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    Lettere europee /4

    Renato Cursi

    (NPG 2020-06-2)

    Il 24 maggio scorso, nel giorno in cui si celebra la memoria liturgica di Maria Aiuto dei Cristiani, la pastorale giovanile e tutta la Chiesa italiana sono potute tornare a celebrare l’Eucaristia domenicale con il popolo, dopo oltre due mesi di sospensione per prevenire il contagio pandemico. In tale data ricorreva, inoltre, il quinto anniversario della prima Lettera Enciclica di Papa Francesco: Laudato si’, sulla cura della casa comune. Questa coincidenza provvidenziale ha probabilmente aiutato molte persone a fare sintesi tra il desiderio di un nuovo inizio, pur tra nuove e non semplici sfide, e il richiamo alla cura del creato. Questo richiamo è risuonato in questi mesi tanto nelle iniziative intraprese a più livelli per celebrare il quinto anniversario di quest’Enciclica, quanto nelle immagini che molti di noi hanno ammirato a distanza nei giorni dell’isolamento forzato: immagini di un ambiente e di una natura che tornavano a respirare dopo anni di sofferenza sotto i colpi della progressiva antropizzazione del pianeta. Acque di nuovo limpide, animali a loro agio negli spazi urbani, immagini satellitari ripulite dalle nuvole dell’inquinamento atmosferico.
    A sostegno di questo appello alle nostre coscienze, sono poi stati pubblicati diversi studi scientifici internazionali che hanno certificato la correlazione tra inquinamento dell’aria e diffusione del contagio del coronavirus. Tutto ciò faceva sperare che avremmo imparato la lezione. “Andrà tutto bene”, “questa crisi è un’opportunità”, “ne usciremo migliori”, ci ripetevamo nelle settimane di isolamento domestico. Eppure appena si è potuti ripartire, in Italia abbiamo preferito, per fare un esempio tra i tanti possibili, la produzione all’educazione. Molte fabbriche sono tornate a produrre senza tradurre questo tempo in un’opportunità di conversione ecologica, mentre milioni di studenti, docenti ed educatori sono rimasti a casa senza indicazioni chiare per una ripartenza. Diversi fiumi sono tornati ad essere inquinati, code chilometriche di macchine si sono riproposte in luoghi di consumo non sostenibile e alcune altre brutte abitudini sono riemerse.
    Guardando oltre queste prime reazioni, tuttavia, possiamo riconoscere di avere imparato qualcosa. Volenti o nolenti, abbiamo constatato di essere impreparati, in Italia come altrove, a sfide globali come questa. Abbiamo appurato che la globalizzazione comporta anche la condivisione mondiale dei rischi di uno sviluppo incurante di quelli che etichetta come “effetti collaterali”. Una volta di più, l’Italia e gli altri Stati Membri dell’Unione Europea hanno risposto inizialmente in ordine sparso, mostrando la debolezza e le contraddizioni di un’Unione fondata quasi unicamente sui valori del mercato. Non paghi, quando hanno compreso di dover rispondere insieme, è ancora all’economia e alla finanza che questi Stati hanno voluto affidare la cosiddetta “ripresa” (“Recovery”), concetto peraltro che guarda ad un ritorno al passato piuttosto che “ricostruire” o “ripensare” il futuro.
    Eppure le Istituzioni Europee, quelle preposte a pensare lo sviluppo di questa parte del mondo oltre gli schemi dei singoli Stati nazionali, poche settimane prima dello scoppio della pandemia avevano lanciato lo European Green Deal, il patto europeo da mille miliardi di euro che punta ad una riconversione sistemica delle nostre società in grado di azzerare le emissioni di combustibile fossile in Europa entro il 2050. Parte di questo investimento, inoltre, è dedicato all’obiettivo di una “transizione giusta”, affinché nessun Paese o gruppo più svantaggiato nella corsa verso questa riconversione venga “lasciato indietro”, secondo quello che è il motto dell’Agenda 2030 e dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (“leave no one behind”).
    Scossi come siamo tutti in questo tempo, abbiamo, più di prima, bisogno di pensieri lunghi. E tuttavia questi pensieri lunghi hanno a loro volta bisogno di una buona notizia, di un annuncio di speranza e di un argomento di senso che siano sale, luce e lievito. I giovani avevano cominciato già da tempo a chiedere un cambiamento (cf Laudato si’, 13) manifestando nelle strade di tutto il mondo per mesi, denunciando i rischi del cambiamento climatico e dell’inquinamento, moltiplicando iniziative di vario tipo, in cerca di un ascolto e di un’alleanza con le generazioni precedenti. La pastorale giovanile non può mostrarsi sorda a questo appello, né sottovalutare l’opportunità provvidenziale di questi strani giorni, proprio perché ha un tesoro da condividere per illuminare questa ricerca di senso e di speranza propria dei giovani.
    L’Italia è il Paese che ha accolto secoli fa il dono di Francesco, e l’italiano è la lingua in cui è risuonata la sua lode al Creatore, oggi riproposta in tutto il mondo dalle molteplici traduzioni e dalle continue ristampe dell’Enciclica di Papa Francesco. L’Italia è anche una terra benedetta dalla Creazione, casa di una biodiversità unica, abitata da popoli che per secoli hanno saputo custodirla con cura e rispetto, retta da oltre 70 anni da una Repubblica che ha inserito la tutela del paesaggio nei principi fondamentali della sua Costituzione. In Italia ancora oggi molti giovani trovano nella fede il nutrimento per un impegno nella cura del creato e cercano una generazione adulta che dia loro fiducia e che si lasci rinnovare dai loro sogni.
    In questo contesto, l’Unione Europea può rappresentare uno spazio adeguato per sperimentare vie nuove verso uno sviluppo davvero sostenibile. Se da una parte è vero che certe sfide sono ormai globali, d’altra parte è anche vero che il salto dagli angusti spazi nazionali agli sconfinati orizzonti universali rischia di rivelarsi un salto mortale, senza la mediazione di un’integrazione regionale degna di questo nome. In Europa ci sono giovani che sognano di condividere con coetanei di altri Paesi lo slancio per la salvaguardia del Creato che la fede suscita in loro. Giovani che sognano di scambiare buone pratiche, trovare ispirazioni, forgiare alleanze, dare corpo a sogni. Una pastorale giovanile attenta ai segni dei tempi potrebbe cogliere e promuovere questi semi di speranza. Lo European Green Deal ha bisogno della “Laudato si’ Generation”.


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