Gioia Di Cristofaro Longo
(NPG 1997-03-24)
Il nostro secolo registra una mutazione antropologica epocale: per la prima volta, dopo ben più dei due millenni a cui erroneamente si fa riferimento (basti pensare per rendersi conto di ciò alla preghiera dell’ebreo contemporaneo di Gesù: «Signore ti ringrazio di non avermi fatto pagano, ignorante e donna»), il pregiudizio antifemminista è stato individuato, contestato e oggi, in termini più o meno coerenti, come sempre avviene nei momenti di forte transizione culturale, superato nelle concezioni culturali generali, sia formali che informali e spesso anche nei comportamenti, seppure ancora molte sono, proprio nei comportamenti, le resistenze culturali esistenti.
LA TRANSIZIONE CULTURALE
Il momento che stiamo vivendo, quindi, è caratterizzato da una vistosa transizione culturale. Tale transizione è determinata dall’affacciarsi prima, dall’affermarsi poi, di una nuova cultura che rifiuta, non senza più o meno gravi contraddizioni, l’asse culturale su cui si è basata l’organizzazione individuale e sociale della società, dell’inferiorità culturale della donna. Testimonianza eloquente di tale processo è il cammino messo in opera dalle donne a livello singolo, ma soprattutto collettivo.
Processo che dall’informale, sporadico prima, di massa poi, ha raggiunto il livello formale attraverso una legislazione che da una parte ha cancellato le più vistose discriminazioni rilevabili nelle leggi esistenti (per tutte citiamo l’esempio della riforma del diritto di famiglia nel 1975), dall’altra ha positivamente affermato valori di parità (esempio la legge 903 del 1977) considerando anche l’opportunità di favorire questo processo attraverso azioni concrete, denominate significativamente «azioni positive» (legge n. 125 del 1991).
Se estremamente innovativi e importanti sono i nuovi principi affermatisi a livello nazionale e internazionale (valga per tutti l’esempio delle Conferenze mondiali dell’ONU tenutesi rispettivamente negli anni 1975, 1980, 1985 e quella ultima di Pechino), è però doveroso avere coscienza delle enormi difficoltà che incontrano le donne nel tentativo di rivivere i nuovi valori da loro elaborati e inseriti, pur tra rilevanti ostacoli e vischiosità, nella cultura di riferimento.
Donne e nuovi valori: rotture e resistenze
La donna si è trovata così a dipanare la propria esistenza tra due spinte contraddittorie: le rotture da esse prodotte e le resistenze messe in atto da una società ancora ispirata ad una cultura maschilista.
Rotture che hanno generato nuove aspirazioni, nuovi orizzonti culturali che si sono affermati tra le innumerevoli «mediazioni» che le donne si sono trovate ad operare, divise tra il nuovo modello e il tentativo di «salvare» quanto più possibile affetti e continuare ad offrire agli altri, quasi sempre la propria famiglia, quelle prestazioni ritenute indispensabili al loro benessere.
Resistenze che hanno reso tenacemente divaricata la forbice tra i propri bisogni e la possibilità di soddisfazione degli stessi. Il cammino che ha portato a questa realtà è stato lungo, non anni, non decenni, bensì secoli.
Molte figure di donne impegnate in questo cammino le conosciamo, molte le abbiamo appena riscoperte, altre non le conosciamo ancora, alcune, forse, non le conosceremo mai.
A tutte dobbiamo molto, però, se oggi siamo qui a scriverne.
Alcuni esempi sono più chiarificatori delle parole di commento. Lady Worthley Mary Montagu (1689-1762) pubblica in Inghilterra un libretto dal titolo Woman not Inferior to Man: or a short and modest Vindication of the natural Right of the fair Sex to a perfect Equality of Power, Dignity and Esteem with the Man, in cui si afferma: «Se un uomo potesse spogliarsi della personalità legata al suo io e porsi per un momento in una condizione di neutralità, sarebbe in grado di vedere e sarebbe in grado di riconoscere che il pregiudizio e l’avventatezza sono le cause principali per cui si attribuisce alle donne minor valore che agli uomni conferendo, quindi, un’eccellenza e nobiltà molto superiori che a quelle. In breve, se gli uomini fossero filosofi nel vero senso della parola, si renderebbero conto che nella natura dimora inconfutabilmente una perfetta uguaglianza tra il nostro sesso e il loro... È un’enorme assurdità sostenere che l’istruzione sia inutile alle donne perché di fatto non hanno accesso alle cariche pubbliche che rappresentano lo scopo per cui gli uomini si dedicano ad essa. Virtù e felicità sono ugualmente necessarie nella condizione privata come in quella pubblica e l’istruzione è un mezzo necessario ad entrambe. È attraverso di essa che acquisiamo precisione di pensiero, proprietà di parola, rettitudine nell’azione, senza di essa non siamo in grado di avere un’esatta conoscenza di noi stessi. È essa che ci consente di distinguere tra giusto e sbagliato, vero o falso...» (Provincia di Roma, Roma 1992).
Ancora, Mary Wollstonnecraft (1759-1797) conduce, nel testo che si può dire inauguri il femminismo Vindication of the Rights of Woman, un’analisi correttamente antropologica sulla differenza dei sessi, comunicandoci, già da allora, una chiarissima consapevolezza del concetto di autonomia e autodeterminazione, valori da vivere e sperimentare in quanto donna, avendo chiaro come questi valori fossero ben diversi dalle concezioni culturali maschili, anche le più aperte.
Afferma infatti: «Educate le Donne come gli Uomini» dice Rousseau «e quanto più rassomiglieremo al nostro sesso, tanto minore sarà il potere che avranno su di noi». «Proprio questo è il punto – precisa la Wollstonnecraft – io non desidero che le donne abbiano potere sugli uomini, ma su se stesse».
Olimpia de Gouge (1792) nella Dichiarazione dei diritti delle donne afferma: «La donna nasce libera e resta uguale all’uomo nei suoi diritti, lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili della donna e dell’uomo, l’esercizio dei diritti naturali della donna ha per solo limite la tirannia perpetuata dall’uomo: questi limiti devono essere riformati dalla legge della natura e della ragione, il diritto di salire alla tribuna» (ibidem).
In Italia Anna M. Mozzoni, Anna Kulischoff, Paolina Schiff, G. Adelaide Beccari ugualmente si batterono per i diritti di cittadinanza individuale. «Le donne – affermava la Mozzoni (1877) – devono chiedere parità giuridica, diritto di voto, diritto al lavoro, parità nell’accesso allo studio, riforma del diritto di famiglia, pene severe per il reato di stupro» (ibidem).
Si è voluto, sia pur sommariamente, soffermarsi su questi esempi, in quanto indicativi di un sistema culturale di riferimento, già chiaramente concettualizzato, del tutto diverso da quello dominante maschile anche quando si tratta di emancipazionisti e progressisti: si pensi, ad esempio, alle affermazioni di medici legali (Ziino), antropologi (Mantegazza), giuristi (Lombroso).
Questa digressione è apparsa utile per mostrare l’esistenza di uno spessore antropologico spontaneo che su questa tematica si afferma largamente e che precede e accompagna in un rapporto dialettico la riflessione antropologica scientifica su questo argomento.
LA NUOVA IDENTITÀ CULTURALE FEMMINILE
Le donne vivono oggi una nuova identità culturale. Protagoniste e titolari di una vera e propria rivoluzione culturale, hanno in una prima fase riconosciuto la discriminazione culturale esistente nei loro confronti, in quanto donne.
Hanno capito che se tale discriminazione da una parte le ha escluse da un inserimento attivo nella vita sociale e politica, dall’altra è stata, ed è purtroppo ancora in non pochi casi, la causa di violenze, soprusi, ingiustizie fisiche, psichiche, morali e culturali.
In questo processo le donne singolarmente, ma soprattutto collettivamente, hanno imparato ad individuare e a contrastare le mille situazioni, piccole o grandi, nelle quali tali ingiustizie – spesso complici loro stesse – si realizzavano.
Il femminismo, inteso come rilettura del proprio sé in quanto genere, e reinterpretazione, partendo da questo dato, di tutto il mondo, è ormai patrimonio culturale diffuso in tutte le donne, indipendentemente dal fatto che esse siano poi in grado di vivere la loro vita in coerenza ai nuovi valori scoperti o riscoperti, comunque riletti.
Il femminismo da questo punto di vista è contenuto del patrimonio culturale di riferimento di ogni donna e ormai anche della società, sia che lo accetti o lo respinga con tutte le sfumature intermedie tra le due posizioni.
Sintetizzava molto lucidamente questa realtà una donna con l’espressione: «Oggi la mia piazza sono io», dando conto con queste parole del processo di interiorizzazione dei contenuti di un movimento che ha attraversato la cultura di tutti i paesi, pur nelle loro differenze (come, per fermarci all’esempio più vistoso, documentano i Congressi mondiali organizzati dall’ONU e da altri organismi internazionali negli ultimi decenni) e del lavoro in atto in ogni donna di reimpostazione della propria vita e di quella dei propri figli.
Questa realtà non poteva fermarsi al solo livello contestativo. La contestazione, apparentemente episodica e disorganizzata, ha posto le basi di un nuovo modello culturale.
Rielaborazione dell’identità femminile e crisi dell’identità maschile
Nell’affermare, infatti, ciò che non va, inevitabilmente si procede verso la definizione, sempre più precisa, di ciò che si ritiene giusto; e se questo vale senz’altro per le donne, oggi costituisce realtà ineludibile anche per gli uomini. Gli uomini, infatti, per la prima volta dopo millenni, vivono una crisi d’identità, sia che ne siano consapevoli o no.
Alcune ricerche sulla percezione culturale svolte, nell’arco di sei anni, nelle Marche, Lazio, Sardegna, Puglia sul mutamento delle identità di genere femminile e maschile, hanno consentito di svelare in termini molto chiari l’esistenza di una cultura di riferimento nuova molto avanzata che, invece, nelle vischiosità delle situazioni concrete in cui continua ad operare la cultura sessista, rischia di risultare occultata o, quanto meno, opacizzata.
Le ricerche si sono proposte di cogliere i contenuti delle due identità culturali di genere così come sono immediatamente percepiti dai singoli soggetti, sia uomini che donne.
L’originalità delle ricerche, rivolte soprattutto ai giovani, è consistita nel fatto di avere interrogato sull’area tematica scelta contemporaneamente i soggetti interessati (maschi e femmine) in relazione all’identità sia del proprio genere che a quella dell’altro.
L’ipotesi di fondo da cui sono partite tali ricerche è stata quella di ritenere necessaria un’indagine incrociata dalla quale rilevare in entrambi i generi, quello femminile e maschile, la concezione culturale relativa sia all’uomo che alla donna.
Ne sono scaturiti quattro profili di identità: due maschili e due femminili elaborati rispettivamente dai ragazzi e dalle ragazze.
Se unico è, infatti, il processo che investe la ridefinizione dei ruoli maschili e femminili conseguente al movimento di emancipazione e liberazione della donna di cui le donne sono state e sono protagoniste, diverse sono le vie, i contenuti, gli approcci attraverso i quali tale processo va diffondendosi, così come diversi sono stati e sono i punti di partenza.
La scelta che ha portato a privilegiare i giovani come soggetto di ricerca è sembrata particolarmente utile per cogliere i termini, gli elementi del cambiamento stesso: i giovani, infatti, costituiscono il punto di confluenza di diverse generazioni. Essi da una parte riflettono gli orientamenti culturali dei loro genitori e nonni e il loro impatto con il nuovo e le mediazioni culturali dagli stessi operate, dall’altra vivono in prima persona gli stimoli al mutamento culturale che viene veicolato dai mass media, dalla scuola stessa, dalle nuove istanze e tendenze culturali portate avanti dalla società nelle sue varie articolazioni: movimenti, gruppi, realtà socio-politiche, ecc.
I giovani e una nuova mediazione culturale
In loro il processo di mediazione culturale che interessa ciascuno, mediazione tra la tradizione e l’innovazione, tra il vecchio e il nuovo, non è contaminata dall’ulteriore, inevitabile mediazione che gli adulti devono operare condizionati da scelte contingenti e non dilazionabili.
In loro, ancora, è presente una componente di idealità che si traduce in progettualità che rende il discorso ancora più indicativo degli orientamenti emergenti.
Si avverte con chiarezza che il modello tradizionale di una superiorità maschile e di una esclusiva competenza dell’uomo nella sfera pubblica, sociale e politica, non regge più. Di fronte a questa consapevolezza le donne hanno elaborato un modello forte, pur tra conflitti, contraddizioni e difficoltà; per l’uomo si aprono, invece, diverse strade: quella del ripensamento, del dubbio o quella dell’aggressività che tenta con la violenza, quanto meno verbale, di ripristinare e rilegittimare un potere che sente scalzato; o quella, infine, ampiamente documentata dalle ricerche, di una via che tenta nuove mediazioni, condividendo la nuova posizione della donna, riconoscendo la legittimità dei suoi diritti e, contemporaneamente, cercando di salvare alcuni aspetti e contenuti del ruolo maschile tradizionale, sforzandosi di dimostrare la compatibilità con il nuovo modello femminile attraverso un’analisi della realtà che si propone apparentemente come «oggettiva» e «disinteressata».
La sensazione immediata che trasmettono i dati delle ricerche è che il processo di riformulazione di identità maschile da parte degli uomini non sia più ipotetico, ma già in atto. Contemporaneamente si avverte che questo processo, che è senz’altro ancora in una fase iniziale, è però ormai ineludibile ed è ad un punto di non ritorno.
Pur attraverso crisi, conflitti contraddizioni che continueranno a coinvolgere, seppure in modo differenziato, donne e uomini, si arriverà in un futuro non lontano ad una nuova ridefinizione complessiva delle identità maschili e femminili, fondate, si spera, su valori di maggiore giustizia, rispetto, democrazia.
Riassumendo, i dati più significativi che emergono riguardano:
a) una estesa, irreversibile presa di coscienza da parte delle donne di un ruolo della donna da modificare: i termini di tale mutamento sono estremamente chiari e, ormai, introiettati anche se diversamente applicati nel concreto;
b) parallemamente si registra negli uomini l’avvertenza che tale mutamento è in atto, e rispetto a questo si registrano orientamenti diversificati che vanno dal rifiuto all’incertezza più o meno esplicita, alla limitata accettazione.
Questi due orientamenti si intersecano variamente e vanno a comporre modelli culturali in cui tradizione e innovazione si combinano in maniera diversificata.
L’ipotesi di lavoro di tali ricerche parte dalla convinzione dell’opportunità di una analisi sulla reciprocità. Tale analisi comparata e reciproca, come reciproca e intrecciata è la relazione uomo-donna nella vita di tutti i giorni all’interno della famiglia, nelle relazioni interpersonali amicali, nel lavoro e, più in generale, nella comunità sociale, consente di ricostruire le mappe cognitive di riferimento nell’interazione.
Il risultato che ne emerge è la documentazione dell’esistenza di due codici culturali profondamente diversi. Nel vocabolario di ogni lingua esiste, infatti, un’unica parola per indicare un genere, uomo o donna che sia; nella realtà culturale, invece, ad ogni genere corrispondono due significati culturali diversificati.
Un conto è la definizione che l’uomo dà del suo genere e un conto è la definizione, sempre dell’uomo, che ne dà la donna, e viceversa.
Se si comprende fino in fondo questa realtà, per certi versi ovvia e banale, si capisce l’origine del conflitto tra i generi: spesso si tratta di un dialogo fra sordi. La situazione oggi è molto più grave proprio per il carattere di transizione culturale che caratterizza l’attuale fase.
Transizione diseguale per i due generi: mentre per le donne si tratta di una transizione avanzata, per gli uomini è agli inizi. La transizione avanzata è testimoniata proprio dal nuovo modello emergente, pur tra difficoltà, incertezze, contraddizioni che non sono assolutamente da sottovalutare, ma che si iscrivono in una nuova realtà: come dire «siamo a pagina nuova».
TRATTI DELLA NUOVA IDENTITÀ CULTURALE DELLA DONNA
L’esistenza di questa nuova realtà di cui le donne sono state e sono ogni giorno «genitrici» è testimoniata da un’altra ricerca da me condotta rivolta a rilevare i termini di un mutamento di percezione culturale rispetto alla maternità.
Sono stati documentati gli orientamenti, i sentimenti e i valori della nuova cultura della maternità. Mutazione antropologica che ci comunica un orgoglio di maternità come riscoperta di un’esperienza fondamentale, distintiva ma non esclusiva della propria identità di genere riformulata, a condizione che sia frutto di una scelta autodeterminata, espressione del diritto inalienabile di scegliere quando diventare madre.
Codice madre è il titolo del libro che ne ha raccolto i risultati, nel triplice senso:
a) codice madre, nel senso di un insieme di «corpo» di elementi, valori, orientamenti, sentimenti che interagiscono e caratterizzano in termini nuovi la maternità;
b) codice madre, come vera e propria nuova codificazione: nuove leggi, nuovi principi che ispirano l’evento maternità visto nel suo complesso, sia sul piano dei contenuti che dei soggetti coinvolti nell’evento;
c) codice madre, come chiave, modalità di accesso, «codice» sempre meno segreto, per entrare nella nuova dimensione culturale della maternità.
Un asse centrale distintivo, ma non più esclusivo di tale cultura, riguarda la concezione della maternità.
Proprio all’interno della maternità si è giocata la crisi di identità della donna, e oggi la sua ridefinizione non può non comportare una profonda rilettura in termini culturali di tale evento. Sulla maternità la cultura dominante sessista ha costruito una subordinazione e conseguente emarginazione sociale della donna che nulla aveva a che fare con la maternità in quanto tale. Si è trattato, infatti, di un tipo di gestione culturale dell’evento che ha espropriato la donna della gestione culturale dello stesso in termini di soggettività.
Costruzione fondata sulla ruolizzazione totalizzante e predeterminata della donna per cui la sua identità doveva necessariamente ed esclusivamente coincidere con il suo essere madre e moglie.
Oggi le donne nella grande mutazione antropologica di cui sono autrici, anzi genitrici, hanno riscoperto la maternità come esperienza distintiva, ma non esclusiva, del proprio genere, «pezzo» importante, ma non unico quindi, fondante la propria identità di persona di genere femminile.
Le donne hanno riletto in profondità, pagando alti costi, la propria specificità o la propria differenza, passando per varie fasi, dalla critica alla mediazione, fino a scoprirsi titolari del diritto inalienabile di scelta della propria maternità, diritto che è espressione di un loro potere che è tutto da riscoprire e ri-valutare e che le collega in modo inscindibile con la vita.
È così che si riscopre un potere di maternità che ripetiamo può, anzi deve, convivere con altre dimensioni esistenziali personali.
Questo orientamento è significativamente sintetizzato dallo slogan Moglie, madre, manager, nel quale le aspettative nei confronti del lavoro, ben lontano dalla realtà concreta, sono al massimo livello.
Tre in sintesi gli assi su cui si fonda la nuova cultura della maternità:
a) la riscoperta di sé come persona e della propria dimensione autonoma.
Autonomia che si caratterizza sia nei confronti delle persone che degli eventi.
Ne è esempio illuminante proprio la concezione culturale che ruota intorno alla maternità. Accanto alla sua riscoperta e rivalorizzazione convive chiaramente un atteggiamento d’autonomia rispetto alla stessa in coerenza ai valori di libertà, di autodeterminazione e di responsabilità che sono le capitali della nuova mappa culturale elaborata dalla donna;
b) un’altra concettualizzazione della critica al ruolo maschile che si esprime secondo due facce: una esplicitamente negativa nei confronti di comportamenti o scelte di vita, ad esempio nel campo della maternità (cf item della paternità), l’altra che, sottendendo un giudizio negativo nei confronti dell’attualità, formula auspici e delinea i contenuti culturali del nuovo modello;
c) la scoperta e riscoperta della maternità come esperienza fondamentale nella vita della donna che, proprio per la sua eccezionalità ed importanza, va vissuta in termini positivi di scelta, al livello massimo di consapevolezza, di capacità decisionale, di libertà.
La sua interdipendenza con la dimensione sessuale della persona sottolinea il livello massimo di coinvolgimento dei protagonisti della vicenda umana per eccellenza, la riproduzione, a cui è affidato lo stesso futuro dell’umanità.
Nella maternità si realizza, infatti, al contempo, il più alto livello di esperienza personale, indivisibile e irripetibile, nonché l’esperienza che di per sé appartiene all’evento più generalizzato che si possa immaginare uguale nel passato, nel presente e nel futuro e in tutti i posti del mondo. È una delle realtà, l’unica forse realmente tale, in cui convivono, allo stesso livello di intensità e di necessità, sia la differenza che l’universalità.
Ogni madre è diversa dalle altre, ogni padre è diverso dagli altri, ogni figlio è diverso, ogni figlia è diversa, ma tutti sono al contempo, madri, padri, figli, figlie segnati dalle stesse vicende causali.
Queste consapevolezze mi sembrano fondamentali per poter meglio capire quale sia oggi lo scenario complesso, spesso difficile, irto di difficoltà, ma sostanzialmente nuovo, nel quale ci muoviamo. Sarebbe esiziale non rendersi conto di ciò.
Quali le conclusioni più significative che emergono da queste ricerche sul fronte femminile?
Una buona parte, in alcuni casi più della metà di donne coinvolte nelle ricerche, siano esse più o meno giovani, si muovono non più nell’orizzonte della parità, che alcune rifiutano come omologante, ed altre considerano superata.
Molte di loro con ricchezza lessicale non comune e alta capacità di concettualizzazione testimoniano uno spiccato orgoglio d’appartenenza di genere.
Si piacciono di più, si autostimano, si soprastimano rispetto agli uomini. Sono consapevoli di quello che possono chiamare funambolismo culturale, quella capacità cioè «in più», legata al saper abbracciare, reggere più situazioni insieme, facendosi carico di esperienze e situazioni diverse.
Le donne oggi, infatti, cominciano a raccogliere i frutti della loro fatica, della loro capacità di resistenza al logoramento che hanno dovuto affrontare vivendo nella propria esperienza il riferimento a due culture fra loro altamente conflittuali ed alternative proprio nella concezione della donna e che ha sviluppato in loro quella capacità di far fronte a più situazioni e che è oggi la loro ricchezza, il loro particolare «sapere», spesso invidiato dall’uomo che fino ad adesso ha goduto del lusso di poter fare «una cosa alla volta».
Funambolismo che non può non aver avuto uno stesso veicolo di trasmissione: una donna, quasi sempre una donna o un’insegnante, che con la parola o anche con il solo silenzio – a volte più fragoroso delle parole – ha comunicato nuovi valori, sentimenti, orientamenti operativi a testimonianza di una verità tanto più eloquente, comunicativa e forte quanto solo può essere il paradigma di un vissuto, l’esempio di una vita che si ha avuto l’avventura di seguire passo passo e che si è incrociata con la propria.
VERSO L’EQUIVALENZA DEI GENERI
Una rivoluzione non è mai pacifica, e anche questa non lo è: alla rottura culturale che si è tradotta nell’affermazione dell’«uguaglianza», della «parità tra i sessi» o, come personalmente propongo di definire, dell’«equivalenza dei generi», corrispondono molte resistenze culturali che sono le facce palesi o occulte delle ancora persistenti discriminazioni e violenze fisiche, psichiche, culturali e sociali che le donne subiscono anche oggi e che, in non pochi casi, sono ancora più virulenti delle precedenti, caricate anche di una volontà punitiva proprio nei confronti della nuova donna emergente e della cultura che essa esprime.
Se questo è vero, ciò non intacca la novità assoluta della donna come nuovo soggetto, singolo e collettivo, rispetto al quale si producono, da parte dell’uomo che si trova messo in discussione e nella condizione di perdere o, quanto meno, di veder ridimensionati privilegi e poteri fino adesso indiscussi, ostilità ed azioni tendenti a ridurre e controllare la portata innovativa del fenomeno. Ma vediamo nel concreto gli orientamenti culturali emergenti da parte dei giovani uomini.
Circa il 47% dei giovani intervistati (...) comunica un’autopercezione di concezione di uomo superiore, forte, più importante. Tra questi uomini un 10% circa vede come compito principale dell’uomo badare alla moglie e ai figli, un 9% si percepisce come compagno della donna a lei complementare, un 5% esplicitamente si definisce sfruttatore e aggressivo ed ancora un 11% si descrive con aggettivazioni negative (poco affidabile, egoista).
Indicatori di una nuova identità maschile
Una spia culturale del mutamento in atto è data da un orientamento che va facendosi strada seppur timidamente.
Comincia infatti ad affermarsi una concezione culturale per la quale l’uomo dovrebbe coinvolgersi di più nella sfera privata con particolare attenzione agli affetti familiari e non dovrebbe vergognarsi di coltivare «virtù» considerate femminili, come ad esempio la dolcezza.
Se per la donna si è trattato di far entrare nella propria identità culturale la sfera del sociale e del pubblico, per l’uomo si pone oggi il problema di considerare come una mancanza il suo limitato coinvolgimento nella sfera privata e affettiva.
Si può dire che l’identità sia il punto di incontro tra un soggetto, sia singolo che collettivo, e la sua cultura di riferimento: costituisce, infatti, l’incarnazione degli elementi culturali propri di un invididuo e/o di un gruppo, più o meno ampio, nella concretezza della loro esistenza storica.
Se la cultura è necessariamente una realtà dinamica, inerendo imprescindibilmente alle persone, altrettanto lo è il concetto di identità che sta ad indicare la cultura intesa come insieme di concezioni, strumenti, valori, norme, orientamenti operativi, atteggiamenti, agita dal singolo in un rapporto quanto più possibile equilibrato tra autopercezione ed eteropercezione.
Perché infatti un’identità esista in una cultura, i contenuti espliciti o impliciti che la caratterizzano devono essere percepiti come propri dal soggetto che vive quella dimensione identitaria e, contemporaneamente, riconosciuti dagli «altri» che, con tale soggetto, direttamente o indirettamente, entrano in relazione. Tale sentimento di appartenenza è alla base della dinamica identitaria e la contraddistingue in termini di reciprocità.
È così che gli uomini oggi, rispetto all’orizzonte della parità, esprimono orientamenti che vanno dalla consapevolezza dell’avvenuto cambiamento del ruolo della donna, del suo raggiungimento dell’obiettivo della parità e del riscatto della sua libertà come conseguenza della parità stessa. Parità che si ha l’avvertenza che, pur sancita per legge, non sempre viene rispettata, anzi è spesso negata nei luoghi di lavoro, nella vita coniugale, nei mass media.
Rispetto alla parità, comunque, emergono due preoccupazioni ricorrenti:
a) il pericolo di un’ingiustizia in senso inverso. Si afferma letteralmente: «La donna deve avere pari diritti dell’uomo, ma non lo deve sovrastare perché anche questa sarebbe un’ingiustizia»;
b) pur avendo la donna il diritto di avere le stesse possibilità dell’uomo nel campo del lavoro, non deve trascurare la famiglia per il lavoro.
Questa tipologia di risposte fa chiaramente capire un tipo di processo culturale in atto: l’accettazione del mutamento dell’altro genere senza, per il momento, la conseguenza della necessità del cambiamento di se stessi.
Speculare al modello forte, di orgoglio di appartenenza al genere femminile già descritto, espresso dalle donne, emerge un orientamento che vede la donna come forza positiva e generatrice di vita. Le risposte complessivamente denunciano nei ragazzi un’oscillazione che registra, da una parte, il loro disorientamento rispetto ad una realtà avanzata di identità nuova della donna che arriva a volte ad esprimersi anche in termini di aggressività e di riproposizione di stereotipi tradizionali (la donna è inferiore all’uomo, nasce dalla costola di Adamo, è oggetto di piacere sessuale, ecc.), dall’altra, in percentuali abbastanza consistenti, cerca di reagire positivamente al nuovo modello di donna.
In non pochi casi, ancora, la forza della donna è percepita dagli uomini con sentimenti di invidia.
Essi sono consapevoli della sua autosufficienza e contemporaneamente percepiscono di non essere dotati di questa capacità.
Singolarmente anche i ragazzi comunicano sinteticamente questa convinzione affermando: «La donna è la donna: manager e mamma».
Si riconosce che il movimento femminista fa avanzare la donna e per questo si sente diminuire il proprio potere e prestigio.
Alcuni vorrebbero «rimediare» per quello che hanno fatto subire alla donna, ma contemporaneamente esprimono «paura» che essa diventi troppo potente.
Molti di loro rifiutano lo stereotipo donna-oggetto, mercificata, e riconoscono che spesso è umiliata e considerata solo simbolo sessuale.
MODELLI CULTURALI EMERGENTI
Concludendo questa sintetica esposizione delle principali linee di tendenza nel mutamento culturale delle identità di genere femminile e maschile, possono essere individuati alcuni modelli culturali emergenti.
Modello della parità
Da parte della donna:
– Orientamento positivo nei confronti della parità che si ritiene sufficientemente raggiunta;
– orientamento positivo nei confronti della parità, che si ritiene però condizionata da difficoltà concrete.
Da parte dell’uomo:
– Orientamento positivo nei confronti della parità conquistata dalle donne, che però si ritiene non debba discriminare l’uomo.
Modello dell’orgoglio di appartenenza di genere
Da parte della donna:
Modello forte della differenza di genere femminile.
La donna si percepisce intelligente, abile, energica, geniale, capace di sentimenti, vita, amore, aiuto, sensibilità, elasticità mentale, armonia, in grado di risolvere ogni situazione, indispensabile per la società, fermezza di carattere e di ideali, autosufficienza, tempo per ogni cosa, ecc.
Vede l’uomo solo apparentemente forte e fragile nella realtà. Non percepisce come contrastanti la propria realizzazione nella maternità e nel lavoro.
Da parte dell’uomo:
È invidioso della forza delle donne e della sua autosufficienza, riconosce loro una personalità forte, solo apparentemente fragile, le percepisce decise e capaci di risolvere ogni situazione.
Modello della discriminazione
Da parte della donna:
Le donne sono consapevoli delle discriminazioni subite essendo state considerate da una parte oggetto sessuale, strumento di piacere, vittime di violenza fisica e psichiatrica, dall’altra madri e mogli ruolizzate.
Una risposta emblematica: «Oggetto violentato in un angolo buio, macchina per fare figli, essere capace di accudire la casa, ascoltare le lamentele del marito, spalla su cui piangere, oggetto per films porno. No! Ha un cervello e un cuore. È una persona».
Riconoscono che ancora oggi molte delle situazioni sopra descritte sono ancora esistenti, ne avvertono sempre più chiaramente l’intollerabilità.
Da parte dell’uomo:
L’uomo si riconosce aggressore, egoista, violento, opportunista. Esibisce forza e virilità, ma ha bisogno della donna anche se non lo ammette.
Rispetto alla violenza si possono rilevare due atteggiamenti: uno che prende atto dell’esistenza di questa e «limitatamente» se ne dispiace; il secondo minoritario, ma ugualmente esistente, che giustifica la violenza con motivazioni più o meno velatamente «punitive» della donna nuova con la quale non sanno rapportarsi.
Sul piano delle corrispondenze si può sinteticamente notare che nelle donne laddove è più forte l’orgoglio d’appartenenza di genere, più è netta e determinata la critica nei confronti del maschio.
Ancora, dove più si evidenzia la consapevolezza della discriminazione, più sono nettamente individuati i poteri e i privilegi maschili. Se invece ci si muove nell’orizzonte della parità, l’accento è posto sulle difficoltà che nel concreto s’incontrano.
Verso un nuovo modello
Da parte delle donne, ma anche, pur confusamente, da parte di alcuni uomini, comincia ad emergere un orientamento che si muove nella direzione della costituzione del modello dell’equivalenza dei generi.
Con tale espressione si vuole intendere un modello che, lungi dal cancellare le differenze, le riconosca, le valorizzi, senza quindi costruire su queste arbitrarie e infondate scale di valori: equivalenza, uguale valore cioè nelle differenze.
Nell’indicare questa prospettiva si ritiene di cogliere degli elementi esistenti, ma si è altrettanto consapevoli della strada anche lunga e difficile da percorrere.
Un’ultima considerazione: il ruolo dei mass media rispetto al mutamento culturale in atto nelle identità di genere femminile. Indubbiamente tali mezzi rappresentano una sacca rilevante delle resistenze operanti nei confronti del cambiamento. L’attività svolta dalla Commissione Nazionale della Parità e le Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri nel gruppo di lavoro Donna e mass media ha promosso un importante iniziativa: lo Sportello Immagine Donna.
Lo scopo principale dello Sportello è stato quello di aprire un canale di comunicazione diretta tra la Commissione, organismo istituzionale, e il «Paese reale» in modo da favorire l’espressione e la manifestazione di opinioni rispetto all’immagine donna proposta dai mezzi di comunicazione.
L’iniziativa, che ha riscosso molto successo, ha documentato attraverso lettere, documenti, vere e proprie ricerche e produzione di audiovisivi:
a) il divario esistente tra la propria sensibilità e convinzioni culturali e i contenuti e le immagini proposte;
b) il conseguente alto non gradimento dell’immagine di donna proposto dai mass media;
c) la fiducia di poter contribuire attraverso la Commissione ad un cambiamento reale.
È emerso con chiarezza che non può non esistere, in una società in cui i mass media svolgono quel ruolo dominante che tutti conoscono, un collegamento tra il tipo di immagini proposte massicciamente e la scarsa rappresentazione a livello pubblico e sociale di cui ancora oggi la donna soffre.
L’attenzione e la vigilanza sui mass media non è, quindi, «un di più» o «un ancora», ma è un ambito che non può e non deve essere trascurato per la sua incidenza inequivocabile nella formazione e riproposizione di modelli culturali nelle società complesse.
Si tratta, infatti, di una ridefinizione asimmetrica: avanzata per la donna e iniziale, anche se finalmente concreta, per gli uomini, che non possono più fare a meno di confrontarsi con la nuova donna emergente. Si stanno, infatti, ridefinendo i termini di un’interdipendenza che delinea una nuova simmetria dei generi.
Interdipendenza già colta significativamente da Margaret Mead quando in Maschio e femmina conclude con un concetto che è bene rileggere oggi per la sua eccezionale attualità e con il quale piace anche a me concludere questo viaggio nelle nuove identità di genere: «Soltanto negando la vita stessa si può negare l’interdipendenza dei sessi. Se ne riconosciamo l’esistenza e la seguiamo nei minimi particolari... possiamo studiare un sistema di vita in un mondo bisessuato che permetta ad ogni sesso di avvantaggiarsi al massimo delle conseguenze di questa duplice presenza».
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