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    Oratori e territori


    Ricerca qualitativa sui mutamenti delle realtà oratoriane nei territori milanesi nella contemporaneità

    Francesca Cattoni e Stefania Giacalone * - Chiara Passerini *



    1. TEMA, OBIETTIVI, METODOLOGIA

    All'interno dell’orizzonte di senso della pedagogia sociale, che innanzitutto è «sapere inerente il rapporto tra educazione e società»[1], il primo obiettivo della ricerca è di indagare come i mutamenti che stanno caratterizzando la contemporaneità trovino manifestazione anche all’interno dell’ecosistema oratoriano, nella sua identità, nell'azione quotidiana che lo contraddistingue, nel suo ruolo educativo.
    A partire dalla consapevolezza che tali dinamiche macro trovano una concretizzazione locale nei peculiari territori (luoghi entro i quali si dispiegano le relazioni di chi abita l’oratorio, di chi vi gravita intorno, di chi non lo frequenta ma ci abita semplicemente accanto, di chi vi lavora o vi svolge volontariato o servizio civile, di chi vi gioca, ecc.), ci si è posti le seguenti domande:
    - Come dialogano, in senso bidirezionale, oratori e territori di appartenenza?
    - Quali forme acquisisce la contemporaneità nel dialogo tra oratori e territori?
    - Come e in che direzione è mutato il ruolo educativo che gli oratori svolgono nei territori?
    Tali quesiti sono stati anzitutto stimoli orientativi, per individuare continuità e discontinuità trasversali ai singoli oratori locali, oltre i “casi particolari”, senza tuttavia dimenticare le differenze territoriali (centro, periferia e hinterland milanese).
    Abbiamo cercato di interrogare questi temi della contemporaneità, caratterizzata da complessità e liquidità[2], con il desiderio di aprire riflessioni possibili, a partire da uno sguardo laico, come quello della ricerca pedagogica.
    Il gruppo di ricerca è nato dalla collaborazione (che possiamo veramente definire "virtuosa") tra un'istituzione universitaria e una realtà diocesana[3].
    Esso ha previsto il coinvolgimento e la partecipazione volontaria di studentesse di Scienze dell’Educazione, tra le quali alcune avevano avuto esperienza in oratorio, e che proprio da questa esperienza hanno maturato la scelta di tale lavoro di ricerca in un campo educativo specifico. Hanno potuto così, in tale contesto di ricerca, "tornare in oratorio" con sguardo curioso, interrogante, e attento alle dinamiche educative, anche informali, che in esso hanno vita.
    La prima fase della ricerca si è concentrata sul consolidamento del gruppo di ricerca e sullo studio della storia degli oratori e di alcune questioni che caratterizzano la società contemporanea. Successivamente l’avvio della ricerca sul campo – l'analisi concreta del rapporto tra oratori e territori - è avvenuto attraverso l’utilizzo di tre principali strumenti.
    Anzitutto l’osservazione etnografica dei territori che si intendeva analizzare (Milano centro, Milano periferia urbana, Milano hinterland), con visita in loco e con particolare attenzione a quegli elementi (edifici, abitanti, luoghi, etc.) che "tengono traccia" anche dei cambiamenti storici e sociali avvenuti in essi, o che semplicemente li caratterizzano.
    Gli altri due strumenti utilizzati hanno riguardato il coinvolgimento diretto di partecipanti, a vario titolo, alla vita di oratorio, tramite interviste (semi-strutturate, qualitative e non direttive)[4], e focus group. Nello specifico, ci si è rivolti a diverse figure, con specifici ruoli (preti, catechisti/e, educatori ed educatrici professionali e volontari/e, animatori e animatrici, ecc.), per cogliere la diversità dello sguardo su un ambiente unico. Sono, queste diverse figure, testimoni privilegiati (che hanno perlopiù una "visione d'insieme" per via del loro ruolo apicale), o testimoni semplici, ovvero persone che vivono in modo concreto la realtà specifica e che con la loro diretta esperienza possono offrire un peculiare contributo.
    Si è cercato di avere una speciale attenzione al genere delle persone coinvolte, per cogliere specificità di visione anche attraverso questo elemento, ma alla fine quello femminile ha prevalso, sia per la presenza maggiormente al femminile di alcuni ruoli specifici (es. catechiste, animatrici dei bambini...), sia per i nominativi dei contatti ricevuti dai "don", responsabili dell'oratorio.
    In un’ottica di ricerca con le persone e non sulle persone, gli oratori con i quali siamo entrati in contatto sono stati coinvolti in maniera diretta ed estremamente partecipativa. In una prima fase, i preti responsabili dell’oratorio sono stati contattati per una prima introduzione e presentazione del progetto di ricerca. Successivamente, sono state svolte alcune interviste semi-strutturate, coinvolgendo in tutto quindici “abitanti abituali” con diversi ruoli e compiti oratoriani. I preti degli oratori intervistati sono stati inoltre partecipi di un focus group per approfondire alcuni temi emersi dalle interviste attraverso il dialogo e il confronto diretto e con la possibilità (per il gruppo di ricerca) di co-costruire una riflessione insieme a quelli che a tutti gli effetti, ancora oggi, nonostante la loro diminuzione in termini di presenza, risultano i responsabili, figure centrali per la vita dell’oratorio. Un secondo "focus group" è stato proposto anche ad alcuni rappresentanti del Tavolo Enti Cooperative (TEC), anch’esse realtà interessate agli oratori, che pensano e progettano (a vario titolo) interventi al loro interno. I partecipanti alla ricerca, infine, sono stati invitati ad un incontro di restituzione durante il quale sono state esposte le criticità e le potenzialità emerse dalla ricerca e le domande e le questioni che sono nate dall’analisi dei dati.

     

    2. ANALISI DEI DATI: TENSIONI EMERSE

    Dall’analisi approfondita delle interviste e dei focus group non sono state trovate risposte o “leggi” che tengono insieme i tre vertici “oratorio”, “territorio” – in particolare Milano centro, Milano periferia e Milano hinterland – e “società contemporanea”. Ciò che è emerso, piuttosto, sono alcune tensioni che scaturiscono dall’intreccio di queste tre componenti. All’interno di queste tensioni, gli oratori specifici si collocano in un punto (mai definito una volta per tutte e costantemente provvisorio) del continuum che separa le polarità. Le diversità che sono emerse, dunque, non sono riconducibili a “meriti” o a “difetti”: non si può affermare – e non avrebbe nemmeno senso farlo – che una realtà oratoriana sia meglio o peggio di altre, e non è possibile individuare il profilo dell’oratorio perfetto. Ciò deriva dal fatto che sono i territori stessi e il momento storico sociale in cui ci troviamo ad accompagnare e strutturare all’interno degli oratori – che possono avere in sé risorse, in termini umani e non-umani, materiali e immateriali, molto differenti – domande, risposte e determinate modalità di azione alle sfide contemporanee.
    In particolare, sono state individuate quattro tensioni principali, che verranno di seguito argomentate.

    Identità cristiana o servizio educativo che risponde ai bisogni?

    Una tensione[5] che è sembrata emergere riguarda l’intima questione dell’identità dell’oratorio stesso. Da una parte c’è un tratto identitario legato alla storia di formazione cristiana e all’evangelizzazione, che gli oratori sembrano “abituati” a trasmettere attraverso modalità e modelli relazionali ben definiti e tradizionalmente fondati, come ad esempio la valorizzazione delle relazioni vis-à-vis e la proposta di momenti di catechesi. Dall'altra parte c’è, invece, un tratto altrettanto identitario legato all’attenzione verso i giovani e gli adolescenti ritenuti più “fragili” del territorio in cui la realtà oratoriana si radica. In particolare, oggi, il territorio della contemporaneità porta in evidenza nuovi bisogni: se l’oratorio si apre alle nuove e conseguenti sfide in maniera incondizionata (ovvero indipendentemente e dalla tipologia di tali bisogni e dai soggetti nei confronti dei quali potrebbe non avere risposte), esso potrebbe correre il rischio di diventare un servizio socio-educativo tout-court, con il conseguente pericolo di “annacquare” l’identità cristiana e di formazione evangelica sopra esposta. Riprendendo queste due tensioni, peculiari ed estremamente interessanti risultano le parole di un prete, che legge in questi termini la situazione odierna sopra esplicata:

    Una questione […] di fondo come sfida per l’oratorio […] è: da una parte, una bella capacità di aggregazione; [dall’altra] la sfida dell’identità di oratorio, è quella di offrire percorsi di fede; che è offrire un’esperienza di qualcosa che ci parla di Gesù, di gente che ha avuto a che fare con Gesù. E come questi due pezzi stiano insieme, per me è abbastanza misterioso [ride].[6]

    Questa prima tensione, dunque, risulta particolarmente sfidante, in quanto l’oratorio corre il rischio – ovunque si posizioni all’interno di questo continuum – di perdere un “pezzo” della propria identità. Se sceglie di rinunciare ad aprirsi alle sfide della contemporaneità, per dedicarsi totalmente alla formazione cristiana, abbandona l’attenzione che l’ha caratterizzato nei secoli come sollecito ascoltatore dei bisogni – sempre in continuo mutamento – della comunità territoriale in cui si trova. Al contrario, se sceglie di concentrarsi esclusivamente a rispondere ai bisogni – spesso molto complessi e stratificati – portati dalla società contemporanea (che è passata dall’assetto di stabilità data da fondamenti economici, istituzionali, politici, culturali ed educativi solidi della modernità all’attuale forma di società con tratti di liquidità e fluidità[7]) può rischiare di perdere la possibilità di proporre alle giovani generazioni una formazione cristiana.

    Apertura ai bisogni della contemporaneità: adulti e appartenenza o protagonismo giovanile?

    Collegata al tema dell’apertura ai bisogni della contemporaneità, emerge la questione degli adulti e delle famiglie fragili. All’interno della contemporaneità si può individuare un soggetto che, nonostante si spinga sempre di più verso l’individualismo, è tutt’altro che un’entità stabile e sicura; al contrario, esso viene “sbattuto e trascinato” dalla corrente fluida e flessibile della società in cui è inserito, pressoché impossibilitato ad aggrapparsi a qualcosa che lo renda sicuro, come ad esempio un lavoro, una relazione, dei valori o un contesto stabili.[8] In uno scenario simile, l’oratorio è risultato un luogo che risponde ai bisogni di identità, di partecipazione e di appartenenza adulta. La richiesta che gli adulti pongono più o meno esplicitamente alla realtà oratoriana (e non solo) sembra quella di trovare il “proprio posto nel mondo”. E l’oratorio sembra essere più o meno consapevolmente una di quelle risposte: un adulto che “non sa cosa fare” o “non sa come occupare il proprio tempo” è accolto come volontario in oratorio; un adulto che “non ha nessuno che lo ascolta, nessuno che lo aiuta” è accolto come parte della comunità allargata. Questo, tuttavia – sempre nella logica della polarità – può tradursi in una partecipazione adulta che toglie spazio alla partecipazione dei giovani e degli adolescenti, i quali sono, da sempre, i primi destinatari delle proposte di formazione e di impegno oratoriani. Non sempre la presenza giovanile e adolescenziale è avvertita come “utile” e “fruttifera”: se da una parte ci sono i cosiddetti “bravi ragazzi”, che abitano l’oratorio come una casa – rischiando di viverlo come l’unica proposta dimenticandosi del mondo esterno – dall’altra ci possono essere i cosiddetti “ragazzi difficili”, che sfidano l’oratorio portando con sé le sfide della contemporaneità. Ci troviamo, dunque, anche in questo caso di fronte a interrogativi importanti degli oratori, che si chiedono quanto spazio dare a adulti e giovani, tenendo conto dei bisogni che emergono dal territorio. Anche qui, gli oratori specifici si collocano in punti diversi del continuum, anche in risposta ai territori specifici in cui si collocano.

    Apertura ai bisogni della contemporaneità: “identità collettive” o proposta di “un'offerta tra le tante”?

    Collegata, ancora una volta, al tema dell’apertura ai bisogni della contemporaneità – e in particolare al bisogno di appartenenza, stabilità, sicurezza e identità sopra descritto – l’oratorio, potenzialmente, può fornire l’opportunità di relazioni vis-à-vis e dirette. Di conseguenza, esso si può proporre come un contesto capace di fornire un’appartenenza (anche se più “debole” e sfaccettata rispetto al passato), come un luogo in cui è possibile, in qualche modo, sentirsi parte di “un qualcosa”, di un gruppo. I rischi, tuttavia, emergono anche rispetto a questo tema. Da una parte, l’oratorio – nel tentativo di preservare quel sentimento di appartenenza che vuol generare – può scivolare verso identità forti e omologanti, che tendono paradossalmente a escludere chi è ritenuto una minaccia per l’identità stessa che accomuna invece le persone al suo interno: il rischio quindi è quello che l’oratorio chiuda le sue porte e “alzi muri” verso l’esterno, volgendo lo sguardo unicamente al microcosmo che dentro di esso si è strutturato. Dall’altra parte, invece, l’oratorio può invece configurarsi come una tra le tante proposte per il tempo libero che i territori contemporanei offrono, quasi lasciandosi toccare da una logica di mercato e di domanda-offerta[9]: il rischio quindi è che esso perda di vista la potenzialità di strutturazione di relazioni vis-à-vis e di un’appartenenza (non rigida) e che diventi uno spazio tra i tanti possibili, in cui le persone – che potrebbero diventare quindi dei veri e propri clienti – per passare il proprio tempo, frequentino per esempio un certo corso, piuttosto che gli allenamenti di un certo sport, non venendo in contatto con il senso e l’“utilità” educativa (sociale, cristiana, collettiva) dell’oratorio. Gli oratori specifici, dunque, si giocano all’interno di questo continuum tra la possibilità di puntare ancora sull’offerta di ambiti relazionali significativi, con il rischio però a un estremo di chiudersi in sé stessi e all’altro di presentarsi come “contenitori di attività” tra le quali clienti possono scegliere.

    Oratori, educazione al bene comune e impegno sociale

    L’oratorio appare, all’interno di queste faticose tensioni che lo interrogano, come un presidio territoriale che ancora riesce a educare a un “bene comune” e a un impegno sociale responsabile. Necessaria, a questo punto, è una precisazione: definire cosa si intenda oggi per “bene comune” non è semplice. Se un tempo, infatti, il suo significato pareva essere chiaro e definito, nella contemporaneità – connotata da percorsi di vita sempre più individualizzati e frammentati – il bene comune può essere interpretato da ognuno in maniera differente. Dunque, è interessante e importante sottolineare che ogni oratorio può significare diversamente l’espressione “impegno sociale” e, di conseguenza, può configurare l’educazione al bene comune secondo modalità del tutto situate e contingenti. Questo tema risulta comunque particolarmente interessante perché si “incontra” con il mondo della formazione accademica e, più in particolare, con le cosiddette “scienze dell’educazione”: molte persone che scelgono di iscriversi ai corsi di laurea in scienze dell’educazione arrivano da esperienze oratoriane e da questo dato l’università non può – e non dovrebbe – non lasciarsi interrogare. Ciò che ci si chiede è, dunque: forse gli oratori, pur sfidati dai contesti contemporanei, risultano ancora dei contesti in grado di educare in termini democratici, a una cittadinanza attiva e partecipe? La grande sfida, dunque, potrebbe essere quella di trovare modalità per riuscire a comunicare questo impegno e questa possibilità, per potersi aprire a dinamiche di sostegno e di rete territoriale e per portare alla luce – rendendo maggiormente consapevoli anche i futuri e le future studentesse in scienze dell’educazione – gli apprendimenti promossi, ricavati e ricavabili dalla vita in oratorio.

     
    3. APPROFONDIMENTI

    Su questa base di dati, abbiamo individuato sei punti chiave che sintetizzano le problematiche emerse e individuano dei possibili nodi.

    Oratori e territori

    Un primo approfondimento intende tematizzare il rapporto che intercorre tra contesto sociale contemporaneo, territori specifici e oratori specifici. Questo significa, in particolare, riflettere su come le tensioni che emergono dal rapporto tra società contemporanee e oratori si declinino nei tre territori specifici presi in considerazione per la ricerca, ovvero centro di Milano, periferia urbana e hinterland.
    È bene specificare che le differenze che emergeranno in seguito non sono nette, ma piuttosto riconducibili a tendenze: come tali non devono essere scambiate per categorizzazioni rigide. Inoltre, bisogna ricordare che se da una parte esistono tratti identitari che contraddistinguono l’oratorio dalle altre realtà aggregative laiche, dall’altra è impossibile individuare un “oratorio tipo”: trovandosi in territori diversi (e disponendo di risorse differenti), gli oratori si modificano adattandosi alle peculiarità dei suddetti territori.
    Territori diversi presentano tendenze diverse che, se analizzate con uno sguardo interrogante, possono far nascere alcune “domande stimolo”.
    Il centro città è caratterizzato dalla presenza di una popolazione molto varia (residenti, turisti, passanti occasionali) e dalla presenza di altri servizi educativi e di proposte per il tempo libero e per la libera aggregazione. Questo porta l’oratorio ad essere (come ha detto un prete intervistato) un luogo «che raccoglie tanta gente»[10] Le domande che si aprono a questo punto sono: l’oratorio risulta un luogo di incontro e relazione, o un luogo di passaggio, transito, come tanti altri? L’oratorio è un luogo di identità e di appartenenza, o un’opzione tra le altre per il tempo libero, il cui senso di comunità e vocazione all’evangelizzazione vengono annacquati?
    La periferia urbana è un territorio che vive maggiormente il disagio giovanile e le fragilità adulte contemporanee, o più in generale le “sfide” e “criticità” che sono nate con il contemporaneo. Per far fronte ad esse, l’oratorio quindi è portato ad interfacciarsi con altri servizi educativi (CAG, SFA, servizi per i disabili, ecc.). La domanda che si apre è quindi: l’oratorio si configura come una parte, un nodo della rete territoriale, il quale progetta insieme agli altri enti del territorio un intervento educativo mantenendo la sua specificità, oppure si promuove unicamente come “servizio educativo” dimenticandosi di alcune sue peculiarità (come per esempio la formazione cristiana e l’evangelizzazione)?
    Nell’hinterland l’oratorio si trova spesso ad essere l’unico presidio educativo del territorio e a volte anche la sua unica realtà aggregativa storica (il territorio, infatti, a volte presenta ancora tratti e ricordi comunitari abbastanza forti e pregnanti). La domanda che si apre, in questo caso, è dunque: l’oratorio è aperto alle sfide e criticità contemporanee, coniugando un intervento pedagogico sociale a una proposta cristiana, oppure si chiude, ripiegandosi sulla propria storia – più o meno consapevolmente – non cogliendo le sfide contemporanee e generando dunque “comunità forti”, che nella loro rigidità rischiano di generare dinamiche di esclusione?
    Tenendo conto di queste tensioni, sfide, criticità e potenzialità, risulta interessante domandarsi quali siano le alleanze che, nel concreto, gli oratori instaurano con il territorio in cui si trovano.
    Alle volte si possono instaurare delle alleanze educative: oratori e territori condividono gli stessi obiettivi educativi per far fronte alle sfide contemporanee. Attraverso queste alleanze, gli oratori possono entrare a far parte della rete territoriale, andando a rispondere – o a tentare di rispondere – alle sfide e tensioni attuali. Il rischio, invece, è che l’oratorio diventi unicamente un “servizio educativo” rinunciando alle proprie specificità di evangelizzazione e di annuncio del Vangelo.
    Esistono poi delle alleanze che non riguardano il piano educativo, ma sono più delle collaborazioni logistiche: oratorio e territorio entrano in contatto collaborando e coordinandosi ma senza avere un intento educativo. Per esempio, la gestione dei calendari per non sovrapporre appuntamenti di un ente con le proposte dell’oratorio, oppure la questione del prestito degli spazi a realtà esterne: la potenzialità si trova nel fatto che l’oratorio entra in contatto con gli enti esterni (con cui potrebbe stipulare un’alleanza educativa), il rischio è che invece queste collaborazioni siano fatte per mero interesse (anche economico) dell’oratorio.
    L’oratorio entra in contatto con l’esterno anche con il semplice “tenere le porte aperte”, lasciando che il “fuori” entri “dentro”. Permettere a tutti di entrare può indubbiamente essere un segnale di accoglienza, ma a volte questo è un auspicio che si scontra con la vita vera, con la necessità di avere regole (spesso implicite e per questo alle volte confuse) di ingresso, più o meno rigide, includenti/escludenti.

    Le proposte oratoriane

    Alla luce delle tensioni or ora esplicitate, l’oratorio si propone al territorio attraverso la promozione di attività che è possibile distinguere secondo due macrocategorie: “attività cuore” e “attività corollario”. Le prime fanno riferimento alle attività che stanno al centro dell’operato dell’oratorio e che ne caratterizzano l’agito quotidiano. Sono comprese tutte quelle attività che vengono pensate e svolte con l’obiettivo primario di trasmettere e insegnare i principi e lo stile cristiani cattolici. Le seconde fanno riferimento alle attività a carattere sociale e ricreativo, dunque che intendono anche altri obiettivi come prioritari. Vengono considerate anche le iniziative che si svolgono negli spazi dell’oratorio ma organizzate da soggetti altri (es. società sportive).
    Attraverso le “attività cuore”, l’oratorio intende rappresentare un’alternativa di senso a ciò che propone la società contemporanea, per chi è in crescita, per coloro che sono in ricerca di orientamenti morali e spirituali, di una guida, di un percorso da seguire, e per chi non sa di esserlo. L’importante opportunità che si presenta è pertanto quella di poter formare i futuri cittadini del mondo e sensibilizzarli su temi universali quali il bene comune, il rispetto dell’altro, la giustizia e la gratuità nel mettersi al servizio dei più fragili e in difficoltà; partendo proprio dall’attualità degli insegnamenti cristiani. Al contempo, quel che si rischia in questo tipo di attività è la possibilità, da un lato, che coloro che partecipano percepiscano uno scollamento tra la proposta spirituale e la realtà quotidiana in cui sono inseriti; dall’altro, l’annacquamento del messaggio in conseguenza alla necessità sempre più profonda di adattarsi e modellarsi alle caratteristiche della contemporaneità. Nella complessità dell’epoca (neoliberista) in cui viviamo può crearsi una distanza sempre più marcata tra il come comunicare la “buona novella” e il come questa possa essere raccolta (dai più).
    Nelle “attività corollario” tra i principali obiettivi si individua la possibilità di favorire un incontro con altre persone, altre realtà e altri bisogni che si individuano nel contesto sociale e territoriale nel quale l’oratorio è collocato. I soggetti a cui è possibile fare riferimento in questo senso sono, ad esempio: cooperative, associazioni di volontariato, enti di varia natura; come anche società sportive, teatrali o doposcuola. Nell’incontro, è possibile interpretare questa tipologia di proposte come occasione privilegiata per dare testimonianza concreta dei valori fondanti la religione cattolica e dunque il modus operandi che caratterizza “il cuore dell’oratorio”. In merito a queste proposte le potenzialità sono quindi molteplici: incontrare le realtà già presenti sul territorio può portare al consolidamento di una vera e propria rete di collaborazione e aiuto reciproco, con uno scambio costruttivo di mezzi, competenze e risorse. Con un impegno attivo degli oratori sulle reali necessità del tessuto sociale che li circonda, si dimostra l’importanza del fare per un bene più grande: il bene collettivo, il bene della comunità. Inoltre, si ha l’opportunità di accrescere la varietà delle proposte attraverso cui intercettare ed essere intercettati dalla collettività, con l’ulteriore opportunità di ottenere, da questa apertura, le risorse economiche per far fronte alle varie incombenze, ad esempio di manutenzione degli spazi e dei luoghi nei quali spesso queste attività “extra oratorio” prendono forma e vita. È doveroso sottolineare anche la presenza di potenziali rischi in queste proposte: essi fanno riferimento soprattutto al venir meno - o all’annacquamento - dei valori intrinseci e caratterizzanti la realtà oratoriana, a favore di nuove priorità (logistiche, economiche, di attrattività, ecc.).

    Le sfide

    Mantenendo la complessità della contemporaneità come sfondo costante dei nostri ragionamenti, presentiamo delle possibili sfide - con annessi rischi e potenzialità - che trovano collocazione proprio nel particolare rapporto che lega gli oratori e i loro territori di appartenenza.
    Innanzitutto, come anticipato, si individua il rischio di annacquamento identitario tra il polo di un’identità chiara ed esplicita ad alcuni rispetto alla confessionalità e all’apertura abitata che caratterizza l’oratorio e il polo di uno stile evangelico sempre più implicito, difficilmente comunicabile e intercettabile nella quotidianità da parte dei tanti frequentatori (fruitori/clienti). Chi entra si accorge della proposta intenzionalmente differente da tutte le altre, o sempre più queste differenze sbiadiscono, confondendosi? Questo interrogativo può essere posto sia nei confronti di chi fruisce delle attività oratoriane senza propriamente appartenervi, che non conosce dunque l’intenzionalità che vi soggiace; sia per chi organizza concretamente le attività, che non necessariamente ha sempre ben chiaro il perché si decida di organizzare specifiche attività e la direzione a cui tendono, o almeno auspicano.
    Inoltre, è interessante sottolineare come in precedenza l’oratorio, inserito in diversi contesti territoriali, era comunque vissuto e interpretato da tutti - dai più - sia dall’interno che dall’esterno, sia che fossero frequentatori o meno, secondo la medesima accezione di luogo connesso alla fede cristiana, alla Chiesa, con determinate e specifiche caratteristiche. Nei territori della contemporaneità, caratterizzati da mutamenti in termini di secolarizzazione, multi-religiosità e pluralizzazione dei percorsi di vita, gli stessi oratori vengono invece definiti con maggior difficoltà, sia dall’interno che dall’esterno, poiché non risulta più scontato a nessuno - a pochi - chi siano, cosa rappresentino e con che intenzionalità progettino le loro specifiche offerte formative per il territorio.
    Al di là della difficoltà diffusa - pratica e concettuale - di dare una definizione, si trovano delle tendenze che invece, paiono caratterizzare gli oratori. Ad esempio, una risposta diffusa e rappresentativa pare essere l’offerta di relazioni di qualità, contraddistinta da attenzione e cura: manifestazione di una accoglienza vissuta. Viene spontaneo porsi alcune domande: è questione di stile? Nella quotidianità trova una effettiva manifestazione (nelle azioni della comunità educante)? Al di là dell’intento, chi transita in oratorio la vive, la coglie, la respira?
    In questo senso rispetto agli adulti – considerate tutte le fragilità che li caratterizzano nella contemporaneità, che concretamente in oratorio si declinano anche nella tendenza a fruire come utenti e/o clienti il luogo/servizio-oratorio – emergono delle difficoltà: da parte dell’oratorio a coinvolgerli; da parte del singolo adulto a lasciarsi coinvolgere; da parte della comunità educante a coinvolgere effettivamente lasciando spazio anche ad altri. In sottofondo a tutte queste dinamiche emerge la manifestazione - più o meno esplicita - da parte degli adulti di un bisogno identitario e di appartenenza che fatica a trovare risposta.
    Rispetto ai preadolescenti, adolescenti, ragazzi e giovani-adulti, le nuove tecnologie e i social network pare abbiano le potenzialità per intercettare e far dialogare con hi altrimenti rimarrebbe all’esterno di questo circuito. Il rischio possibile però è quello della dispersione del ruolo del territorio e dell’indebolimento dei legami con la realtà entro cui ciascuno è inserito; e dunque un potenziale indebolimento anche dei legami relazionali? Anche in questo caso le difficoltà nel definire la propria identità e nel rispondere al bisogno di appartenenza sembrano essere un ulteriore tema rispetto al quale interrogarsi.
    Sempre più, come risposta evidente ai bisogni materiali e immateriali della contemporaneità l’oratorio riveste un ruolo sociale entro il contesto in cui è inserito. Si individua una tensione tra oratorio assistenziale e oratorio pastorale, il primo per i più, il secondo per la ristretta comunità educante.

    A volte, cercando di accogliere bene e fare spazio ai più scombinati, ti mancano forse i linguaggi, un’apertura di base di alcuni per una proposta cristiana[11].

    Entro questa polarità sembra possano avere un ruolo cruciale le figure professionali e le alleanze educative sul territorio, con il possibile intento di portare la complessità diffusa nella contemporaneità anche dentro l’oratorio e le risposte che offre. Dunque, l’attenzione delle professionalità e delle alleanze potrebbe essere triplice: rivolta ai bisogni specifici del contesto nel quale sono inserite; rivolta all’accompagnamento, sostegno e formazione della comunità educante; e infine rivolta a costruire e mantenere alleanze e progetti a respiro territoriale, di rete.
    È un’utopia auspicabile che il ruolo sociale dell’oratorio si combini senza soluzione di continuità con la sua identità confessionale o risuona amplificato il rischio di annacquamento?
    Inoltre, pare interessante soffermarsi sulle possibili criticità e resistenze connesse all’inserimento di una figura stipendiata all’interno di un contesto che affonda le sue radici nella gratuità e che “si è sempre” organizzato facendo della gratuità e del volontariato un fine stesso dei processi educativi. Non è scontato che la comunità veda e legga secondo un medesimo sguardo la necessità di inserire delle figure professionali e dunque che riesca ad accoglierle e integrarle senza opposizioni.

    I destinatari: tensione tra inclusione ed esclusione

    Dopo aver osservato come i diversi territori influenzino e siano influenzati dagli oratori, e come le nuove sfide che sembrano aprirsi nella contemporaneità interroghino le modalità di appartenenza e gli stili adottati dagli stessi, un ulteriore approfondimento riguarda le modalità di abitarli e viverli. Una caratteristica fondamentale che è emersa dalla ricerca è infatti come ci sia pluralità nel vivere l’oratorio: come ragazzi, come adulti, come famiglie, come frequentatori abituali oppure, in alcuni casi, anche come professionisti, collegandoci a quanto detto poco sopra.
    Nel tentare di comprendere più da vicino questo “abitare plurale”, si può osservare come quest’ultimo possa dar vita a delle tensioni circa la legittimità o l’illegittimità percepita nell’abitarlo. Qual è quindi la tensione tra inclusione ed esclusione che si crea in oratorio? Quali sono le modalità di vivere tempi e spazi da parte delle varie persone in oratorio? Se da questa tensione emerge la preziosa possibilità di dialogo tra le differenti modalità che esistono nello stare in oratorio, dall’altro lato vi è il rischio che si possa creare un separatismo di tempi, spazi e persone, poco scambio reciproco, una coesistenza di modalità e ruoli diversi senza un effettivo dialogo. Per chiarire meglio cosa si intende per questa tensione tra inclusione ed esclusione, e questo rischio di “inclusione come coesistenza, giustapposizione di differenze senza farle dialogare tra loro”, la suddetta tensione è stata osservata da vari punti di vista, da varie dimensioni, “lenti di ingrandimento”.
    In primo luogo, ci si è concentrati sulla dimensione intergenerazionale, che si è articolata osservando tre elementi. Il primo elemento riguarda gli adulti e le famiglie, in particolare la tensione che sembra generarsi tra i diversi modi che essi hanno di vivere l’oratorio: da una parte vi sono le famiglie che partecipano attivamente in oratorio, che sono collaboratrici a pieno titolo e che possono essere definite come portatrici di risorsa per l’oratorio, dall’altra invece adulti e famiglie percepite maggiormente come “fragili”, portatrici di bisogni (economici, relazionali, sociali) che possono trovare ascolto e comprensione in oratorio. Da questa tensione che sembra emergere potrebbe crearsi una duplice criticità: se da una parte infatti vi è il rischio che le famiglie e gli adulti percepiti come fragili si percepiscano a loro volta solamente come “portatori di bisogno”, dall’altra parte vi è l’ulteriore rischio che alle famiglie collaboratrici non venga riconosciuta la possibilità di essere considerate nella loro completezza, per cui sì come risorse preziose per l’oratorio ma anche come portatrici di bisogni, come ad esempio il bisogno di appartenenza, di riconoscimento, di far parte della comunità. Come secondo elemento, pensando alla dimensione intergenerazionale ci si interroga sulla dimensione della responsabilità, che potrebbe essere tradotta e riassunta in maniera significativa con la seguente domanda: ragazzi per i ragazzi o adulti per i ragazzi? Gli adulti devono essere più responsabili, oppure bisogna affidarsi e affidare ai ragazzi? In stretta connessione alla questione della responsabilità, inoltre, vi è anche la questione del desiderio di uscita da parte dei ragazzi attivi in oratorio: la volontà da parte della comunità adulta di conferire agli adolescenti maggiori responsabilità facendoli partecipare maggiormente alla vita dell’oratorio infatti si potrebbe contrapporre alla tendenza e al desiderio di uscita di molti e molte giovani per motivi molteplici. La tensione tra inclusione ed esclusione sollecitata all’inizio quindi si potrebbe tradurre in questo caso nell’attenzione alle motivazioni e alla volontà di voler mantenere i giovani all’interno dell’oratorio, sottolineando quindi il rischio dell’aver bisogno di loro in maniera strumentale. Il terzo e ultimo elemento appartenente alla dimensione intergenerazionale riguarda invece le diversità intra-generazionali, ossia quella tensione che sembra presentarsi tra ragazzi tradizionalmente definiti come «bravi adolescenti» e ragazzi percepiti invece come «problematici». Da un lato vi è la tensione a livello progettuale da parte dell’oratorio di raggiungere con le proposte le specifiche generazioni e le diversità intra-generazionali sempre con l’obiettivo di dare una formazione cristiana, ma dall’altro nelle specifiche realtà territoriali c’è il rischio di un “separatismo” di tempi e spazi, senza una effettiva connessione tra le differenti fasce d’età e le diverse situazioni di ragazzi adolescenti e giovani presenti in oratorio. A tal proposito sono esemplificative le parole di un prete intervistato:

    Un bravo adolescente durante la settimana è a casa e studia, è a casa a studiare, ha i suoi impegni scolastici di liceo [viene sottolineata la parola “liceo”], viene magari agli incontri formativi alla sera in settimana, passa dentro a salutare a fare il suo giretto prima di andare agli allenamenti ma di fatto noi nel pomeriggio abbiamo quelli problematici; quelli che vanno a questi CFP che non hanno mai i compiti da fare e praticamente sono quelli che sono gli animali da oratorio che abbiamo[12]

    Può dunque avvenire una proposta di dialogo tra diversi ragazzi? “Bravi ragazzi” e “ragazzi difficili” possono essere considerati in modo diverso e nella loro completezza, dando voce entrambi a bisogni di crescita e risorse personali?
    La seconda “lente di ingrandimento” che è stata utilizzata per guardare la macro-tensione tra inclusione ed esclusione in oratorio è stata la dimensione di genere. Se ai volontari uomini infatti nelle interviste è stata attribuita maggiormente la dimensione sportiva, pratica e ludica, alle volontarie donne viene maggiormente associata una dimensione educativa, di cura. Ne è un esempio la figura del/della catechista nominata solo al femminile, per una quasi totalità di adesione femminile e per una richiesta maggiore di donne per questo ruolo. È possibile dunque pensare di poter chiedere anche agli uomini volontari una presenza nelle dimensioni maggiormente pensate come “a propensione femminile”, come ad esempio la catechesi? Quali possono essere gli esiti educativi di un’assenza/carenza di uomini che si prendono cura dei più piccoli, guardando sia la dimensione familiare che oratoriana, soprattutto pensati in termini di educazione informale di genere? A tal proposito, in riferimento all’educazione informale di genere con i ragazzi e le ragazze, l’oratorio estivo può risultare come potenziale momento di coeducazione: anche i ragazzi possono mettersi in gioco prendendosi cura dei più piccoli e sviluppando competenze che generalmente vengono affidate alle donne. Questa potenzialità richiede però una progettazione e una consapevolezza di questo possibile obiettivo a livello educativo. A sostegno di questa potenzialità infatti molti dei ragazzi - seppur presenti in numero minore rispetto alle ragazze - che giungono al Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione hanno alle spalle un’esperienza di questo tipo.
    La terza e ultima lente di ingrandimento adottata per questa analisi è quella della dimensione interculturale. La proposta così tanto a bassa soglia dell’oratorio estivo (e non solo)rmette infatti di entrare in relazione anche con giovani di origine straniera, adattando e aggiungendo proposte, come ad esempio “la preghiera per ragazzi islamici in contemporanea con quella dei ragazzi cristiani”. Dall’altro lato, però, è possibile che ci sia il rischio – soprattutto durante l’anno – che alcune attività frequentate a maggioranza da persone straniere rimangano separate dal resto delle attività, o che ci sia poca possibilità di scambio reciproco. È possibile dunque un confronto interculturale e interreligioso relativo alle proposte – religiose e non solo – in oratorio? C’è coesistenza o inclusione? Dalle interviste è emerso inoltre che tramite i ragazzi si instaurano poi delle relazioni tra famiglie con background differenti. Come sostenere dunque i e le ragazze di origine straniera nella costruzione di identità meticce, che non devono scegliere tra un’appartenenza (d’origine) e l’altra (italiana, cattolica) ma che possono mediare tra le due?

    Oratorio tra esplicito e implicito, desiderato e reale

    Proseguendo il percorso segnato dalla tensione analizzata precedentemente, si possono mettere in luce ulteriori tensioni emergenti dalle parole degli intervistati tra quello che sembra essere un oratorio desiderato e l’oratorio reale, partendo dalle immagini di oratorio esplicitate dagli intervistati. È stato infatti chiesto loro, a fine intervista, di descrivere l’oratorio in un’immagine, lasciando emergere così quale fosse l’immaginario che si crea in chi abita l’oratorio, quali i vissuti, le esperienze, ma anche le aspettative, i desideri e le speranze. Si parla, infatti, all’interno delle interviste, di oratorio come casa:

    Per me l'oratorio è una casa. [ride] Per me, per i miei figli, lo è... anche se, appunto, ormai son grandi, perché... mio figlio ha 20 anni quindi... sì, fa ancora delle cose lì, perché... c'era il giornalino e s'è messo dentro a far gli articoli anche lui, però... è un po'... non è che è sempre lì ormai, no? È grande... Eh... però... per lui essere a casa, essere lì è la stessa cosa. Per me è proprio una casa. Un posto dove si sta beneee, dove si vedono gli amiciii, ci si sente sicuri, ecco.[13]

    Questa casa viene a volte immaginata non soltanto come rifugio e luogo per sentirsi sicuri, ma anche come un luogo che può accogliere:

    Dal mio punto di vista?… Allora è una casa con le porte aperte, cioè io la vedo proprio così, con tutte le porte aperte spalancate, con tutto quello che questo può significare, capisci? Quindi con delle porte che forse alle volte dovrebbero provare a chiudersi, eh però sono aperte ecco. Quindi da un lato c’è la bellezza di questa apertura, di questa accoglienza…[14]

    A volte invece l’oratorio viene descritto come una «grande famiglia»:

    Una grande famiglia. Una famiglia allargata, ecco, non una famiglia ristretta, ma una famiglia allargata… ehm io lo dico nel senso che ho due genitori meridionali e so cosa vuol dire famiglia allargata…. Quando ci troviamo a Natale non siamo meno di 20-25 persone quindi… mi piace vedere, vederlo come questo luogo qua: cioè io faccio il Natale con 25 parenti a casa, come faccio una pizzata con ragazzi, giovani e adulti, nel bar, sì una grande famiglia… ecco.[15]

    Da queste e da altre immagini offerte emergono due aspetti: ciò che pare essere implicito, desiderato e ciò che invece sembra palesarsi come esplicito, concreto.
    Per quanto riguarda il primo aspetto, può essere considerato come la parte più complessa, data per scontata ma che è necessario oggi spiegare ed esplicitare perché non più universalmente condivisa rispetto al passato. Una parte densa, dunque, che spesso coincide con un ideale di oratorio, con ciò che si vorrebbe che l’oratorio fosse, appartenente generalmente a chi si fa promotore e organizzatore della vita in oratorio. L’oratorio è visto come una casa che accoglie, quindi in quanto spazio intimo, in cui ognuno può sentirsi a casa. In questo senso chi abita l’oratorio vive con altre persone, con diverse storie, idealmente accomunate tutte da una relazione con i responsabili e i coabitanti. Attraverso la relazione si riconosce chi vive in oratorio, sia rispetto al ruolo, sia rispetto all’essere persona, creando collaborazione e condivisione. È auspicabile che ci sia una relazione anche dal punto di vista spirituale, aspetto verso cui l’oratorio tende: esso ha infatti il compito di formare uomini e donne cristiane che andranno ad abitare il mondo, portatori di un messaggio e di una “buona notizia”. Oltre a ciò, un’altra finalità che sembra essere auspicata è quella di educare al bene comune, dove per bene comune si intende il bene socialmente condiviso, trasmettendo i valori di carità, apertura e rispetto verso il prossimo, accoglienza, solidarietà. Come in tutte le case, inoltre, ci sono compiti e responsabilità, e anche in oratorio ve ne sono diverse: questo aspetto lo rende luogo che può responsabilizzare nel piccolo, attraverso la dimensione esperienziale - caratteristica peculiare dell’oratorio -, i ragazzi e per le ragazze, ma anche per gli adulti e le adulte.
    Un’altra sfumatura emergente dalle immagini di oratorio è una parte esplicita, concreta: ciò che concretamente e realmente viene agito. L’oratorio che risuona dalle interviste è un oratorio che norma in modo specifico, alcune volte con cartelli, il comportamento all’interno. Le regole sono quelle “base” che, nel senso comune, dovrebbero essere presenti in tutte le case: rispetto reciproco, non prevaricazione, condivisioni di spazi e collaborazione tra gli abitanti di quel luogo. L’oratorio appare anche come “spazio aperto a tutti”, per il quale non esistono prerequisiti per poterci entrare. Viene a volte definito come una “porta sempre aperta”, dove non è necessario spiegare il perché si entri. Una porta sempre aperta dove tuttavia permane una preferenza per chi si mette a servizio, per chi si fa volontario e “per tutti quelli che guardano nella stessa direzione” «cioè, mi viene in mente questa immagine: guardare un po' nella stessa direzione. L'oratorio accoglie chi… guarda in una direzione»[16]. In questo senso si evidenziano, rispetto a tre temi o caratteristiche nodali dell’oratorio, due modalità diverse di manifestarsi.
    In primo luogo, rispetto all’accoglienza, sembra esplicitarsi da una parte un’accoglienza partecipata, vissuta, dove chi sceglie di vivere l’oratorio con un impegno ricopre poi un ruolo ben definito all’interno, riconosciuto da tutti (il/la barista, il/la volontario/a, l’educatore/l’educatrice); dall’altra parte vi è invece un’accoglienza “a porte aperte”, dove si intende che non è necessario volersi impegnare o avere un compito preciso all’interno dell’oratorio, ma lo si può semplicemente vivere come luogo di passaggio, dove non viene richiesto nulla né all’entrata né all’uscita. Il possibile rischio di questa duplice accoglienza è che si possa accentuare una divisione delle tipologie di persone che entrano in oratorio, allontanandosi così dalla possibilità di una partecipazione davvero egualitaria, avendo quindi da una parte i collaboratori e chi ha un ruolo ben definito all’interno, che costituiscono una risorsa per l’oratorio e che lo vivono in modo attivo e partecipe, dall’altro invece persone che lo vivono come luogo di passaggio, che lo vivono nell’informalità esplicitando magari dei bisogni latenti, relazionali e sociali:

    Comunque, è vero che [l’oratorio] è sempre più abitato da situazioni fragili; da famiglie… che a volte si piazzano lì, a volte ti viene anche da dire: “Ma son sempre qui?” no? E quindi, hanno bisogno di intessere relazioni perché forse nei condomini e nei palazzi proprio non si riesce a intessere delle relazioni. E quindi diventa una nuova piazza l’oratorio; la nuova agorà dove… dove star bene, intessere delle relazioni, fare due chiacchiere, avere lì il bambino che gioca.[17]

    Un altro aspetto che presenta queste due differenti modalità - volutamente qui polarizzate per ragioni di analisi - in tensione fra loro riguarda la dimensione del fare. Da un lato sembra infatti affiorare un fare per organizzare, orientato alle necessità pratiche e quotidiane (spesso di manutenzione o “manovalanza”), dall’altra parte sembra emergere invece un fare per crescere, che corrisponde dunque a tutte quelle proposte che vengono fatte intenzionalmente per accompagnare la crescita dei ragazzi e degli adulti, non solo dal punto di vista della formazione cristiana ma anche come sostegno alla persona. Se da un lato nel focalizzarsi sul “fare per organizzare” si può perdere di vista il senso del fare, dall’altro lato può emergere il rischio che il “fare per crescere” possa essere indirizzato solo ad alcuni frequentanti dell’oratorio, come per esempio coloro che sono visti e percepiti come “bravi ragazzi”, o come adulti che vivono la fede e la comunità in una dimensione più di preghiera e spiritualità:

    Consideriamo a volte la meta un certo modo di vivere la fede che è quello che abbiamo vissuto noi, che abbiamo in mente noi; però, al di là del fatto che uno al limite possa essere disperato o non disperato […] è evidente che, un certo tipo magari di adulto, non gli devi dire di andare a pregare; devi dargli le salamelle da fare.[18]

    In terzo e ultimo luogo, per quanto riguarda la dimensione del coinvolgimento, si nota come da un lato esso venga vissuto in prima linea e quindi con una partecipazione attiva alla vita dell’oratorio e alle sue proposte, mentre dall’altro lato questo coinvolgimento sembra essere vissuto non in modo attivo e partecipante ma come “fruitori di un servizio”, che offre diverse proposte in base alle necessità.
    L’oratorio implicito, dato per scontato, desiderato, viene quindi portato avanti da chi si fa promotore di proposte, venendo accolto come protagonista della vita oratoriana, con partecipazione e coinvolgimento nell’organizzazione di attività per altri e per altre che, al contrario, vivono un oratorio concreto, fatto di regole esplicite (dettate da altri) e non sempre in connessione con la sua parte implicita, la quale - data per scontata e non sempre esplicitata, per l’appunto - rischia di non venir riconosciuta e compresa da chi vive l’oratorio come “fruitore di un servizio”. Quel che rischia di non essere compreso o di venire interpretato diversamente dai diversi soggetti posti sulle due polarità individuate - organizzatori, fruitori - è l’identità e il senso dell’azione oratoriana, date spesso per scontate e non sempre recuperate nelle sue manifestazioni concrete.

     

    4. RIFLESSIONI CONCLUSIVE

    Alla luce delle riflessioni emerse durante l’intero svolgimento della ricerca e di quanto esposto precedentemente, pare interessante proporre alcune piste di riflessione che non rappresentano certo risposte, quanto interrogativi aperti.

    A quale idea di oratorio auspicare?

    Emergono idee non omogenee e chiare rispetto a quale sia l’oratorio ideale, seppur si individuano delle continuità di contenuto - caratterizzate da ambivalenze - rispetto all’accoglienza, alla partecipazione, al ruolo della confessionalità auspicabilmente centrale ma sempre più spesso in sottofondo. Quello che è chiaro è la forte relazione con la specificità del contesto entro il quale ogni oratorio è inserito, che manifesta i vincoli e le potenzialità entro cui declinare le azioni alle volte più pastorali, alle volte più assistenziali; ma al di là della forma, quale elemento risulta irrinunciabile?

    Oratorio come casa, come famiglia, di chi?

    L’immagine di oratorio come casa è emersa dalla maggior parte delle interviste, il senso familiare nello stare in oratorio, le dinamiche di accoglienza genuina, ecc. Leggendo questa constatazione da un punto di vista più ampio sorge però anche una forte tensione che l’accompagna: c’è il rischio che da un lato la casa possa risultare tale principalmente (o solamente) per la micro-comunità educante, quindi per i professanti e i fruitori attivi in oratorio; invece dall’altro lato, per tutti coloro che vi transitano - senza però avere un proprio ruolo, una propria identità riconosciuta entro il contesto, dunque un debole senso di appartenenza, dovuto alla scarsa partecipazione in quanto protagonisti -, l’oratorio non sia una casa o una famiglia ma forse solamente un luogo in cui si ha la possibilità di stare. In questo senso si individua l’ulteriore rischio per la micro-comunità di divenire paradossalmente escludente nei confronti di coloro che per diversi motivi non ne fanno parte, chiudendosi in se stessa e sottolineando più o meno esplicitamente i confini tra legittimamente dentro e fuori la comunità, la famiglia, la casa.

    Quale dialogo possibile tra gli oratori e la complessità della contemporaneità?

    Si è sottolineato sin dall’inizio di questo elaborato come la contemporaneità sia caratterizzata da una complessità inedita, che ha reso sempre più frammentati e “ingarbugliati” i bisogni e così di conseguenza anche le risposte che necessitano. Questo non rende impossibile l’impresa di far incontrare la complessità anche con le risposte che l’oratorio fornisce a questi bisogni, anzi, apre una riflessione rispetto alla possibile necessità che l’oratorio si allinei a questa complessità inedita per poter perseguire i suoi obiettivi e rispondere alle nuove esigenze emerse. Una pratica che pare in questo senso avere delle sensate potenzialità è quella del dialogo e della collaborazione tra elementi che non possono più rimanere separati e svincolati l’uno dall’altro: confessionalità, competenze, comunità, rete territoriale. Quali potrebbero essere i canali per attivare e mantenere attivo questo dialogo? Ci sono elementi interessanti per tenere aperta la ricerca.


    * Dottoresse in Scienze dell’Educazione e studentesse nel corso di laurea magistrale di Scienze Pedagogiche dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
    * Dottoressa in Scienze dell’Educazione e dottoressa magistrale in Formazione e Sviluppo delle Risorse Umane dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.

     
    NOTE

    [1] S. Tramma, Pedagogia Sociale, Guerini, Milano, 2018.
    [2] Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Bari-Roma, 2000.
    [3] Il riferimento nello specifico è alla cattedra di Pedagogia Sociale - insegnamento del Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca -, il cui docente titolare è il professor Sergio Tramma, e alla Fondazione diocesana per gli Oratori Milanesi (FOM), il cui direttore è Don Stefano Guidi. Alla ricerca – coordinata da Carla Acerbi, Maura Budani e Marialisa Rizzo - ha partecipato chi scrive (Francesca Cattoni, Stefania Giacalone e Chiara Passerini) come pure le studentesse in formazione Laura Magni e Miriana Raffaele.
    [4] Con “semi-strutturate” si intende l’aver individuato all’interno del gruppo dei macro-temi da poter approfondire, per poi variarne l’ordine e le specifiche domande a seconda di ogni singola intervista, in modo tale da garantire uno svolgimento non eccessivamente rigido. Con “qualitative”, invece, si fa leva sulla dimensione esperienziale, unica e soggettiva del singolo e della singola intervistata. Infine, con “non direttive” si intende una modalità di conduzione dell’intervista che lascia spazio al racconto dell’altro cercando di intervenire il meno possibile, concentrandosi quindi sull’ascolto e sulle esigenze narrative della persona intervistata.
    [5] Con questo termine, si fa riferimento in particolare alla tensione che si attiva tra due polarità, le quali corrispondono a possibili risposte (qui volutamente estremizzate, con lo scopo di mettere meglio in evidenza le derive e le possibilità) dell’oratorio alle sfide della contemporaneità.
    [7] Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Bari-Roma, 2000
    [8] R. Sennett, L’uomo flessibile, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1999, pp. 13-29.
    [9] Per approfondimenti sul tema dell’influenza del neoliberismo e delle logiche di mercato nella contemporaneità cfr. M. Boarelli, Contro l’ideologia del merito, Laterza, Bari-Roma, 2019
    [10] FG_PMC. Intervista a un prete di un oratorio del centro città (Milano centro).
    [16] In_PMC. Intervista a un prete di un oratorio del centro di Milano.


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