(NPG 2021-01-14
Il “cambio d’epoca” di cui tanto si parla dal novembre 2015, quando Papa Francesco usò l’espressione durante il suo discorso alla Chiesa italiana in Convegno a Firenze, è rimasta fino a poco tempo fa molto usata e poco compresa. Molte resistenze nostalgiche hanno impedito di prendere sul serio quell’affermazione. La situazione che si è venuta a creare con la pandemia ha improvvisamente dato una scossa. Scrive il filosofo Luciano Floridi:
Siamo entrati nel ventunesimo secolo con una lacerazione tragica, la pandemia. Nei libri di storia sarà questo lo spartiacque con il Novecento, così come la prima guerra mondiale ha segnato la fine dell’Ottocento. Il disastro climatico, l’ingiustizia sociale, la fine delle ideologie, la crisi della democrazia, i rigurgiti fascisti e il terrorismo fondamentalista, il problema dell’immigrazione, la crisi del modello capitalista neoliberale sono tutte trasformazioni dalla storia lunga. Ma la pandemia le ha saldate insieme ad altre in un’unica spinta globale, sincronizzata e violenta, facendo della fine del Novecento un’esperienza planetaria comune e condivisa. È il classico pettine della storia dove i tanti, preesistenti nodi sono ora giunti. Avendo rifiutato per anni di scioglierli; avendo preferito accontentarci di procedere guardando nello specchietto retrovisore (si pensi al bellissimo progetto Europeo, non più presentabile solo come un successo di pace post-bellica); e avendo avuto troppo spesso solo la timidezza di operazioni di piccoli adattamenti, o l’illusione di operazioni anacronistiche (vedi Brexit), ci ritroviamo ora gettati in un’epoca aliena, disorientati come naufraghi su un’isola che non riconosciamo.
(Luciano Floridi, in Osservatore Romano, 7 novembre 2020)
È finito il secolo scorso, quel Novecento che dagli anni della contestazione (’68) aveva preparato un lungo cambiamento, fatto di fiducia nella tecnologia, scienza, finanza e mercato. Una lunga “età dell’oro” dove, nonostante alcuni momenti di crisi, almeno l’opulento mondo occidentale era entrato in un parco giochi fatto di consumi, di soluzioni a portata di mano, di godimento di tutto ciò che era a disposizione; ed era sempre di più…
È l’alba di un tempo nuovo e diverso. Difficile dire bene, oggi, come sarà. Ma il dossier cerca di leggere almeno il passato prossimo e i segni più evidenti del presente, perché la sapienza per il futuro è un dono dall’Alto che funziona solo se la facciamo scendere dentro, la coltiviamo. È tempo di rigenerare i pensieri e il cuore, per poter essere generativi, per continuare quell’accompagnamento delle giovani generazioni che il cammino sinodale del 2018 ha così fortemente rilanciato.
Il dossier si apre con un articolo dello storico Alberto Guasco: egli fa una rilettura degli ultimi cinquant’anni: dalla svolta ecclesiale del Concilio Vaticano II, dalla contestazione non solo giovanile del ’68, alla caduta del Muro con la nascita del mercato globale e l’impero della tecnologia e del consumo. Un cambiamento che arriva fino all’inizio del 2020.
Segue un articolo scritto da Stefano Paleari, già Presidente della Conferenza dei Rettori universitari italiani e oggi Consultore del Pontificio consiglio della Cultura, che riprende ampi stralci del suo ultimo libro La guerra non dichiarata. Perché in Italia tutto è iniziato prima del Coronavirus e perché non è ancora tutto finito. Il suo intervento è utile per poter affrontare il dopo facendo tesoro tanto degli errori del decennio passato quanto del presente, e guardare finalmente la realtà per quella che è, senza ipocrisia. Solo così sarà possibile invertire la rotta ed entrare finalmente nel futuro.
Abbiamo poi raccolto alcune testimonianze, prese tutte dal cuore di una zona rossa, la Diocesi di Milano nei suoi diversi territori. Le abbiamo intitolate Il violinista e il naufrago. Durante l’affondamento del Titanic, Wallace Hartley il direttore dell’orchestra della nave, iniziò a suonare il violino con i suoi colleghi per aiutare a mantenere calmi i passeggeri. Un gesto all’apparenza inutile, come in realtà appaiono oggi molti gesti di cura. Questa parte è in chiave di racconto/testimonianza di ciò che tre preti hanno vissuto nelle loro relazioni con i ragazzi, i giovani e la comunità durante il periodo del confinamento. Sono le loro riflessioni su ciò che ne rimane e che si apre rispetto al lavoro pastorale. Gli interventi sono di don Davide Pepe, don Giovanni Boellis, don Gianmaria Manzotti.
Infine l’ultimo contributo, dal titolo Sapete leggere questo tempo?, è di don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la Pastorale giovanile. In esso si prova a raccogliere le sfide pastorali per il futuro prossimo.