Alessandra Caneva
(NPG 2021-01-62)
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INTRODUZIONE ALLA RUBRICA: Serie TV: l’uomo nella narrazione contemporanea
Dagli anni 2000 «la serialità televisiva americana ha occupato, a livello globale e nella televisione italiana, uno spazio particolare diventando oggetto di una valorizzazione importante nei palinsesti delle reti dedicate e dei canali generalisti e, insieme, scatenando una riflessione teorica e critica con pochi precedenti nel discorso pubblico, sia amatoriale sia specializzato».[1]
Le serie TV sono attualmente una delle forme d’arte che più profondamente incide “nella nostra natura” di esseri umani: secondo Luca Bandirali ed Enrico Terrone esse rappresentano la sintesi contemporanea delle due grandi forme narrative che hanno dominato i secoli precedenti, la forma epica del romanzo e la forma drammatica del teatro e del cinema.
«Le serie riescono a costruire discorsi filosoficamente rilevanti e (che) ci aiutano a capire più in profondità il mondo in cui viviamo e le forme della nostra esistenza al suo interno […] costruiscono dei mondi dei quali lo spettatore fa esperienza in modo analogo a quello in cui fa esperienza del proprio mondo».[2]
In questo senso, i diversi contributi che seguiranno intendono offrire alcune chiavi di lettura del fenomeno “serialità” sia dal punto di vista dell’esperto del settore, sia dalle diverse prospettive dell’antropologia filosofica e dell’estetica della sociologia e della pedagogia. La riflessione si concentrerà su come vengono presentate nelle serie TV alcune tematiche sensibili come: Famiglia, Relazione e Sessualità, Corpo, Politica, Religione.
Il percorso inizia con il contributo di Alessandra Caneva che illustra la struttura drammaturgica delle serie TV, come sia cambiata la modalità narrativa attraverso la serialità e come sia importante interloquire con la visione morale dell’autore: una serie TV è, infatti, una storia interpretata da esseri umani che trasmettono sistemi di valori, ferite, concezioni del mondo, risposte ai grandi temi dell’esistenza.
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La struttura narrativa di una storia
Nell’ambito della teoria della sceneggiatura, gli autori accreditati sono principalmente statunitensi. Si tratta di John Truby, Robert Mckee, Dara Marks, Syd Field, Cristopher Vogler, Linda Siger, per citare i più importanti.
Per presentare la struttura drammaturgica di una sceneggiatura si è optato per le teorie di Truby che propongono un metodo efficace, semplice, tecnico, facilmente fruibile, ma allo stesso tempo profondo.
Lo sceneggiatore, regista, soprattutto insegnante accreditato in tutto il mondo, sostiene in modo incisivo l’importanza del sottotesto, del tema e della visione morale dell’autore. Stiamo parlando della vision così poco considerata dalla critica che, di fronte ad autentici capolavori stilistici, ormai si muove solo nell’ambito estetico/formale. Inoltre, in un articolo pubblicato nel blog personale nel febbraio del 2014, Truby spiega il grande, epocale cambiamento a livello drammaturgico che è avvenuto nelle serie tv americane più recenti.
Nella composizione di una storia, Truby parla di steps: la premessa drammaturgica, i sette passi della struttura narrativa, il personaggio, il tema, il mondo narrativo, la rete dei simboli, la trama, la scaletta, la costruzione della scena e il dialogo sinfonico[3].
Per un autore, la premessa drammaturgica consente di osservare la storia nella sua interezza, di prevedere le varie forme che assumerà prima ancora di cominciare a scriverla. È un’operazione necessaria perché l’arte di scrivere romanzi non ha i paletti strutturali che ha una narrazione filmica, le scene, i tempi, il ritmo. Nello scrivere sceneggiature è necessario un rigore di tipo tecnico.
Le buone storie sono per Truby quelle che nascono da un profondo lavoro di introspezione dello scrittore. Raccontando, egli esprime una propria identità artistica e questo può avvenire solo se si chiede: cos’è importante per me? Perché, allora, non dovremmo indagare, interloquire con la vision di un autore, dissentire o approvare il messaggio profondo che una storia sempre ci trasmette? Una serie tv non è un video gioco ben confezionato dove seguiamo qualcuno che vuole vincere a tutti i costi contro qualcun’altro. Una serie tv è una storia interpretata da esseri umani che trasmettono sistemi di valori, ferite, concezioni del mondo, risposte ai grandi temi dell’esistenza. Dalla notte dei tempi, tutto ciò è insito nel bisogno tutto umano di narrare.
I sette passi chiave della struttura narrativa
Nel manuale citato, Truby definisce la struttura di una storia come il suo sviluppo narrativo lungo un arco temporale. La struttura proposta dal docente è talmente studiata che potrebbe adattarsi a qualsiasi tipo di narrazione.
“Questi sette passi non sono imposti dall’esterno in modo arbitrario, come è il caso della struttura in tre atti, ma sono connaturali alla storia, ne sono il nucleo, il DNA; e dal momento che prendono spunto dalla vita umana, la loro presenza in una storia è garanzia di successo. Essi ripercorrono infatti passo dopo passo il cammino che ogni essere umano è costretto a seguire per venire a capo di un problema”.[4]
Vediamolo nel dettaglio:
1. La debolezza e il need
Il protagonista non lo sa, ma dentro di lui c’è un vuoto interiore che gli rende la vita odiosa, difficile, frustrante. Se ne fosse consapevole la storia sarebbe finita. È un bisogno psicologico a cui si associa una fragilità morale. Il need e la debolezza sono i fondamenti di una storia, sono loro a garantire al protagonista un cambiamento finale, a dare senso e originalità alla storia. Il problema che nasce nella vita del protagonista dà l’avvio alla narrazione.
2. Il desire
Una volta individuati la debolezza e il need, arriva il desiderio. Il desiderio è diverso dal need, è ciò che il protagonista desidera nella storia, non nella vita, né nella sua interiorità. Confondere il need con il desire è uno degli errori più frequenti tra gli autori.
3. L’avversario
Colui che è in competizione con il protagonista e impedisce la realizzazione del suo desire facendo leva sulla debolezza del protagonista.
4. Il piano
L’azione che il protagonista elabora per raggiungere il suo scopo
5. La battaglia
La lotta che costituisce la parte centrale del film: i due avversari sono uno contro l’altro.
6. L’autorivelazione come prodotto dello scontro. Il protagonista diventa cosciente del need.
7. Il nuovo equilibrio che rappresenta il compimento del desire e il ritorno alla normalità.
A seguito della dura prova subita, il protagonista si trova ora a un livello superiore o inferiore, e si è operato in lui un cambiamento profondo e definitivo.
Ora è possibile comprendere appieno il grafico esemplificativo di Truby[5]:
DESIRE
SUPERFICIE
NEED
AUTORIVELAZIONE
Il need riguarda sempre una debolezza interiore del protagonista. Mentre il desire è l’obiettivo del protagonista. Need e desire svolgono funzioni diverse nei confronti del pubblico. Agiscono in modo dialettico, il need è quello che serve per far comprendere i cambiamenti del protagonista all’interno della storia, di per sé è la chiave interpretativa del personaggio, ma proprio per questo è quella più sommersa, quella che si rivela un po’ alla volta. Il desire, invece è quello che il pubblico vede subito e che però il protagonista sembra bloccato nel realizzarlo.
Non è necessario, in questa sede, approfondire maggiormente i sette punti dal momento che useremo lo schema strutturale proposto da Truby per riflettere sulle novità drammaturgiche presenti nelle attuali serie televisive d’oltreoceano, le più viste dal pubblico giovanile.
Prendendo in esame le serie Tv americane, ci accorgiamo che l’operazione di analisi della struttura drammaturgica è difficile perché dobbiamo spingerci oltre la prima stagione per cogliere almeno un arco narrativo completo. Nel caso della lunga serialità si tratta, inoltre, sempre di finali volutamente aperti, che lasciano qualcosa in sospeso per poter proseguire: i raffinatissimi cliffhanger che creano una forte aspettativa nel pubblico.
Il personaggio protagonista ci viene svelato almeno in relazione ai numerosissimi interrogativi aperti nella prima stagione. Potremo così constatare che nei nuovi prodotti seriali d’oltreoceano c’è qualcosa che sfugge a ogni possibile teoria.
Truby stesso afferma, nell’articolo che andremo ad analizzare, che oggi le richieste che riceve da scrittori e produttori, quando viaggia nel mondo per impartire lezioni di scrittura e di tecniche di sceneggiatura, non sono più come scrivere un film di un super eroe holliwoodiano. Vogliono sapere come scrivere serie che si avvicinino a quelle americane di grande successo come Breaking Bad, Mad Men, Homeland, House Of Cards, Games Of Thrones. Per questa ragione, Truby parla di una vera e propria rivoluzione a livello drammaturgico.
Qualcosa è cambiato
Negli ultimi dieci anni, scrive Truby, si è sviluppata una grande rivoluzione nelle storie delle serie televisive.
La cosa è tanto significativa quanto lo fu la nascita del romanzo nella metà del XVII secolo, l’introduzione del realismo psicologico nella drammaturgia teatrale nel tardo XIX secolo, lo sviluppo del film nei primi del anni del XX secolo o l’emergere del video game come modalità narrativa a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 [...] Con la forma seriale, ogni storia ha diversi personaggi principali, con le loro debolezze e i loro desideri, che non risolvono i loro problemi alla fine di un episodio e nemmeno dopo quindici. In termini di storia questo significa soprattutto che diverse linee narrative si intrecciano nel corso di molti episodi. Non più confinate nei ristretti 40 minuti, un autore può giungere ad una verità più profonda confrontando e contrapponendo tra loro personaggi e linee narrative di un unico film in modo trasversale[6].
Questo, mette in evidenza Truby, ha avuto una enorme ricaduta sulla struttura delle storie televisive, perché ha significato che l’unità di misura dello spettacolo televisivo fosse non più lunga quanto un episodio ma quanto un’intera stagione. Il canovaccio su cui un autore poteva lavorare è divenuto dieci volte superiore al caratteristico film e dieci volte più complesso. Così, non è una coincidenza che la rivoluzione nelle storie si sia verificata a braccetto con lo sviluppo della televisione in se stessa come forma d’arte. Ma in che modo precisamente la forma seriale ha rivoluzionato le serie televisive sia nei personaggi che nelle trame?
Molto è dovuto al fatto che le serie hanno prodotto uno spostamento fondamentale dall’eroe all’antieroe. Il termine antieroe, così come è comunemente inteso, è un po’ improprio e oscura la natura rivoluzionaria di questi personaggi. Tecnicamente, un antieroe è per certi versi semplicemente l’opposto del classico eroe.
Ma il modo con cui molti critici definiscono il termine, quando parlano del passaggio agli spettacoli televisivi a partire da I Sopranos in poi, è che gli antieroi sono cattivi soggetti. Non diabolici, ma cattivi, e quindi per certi versi antipatici. Può essere un killer come Tony Soprano (I Sopranos), un donnaiolo come Don Draper (Mad Men), uno spacciatore di metamfetamine e un assassino come Walter White (Breaking Bad) o un machiavellico cospiratore e un assassino come Frank Underwood (House Of Cards) …Ma questi personaggi non sono solo cattivi – questo è semplicistico e alla lunga non produrrebbe grandi storie. Essi sono complessi….
Truby spiega che, ora, la parola complesso è spesso tirata in ballo nei circoli di scrittura, e nessuno si prende il disturbo di definirla strutturalmente. Molte persone pensano che il termine si riferisca alle contraddizioni psicologiche, che tutti questi personaggi certamente posseggono. Ma ciò che il termine davvero significa è che questi personaggi hanno delle contraddizioni morali.
In questa forma seriale si assiste all’aumento radicale del numero di personaggi che conducono diverse linee narrative mostrando al pubblico una sorta di società in miniatura e lo spettatore, sempre secondo Truby, potrebbe perdersi se l’intreccio dei personaggi non fosse altamente organizzato.
Serie come Game Of Thrones e House Of Cards mostrano la novità di questa tecnica drammaturgica. Ma l’aspetto più interessante, che mette in evidenza Truby, è che queste storie non trattano di come vivere una buona vita in un mondo moralmente impegnato, ma di come si vince la partita e finiscono con il sostenere che nell’agire morale ci sia una buona dose di stupidità.
Uno degli aspetti di cambiamento è quindi che dall’eroe si è passati all’antieroe, dalla serie I Soprano in poi, infatti, gli antieroi proliferano: sono mediocri e pasticcioni come il protagonista di Lilly Hammer , Frank Tagliano, che esprime l'indifferenza morale, l'incapacità di pensare a una società come riflesso della philia, la forza come giustizia e aspira alla società dei diritti, dove nessuno vuole avere più doveri; geni come Axerdon in Billions; personalità al limite dell’equilibrio mentale come Annalise Keating in Le Regole Del Delitto Perfetto o perfettamente lucidi come Frank Underwood in House Of Cards. Il numero è così alto che è impossibile classificarli.
C’è qualcosa che li accomuna, però, nessuno di loro ci vuole insegnare come vivere in un modo ineccepibile dal punto di vista morale. Al contrario, la morale viene presentata come una limitazione, la coscienza come qualcosa che imprigiona e rende vili.
Osservando le cose dal punto dello storytelling, ritengo che tutto ciò non riveli un cambiamento solo di tipo tecnico, ma soprattutto drammaturgico. Siamo di fronte alla nascita di una nuova forma d’arte che rispecchia e narra la profonda crisi dell’umanesimo personalista. Una crisi antropologica che da anni sta modificando profondamente la modalità narrativa dell’uomo.
NOTE
[1] A. Grasso – C. Penati, La nuova fabbrica di sogni. Miti e riti delle serie TV americane, Il Saggiatore, Milano 2016, p. 9.
[2] L. Bandirali-E. Terrone, Filosofia delle serie. Dalla scena del crimine al trono di spade, Mimesis, Milano 2012, pp. 9-10.
[3] J. Truby, Anatomia di una storia, ed. Dino Audino, Roma, 2009, p. 14
[4] J. Truby, Anatomia di una storia, p. 30.
[5] J. Truby, Anatomia di una storia, p. 33.
[6] John Truby TV’s revolution in Story apparso sul suo blog personale www.truby.com (febbraio 2014).