Un mutamento in atto…
Claudia Caneva
(NPG 2021-02-68)
Ci sono momenti in cui percepisci con chiarezza che qualcosa sta cambiando, che stai per assistere all’avvento del nuovo…
il passaggio da un genere minore a un’arte vera e propria dotata di un linguaggio che la distingue da tutti i modelli che prima imitava […].[1]
Da tempo ormai le serie TV rappresentano una vera e propria rivoluzione culturale che ha dato origine a una nuova forma di produzione, a un «linguaggio inedito», originale, che sembrerebbe capace di affrontare temi molto spinosi con più libertà e disinvoltura, di dare forma televisiva al male e alle molteplici figure di antieroi, di mettere in scena il sesso, la violenza, i temi etici e morali estendendo, in modo inedito rispetto al passato, gli spazi di visibilità e con una concreta capacità di inserirsi al centro delle sfide della contemporaneità. Si parla, inoltre, di forme di rispecchiamento tra spettatore e personaggi, di connessione e mescolamento tra realtà e finzione, di connessione tra la narrazione e il mondo sociale, politico, culturale: sembra che le serie TV siano, oggi, una delle forme d’arte che più profondamente incide “nella nostra natura” di esseri umani. Ed è per questo che, da diversi anni, importanti produttori e registi lavorano alle serie: da David Lynch a Steven Spielberg, David Fincher, Ridley Scott, J.J. Abrams, Steven Soderbergh…
La domanda, allora, nasce spontanea: dobbiamo davvero rassegnarci all’idea secondo la quale ormai difficilmente un ragazzo «si accosterà ancora» alla grande narrativa ottocentesca o novecentesca (si cita Cesare Pavese) o «affidi» le sue pene d’amore a Stendhal, James, Conrad o Kafka, mentre saprà tutto di The O.C., Gossip Girl, di Dawson’s Creek, di Breaking Bad, Le regole del delitto perfetto, Il trono di spade, House of cards… e che la crescita degli adolescenti di tutto il mondo si realizzi ora sui teen drama e sui telefilm di formazione?[2]
Una volta compresa la rivoluzione anche dal punto di vista della stessa struttura drammaturgica, come porsi di fronte al messaggio, al “tema” che queste nuove modalità narrative propongono?[3]
Un dato è certo: non possiamo non cogliere la loro sfida, e questo perché se è vero che il vissuto è sempre più espropriato di contenuti esperienziali, le serie TV sembrano essere diventate il veicolo privilegiato dalle giovani generazioni per attingere ad una sorta di banca del senso, un deposito simbolico a disposizione attraverso il quale l’io si moltiplica seguendo piste di rappresentazioni differenziate e molteplici.
Sarà, allora, necessario addentrarci nella caverna interiore di questi scenari dove la violenza spesso è estrema e senza veli, la sessualità ridotta a genitalità senza mistero, in una interminabile discesa in scenari apocalittici, tra ombre e rari chiarori, tra respiri affannosi, grida, mormorii, echi… dobbiamo davvero andare al mondo del congiuntivo, dei mostri, dei demoni e dei clown della crudeltà per comprendere il nostro contesto culturale contemporaneo?[4] La risposta è inevitabilmente… sì.
Eccoli, afferma Edgar Morin, «ectoplasmi immagazzinati, corpi astrali che si nutrono delle nostre persone, archivi d’anima… Bisognerà tentare di interrogarli - vale a dire reintegrare l’immaginario nella realtà dell’uomo».[5]
Sarà proprio l’immaginario, infatti, il campo della produzione fantastica che pone in relazione il presente con l’assente, il qui e l’altrove, ad aprire a mondi possibili, a diventare il luogo privilegiato dell’espressione di desideri e bisogni che il linguaggio “dei concetti” non riesce a comprendere ed esprimere. E saranno proprio i sentieri dell’immaginario a offrirci chiavi di lettura per decodificare le dinamiche del nostro complesso mondo contemporaneo.
A questo proposito, sembra che le serie ci stiano “preparando a vivere e a sopravvivere” e ci sfidino all'idea che l'umano non sia più una categoria universale, seppur siamo ancora immersi nell’era geologica dell’antropocene: irruzione di forze oscure e demoniache, extraterrestri, animali, virus, insetti, piante giganti che prendono vita e volteggiano minacciosi nei cieli per distruggere la razza umana… ma che allo stesso tempo pongono implicitamente la domanda “che cosa allora dell'umanità è ancora umano?”, l'umano è da considerare semplicemente una convenzione o ha una sua specifica e unica forza di orientamento?
In tutto ciò diventa inevitabile lo sforzo a una ridefinizione e ri-attualizzazione di alcuni concetti fondamentali come quelli di “realtà/verità”, “corpo”, ed “esperienza”.
Si pensi, per esempio, alla stessa possibilità oggi di “fare esperienza” che deve tenere conto di categorie di spazio, tempo e corpo che si estendono sempre più nel virtuale, nell’irreale, operando una profonda e radicale trasformazione antropologica e coinvolgendo irreversibilmente le relazioni dell’uomo con se stesso, gli altri e il mondo.
Spesso alle serie viene attribuito un ruolo catartico, di risposta a specifici bisogni dell’uomo contemporaneo, e a questo proposito Matthew Weiner, show runner di Mad men afferma: «A volte il pubblico vuole uno specchio in cui riflettersi, altre volte vuole solo fuggire. Spero che la serie offra la possibilità di sfuggire ai problemi quotidiani, ma che aiuti a sentirsi anche meno soli vedendo rappresentata la propria vita».[6]
C’è bisogno più che mai di evasione, che è poi lo scopo dell’intrattenimento. Leggere, guardare un film o seguire una serie TV sono tutti modi per evadere temporaneamente dalla realtà. Per dimenticare anche solo per un momento le nostre preoccupazioni, per combattere l’angoscia di quella vita quotidiana che ogni giorno ci mette alla prova. Cosa c’è di meglio, allora per alzare la posta in gioco con una storia in cui i protagonisti sono messi alla prova da ostacoli apparentemente insormontabili? Sopravvivere in un mondo dominato dai morti e non solo in senso figurato. La ragione del successo dell’horror e dell’ostilità della critica è per chi non ne riconosce il sottotesto e il valore simbolico, nel bisogno di sconfiggere la morte o meglio di illudersi di poterlo fare anche quando ci insegue con il volto dei nostri cari. [7]
Ma quale catarsi può realizzarsi difronte ai nuovi modelli antropologici proposti?
Dall’homo prometeico all’Io minimo narciso e dionisiaco, all’homo creator con la frammentazione di qualsiasi orizzonte normo-valoriale dove sono coinvolte, in modo particolare, le relazioni e l’immagine della famiglia, le domande sono molte, ma una in particolare attira di più la nostra attenzione: ci si chiede infatti come mai in queste narrazioni l’eroe tragico non cerca mai redenzione, come si afferma nella serie Walking dead. Perché il non ho altra scelta si macchia spesso delle peggiori abiezioni? perché il grande trionfo degli antieroi? Vince Calligan, show runner di Breaking Bad ha spiegato che l’attuale successo degli antieroi potrebbe essere una questione del momento, i gusti sono ciclici: per molti decenni i cattivi in TV dovevano sempre essere puniti e i buoni erano coraggiosi, sinceri e, soprattutto, senza conflitti interiori. Ma questo non è reale, questo non può rappresentare la verità. Tutti gli uomini hanno un lato cupo e nascosto. Queste sono le regole del gioco… e del mercato. Ma ora, egli afferma, il pubblico è pronto a seguirti[8] anche sulla strada del male. La logica è: se devi essere uno storpio è meglio uno storpio ricco e potente, secondo le parole di Tyrion Lannister, personaggio della serie Tv Trono di Spade. In realtà, sembra, piuttosto, che i protagonisti di queste serie non siano tanto gli zombie o gli antieroi… quanto gli spettatori stessi, costretti a confrontarsi con la parte più oscura della loro anima.
Inoltre, la serialità aperta sembra rispecchiare quella caratteristica della narrazione del frammento inaugurata alla fine del XIX secolo e ripresa nell’epoca del post umano. Essa sembrerebbe, infatti, esprimere un particolare stato d’animo dell’uomo contemporaneo: la determinazione a sostituire a un modello di narrazione organico un modello rapsodico caratterizzato da una struttura aperta, volutamente dissipativa, che rispecchia la voglia di frammentare, di sconnettere, di ritagliare, il desiderio iconoclasta di abbattere i miti delle sequenze compiute dell’opera chiusa proiettandosi verso un futuro nomade, eticamente incerto, ma affascinante perché tutto da reiventare.
C’è, inoltre, da non tralasciare che esse sono pur sempre un prodotto “dell’industria” e si muovono sul mercato, e ci può essere una fabbrica dei sogni[9] in senso corrotto e una in senso trasparente. Siamo nell’epoca dei surrogati, in una società del controllo e del dispotismo e a volte le serie possono diventare una fabbrica di veleni mostrando l’aurora come notte e Moloch come amico dei bambini e della gente. Ma c’è anche una buona fabbrica dei sogni, una macchina da presa che regala sogni criticamente infiammanti, progressisti secondo un pianificante umanesimo.
In questo senso interpretare il messaggio delle serie TV sarà una sfida che ha come scopo non la censura moralistica, ma la capacità critica di comprendere e interloquire con l’estetica di questi spazi emozionali tanto amati dai giovani, e non solo. Lo “sguardo”, allora, dovrebbe essere quello dell’incontro con questo nuovo genere narrativo e dello sforzo alacre e intensissimo dell’ascolto: individuare il tema, che è la vision dell’autore, significherà prestare una particolare attenzione alle “pro-vocazioni” contenute, tenendo conto che a volte nella manifestazione più violenta c’è l’intenzione di una rivelazione più profonda e che pur se a volte ai limiti del sopportabile esse sollecitano comunque a una riconsiderazione della dimensione veritativa dell’immaginario, come luogo custode di quegli aneliti, sogni, paure angosce considerate illegali dall’arido razionalismo scientista.
Ecco allora, che la nostra proposta di interpretazione consiste nella parola stessa “pro-vocazione”: al di là, infatti, delle violente immagini a cui ci sottopongono trapela un desiderio tutto umano, di ritrovare l’umano.
Un esempio di lettura Falling Skies (5 stagioni - 52 episodi 2011-2015)
La terra è stata invasa dagli alieni, c'è una guerra in atto. Il conflitto sembra perdente per i reduci terrestri, ma “qualcosa” impedisce agli esseri umani di consegnarsi inermi all’invasore. Cochise, capo degli alieni ribelli individua nello spirito umano quella forza spirituale che supera anche le tecnologie più avanzate e prova nei suoi confronti ammirazione e stupore. La speranza è una delle virtù più singolari dell'essere umano e la forza dell'amore si incarna nella figura di Tom Mason, un padre vedovo, nei confronti dei suoi tre figli maschi. Il padre come fonte di speranza. Nonostante tutte le difficoltà, infatti, Tom continua a esercitare il suo ruolo educativo ed affettivo con autorevolezza e amore. Il legame padre-figlio è così forte che riesce a salvare il figlio, ma anche altri ragazzi, dai parassiti tecnologici con i quali gli alieni controllano le azioni degli umani. L’umanità è rappresentata nelle sue fragilità, la tendenza alla violenza e alla sopraffazione, ma ci sembra di udire un grido sommerso: si cerca di dare cittadinanza, per non rimanerne sconvolti, alle paure, alle ansie di un futuro sempre più minaccioso. Il contesto storico culturale americano ha appena assistito al crollo di una certezza: l’inattaccabilità (caduta delle Torri gemelle) e la drammaturgia sembra abbia bisogno di un totale azzeramento del passato per poter tentare di trovare delle risposte. Si deve perdere tutto per tornare a chiedersi chi è l’uomo e riconquistare le antiche certezze.
NOTE
[1] C. Freccero, Prefazione, in A. Sepinwall, Telerivoluzione. Da Twin Peaks a Breaking Bad, come le serie americane hanno cambiato per sempre la Tv e le forme di narrazione, BUR, Milano 2014, 7-8.
[2] Cfr. A. Grasso – C. Penati, La nuova fabbrica di sogni. Miti e riti delle serie Tv americane, Il Saggiatore, Milano 2016, 20.
[3] Cfr. A. Caneva, La struttura drammaturgica delle serie Tv in “Note di Pastorale giovanile” 1/2021, pp. 62-65.
[4] Cfr. A. Caneva, C. Caneva, C. Costa, F. Orlando, L’immaginario contemporaneo. La grande pro-vocazione delle serie Tv, Mimesis, Milano 2018.
[5] E. Morin, Le cinéma ou l’homme imaginaire. Essai d’anthropologie sociologique, trad. it. G. Esposito (ed.), Il cinema o l’uomo immaginario, Raffaello Cortina, Milano 2016, 212.
[6] E. Morin, Le cinéma ou l’homme imaginaire, 98.
[7] C. Poli, C’è solo un leader. Anatomia della serie Tv Walking Dead, Saldapress, Reggio Emilio 2015, 9.
[8] E. Morin, Le cinéma ou l’homme imaginaire, 169-170.
[9] Il primo a parlare di “fabbrica dei sogni” fu Il’ja Grigor’evič Ehrenburg negli anni venti, espressione riferita al cinema di Hollywood e alla sua “corrotta luce di splendore”.