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    La profezia dei giovani. Così la Chiesa riscopre la sua vocazione



    Michele Gianola

    (NPG 2020-06-28)

    «I vostri giovani avranno visioni (Gl 3,1)» (ChV 192)

    «Cristo vive. Egli è la nostra speranza
    e la più bella giovinezza di questo mondo» (ChV 1)

    Nel tempo dell’epidemia di COVID-19 tutti siamo stati costretti a confrontarci più o meno duramente con la realtà, tutti «ci siamo resi conto di trovarci tutti sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma allo stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda» (FRANCESCO, Momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia, 27 marzo 2020) e tutti abbiamo vissuto lo spaesamento, la paura, il dolore e la speranza.
    Laddove è stata sperimentata, questa immersione nella comune umanità ha offerto la possibilità di quella rinnovata postura ecclesiologica e pastorale sancita dal Concilio Ecumenico Vaticano II per il quale «la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia» (Gaudium et spes, 1); nella lingua originale del testo, il sapore di questa solidarietà suona con il termine ‘coniugata’, il gusto sponsale del divenire una carne sola.

    L’opera di Dio al modo di Dio

    Intuisco la fecondità di questa prospettiva nella sua dirompente esigenza di conversione. Essa costringe, infatti, i credenti a non sentirsi ‘fuori’ o ‘di fronte’ al mondo, alla storia, alla società, ma a riconoscersi – umilmente – ‘dentro’. In fondo, è il medesimo sguardo a cui lo stesso papa Francesco ha invitato l’assemblea radunata al Circo Massimo nell’estate di un paio d’anni fa quando ha raccontato questo semplice aneddoto: «Una volta, un sacerdote mi ha fatto una domanda: “Mi dica, qual è il contrario di ‘io’?”. E io, ingenuo, sono scivolato nel tranello e ho detto: “Il contrario di ‘io’ è ‘tu’” – “No, Padre: questo è il seme della guerra. Il contrario di ‘io’ è ‘noi’”. Se io dico: il contrario sei tu, faccio la guerra; se io dico che il contrario dell’egoismo è ‘noi’, faccio la pace, faccio la comunità, porto avanti i sogni dell’amicizia, della pace. Pensate: i veri sogni sono i sogni del ‘noi’. I sogni grandi includono, coinvolgono, sono estroversi, condividono, generano nuova vita. E i sogni grandi, per restare tali, hanno bisogno di una sorgente inesauribile di speranza, di un Infinito che soffia dentro e li dilata» (FRANCESCO, Veglia di preghiera con i giovani italiani, 11 agosto 2018).
    Offrire un punto di vista forse meno evidente e sicuramente complementare, nell’approccio alla spiritualità giovanile, significa considerarla non soltanto a partire da alcune caratteristiche particolari di una determinata fascia d’età quanto dalle provocazioni e dalla profezia che attraverso i giovani giunge all’unico ‘noi’ ecclesiale: «la fede passa per la vita […] e quando si concentra sul fare, rischia di diventare moralismo e di ridursi al sociale […]. Siamo chiamati a portare avanti l’opera di Dio al modo di Dio, nella prossimità: stretti a Lui, in comunione tra noi, vicini ai fratelli» (FRANCESCO, Santa Messa per la conclusione della XV A generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 28 ottobre 2018). Così, si tratta non solo di riconoscere che cosa fare ‘per’ i giovani ma anche di discernere a che cosa lo Spirito del Signore inviti attraverso quelle parti dell’unico Corpo ecclesiale – il nostro – che sono le più giovani e delle quali è necessario prendersi cura, come di tutto il resto.
    ‘Noi’ siamo i giovani, i bambini, gli adolescenti, gli adulti, gli anziani, gli uomini e le donne: siamo ‘noi’. È necessario immaginarsi parte dell’unico corpo e osservare che ciò che accade alla nostra carne è specchio di quello che succede alla Chiesa e all’umanità intera lungo il trascorrere dei giorni e lo scorrere dei secoli. «Le membra del lattante sono piccole, più grandi invece quelle del giovane. Però sono le stesse. Le membra dell’uomo adulto non hanno più le proporzioni di quelle del bambino. Tuttavia, quelle che esistono in età più matura esistevano già nell’embrione. Questo è l’ordine meraviglioso disposto dalla natura per ogni crescita» (VINCENZO DI LERINS, Primo commonitorio, c. 23. PL 50, 667-668). Il tessuto cellulare si rigenera continuamente ma le cellule più giovani fanno parte del medesimo organismo di quelle più invecchiate; i tempi della crescita rispecchiano le dinamiche dello sviluppo della vita spirituale dei singoli e delle comunità che attraversano il tempo degli inizi, della fecondità e della consegna ma, sempre, all’interno dell’unico corpo. Insieme. In fondo è l’orizzonte al quale invita il comando di Gesù: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mc 22,39): lo amerai perché sei tu, siamo noi.

    Diverranno profeti i vostri figli

    «Al mondo non è mai servita né mai servirà la rottura tra generazioni […]. Nella profezia di Gioele troviamo un annuncio che ci permette di capire questo in modo molto bello. Dice così: “Dopo questo, io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni” (Gl 3,1)» (Christus vivit, 191-192).

    Ascoltando il testo è facile proiettarlo al futuro, dimenticando che la profezia di Gioele si è compiuta nella Pentecoste e lo Spirito è già stato effuso su ogni uomo dal soffio del Crocifisso (Mt 27,50) Risorto (Gv 20,22) e che l’annuncio del profeta riguarda il nostro presente. Sovente corriamo il rischio di immaginare la profezia come un annuncio luminoso e del tutto chiaro, secondo un’idea distorta che richiama ad un universo magico ed estraneo dalla realtà. Invece, la profezia è costituita da interrogativi, provocazioni, domande e atteggiamenti che mischiano allo scorrere quotidiano dei giorni l’anelito alla sorgente, il richiamo alla radice, la fame della vita di Dio. La profezia, inoltre, è sempre per il presente, a servizio della conversione che può compiersi solo nell’oggi.
    È così che emerge la possibilità di un cambiamento di sguardo sulla realtà giovanile, su quelle parti del nostro corpo che sono più fresche, più fragili (anche) ancora da strutturarsi (forse) e delle quali non solo siamo chiamati a prenderci cura ma delle quali dobbiamo discernere la profezia, l’annuncio per la nostra conversione personale e comunitaria. Non certamente nella direzione dell’appeal – non si tratta di renderci più attraenti! – ma della vita evangelica che è capace di attrarre da sé e se è davvero evangelica e non lo fa, apre serenamente ad un discernimento ulteriore.
    Che cosa lo Spirito dice alle Chiese (Ap 2,7) attraverso le nuove generazioni? Che cosa attraverso questo tempo? Questa è la domanda più feconda capace di dischiudere l’idea di una ‘spiritualità giovanile’ e preservarla dal rischio di essere ridotta ad una serie di tecniche nella logica – talvolta troppo desiderata e accondiscesa – del tutorial. Quali sfide e quali interrogativi sorgono dal cuore dei giovani? E quali risposte o quali processi gli adulti hanno imparato ad attivare? Sono esiti positivi e orientati alla vita, al bene della persona, della società, alla salvaguardia del creato? «I momenti cruciali per lo sviluppo della nostra identità comprendono: decidere il corso di studi, scegliere la professione, decidere in che cosa credere, scoprire la nostra sessualità e assumere impegni che cambino il corso dell’esistenza» (cf. SINODO DEI VESCOVI, I giovani, la fede, il discernimento vocazionale, Riunione pre-sinodale, 19-24 marzo 2018).
    «La giovinezza è una benedizione per la Chiesa» (Christus vivit, 134). Come accompagnare i giovani all’orientamento scolastico? Quali modelli sviluppiamo nelle nostre case di formazione per il discernimento vocazionale? Quali processi attiviamo per prendere una decisione in comunità, in parrocchia, all’interno di un’équipe pastorale o di un presbiterio? Quanto la fede ha a che fare con la nostra vita, le nostre scelte? In che modo il Vangelo illumina il nostro agire? Perché i giovani dovrebbero credere a ciò che viviamo? Quali parole vere, comprensibili e aderenti alla vita abbiamo da dire riguardo alla sessualità? Come ci lasciamo mettere in discussione da ciò che è distante da noi? Che cosa abbiamo paura di perdere e cosa siamo disposti a lasciar andare? Qual è la nostra Passione? Per che cosa (per chi) correremmo il rischio di morire?
    Solo così, ascoltando l’anelito del cuore dell’uomo e la profezia dei giovani (non soltanto della giovinezza) e di ogni persona che abita la terra (cf. Gaudium et spes, 1), la Chiesa tutta insieme è chiamata a riscoprire la propria vocazione di prendersi cura della vita in tutte le sue forme: gli uni di quella degli altri, ciascuno della propria, insieme di quella della casa comune, della comunità e – in particolare – di quella nascente dei giovani. Siamo chiamati a lasciarci incontrare dal Risorto e a preparare le vie perché la Salvezza possa giungere a tutti gli uomini e la Chiesa possa ancora risplendere della sua giovinezza: «Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita» (Christus vivit, 1).


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