Francesco Vanotti
(NPG 2021-08-48)
Se nel precedente contributo abbiamo focalizzato la nostra attenzione sulla scommessa catechetica, immaginando scenari che potessero dare vita a percorsi di accompagnamento della fede dei preadolescenti, ora desideriamo riflettere sulla cornice di indole più pastorale. A partire dal tempo della preadolescenza, il mondo della catechesi è chiamato ad avviare sinergie di diversa natura con il mondo della pastorale giovanile, dando origine ad uno scambio e reciproco arricchimento. Il fine è di prendersi cura dei ragazzi secondo una prospettiva di tipo olistico. Riprendiamo il nucleo tematico del cambio di sguardo – già affrontato nel primo contributo – per continuare la nostra riflessione.
I preadolescenti come luogo teologico
Consideriamo vero e sfidante per il nostro tema quanto l’Instrumentum laboris in preparazione alla XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi afferma a proposito dei giovani, definendoli come i «sismografi di ogni epoca».[1] Dobbiamo pertanto considerare con serietà il fatto che essi siano realmente una sorta di cassa di risonanza dei tempi odierni e, in tal senso, essi si trasformano in un occhiale speciale attraverso il quale leggerli e interpretare il presente. A ben guardare, il mondo dei giovani, quindi anche dei preadolescenti,[2] può essere definito come uno dei luoghi teologici, cioè un’occasione di svelamento di significati inediti e di nuove sfide: «Spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore».[3] Quello che papa Francesco ha fatto in occasione del Sinodo dei Giovani del 2018 è stato realmente profetico: due fonti su cinque utilizzate per la redazione dell’Instrumentum laboris fanno riferimento diretto ai giovani. Basti pensare al Questionario on line con la partecipazione di più di 200.000 giovani e la Riunione presinodale con la presenza fattiva di 300 giovani e on line di altri 15.000. Nello specifico dell’iter sinodale, l’Instrumentum laboris del 2018 testimonia come la voce dei giovani sia quella maggiormente presente: sono più di cento i richiami alle fonti dirette dei giovani stessi.[4] A conforto della considerazione dei giovani come luogo teologico, diversi anni fa i Vescovi del Brasile così si esprimevano a tal proposito:
«Considerare il giovane come luogo teologico è accogliere la voce di Dio che parla per mezzo suo. […] Il giovane, visto da questa prospettiva, è una realtà teologica che abbiamo bisogno di imparare a svelare. […] Dire che, per la Chiesa, la gioventù è una priorità nella sua missione evangelizzatrice è affermare che si desidera una Chiesa aperta al nuovo, è affermare che amiamo il giovane non solo perché rappresenta una rivitalizzazione per qualsiasi società, ma anche perché in lui amiamo una realtà teologica, nella sua dimensione di mistero inesauribile e di perenne novità».[5]
Affermare che i giovani sono un luogo di rivelazione significa dichiarare che la loro presenza, la loro stessa vita, il contributo che essi possono offrire alla Chiesa rappresentano occasioni attraverso le quali Dio fa conoscere la sua volontà. Dare spazio a questo tipo di riflessione è tuttavia importante: spesso, infatti, non esistono molti spazi e occasioni offerte ai giovani affinché diano il proprio contributo alla società, alla comunità, alla Chiesa. I giovani sono di frequente visti nella loro dimensione di destinatari: della cura da parte degli adulti, certamente, ma anche non valorizzati a sufficienza per le potenzialità in loro presenti. I giovani e, in particolare i preadolescenti e gli adolescenti, corrono il rischio di essere guardati spesso per le loro mancanze piuttosto che per le potenzialità. Riferendoci in modo specifico ai preadolescenti, certamente possiamo affermare come la loro identità sia ancora in fase di costituzione e definizione, dal momento che hanno da poco iniziato un percorso che li porterà a vivere profondi cambiamenti anche attraverso la messa in discussione del “chi sono”.
Resta importante, in particolare in questo tempo della vita, non fermarsi soltanto alle fatiche che facciamo per accompagnare questi ragazzi. Ci possono essere motivi differenti che si nascondono dietro un rifiuto, una paura, un’apparente pigrizia. Appare necessario prendere atto della realtà. La vita di questi ragazzi, nel tempo complesso della preadolescenza e dell’adolescenza, subisce trasformazioni tali da mettere tutto in discussione: amici, relazioni, famiglia, scuola, doveri… e… perché non dovrebbe essere lo stesso per la vita di fede? Forse è tempo che noi cristiani ci rappacifichiamo con questa crisi ed età della vita e trasformiamo finalmente le nostre lamentazioni in benedizioni: benvenuta crisi! Potrebbe essere davvero l’ora di Dio per i nostri ragazzi e il mondo adulto che li osserva. I preadolescenti possono essere realmente un’occasione privilegiata per i cristiani “di tradizione” che non hanno mai messo in discussione la loro fede, non l’hanno mai verificata e neppure riflettuta a fondo.
Se siamo chiamati a immaginare una pastorale giovanile con i giovani e per i giovani[6], questo richiede di assumere l’atteggiamento fondamentale della fiducia e della speranza nei loro confronti. Senza fiducia e speranza non è possibile dare inizio a nessuna esperienza umana e pastorale con e per i giovani, come non è praticabile alcun tipo di accompagnamento.
Una pastorale giovanile generativa
Negli ultimi anni, differenti riflessioni si sono soffermate a definire e caratterizzare una pastorale e una comunità generativa.[7] Ma che cosa significa questo in riferimento ai nostri preadolescenti? Possiamo inquadrare una pastorale giovanile generativa più nell’assunzione di uno stile e di una visione piuttosto che in cose nuove da fare o in strategie da mettere in atto:
«Una “pastorale generativa” non è, quindi, tanto un modello nuovo o un altro tipo di pastorale quanto la proposta di un modo di impegnarsi su un terreno concreto risalendo al principio stesso dell’azione ecclesiale».[8]
Ripensando alle tipicità dei preadolescenti che sono state mostrate nei contributi di A. Ricci e Z. Formella,[9] comprendiamo ancora di più come questa età di mezzo segni l’inizio del bisogno di una pastorale che sia capace di generare realmente. Di fronte alla dinamica di cambiamenti repentini, alla necessità di dare nuovo significato a quegli spazi e a quei tempi che nell’età precedente si davano per scontati, al desiderio di prendere le distanze da quei legami genitoriali e familiari, la comunità adulta è chiamata a porsi l’interrogativo di come essere presenza significativa per questi ragazzi. Se questo appare vero sotto una prospettiva umana di educazione, lo è ancora di più per ciò che riguarda la vita di fede. Anche le ricerche recenti confermano il fatto che preadolescenti e adolescenti sono alla ricerca di relazioni significative e chiedono di essere accompagnati da adulti altrettanto significativi, che siano per loro come padri o madri.[10] Teologi dell’area francese quali Ph. Bacq e C. Theobald affermano come una pastorale generativa sia quella in grado di abitare il vissuto delle persone, che sia ospitale nei confronti delle ferite e dei passaggi di vita, che dia spazio e occasione a Dio di generare persone alla sua stessa vita.[11] In quanto la preadolescenza e l’adolescenza sono transizioni significative all’interno del ciclo vitale delle persone, allora una pastorale che genera può incontrare e incidere positivamente sul vissuto dei ragazzi.[12]
Se una pastorale generativa è capace di generare e abitare i vissuti e le transizioni delle persone, dovrà essere anche capace di fare un passo indietro quando si tratta di dare fiducia ai ragazzi: come accade per un genitore che non solo è chiamato a mettere al mondo un figlio, ma nel tempo dovrà anche essere capace di porsi accanto a lui fino a permettergli di conquistare autonomia e indipendenza. Di grande aiuto è la prospettiva di due studiosi docenti di Sociologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: C. Giaccardi e M. Magatti. Nelle loro riflessioni, rifacendosi alle proposte di Erikson, osservano come la nostra sia un’epoca di stagnazione legata all’incapacità dell’uomo di entrare nella fase adulta, di abbandonare l’adolescenza in favore della maturità.[13] Secondo Giaccardi è necessario riprendere in mano un’antropologia relazionale piuttosto che individuale, al fine di valorizzare una modalità complementare rispetto al criterio del consumo che invade ogni ambito della vita:
«Occorre cominciare a camminare, insieme, in una direzione differente. E comprendere che la stagnazione ha solo un’alternativa: generare. […] Si tratta, entro un’antropologia relazionale piuttosto che individuale, di valorizzare una modalità complementare (non una semplice negazione o sostituzione) rispetto al consumo […] La sfida è bilanciarlo con un altro movimento ugualmente originario, che è stato misconosciuto e svalutato nella cultura contemporanea: il mettere al mondo. Dunque, non solo incorporare ma anche ‘escorporare’, non solo prendere ma anche donare». [14]
Decidersi per la generatività significa mettersi in ascolto di quella tensione naturale che è riconoscibile dentro ciascuno di noi, il conatus; il verbo deponente latino significa sforzarsi, tentare, intraprendere, dare inizio, uscire da sé per aprirsi al mondo. Questo dinamismo è caratterizzato da tre movimenti ugualmente importanti: mettere al mondo, prendersi cura e lasciare andare.[15] Ogni educatore, catechista, adulto a diverso titolo presente nella comunità è chiamato ad assumere questi tre movimenti per dare il proprio contributo ad una pastorale generativa. Se nessun adulto è invitato a chiamarsi fuori da tali processi generativi, dall’altra si avverte la necessità di vivere una reale tensione adottiva nei confronti dei nostri ragazzi. Infatti, l’adozione non è da leggere soltanto secondo la prospettiva sociologica e relazionale, bensì teologico-pastorale: l’adozione è una pratica di tipo ecclesiale che indica attenzione e cura nei confronti di coloro che si trovano nelle periferie esistenziali e territoriali affinché possano crescere e sentirsi qualcuno. Riflettendoci bene, la preadolescenza spesso rischia di essere una periferia di tipo esistenziale. Terminato il compito dell’iniziazione cristiana e celebrati i sacramenti, molte comunità e diocesi tuttora non offrono alcun tipo di percorso o di iniziativa pastorale per questa età della vita, anche per la mancanza del senso di generatività diffusa e di adulti disponibili a vivere secondo una prospettiva di dono. Se da una parte può essere utile e, per certi versi necessario, ricorrere ad operatori specializzati e stipendiati che lavorino nel grande campo della pastorale giovanile, dall’altra non si genera alcun processo se la comunità adulta non viene sensibilizzata e responsabilizzata nella cura ed educazione delle nuove generazioni.[16]
Uno stile sinodale della pastorale con i preadolescenti
La decisione del Papa di indire il Sinodo ordinario del 2022 proprio sul tema della sinodalità e la recente dichiarazione fatta durante l’incontro con l’Ufficio Catechistico Nazionale in merito all’avvio di un Sinodo per la Chiesa italiana,[17] ci fanno comprendere come la sinodalità sia un orizzonte teologico e pastorale carico di significato e che quindi anche la pastorale giovanile «non può che essere sinodale».[18] La domanda che ci possiamo qui rivolgere è di questo tipo: come provare ad incarnare questo stile sinodale con i nostri preadolescenti?
Le domande sono, come sempre, importanti: si tratta di vivere quel passaggio che è avvenuto proprio nel Sinodo dei giovani durante il quale si è transitati dalla domanda “che cosa dobbiamo fare per i giovani?” a “chi siamo chiamati a essere per i giovani?” per arrivare a “come stare con i giovani?”. È avvenuto un vero e proprio ribaltamento della domanda iniziale dalla quale l’Assise sinodale era partita: dalla preoccupazione sul “che cosa” alla priorità dello “stare con”. Certamente questa direzione è da approfondire, nel senso che spesso le nostre riflessioni di natura pastorale e catechetica fanno riferimento al protagonismo dei ragazzi e dei giovani. Si tratta tuttavia di un carattere che chiede di essere immaginato in maniera specifica per ogni età della vita. Se dobbiamo comprendere che cosa significhi questo protagonismo declinato nel mondo della preadolescenza, probabilmente il primo atteggiamento da assumere, in qualità di educatori, è proprio quello di “guardare” questi ragazzi come “altri” rispetto al tempo precedente. Se nel primo contributo avevamo posto uno degli accenti sul bisogno di una certa discontinuità da far sperimentare nel corso della catechesi mistagogica, crediamo che tale caratteristica resti vera e urgente anche nell’atteggiamento che, come educatori e catechisti, mostriamo nei confronti di questi ragazzi. Questo significa che è importante che essi percepiscano che anche nel nostro modo di parlare e di stare con loro ci sia un salto di qualità che faccia percepire un, seppur iniziale, cambio di rotta. La differenza sta proprio nel come stare con loro e non anzitutto nel cosa fare. I documenti del Sinodo riprendono e rilanciano questa dimensione sinodale e tentano di offrire alcuni criteri da incarnare nelle prassi pastorali.
Anzitutto, l’andare insieme ai giovani e consentendo loro «di essere partecipanti attivi del cammino»:[19] con i preadolescenti è possibile avviare brevi spazi e tempi di discernimento comune, inviando loro un chiaro segnale di richiesta di collaborazione nella progettazione e costruzione dei percorsi di fede, cosa che normalmente non avviene nel tempo dell’iniziazione cristiana. Non sarà tempo perso dare spazio per la discussione e l’approvazione di un patto comune che prevede la scelta di tempi, stili e comportamenti condivisi. L’idea è quella di far loro percepire una vera e sentita discontinuità rispetto al tempo precedente, in cui non siamo lì per “fare catechismo” ma per condividere un’esperienza a partire da ciò che ci accomuna.
Un secondo criterio, indissolubilmente legato al precedente, è quello dell’ascolto attivo e del discernimento al fine di «dare risposte adeguate».[20] Anche questo criterio può essere letto nel segno della discontinuità, nel senso che l’ascolto è il passo indispensabile per attivare insieme un processo di discernimento. Si tratta di un ascolto dei ragazzi e dello Spirito, fatto con empatia, cioè con la disponibilità a lasciarsi cambiare da ciò che ci tocca nel profondo. Quando avviene un ascolto reale, accade anche un cambio del proprio punto di vista, una vera conversione del cuore: per questo non è così scontato né ingenuo saper ascoltare! Ascoltare attivamente i nostri preadolescenti può anche richiedere la disponibilità a lasciarsi cambiare le carte in tavola, a lasciarsi provocare e suggerire da loro, senza la preoccupazione di salvare alcuni spazi e tempi. Si tratta di avviare un atteggiamento di co-costruzione, sapendo che dall’incontro con loro tutto può essere messo in discussione se davvero ci rendiamo disponibili a mettere in pratica questo cambio di modello.
Un terzo criterio riguarda la valorizzazione dei carismi dei ragazzi.[21] Probabilmente un preadolescente non avrà ancora chiari quali siano i carismi a lui affidati: si tratta di accompagnare a questa scoperta, prendendo in carico realmente la dimensione vocazionale della pastorale giovanile. Attraverso un ascolto attento e una conoscenza personale dei ragazzi è possibile scoprire, con loro, doni, qualità, insieme alle modalità accessibili a questa età per valorizzarli. Si tratta di un’attenzione da avere, che inizia ora, ma che si svilupperà ulteriormente nel tempo dell’adolescenza e della giovinezza.
Un quarto criterio si traduce nella possibilità di creare legami e stili relazionali che permettono ai ragazzi di sentirsi a casa, nel gruppo e in oratorio.[22] Laddove nascono esperienze di prossimità, di amicizia, di relazioni calde, i nostri ragazzi percepiscono la differenza rispetto ad altri contesti ed esperienze. Certamente se la dimensione cristiana è il primo discrimine che caratterizza le nostre proposte, il secondo discrimine è l’aspetto relazionale: perché, altrimenti, i ragazzi dovrebbero condividere con noi tempi, spazi, iniziative? Per le strutture e le qualità organizzative migliori?
Un ultimo criterio è dato dallo sguardo comunitario[23]: si tratta di trovare un grande equilibrio fra l’attenzione all’interno del proprio gruppo (che spesso, con la preadolescenza, chiede di essere riconfigurato e ricreato) e la sensibilità comunitaria che è necessario avviare già a partire da questo tempo.
Quale oratorio per i preadolescenti?
Il contesto nel quale da sempre collochiamo la pastorale giovanile è quello dell’oratorio che, seppur sembra patire una crisi di identità che sta assumendo contorni sempre più definiti, sopporta segnali di resistenza, di adattamento e conversione, come le ricerche condotte nel XXI secolo dagli oratori delle Diocesi Lombarde (Odl) ci confermano.[24] In particolare, la ricerca sui preadolescenti e oratorio ha cercato di mettere in evidenza la capacità delle parrocchie di parlare alla vita dei ragazzi, a partire dal valorizzare gli oratori come ambienti significativi in cui poter incontrare, coinvolgere e far crescere i preadolescenti. Dall’indagine, è emerso come l’oratorio è da considerarsi ancora come una parte integrante della proposta pastorale delle comunità, come ambiente vitale e popolare, cioè aperto a tutti, a bassa soglia si direbbe, occasione favorevole in cui fare autentica esperienza di fede:
«L’oratorio, dunque, si presenta come una grande occasione per la comunità per crescere nella capacità di parlare a ogni età. “La comunità cristiana che apre l’oratorio ai preadolescenti compie un atto di cura prezioso corrispondendo all’insegnamento del Signore che invita ad accogliere i più piccoli e a porli al centro (Lc 18, 15-17)” ».[25]
È interessante ricordare quanto afferma L. Bressan a proposito della scommessa generativa che può cogliere e rilanciare oggi l’oratorio e la grammatica educativa cristiana.[26] Egli afferma che in un tempo di grande cambiamento la Chiesa guarda ai giovani con stupore e paura a causa delle trasformazioni che li stanno interessando: l’avanzare di nuove età, la contrazione numerica, la multietnicità e la contaminazione fra culture, nuovi linguaggi, nuove dinamiche aggregative… Tuttavia – ed è questo l’aspetto importante e significativo – è bene ricordare come la Chiesa, davanti a tempi di incertezza e del non sapere bene cosa fare, ha sempre cercato di tornare al suo passato fondatore. E deve provare a farlo anche oggi, forte di una lunga tradizione ma tesa verso la ricerca di nuovi significati e di una nuova tessitura.[27] Il lavoro da fare, fra sguardo alla tradizione e ricerca di nuovi scenari, è certamente impegnativo, ma il fine ne giustifica il percorso e la fatica, in quanto c’è di mezzo la qualifica ancora attuale e promettente delle proposte e dei contesti cristiani. Uno fra tutti l’oratorio.[28]
Il contesto dell’oratorio diventa il primo spazio che permette al preadolescente di entrare in contatto con la comunità cristiana al di fuori della dimensione liturgica, vissuta principalmente nell’aula ecclesiale. In oratorio i ragazzi possono fare le prime esperienze di informalità e non formalità, oltre alle occasioni formali (ad esempio, l’esperienza della catechesi) che hanno sperimentato già da tempo. L’oratorio diventa occasione per iniziare a gestire il proprio tempo libero, per imparare a vivere relazioni all’interno di dinamiche già presidiate (ad esempio, momenti di festa, aggregazione, esperienze estive) oppure libere, da imparare a gestire e articolare (la partita di calcio organizzata al momento, le due chiacchiere fra i pari, la richiesta non prevista di un piccolo servizio e impegno da parte di catechisti ed educatori, il silenzio e, in alcuni momenti, la solitudine). L’oratorio, come spazio e tempo offerto, riveste ancora oggi una grande potenzialità educativa, non soltanto grazie alla grande progettualità che è appannaggio di alcune esperienze presenti sul territorio italiano, ma per il solo fatto di esistere. L’oratorio, soprattutto per questa fascia d’età, può rappresentare una chiara ed evidente esperienza di discontinuità, in quanto ai ragazzi viene data in mano la possibilità di iniziare a gestire anche ciò che non è presidiato dagli adulti, anche se l’adulto è ben presente, in qualità di supervisione, a tutto ciò che accade all’interno dell’oratorio. Esso, infatti, si trasforma in una sorta di rito di passaggio in cui i preadolescenti possono iniziare a fare esperienza di piccole autonomie e di gestione di sé.
Tutti quanti abbiamo contezza di come siano generativi quei momenti spontanei e poco strutturati che permettono ai ragazzi di raccontarsi e di aprirsi di più. Se da una parte catechisti, educatori e adulti sono chiamati ad abitare e a cogliere questi momenti di aggregazione spontanea laddove si realizzano (spesso accade di incontrare questi ragazzi al di fuori degli ambienti parrocchiali), dall’altra sembra importante che gli spazi comunitari prevedano libere occasioni di aggregazione nel segno dell’informalità. Avere nell’oratorio un piccolo bar-sala giochi dove i ragazzi possano fermarsi senza dover necessariamente consumare, un cortile dove sia possibile non soltanto giocare a pallone ma siano previste anche panchine, sedie, qualche albero per stare all’ombra, può permettere ai ragazzi di avere un punto di ritrovo tutto loro. L’informalità, inoltre, diventa preziosa proprio per la costruzione del gruppo, perché da lì possono nascere proposte, iniziative, idee che coinvolgono non soltanto “quelli del catechismo” ma anche i ragazzi che non partecipano alla Messa oppure alla vita comunitaria.
I giovani, al Sinodo, hanno chiesto esperienze di silenzio, contemplazione e preghiera. Se è presente una piccola cappella, oppure anche in sua assenza, perché non immaginare di offrire ai nostri ragazzi anche esperienze di silenzio e di preghiera, naturalmente adatte alla loro età? Si tratterebbe di affiancare ai percorsi di catechesi più sistematici anche semplici esperienze di preghiera, di piccole celebrazioni che possono aiutare i nostri ragazzi ad entrare nello spirito di una liturgia comunitaria. In fin dei conti, dobbiamo ricordare che il termine oratorio significa per l’appunto “luogo di preghiera”.
Inoltre, se l’oratorio, secondo la visione di don Bosco, è una casa che accoglie e un cortile per incontrarsi fra amici, pensiamo a quanto bene possa fare ai nostri ragazzi avere uno spazio tutto loro per soddisfare il bisogno di relazione e di incontro che è da sempre insopprimibile. L’ambiente digitale e il nascere di esperienze di completa solitudine ci raccontano di tanti nostri preadolescenti e adolescenti che vivono stati di depressione, dipendenza, cyberbullismo.
Infine, l’oratorio si può caratterizzare per essere un vero laboratorio di esperienze: un luogo di sperimentazione in cui permettere ai ragazzi di esprimere i propri talenti e vivere l’esperienza della santità:
«Penso che l’oratorio del terzo millennio debba essere un laboratorio artigianale per la creazione di nuove forme di santità giovanile adeguate e fedeli al vangelo e alle condizioni di vita odierne. Proprio aiutando i giovani a maturare una santità adatta al nostro tempo potremmo anche noi diventare santi, convinti che «i giovani hanno bisogno di santi che formino altri santi, mostrando così che “la santità è il volto più bello della Chiesa”» (Documento finale, n. 166)».[29]
In tal senso, possiamo chiederci se i nostri oratori sono anche luoghi di sperimentazione e di innovazione che abbiano come finalità la scoperta della santità propria e originale di ciascun ragazzo.
La valenza della pastorale scolastica
Anche l’esperienza scolastica rientra a pieno titolo in quei contesti significativi per la pastorale con i preadolescenti. Troppo spesso, parlando di pastorale scolastica, si fa riferimento soltanto al grande mondo dell’adolescenza e, quindi, delle scuole secondarie di secondo grado, oppure al tempo dell’università. In realtà, a ben pensarci, è tutta la scuola, di ogni ordine e grado, ad offrire l’opportunità di una pastorale scolastica. Infatti, la Chiesa è impegnata in questo ambito che si disvela come strumento educativo strategico e fondamentale per la crescita delle giovani generazioni. In particolare, la scuola è il luogo di apprendimento e di sintesi culturale che non può essere separata né dalla fede né dalla religione. Significativamente, l’IRC rappresenta una risorsa da riconoscere e da valorizzare che aiuta i ragazzi a comprendere come da un lato l’adesione al cristianesimo è frutto di un cammino di fede personale ed esplicita, ma dall’altro come la questione del sacro e della religione non siano dimensioni facoltative dell’umano, ma ne siano parte integrante:
«la scuola e la società si arricchiscono di veri laboratori di cultura e di umanità, nei quali, decifrando l’apporto significativo del cristianesimo, si abilita la persona a scoprire il bene e a crescere nella responsabilità, a ricercare il confronto e a raffinare il senso critico, ad attingere dai doni del passato per meglio comprendere il presente e proiettarsi consapevolmente verso il futuro».[30]
Di conseguenza, l’insegnamento dell’IRC, insieme alla proposta di pastorale scolastica, resta un’ottima possibilità per i preadolescenti per affrontare le questioni riguardanti il senso della vita, della persona, alla luce della Scrittura e della tradizione cristiana, grazie alla presenza e alla guida di insegnanti che possono realmente essere autentici testimoni di un cristianesimo vissuto. In tal senso, si impone come nodo cruciale la scelta degli insegnanti, la cui candidatura e la cui assunzione è affidata agli Uffici diocesani competenti:
«Ora, il segmento scolastico è l’unico punto di iniziazione che ci è rimasto, ed è strategico. In esso il cattolicesimo deve porre i migliori. I ragazzi non lo ammetteranno mai, ma se incontrano un insegnante competente e creativo, attraverso qualsiasi materia scolastica si potrà introdurre il giovane nell’umanità del mondo, persino nello Spirito creatore del mondo. I ragazzi non aspettano altro, anche quelli che giudichiamo molto distanti. Nel segmento scolastico bisognerà inserire i migliori, allenarli affinché diventino professori di scuola e di università. Bisogna rinforzare il segmento scolastico perché è più strategico di quello del divertimento e del tempo libero».[31]
In tal senso, coloro a cui è affidato il compito dell’insegnamento dell’IRC, come di altre discipline scolastiche, risultano figure complementari e significative a quelli di catechisti ed educatori presenti nelle parrocchie e negli oratori. In alcune realtà, è doveroso ammettere che la pastorale scolastica, il cui compito è spesso affidato all’insegnante di IRC, è molto promettente e risulta essere un contesto complementare se non più significativo rispetto a quello oratoriano. Se facciamo riferimento al tempo pandemico, la scuola è stata l’unico luogo che ha permesso di vivere, sia realmente che virtualmente, una relazione con i ragazzi e i giovani.
La pastorale scolastica appare molto promettente in tal senso e la Chiesa locale, attraverso gli organismi preposti al suo coordinamento, può assumere realmente un compito strategico per l’educazione umana e cristiana dei preadolescenti, formando e accompagnando figure professionali che non solo si distinguano per la loro specifica expertise. Infatti, una pastorale scolastica di qualità può essere portata avanti da docenti che siano anche competenti nell’accompagnamento dei ragazzi e dei giovani, in tal senso anche appassionati promotori di iniziative scolastiche ed extrascolastiche in comunione e sinergia con la pastorale giovanile vocazionale e catechistica diocesana.
NOTE
[1] Cfr. Xv Assemblea Generale Ordinaria Del Sinodo Dei Vescovi, Instrumentum laboris (8 maggio 2018), Città del Vaticano, LEV, 2018, n. 51.
[2] Utilizziamo il termine giovani in un senso ampio: infatti, a seconda dei contesti, delle Commissioni, Uffici e progetti di studio il limite inferiore si abbassa fino ai 12 anni e quello superiore si estende fino ai 35 anni.
[3] Cfr. Benedetto, Regola, III, 3; citata da Francesco all’interno della Lettera ai giovani in occasione della presentazione del Documento preparatorio della XV Assemblea generale ordinaria del sinodo dei Vescovi (13 gennaio 2017), in «AAS» CIX, n. 2 (2017), 118.
[4] Cfr. R. Sala, Pastorale giovanile 2. Intorno al fuoco vivo del Sinodo. Educare ancora alla vita buona del Vangelo, Torino, Elledici, 2020, 249.
[5] Cfr. Conferência Nacional Dos Bispos Do Brasil, Evangelização da juventude. Desafios e perspectivas pastorais, São Paulo, Paulinas, 2007, n. 81.
[6] Cfr. Xv Assemblea Generale Ordinaria Del Sinodo Dei Vescovi, Documento finale I giovani, la fede e il discernimento vocazionale (27 ottobre 2018), Città del Vaticano, LEV, 2018, n. 119.
[7] Cfr. M. Semeraro, Il ministero generativo. Per una pastorale delle relazioni, Bologna, EDB, 2016; C. Theobald, Urgenze pastorali. Per una pedagogia della riforma, Bologna, EDB, 2019, 359-368.
[8] Cfr. G. Cavagnari, Andate e fate discepoli tutti i giovani. Verso una pastorale giovanile evangelizzatrice, Torino, Elledici, 2021, 118.
[9] Cfr. A. Ricci, Il preadolescente oggi, in «Note di Pastorale Giovanile» 55 (2021) 2, 10-22; Z. Formella, Accompagnare i preadolescenti nella ricerca di senso e alla trascendenza, in «Note di Pastorale Giovanile» 55 (2021) 2, 30-40.
[10] Cfr. Oratori Diocesi lombarde, Preadolescenti in oratorio. Una sperimentazione educativa attuata in Lombardia, Bergamo, Gli sguardi di ODL, 2011, 38-43; S. Alfieri – E. Marta – P. Bignardi, Adolescenti e relazioni significative. Indagine Generazione Z 2018-2019, Milano, Vita e Pensiero, 2020; A. Pellai, Il diritto in pandemia di essere adolescenti, in «Rivista di Pastorale Liturgica» (marzo 2021), 36-39.
[11] Cfr. Ph. Bacq – C. Theobald (Edd.), Une nouvelle chance pour l’Évangile. Vers une pastorale d’engendrement, Bruxelles – Montreal – Paris, Lumen Vitae – Novalis – Éditions de l’Atelier, 2004; Idem (Edd.), Passeurs d’Évangile, autour d’une pastorale d’engendrement, Bruxelles – Montreal – Paris, Lumen Vitae – Novalis – Éditions de l’Atelier, 2008.
[12] Cfr. A. Augelli, In itinere. Per una pedagogia dell’erranza, Brescia, Pensa Multimedia, 2013.
[13] A tale tematica, i due studiosi hanno dedicato un intero volume: M. Magatti – C. Giaccardi, Generativi di tutto il mondo unitevi!, Manifesto per la società dei liberi, Milano, Feltrinelli, 2014; inoltre: Zoja L., La morte del prossimo, Torino, Einaudi, 2009; G. Cucci, La crisi dell’adulto. La sindrome di Peter Pan, Assisi, Cittadella, 2012.
[14] C. Giaccardi, Essere generativi. Un tema di fondo del magistero di papa Francesco, in «La Rivista del Clero Italiano», 1 (2017), 28.
[15] Cfr. Ibi, 31-33.
[16] Cfr. G. Cavagnari, Andate e fate discepoli tutti i giovani, 127-128.
[17] Cfr. http://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2021/january/documents/papa-francesco_20210130_ufficio-catechistico-cei.html.
[18] Cfr. Francesco, Esortazione apostolica post-sinodale «Christus vivit» ai giovani e a tutto il popolo di Dio (25 marzo 2019), Città del Vaticano, LEV, 2019, n. 206.
[19] Cfr. ibi, n. 246.
[20] Cfr. ibi, nn. 291-296; 246.
[21] Cfr. ibi, n. 206.
[22] Cfr. ibi, n. 217.
[23] Cfr. ibi, n. 199.
[24] Cfr. Oratori Diocesi lombarde, Preadolescenti in oratorio. Una sperimentazione educativa attuata in Lombardia, Bergamo, Gli sguardi di ODL, 2011.
[25] Cfr. ibi, p. 25.
[26] Cfr. L. Bressan, L’oratorio. Il mito fondatore e le sfide del presente, in L. Bressan – P. Carrara, La fede cristiana alla prova dei giovani, Milano, Glossa, 2018, 95-109.
[27] Cfr. P. Carrara, Oratori in cerca di futuro. Alla ricerca di una nuova tessitura, in «La Rivista del Clero italiano» (2021) 5, 370-386.
[28] Uno studio interessante sul futuro dell’oratorio salesiano è contenuto nel volume Conferenza Ispettorie Salesiane d’Italia – Ufficio Parrocchie e oratori (Edd.), Quale oratorio per il terzo millennio?, Torino, Elledici, 2021, in cui si ripercorre lo sviluppo storico dell’oratorio di don Bosco al fine di orientare i passi futuri osservando l’oratorio come luogo di missione che invita i giovani e tutte le comunità educative ad essere missionari.
[29] Cfr. R. Sala, Pastorale giovanile 2. Intorno al fuoco vivo del Sinodo, 540.
[30] Cfr. Conferenza Episcopale Italiana, Orientamenti pastorali dell'Episcopato italiano per il decennio 2010-2020 Educare alla vita buona del Vangelo (4.10.2010), in Enchiridion CEI, vo. 8, EDB Bologna 2011, n. 47.
[31] Cfr. P. Sequeri, La tradizione della fede e il riscatto dell’educazione, in A. Bozzolo – R. Carelli (Edd.), Evangelizzazione e educazione, Roma, LAS, 2011, 461.