta di complicità con i gemiti incompresi e incomprensibili dello Spirito. È lo Spirito che delinea nella vita del giovane i tratti dell'umanità di Gesù e l'educatore ne è il collaboratore.
Non c'è interiorità che non sia abitata dallo Spirito, l'educazione è la cura di questa interiorità.
Si sente amato da Dio
È l'esperienza fondamentale che ogni animatore deve fare. Di fronte ai giovani noi siamo gente che ha fatto esperienza dell'amore di Dio. È lui che ci ha amati per primo. Dio non è un falco che si abbatte all'improvviso sulle persone per predarle o per punirle, ma è un'aquila che cova la sua nidiata. L'esperienza di Dio che i nostri ragazzi fanno è legata all'esperienza di Dio che abbiamo fatto noi. Non ci deve essere più neanche per scherzo nell'immaginario dell'animatore l'idea di un Dio vendicativo; "vedrai che Dio ti castigherà". I giovani hanno bisogno di percepire che noi siamo innamorati di Dio; siamo stati amati da Lui, abbiamo dentro una esperienza quasi nostalgica dell'amore di Dio. Devono saper cogliere questa memoria vivente che noi tentiamo di essere. E questo si ottiene con la consapevolezza di essere amati da Dio. Il Cristianesimo non è l'insieme delle nostre risposte perfette o dei nostri gesti buoni, ma l'insieme delle proposte esagerate, indipendenti dai meriti del destinatario, che Dio ha fatto nei nostri confronti. Questa consapevolezza deve essere la ricchezza che portiamo ai giovani con cui ci incontriamo, ricchezza che si sviluppa per dono di Dio e per contagio con l'identità umana e cristiana dell'animatore Non possiamo parlare di identità umana se nella profondità del nostro essere non ci abbandoniamo nelle braccia di Dio. "È inquieto il nostro cuore finché non riposa in Te", diceva S. Agostino.
Si decentra verso gli altri
Non siamo noi i riferimenti, coloro che decidono con la propria disponibilità come essere attenti, a nostro piacere, verso il prossimo e lo classificano in base a nostri preconcetti o indici di gradimento, ma solo gente che tiene aperto il cuore perché l'altro domandi ciò che vuole e noi non rispondiamo secondo le nostre ipotesi, ma secondo la loro sete. Non prendersi troppo sul serio, sapere che l'altro è sempre "qualcuno", aver bisogno degli altri è mettere al centro gli altri della nostra esperienza educativa. Questa è attitudine fondamentale dell'educatore. È qualità tipica che aiuta anche a far capire se abbiamo la vocazione a diventare animatori. Non tutti i giovani che frequentano la parrocchia vi sono chiamati, non tutti i giovani maturi nella fede devono collocarsi in un servizio educativo ai più giovani. La comunità cristiana deve proporre anche altri sbocchi, altre vocazioni.
Ama la vita
L'amore alla vita è l'unico denominatore comune che lega tutti gli uomini tra loro. Qualcuno è ateo, altri sono credenti per tradizione, altri adorano Allah, ma tutti amano la vita. Nelle varie lingue esistono termini diversi per esprimere ciò che costituisce la sua attesa, il suo desiderio, la sua speranza; ma nessuna parola come il termine "vita" riesce in ogni lingua a riassumere in maniera pregnante ciò a cui l'essere umano massimamente aspira. "Vita" indica la somma dei beni desiderati e al tempo stesso ciò che li rende possibili, acquisibili, duraturi, un insieme di promesse affa¬scinanti e di oscure incognite.
Una vignetta di Palombella ci aiuta a capire meglio questo atteggiamento basilare dell'animatore.
C'è un deserto pietroso, arido, che ti toglie il fiato anche solo a guardarlo. Al centro però spunta timidamente una piantina verdissima: poche foglie, ma un miracolo in questo deserto. Davanti, su un tragitto che è orientato proprio nella sua direzione, avanza poderoso un Caterpillar, una macchina di movimento terra, che la sotterrerebbe senza pietà, se la strada giunta davanti alla fogliolina verdissima, non girasse improvvisamente di novanta gradi e si portasse oltre la piantina proseguendo ancora diritta dopo aver fatto questa improvvisa e impensabile deviazione. Credo che l'animatore sia proprio colui che sa scoprire una debole voglia di vivere anche e soprattutto nel deserto e fa di tutto perché questa sia difesa, esaltata, cresca e diventi sempre più forte. Questa pallida voglia di vivere è la traccia della presenza di Dio nell'uomo, è il progetto originario di Dio che deve essere aiutato a esplodere e diventare un albero, l'albero del Regno di Dio.
Allora spiritualità dell’animatore significa: costruirsi di una struttura di personalità che trova come elemento fondante e determinante la persona di Gesù, il suo modo di vivere, di essere, il suo pensiero, i suoi gusti, i suoi atteggiamenti.
Certo, per ottenere questa ristrutturazione della personalità ho bisogno di preghiera, ma non è soprattutto il momento della preghiera che mi determina la spiritualità, ma la consapevolezza che nasce e si distribuisce in tutti i momenti della vita che Gesù è la roccia, è il centro di tutto me stesso. Noi non troviamo il senso della vita solo quando preghiamo; non è che quando dobbiamo lavorare o stare con gli amici o in famiglia siamo in un deserto di senso, come se la vita fosse divisa in due momenti fondamentali quelli con il senso (ed è la preghiera), quelli senza senso (ed è la vita di tutti giorni). Questa è la spiritualità del cammello che va alla fontana e beve, beve per affrontare la traversata del deserto (la vita appunto) in cui dovrà stemperare o perdere il senso trovato alla fontana. La sua aspirazione non è la vita, ma la fonte. Il senso della vita però non sta nella fontana, ma è distribuito in tutta l'esistenza. Il laico proprio qui, in questa vita, deve trovare la sua santità. Come sarebbe triste per un lavoratore (e chi non lo desidera essere?) consumare la sua vita, le sue qualità migliori, i suoi rapporti con gli altri e col mondo entro un continuo non senso! E così sarebbe se il tempo della santità per lui fosse solo quello della messa della domenica! La certezza e la bellezza dell'essere cristiano invece si sprigiona lì nella vita di ogni giorno, non negli impegni parrocchiali soltanto o in oratorio. Il luogo della santità di un laico è la vita concreta. Avremo certamente bisogno di far esplodere questa santità ed ecco allora la vita sacramentale più intensa, la preghiera più mirata cristianamente.
Ma come fare a strutturare la personalità secondo Gesù, mettendo Cristo al centro della vita, se non lo conosciamo, se di lui non so niente? Occorre essere "fissati" di Gesù Cristo almeno come molti giovani lo sono nei loro idoli. Da qui alcune conseguenze.
- Capacità di portare la relazione educativa all'incandescenza del rapporto con le persone oltre ogni abitudine.
Spesso ci abituiamo ai giovani e loro a noi come al colore delle pareti. Certe nostre parrocchie o oratori sono talmente sbiaditi, scoloriti da abbassare a banale routine anche i rapporti più vivi e più belli. Ma io non posso abituarmi a questa mediocrità felice, devo trovare una strada in salita che fa scoprire la gioia di vivere e di donarsi sempre.
- Sentirsi implicati come persone nelle esperienze educative.
L'esperienza giovanile non è un tratto di vita che a un certo punto scompare, che deve concludersi dopo poco tempo e in cui quindi la persona matura deve aver fatto morire ogni aspettativa o entusiasmo giovanile. L'adolescenza è il momento in cui nella esperienza dell'uomo compaiono tutti i colori della vita e da quel momento non la abbandoneranno più. La vita non è fatta a stadi, così che per essere a posto, per crescere, per essere veramente in uno stadio superiore occorra abbandonare e rinnegare tutte le realtà dello stadio precedente. Purtroppo gli adulti credono così. Invece dovremmo imparare dagli adolescenti e dai giovani a mantenere la freschezza della vita come la si scopre a 15-20 anni: l'incandescenza dei rapporti contro il nascondersi dietro comode maschere, la voglia di vivere le relazioni con le persone sempre in maniera intensa; il non farsi scoraggiare dalle difficoltà della vita, abituarsi a star bene senza troppe cose, essere sempre pronti a ribaltare la propria situazione e a orientarla in un'altra direzione. Sono una serie di qualità che ogni educatore deve essere in grado di gestire con pazienza e decisione e che hanno cominciato ad apparire in lui proprio nella sua giovinezza e val la pena di non perderle più per passare a un "cosiddetto" stadio superiore, più maturo.
- Dimorare in Gesù Cristo.
Se un educatore non sa stare a contemplare la volontà di amore non mai ritrattata da Dio nei confronti degli uomini nella vita di Gesù, perderemmo tempo e non arriveremmo mai alla chiave del cuore dei giovani. Infatti la tiene soltanto Lui.
ESERCITAZIONI
1. Una galleria di cristiani, tra cui si annida anche l’animatore
2. La santità dell’animatore come amore alla vita e al suo Signore