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    La famiglia nella fiction contemporanea


    Alessandra Caneva

    (NPG 2021-05-65)


    L’allora presidente della Lux Vide, Ettore Bernabei, mi spiegava che oggi è la finanza a governare il mondo e che il suo strumento principale è la comunicazione. Oggi la comunicazione è come gli eserciti dell'800: può occupare un territorio e controllarlo. La grande finanza è in mano a persone che hanno la cultura del profitto immediato. Non solo del profitto, perché col solo profitto si può anche perseguire il bene comune, ma del profitto immediato. La sua ideologia è diffondere il massimo dell'individualismo e quindi del consumo. Aborto, eutanasia, dissoluzione della famiglia sono tra i principali obiettivi.

    Un primo sguardo alla fiction delle reti generaliste

    La famiglia, come agglomerato intimo di persone che hanno legami di sangue, non è il vero bersaglio della cultura contemporanea.
    La narrazione televisiva, non solo quella italiana, mostra la famiglia come una realtà ineludibile. Sebbene a volte appaia come una prigione culturale, la famiglia non può essere soppressa, l’individuo si sentirebbe smarrito in una società sempre più aggressiva e incapace di sussidiarietà.
    La famiglia è il luogo dove qualcuno ti ascolta sempre, dove sei amato, dove ci si riunisce intorno a una tavola, dove si desidera tornare dopo delusioni cocenti. Chiariamoci, la fortunata serie Un medico in famiglia, che ha conosciuto ben dieci edizioni, ci parla per esempio di una famiglia quasi sempre allargata, dove le generazioni continuano a vivere insieme in modo assolutamente anomalo, dove l’angoscia dei distacchi necessari alla maturazione, i lutti dovuti al trascorrere del tempo vengono colmati dalla convivenza caotica dettata pur sempre da quei legami di sangue che sono considerati prioritari: genitori e figli, nonni e genitori, nonni, nipoti ex suoceri. Tuttavia, nella famiglia Martini ci sono molti figli, ma è abolita la maternità. L’aspetto femmineo viene relegato in spazi marginali nella narrazione. Da Elena a Bianca, le madri sono vissute come colpevoli e per questo esiliate, fuori dalla scena.
    La serie Una grande famiglia, che ha visto grandi protagonisti come Stefania Rocca, Alessandro Gassman, Stefania Sandrelli, affronta il tema in una prospettiva più pessimista. Recita uno dei protagonisti: «La famiglia è il luogo che a volte ti soffoca, ti stritola, ti inchioda sempre alla stessa immagine di te, e non si accorge quanto sei cambiato, quanto sei diverso, per questo la famiglia è il luogo dal quale vuoi scappare, ma è anche il luogo ove si torna, è la casa che ti accoglie, dove si torna tutte le volte che la vita sembra averti lasciato solo».
    Se sono considerati intoccabili i legami di sangue, quello coniugale ha invece perso completamente quella sacralità che invece gli spetterebbe di diritto. E la domanda sorge spontanea: di quale famiglia parliamo, senza una coppia che genera la vita e dura nel tempo? Sembra una contraddizione, e in fondo lo è, ma la sfiducia profonda che l’amore tra un uomo e una donna possa durare nel tempo è ormai un comune denominatore di tutte le narrazioni televisive sia italiane che estere, di generi e di livelli artistici differenti.
    L’amore che dura nel tempo non è neanche più considerato oggetto d’interesse, lo si scarta a priori, nelle lunghe serie l’esigenza di dare un o una partner nuovi a un attore o a una attrice principale spinge a creare espedienti drammaturgici bizzarri come vedovanze per esempio, o fughe per missioni umanitarie. Perché il pubblico adulto, soprattutto femminile, secondo i produttori, vuole immedesimarsi nei protagonisti nel momento magico dell’innamoramento, quello che fa sentire “le farfalle nello stomaco”, che ci fa sognare, che ci aiuta a evadere da una quotidianità opprimente perché sempre uguale a se stessa, lasciandoci sperare che possa succedere anche a noi di innamorarci di nuovo, di sentirci leggeri e felici come quando eravamo molto giovani.
    Vengono esaltati i momenti iniziali di una relazione amorosa, così gli approdi alla celebrazione delle nozze che viene svuotata, tuttavia, di quell’onorevole impegno alla fedeltà. Le parole del rito diventano un momento di forte emozione, ma nessuno pensa che possa esserci bellezza e poesia nel lottare ogni giorno per mantenere quanto promesso. Non lo si crede possibile. E, quindi, non viene raccontato.
    Scardinata la coppia di genitori, alleggerita del suo compito di essere il principale riferimento affettivo ed educativo della prole, l’agglomerato famiglia prevede l’inclusione senza limiti di nonni, suoceri, ex nonni, ex suoceri, zie, zii, tate e quant’altro. Il modello esistenziale più appetibile è quello dell’adulto soddisfatto del proprio lavoro, che esercita senza limiti imposti dai doveri nei confronti dei figli e, da un punto di vista affettivo, quello dell'eterno adolescente. Le fortunate serie I Cesaroni, Provaci ancora prof, È arrivata la felicità ne sono una prova lampante.
    Tutto ciò è il riflesso di una crisi reale, che però non viene considerata tale, ma che diventa un assioma: vivere bene significa accettare che l’amore tra uomo e donna non può durare nel tempo se non accontentandosi di essere infelici.

    Lo scenario delle serie tv estere in generale non cambia molto

    Le costanti rimangono sempre le stesse: deserto educativo, ansia di prestazione da parte dei genitori, fragilità, pessimismo esistenziale, diffidenza degli adolescenti nei confronti delle figure genitoriali. Si riscontrano tuttavia delle anomalie in quei prodotti che tanto hanno avuto successo tra il pubblico giovanile: le serie apocalittiche.
    Il grave attentato dell’11 settembre ha segnato nell’immaginario soprattutto americano un punto di non ritorno. Gli eroi spariscono dalle costruzioni drammaturgiche, la domanda di senso sfocia nel pensiero tragico, la scienza e la fede sembra non possano dare più risposte. Eppure, in serie di grande successo come The Walking Dead, Falling Skies, Resurrection, Leftovers, la famiglia diviene un punto di riferimento forte, una realtà da cui ripartire quando si è perso tutto, qualcosa per la quale vale la pena dare la vita.
    Singolare e degna di essere menzionata è la serie The Whispers, che ha debuttato su Sky nel 2015. Anche questa fa parte del filone apocalittico, anche se la distruzione dell’Umanità da parte di un mondo extraterrestre è appena cominciata. Ispirata al racconto “Ora breve” di Ray Bradbury, la serie The Whispers (sussurri) è un thriller di fantascienza che vanta Steven Spielberg tra i produttori esecutivi.
    Vale la pena soffermarsi sul concept perché la strategia degli alieni appare interessante in quanto si inserisce nelle problematiche attuali delle relazioni familiari.

    Siamo a Washington. Harper, una bambina di otto anni dal viso angelico, viene accusata del tentato omicidio di sua madre. La piccola parla di un amico immaginario di nome Drill che l’ha spinta, con la scusa di un gioco, a segare la piattaforma di una casetta costruita sugli alberi dove ha costretto sua madre a salire. In pochi giorni altri bambini iniziano a parlare contemporaneamente con quello che tutti credono sia un amico immaginario, e a compiere atti efferati. Si chiama Drill, ha lo stesso nome per tutti. La specialista in comportamento infantile dell’FBI, Claire Bennigan, è chiamata a investigare. La donna si accorge che anche suo figlio Henry è sotto la forte influenza di Drill.
    Si tratta di un’entità aliena che vuole distruggere l’Umanità. Comunica solo attraverso l’elettricità, ma altri non è se non un pioniere di un mondo extraterrestre che vuole prendersi il nostro pianeta. Un’entità maligna, perché capisce che i bambini sono l’anello debole del genere umano, sono puri, facilmente manipolabili.
    I bambini a cui si rivolge Drill sono figli di autorità della Nasa, di capi o responsabili di centrali nucleari, di graduati di grande rilievo nell’esercito americano. Drill manipola i bambini per spingere gli adulti a fare esattamente ciò che vuole. Ha necessità di energia nucleare per organizzare lo sbarco alieno.
    Non sono bambini scelti a caso, quindi, ma ciò che troviamo particolarmente interessante, in questa serie, è la grande attenzione alla psicologia di queste piccole vittime. Soffrono disagi causati dai comportamenti insensibili ed ego riferiti dei genitori, si sentono incapaci di esprimere i loro bisogni, vivono una forte sofferenza affettiva. E Drill va a colmare quel vuoto con intelligenza malvagia: a Minx promette che suo padre Wess si innamorerà di nuovo di sua madre Lena; a Henry, sordomuto, di rivedere suo padre Sean, allontanatosi da casa perché sua moglie Claire lo ha tradito con Wess. Henry crede che sia morto e il fatto di non poter parlare lo porta a vivere un disagio profondissimo. Drill tiene loro compagnia, non li lascia mai soli, come un vero amico, gioca con loro, cosa che non fanno gli adulti presi dai loro impegni.
    Un modo per neutralizzare Drill c’è, forse l’eliminazione dell’elettricità. Gli adulti, intanto, si accorgono dell’interiorità sofferente dei bambini e salvare i loro figli li porta a riavvicinarsi, le famiglie ritrovano quell’unità perduta. Il messaggio che sembra lanciare questa serie Sci-fi, Scientific fiction, sembra essere chiaro: se si vuole distruggere l’Umanità alla radice, bisogna partire dal bambino che soffre e farlo cadere nella propria trappola mortale.

    Di fronte all’enorme produzione di serie tv cui stiamo assistendo in questi ultimi anni, e di fronte alla complessità del reale, caratteristica della post modernità, è tuttavia impossibile tracciare delle linee interpretative rigide. Le eccezioni, infatti, a volte sorprendono.
    Nel 2015 esordì una serie, Trans Parent, genitore transessuale, che lungi dal voler essere una commedia, ha avanzato tesi che mirano alla dissoluzione non solo della famiglia, ma anche della mascolinità e della femminilità proponendo una sessualità liquida, libera dai condizionamenti definiti culturali, che hanno caratterizzato le società umane fino a ora. La serie rappresenta un’interpretazione inappuntabile dell'ideologia gender e della cultura post umana in cui la nostra società sta scivolando. Siamo solo corpi, alcuni hanno il pene altri no, è quanto dice a Camp Camellia, un villaggio trans, la moglie di uno di loro che ha deciso di accettare la transessualità del marito. I vari personaggi hanno bisogno di perdere i loro confini culturali e biologici per essere se stessi e per dar voce al bisogno di conformità con il mondo che li circonda. La serie fa coincidere nello stigma maschio e femmina la ragione profonda dell’infelicità.
    Accanto a questa serie, non è stato però possibile ignorarne un’altra, This is Us, che rappresenta una felice anomalia in questo scenario complesso, ma per lo più teso a scardinare costrutti dell’antropologia cristiana.
    This is us è l’istantanea di una famiglia, raccontata dalla prospettiva della sua storia fatta di tanta gioia, ma anche di sofferenza, senza però scendere mai nel dramma più profondo. Perché è vero, la vita è difficile, ma le cose si possono sempre aggiustare. Non è una storia né melensa né buonista.
    L’ottimismo allora sta nel fatto che pur con tutte le loro fragilità, con tutti i loro limiti, i protagonisti riescono ogni volta a superarsi, in un modo mai banale e sempre nuovo. E questo emoziona, perché le debolezze dei personaggi sono quelle di tutti. In sostanza si racconta un sentimento che riesce a durare nel tempo.
    Sia Trans Parent che This is us sono state premiate da un Emmy Awards… ma che la realtà sia complessa l’abbiamo già detto.


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