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    Prospettive mistagogiche per la catechesi con i preadolescenti: tra il “già” e il “non ancora”


    Francesco Vanotti *

    (NPG 2021-06-36)


    Il tempo della preadolescenza, in particolare, rappresenta il primo momento cruciale per determinare alcune direzioni fondamentali dell’intero arco della vita. È a partire da questa lettura positiva e propositiva che si avvia questa prima parte di studio dedicato al mondo della catechesi con i preadolescenti. Intendiamo offrire alcune suggestioni di natura catechetica che verranno completate in un secondo contributo che tenterà di mettere a tema questioni più di carattere pastorale, sapendo che nessuno dei due poli, quello catechetico e quello teologico-pastorale, risultano separati.
    L’aspetto più interessante e, forse, più promettente dal quale avviare la nostra riflessione sembra quello che sostiene un cambio di prospettiva nei confronti di come il catechista e la comunità guarda al vissuto dei ragazzi, spesso ancora considerato soltanto come una realtà da evangelizzare o come qualcosa da riempire (l’antica metafora del vaso vuoto da colmare, spesso riferita a paradigmi pedagogici non troppo passati di moda, si trasferisce anche nell’ambito catechetico e pastorale). Questo ci pare l’aspetto più urgente da mettere a tema, insieme alla prospettiva suggerita dalla riflessione mistagogica della catechesi come strumento educativo privilegiato da considerarsi non solo come una tappa da valorizzare una volta celebrati i sacramenti, ma anzitutto come uno stile pastorale e catechistico. Da tali suggestioni, emergono, quasi naturalmente, l’indicazione per una pedagogia esperienziale e la proposta di temi generatori come traccia possibile per la progettazione di un itinerario di fede con i preadolescenti insieme ad alcune opzioni di tipo fondamentale attorno alle quali progettare itinerari con i preadolescenti.

    Avviare un cambio di sguardo

    Il tempo che segue la celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana non è da considerarsi una semplice aggiunta, un’appendice di tutto l’itinerario.[1] La realtà dei fatti, spesso, ci dice il contrario: seppur con gli itinerari rinnovati e le varie sperimentazioni sia a livello diocesano che nazionale. Dopo aver celebrato i sacramenti della Confermazione e dell’Eucarestia, i preadolescenti “se ne vanno”, sembra nella stessa percentuale di quanto avveniva con gli itinerari cosiddetti “tradizionali” o, addirittura, in numero maggiore.
    Infatti, un dato che emerge con una certa crudezza dalle verifiche è che il rinnovamento messo in atto non cambia all’apparenza gran che per quanto riguarda i soggetti primi, cioè i ragazzi.[2] La continuità di appartenenza e di pratica sembra essere simile a prima del rinnovamento dei percorsi, se non addirittura inferiore, non essendoci più la Confermazione a “trattenere” i ragazzi fino al penultimo od ultimo anno delle scuole secondarie di primo grado. Risulta ad esempio che i ragazzi, terminato il percorso, disertano l’Eucaristia domenicale, come avveniva con il modello precedente, mentre manifestano una certa disponibilità a partecipare alle altre attività parrocchiali o di oratorio nei contesti in cui sono presenti un buon tessuto relazionale e una proposta di animazione. Nulla di nuovo sotto la luce del sole, si potrebbe dire. La reazione immediata, e giustificabile, è di delusione: occorreva fare tutto questo lavoro per non ottenere nessun risultato? Sono state energie sprecate?[3] Tuttavia, riteniamo che la lettura vada fatta diversamente.
    Che i ragazzi se ne vadano dopo la conclusione dell’Iniziazione cristiana (3 su 4 circa è la media italiana) è in fondo un dato fisiologico. Sono allontanamenti naturali, in qualche modo persino necessari per una interiorizzazione e personalizzazione di quanto si è ricevuto per tradizione. Se dovessimo andare più a fondo, dovremmo dire che, alla base di tutto questo fenomeno di abbandono, c’è anche il dato di fatto che le differenti proposte di catechesi restano chiuse in pedagogie di socializzazione che sono destinate ad essere messe in discussione nel tempo della preadolescenza e adolescenza, rendendo poco fecondi gli attuali dispositivi di Iniziazione cristiana.[4] Definisce molto bene questa situazione, da un punto di vista sociologico, A. Castegnaro:

    «Usciti dal cristianesimo socialmente determinato tutto cambia. L’identità religiosa non viene semplicemente “trasmessa” ma è oggetto di scelta, da parte dell’individuo, il quale usa ciò che eredita dalle tradizioni, nelle quali si trova a vivere quando viene al mondo, come un repertorio di possibilità per la costruzione di sé in senso religioso, e rispetto a cui egli rivendica un diritto di scelta».[5]

    Una presenza da riconoscere

    Questo invito ad un cambio di sguardo non intende essere ingenuo, perché, alla fine, dobbiamo accontentarci di quelli restano, edulcorando il dispiacere per i ragazzi che abbandonano le nostre proposte. Tuttavia, credo sia davvero importante non cedere alla tentazione della sindrome del recinto, che ci porta a considerare soltanto quello che abbiamo sotto controllo, dimenticandoci che il Regno di Dio è molto più vasto delle nostre proposte e che, forse, la finalità ultima non è quella che restino nei nostri ambienti o che ritornino, ma che i preadolescenti vivano una reale esperienza di fede. La mentalità che abita ancora le nostre comunità, educatori e catechisti inclusi, è quella che considera l’orizzonte dell’annuncio come un vuoto da riempire: la vita dei nostri ragazzi viene considerata sempre mancante di qualche cosa e l’annuncio del Vangelo come ciò che può ripianare questo fossato. Facendo nostra la prospettiva del catecheta francese A. Fossion, ci sentiamo di affermare che la vita di ciascuno di noi presenta già tracce di bene e di salvezza, in quanto Dio ci ha già incontrati ed è già all’opera.[6] Riconoscere quel di più di umanità che è già presente nella nostra significa accogliere il fatto che Dio già è presente laddove presumiamo di essere noi i primi ad arrivare, In tal senso accogliamo anche la proposta del catecheta S. Currò secondo il quale è necessario passare dalla prospettiva del “non ancora” a quella del “già”: consideriamo ancora i nostri ragazzi e giovani “bisognosi di” o “mancanti di” piuttosto che già ricchi di doni, risorse, tracce della presenza di Dio. In tale senso, appare imprescindibile riconoscere l’orizzonte vocazionale già insito nella catechesi e nella pastorale giovanile e, ancor prima, nell’esistenza:
    «La catechesi che vi corrisponde, giustamente connessa con la pastorale giovanile, va come transitata dall’orizzonte della ricerca di Dio (orizzonte del non ancora) all’orizzonte del lasciarsi trovare da Lui o del lasciarsi parlare da Lui (che è già venuto ed è già all’opera nella vita di ciascuno)».[7]
    Crediamo che la prospettiva con cui avviare questo reale cambio di sguardo nei confronti dei preadolescenti sia la medesima che è stata sollecitata dall’avvento della pandemia da Coronavirus. In questo tempo pandemico siamo invitati ad uscire da quei polarismi che spesso abitano le nostre riflessioni teologico-pastorali, legate alle separazioni fra praticanti e non praticanti, fra parrocchia e famiglia, fra rito comunitario e rito domestico. Entrare in un’ottica nuova significa accogliere la prospettiva dei segni dei tempi, che non vive di separazioni ma di differenti espressioni capaci di comunicare con grande creatività. In questo tempo si sono presentate a noi altre modalità, altre figure di appartenenza, altre potenzialità di espressione che chiedono di essere comprese e lette nella loro capacità generativa e non esclusiva.[8]
    Questa prospettiva va certamente integrata con le domande di fondo che premono in sacerdoti, catechisti e comunità al fine di rispondere, in maniera significativa, attraverso gli itinerari proposti, alle domande e ai bisogni che abitano la vita dei nostri ragazzi. Desideriamo accogliere la sfida per tentare di riqualificare i nostri percorsi formativi al fine di accompagnare i nostri ragazzi in questo tempo tanto creativo come quello della preadolescenza.[9]

    La riscoperta della dimensione mistagogica

    Una proposta promettente ci sembra quella che tenta di riscoprire lo stile mistagogico della catechesi nel suo significato di esercizio e di esperienza di vita cristiana a partire dai sacramenti ricevuti. Questa scelta sosterrebbe il passaggio da un modello di socializzazione, quello che sta attualmente alla base dei percorsi di iniziazione cristiana, ad uno di evangelizzazione e interiorizzazione, promuovendo un annuncio che abiti la vita dei ragazzi e ne diventi criterio di decisione e scelta. La scelta pedagogica sottostante a tale cambio di modello la si può chiamare della ricerca-azione oppure dell’apprendimento trasformativo (vieni, vedi e proviamoci insieme). Accade spesso che le pedagogie che assumiamo nei percorsi di fede si accontentino di comunicare quello che potremmo chiamare “il libretto delle istruzioni” senza, tuttavia, permettere ai nostri ragazzi di sperimentare e di vedere realizzato, nella loro vita, quanto prima soltanto comunicato.[10]
    In altre parole, l’invito è ad assumere non soltanto il primo significato del termine mistagogia, da intendere come un tempo definito dopo aver celebrato i sacramenti dell’iniziazione cristiana, ma ancor di più quello di dimensione mistagogica con cui rileggere i percorsi, permettendoci di dare concretezza ad una proposta formativa che tenga insieme catechesi-liturgia-testimonianza-comunità. In tal senso diamo supporto a quanto affermano gli Orientamenti per l’annuncio e la catechesi:

    «[…] In tale prospettiva le questioni di metodo non sono secondarie: parlare di «itinerari mistagogici» significa accettare modalità esperienziali, capaci di servirsi di attività di laboratorio, prevedere uscite sul territorio percorrendo distanze sempre più ampie, con l’intervento di esperti e di testimoni; definire la modulazione fra tempi di liturgia e spiritualità, riflessione e approfondimento, assunzione e restituzione creativa. L’adesione alla comunità si configura poi anche come maturazione di adeguate responsabilità e in esperienze di servizio caritativo ed educativo. Un valore straordinario ha, in questa fascia di età, l’accompagnamento spirituale e la proposta della direzione spirituale».[11]

    Accogliere la prospettiva della dimensione mistagogica nella catechesi con i preadolescenti significa, di conseguenza, recepire un paradigma di catechesi di tipo educativo e formativo, che non si accontenti, in maniera ingenua e troppo semplicistica, di trasmettere delle informazioni oppure comunicare dei buoni comportamenti per dire di aver portato a termine il suo compito. È necessario avviare, già a partire da questa età, dei processi di tipo trasformativo, senza lasciare soli i ragazzi, nella logica delle pedagogie esperienziali e cooperative. La stessa esortazione di papa Francesco corrobora quanto appena affermato, soprattutto in relazione alle dinamiche di integrazione delle varie dimensioni legate alla catechesi e della persona, la scelta del modello di apprendimento, del tirocinio, la valorizzazione dei segni liturgici.[12]
    Non ci è possibile qui addentrarci in ulteriori spiegazioni relative al termine mistagogia, alla sua origine ed evoluzione, ma crediamo che queste sottolineature siano sufficienti per fare almeno intuire la traiettoria dei nostri riferimenti.[13] Tentiamo ora di dare maggiore corpo a queste nostre affermazioni.

    La pedagogia dell’esperienza e i temi generatori

    Che cosa significa adottare pedagogie esperienziali nella catechesi con i preadolescenti?
    Alessandra Augelli sostiene che

    «il cammino dell’uomo oggi, progredisce in un modo molto diverso dal passato, non tendendo più ad una meta prestabilita e ben definita, ma facendosi multiforme, flessibile e in ascolto dell’individuale esperienza di ciascuno. Questa metafora dell’erranza porta quindi a scardinare l’idea di educazione come “accumulazione di conoscenze”, ma al contrario come avventura che tende ad abbandonare e sfoltire, rinunciando al superfluo, con lo scopo di individuare e coltivare ciò che è veramente essenziale per la personalità di ciascuno, permettendosi di sbagliare strada, di ripercorrere tratti già esplorati e di rendere il viaggio un evento unico per ogni singolo individuo»[14].

    Appare fondamentale considerare l’esperienza come determinazione dei contenuti da proporre nei percorsi con i preadolescenti e, di conseguenza, decidersi per una pedagogia dell’esperienza significa abbandonare modelli di formazione costruiti soltanto sul presupposto dell’accumulo di conoscenze per accogliere processi e dinamiche che valorizzano l’apprendimento del soggetto e la sua creatività, liberando la catechesi dalle secche di paradigmi riduttivisti e non rispettosi delle dinamiche di crescita dei ragazzi. Avvaloriamo la nostra impostazione anche con la riflessione mistagogica che S. Noceti e P. Sartor hanno elaborato: «La mistagogia tende a trasmettere innanzitutto una vita e non idee; alla scuola della mistagogia, si è più facilitati nel realizzare quella circolarità tra Parola, celebrazione e vita».[15]
    La scelta esperienziale, che noi assumiamo, richiede un percorso esigente che domanda di mettere al primo posto i ragazzi nella loro situazione esistenziale, “così come sono”, i loro mondi vitali, le domande sulla vita e sul senso, al fine di compierne una lettura evangelica e di discernere le esperienze di Grazia nel vissuto umano e intraprendere percorsi di ricerca.[16] Ecco allora la scelta di partire da cosiddetti temi generatori, cioè questioni esistenziali e domande vitali che caratterizzano la vita del preadolescente, ne costituiscono il mondo vitale, e che vanno ricompresi nel grande annuncio del Vangelo.[17] Tali temi generatori non vanno considerati come degli argomenti o, peggio ancora, contenuti da proporre ai ragazzi: vanno accolti, invece, nella logica delle “cornici”, cioè di quelle piste entro le quali si possono rileggere e liberare i loro vissuti. Come tali hanno il compito di generare, cioè di aprire strade nuove, direttrici di senso che non vogliono precostituire e predeterminare un percorso, ma generarlo dal suo interno, superando la pedagogia della trasmissione per accogliere logiche che riconoscono nei vissuti dei preadolescenti già un istinto di fede (sensus fidei).[18] Esempi di questi temi generatori possono essere: l’identità, la personalità, la diversità, la fiducia, la paura.[19] Tale scelta non va letta, come si potrebbe pensare, come un compromesso a cui cedere per rendere la catechesi “più interessante”, bensì per una risignificazione dei contenuti di fede alla luce dei vissuti, affinché non risultino esterni, freddi oppure delle nozioni da imparare. Questa necessità è avvalorata anche dagli studi relativi alla psicologia dello sviluppo, laddove si evince che
    «Nella strutturazione dell’Io in divenire, durante la preadolescenza, si rileva un concetto di sé ancora poco autonomo e in continua costruzione, veicolato dal “fare”, più che trascritto in definizioni astratte o puramente concettuali […]».[20]

    Alcune opzioni fondamentali

    In linea generale, occorre ricordarci che siamo invitati a guardare a questa stagione della vita come ad un kairòs, cioè un tempo significativo, carico di promesse per il futuro e per la costruzione del sé. A questa età, i ragazzi iniziano a configurare un proprio essere nel mondo, che si caratterizza per il tentativo di trovare un bilanciamento fra l’autorità esterna e ciò che essi desiderano, producendo una propria visione originale della realtà e creandosi riferimenti a cui affidarsi. Nell’educazione dei preadolescenti sembra importante tenere in considerazione due coordinate, lo spazio e il tempo, che chiedono di essere risignificate e convertite in spazio e tempo vissuto.[21] In particolare, lo spazio vissuto si identifica, nel nostro caso, con la comunità ecclesiale e tutti quei contesti che entrano a far parte, in maniera significativa, dell’esperienza dei ragazzi, mentre il tempo vissuto è da interpretare con la storia personale di salvezza.[22] Accompagnare i preadolescenti nel fare emergere i significati vitali di queste due coordinate appare un compito imprescindibile, preludio a tutti il futuro percorso. Infatti, ci rendiamo conto di quanto sia importante, in particolare per i preadolescenti, riconoscersi e identificarsi in un luogo ben preciso: la parrocchia, l’oratorio, la piazza, i giardini pubblici, il muretto, ma anche l’appuntamento su un social network per interfacciarsi con altri. La comunità ecclesiale è invitata a trasformarsi in uno spazio vissuto, cioè denso di significati, di attesa, espressi e comunicati alla luce del Vangelo. Così il tempo e la propria vita richiedono di essere letti per quelli che sono, anche loro carichi di eventi, di incontri, di significati da accogliere, leggere e comprendere come una storia personale in cui la Grazia si fa già presente e salva, anche in una discontinuità con il tempo precedente.
    Date queste due ampie coordinate pedagogiche, entriamo ora nel merito di tre opzioni che possono costituire una sorta di ossatura fondamentale per la progettazione di itinerari e proposte.

    Una catechesi kerygmatica
    Dare spazio a questa opzione significa accogliere un modello di catechesi che sia un «approfondimento del kerygma che va facendosi carne sempre più e sempre meglio».[23] Con tale indicazione intendiamo l’urgenza che l’annuncio evangelico risuoni in maniera significativa per la vita dei preadolescenti. Come infatti nel Nuovo Testamento vengono offerte differenti formulazioni del kerygma a seconda dei diversi interlocutori e situazioni di vita, così può accadere per i nostri ragazzi.[24] Accogliere questa logica nella catechesi con i preadolescenti può significare proporre un annuncio che realmente incontra il vissuto e le domande di senso dei preadolescenti, gli iniziali cambiamenti in atto, e, proprio per questo, essere eco significativo e interrogante per questa età.[25]

    Il valore della discontinuità
    A partire dalla preadolescenza si apre un tempo nuovo, in cui si rimettono in discussione i vissuti precedenti che richiedono di essere risignificati. Se occorre ricercare la continuità nella definizione del gruppo, delle dimensioni che riguardano i contenuti, nella relazione educativa e nelle pratiche formative, dall’altra, appare necessario accogliere il segno della discontinuità. Poiché l’azione catechistica è di tipo comunicativo-educativo, essa è chiamata ad adattarsi alle mutate capacità cognitive e psico-affettivo-corporee dei ragazzi.[26]

    Riscoprire la dinamica sacramentale
    Una grande questione aperta riguarda il significato a cui i sacramenti rimandano e realizzano all’interno dei nostri vissuti. I sacramenti che celebriamo fanno fatica ad agganciarsi al mondo dei significati che condividiamo oggi e, per questo, ci risultano lontani.[27] Porsi questo problema importa tentare nuove possibilità per recuperare quell’aggancio simbolico che permetta di rendere nuovamente visibile questo legame e di vivere un incontro reale con il Dio di Gesù Cristo. Accogliere la dinamica sacramentale può volere dire, per i nostri preadolescenti, provare a riattivare, a partire da esperienze antropologiche (dono di sé, passaggi di vita, compassione, condivisione della sofferenza…), la dinamica sacramentale, per riscoprire la presenza di Dio nella storia. Due potrebbero essere i guadagni di tale scelta: riguadagnare il primato di una fede incarnata e riscoprire i sacramenti come esperienza di Dio.[28]

    * Francesco Vanotti, presbitero della diocesi di Como, è direttore dell’Ufficio per la Catechesi della sua diocesi e Delegato regionale per la Lombardia. Ha conseguito il Dottorato in Teologia con specializzazione in Pastorale giovanile e Catechetica presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma ed è membro del Consiglio di redazione della rivista Catechesi. Nuova Serie e del Comitato scientifico del Centro di Pedagogia religiosa G. Cravotta di Messina. È diplomato alla scuola triennale di scrittura autobiografica e biografica presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, diretta da Duccio Demetrio ed è membro della Consulta dell’Ufficio catechistico nazionale. Collabora con alcune riviste per catechisti ed educatori e si occupa di formazione.


    NOTE

    [1] Cfr. Cei, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, 29 giugno 2014, n. 62.
    [2] Cfr. Cisf, Vivere i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Prassi e proposte pastorali nella Diocesi di Brescia. Commento ai dati, settembre 2015.
    [3] Una lettura interessante a proposito dei laboratori pastorali messi in atto negli ultimi anni è data da L. Bressan, La fatica di discernere oggi nella pastorale, in «La Rivista del Clero Italiano» 102 (2021) 1, 7-22: «Non si tratta di vivere i tanti laboratori attivati in questi decenni come luoghi di cosmesi, in cui rifare il trucco – restando alla superficie – di realtà e pratiche che non vengono interrogate e ridette nella loro sostanza e nella intenzione che le ha generate. I laboratori sono il luogo in cui aprire delle operazioni di scavo in profondità, per arrivare a rileggere e a riscrivere l’esperienza di fede cristiana, l’esperienza ecclesiale nella sua intenzione di fondo: essere il luogo in cui le persone vivono un incontro reale con il Dio di Gesù Cristo, e lasciano che questo incontro trasfiguri la loro storia e la storia di tutti», 19.
    [4] Cfr. F. Feliziani Kannheiser – L. Meddi, La catechesi, in A.a. V.v., Alle radici della comunità cristiana. Liturgia, catechesi, carità per vivere insieme, Reggio Emilia, Edizioni san Lorenzo, 2020, 57.
    [5] Cfr. A. Castegnaro, Giovani di fronte alla fede: tra il pellegrino e il convertito, in «CredereOggi», 188(2012), 2, 19.
    [6] Cfr. A. Fossion, Dieu désirable. Proposition de la foi et initiation, Novalis-Lumen Vitae, Montréal-Bruelles, 2010, 31-32.
    [7] Cfr. S. Currò, Percorsi di teologia pratica sulla conversione pastorale, Torino, Elledici, 2021, 194.
    [8] Cfr. C. Theobald, Urgenze pastorali. Per una pedagogia della riforma, Bologna, EDB, 2019, 28-29; I. Seghedoni, Una Chiesa che non cerca tra i morti, in D. Olivero (Ed.), Non è una parentesi. Una rete di complici per assetati di novità, Cantalupa (To), Effatà, 2020, 145.
    [9] Cfr. A. Ricci, Il preadolescente oggi, in «Note di Pastorale Giovanile» 55 (2021) 2, 13: ci sembra interessante la descrizione di preadolescenza che A. Ricci propone come “Un’età a più velocità”.
    [10] Cfr. L. Meddi, Il catecumenato crismale. Risorsa per la pastorale degli adolescenti, Torino, Elledici, 2019.
    [11] Cfr. Cei, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, 2014, n. 62.
    [12] Cfr. Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n. 66. Tale prospettiva è avvalorata anche da quanto A. Ricci afferma a proposito della risperimentazione, ponendo l’attenzione sul fatto che il preadolescente sente il bisogno di verificarsi sugli apprendimenti pregressi.
    [13] Cfr. Diocesi di Como, Vivi ciò che sei. Itinerari mistagogici con i preadolescenti, Como, Centro Socio Pastorale Card. Ferrari, 2019, 13-18; F. Cacucci, La mistagogia. Una scelta pastorale, Bologna, EDB, 2006; T. Castiglioni, Che cos’è la mistagogia, in «La Scuola Cattolica» 138 (2010) 4, 597-624; L. Meddi, Il catecumenato crismale. Risorsa per la pastorale degli adolescenti, Torino, Elledici, 2014, 35-38.
    [14] Cfr. A. Augelli, In itinere. Per una pedagogia dell’erranza, Brescia, Pensa Multimedia, 2013, 200.
    [15] Cfr. S. Noceti – F. Margheri – P. Sartor, Mistagogia. Vivere da cristiani nella comunità, Bologna, Dehoniane, 2015, 39.
    [16] Cfr. Tale scelta di una pedagogia di tipo esperienziale rientra anche fra le qualità dell’accompagnamento individuate da Z. Formella in «Note di Pastorale Giovanile» 55 (2021) 2, 32-33.
    [17] Con tale espressione intendiamo quanto viene affermato nell’esortazione apostolica di papa Francesco Christus Vivit: «un Dio che è amore» (112-117); «Cristo ti salva» (118-123); «Egli vive» (124-129); «lo Spirito dà vita» (130-133). Tale annuncio del Vangelo riprende e approfondisce il termine kerygma utilizzato dal Pontefice in Evangelii Gaudium 164.
    [18] Cfr. Commissione teologica internazionale, Il sensus fidei nella vita della Chiesa, tr. italiana a cura di «Il Regno. Documenti» 59 (2014) 19, 49, dove si dice: «Lo [il sensus fidei] si paragona a un istinto perché non è in primo luogo il risultato di una deliberazione razionale, ma prende piuttosto la forma di una conoscenza spontanea e naturale, una sorta di percezione (aisthêsis)».
    [19] Cfr. S. Soreca – P. Sartor, Nella terra di nessuno. Per una mistagogia con i ragazzi, Bologna, EDB, 2017, 137-138.
    [20] Cfr. A. Ricci, Il preadolescente oggi, 22.
    [21] Cfr. A. Arioli, Questa adolescenza ti sarà utile. La ricerca di senso come risorsa per la vita, Milano, FrancoAngeli, 2016, 34-57.
    [22] Cfr. S. Soreca – P. Sartor, Nella terra di nessuno, 27-36.
    [23] Cfr. Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 165.
    [24] Cfr. Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, Direttorio per la Catechesi, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2020, n. 58.
    [25] Cfr. ibi, n. 247.
    [26] Cfr. A. Ricci, Il preadolescente oggi, 16-22.
    [27] Cfr. M. Salvioli, La Chiesa generatrice di legami. Una risposta ecclesiologica ai limiti dell’individualismo liberale, Milano, Vita e Pensiero, 2019.
    [28] Cfr. L. Bressan, La fatica di discernere oggi nella pastorale, 19-20.

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