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    Il corpo nelle serie TV


    Claudia Caneva

    (NPG 2021-06-72)

     

    Uno dei temi costanti nelle serie è il corpo: trasformato, offeso, esposto, esaltato, manipolato, consumato... A volte si assiste impotenti a rappresentazioni che mettono a disagio, che sembrano aver perso il senso dell’umano: il corpo si presenta come carne senza mistero, mero involucro di pelle, tragicamente mortale, senza Dio, senza anima. Ne sono un esempio le serie di genere crime dove il feroce accanimento sul corpo ha assunto caratteristiche inedite rispetto al passato (es. le serie Dexter o Bones).
    Secondo lo storico Jacques Le Goff, questo atteggiamento sarebbe il risultato del tentativo di rimozione di ogni intimo rapporto tra il corpo e l’anima[1], alla ricerca di una libertà che non abbia più nessun limite biologico.
    Ma tutto ciò non viene dal nulla ed è il risultato di una sensibilità estetica e culturale maturata nel tempo. Per questo, non possiamo pensare di comprendere le modalità di rappresentazione del corpo nelle serie senza prima mettere a fuoco alcuni elementi importanti del complesso contesto in cui viviamo.
    Le domande sorgono spontanee: qual è il rapporto dell’uomo contemporaneo con il suo corpo? Galimberti afferma che il corpo, per l’uomo contemporaneo, è il luogo dove si consuma la sua alienazione, la frustrazione tra ciò che è, e ciò che dovrebbe essere secondo i canoni imposti dalla società. Quale relazione allora esiste ancora tra anima, corpo e spirito? Il corpo è un semplice contenitore o definisce l’umano in quanto tale? E cosa dell’umanità è ancora umano oggi? L’umano è semplicemente una modalità semantica o ha una sua specifica forza di orientamento?
    Che l’uomo, da sempre, abbia tentato di superare i limiti della sua fisicità proiettandosi in un futuro di immortalità non è una novità (es. il mito di Icaro), ma questi corpi proposti nelle serie, imbottiti di protesi efficienti e di una intelligenza angelica fissata a un hard disk, il più delle volte a-sessuati o iper sessuati, potrebbero rappresentare un futuro prossimo possibile nel quale l’idea di limite sembra dissolversi completamente, e la presenza dello spirito umano vaporizzarsi nel nulla?
    E non possiamo essere così ingenui da sottovalutare il fatto che la demolizione dell’immagine corporea abbia una valenza simbolica e che esista sempre una razionalità intrinseca che, seppur non è immediatamente afferrabile, ci coinvolge nelle strutture profonde della coscienza.
    C’è un potenziale problematico insito nelle rappresentazioni artistiche del corpo nelle serie, cosi come nel cinema e nell’arte contemporanea, nei media in genere, che richiede uno sforzo di comprensione non facile: il rerum videre formas esige in questo caso anche il rerum cognoscere causas.
    Siamo di fronte alla vecchia e nuova provocazione del tentativo di superare il biologico (la cui deriva è la teoria del gender) e l’intenzione sembra sempre più essere quella di riprodurre in modo realistico la nostra vita alla luce di quel principio, così ben descritto dal manifesto ideologico del post umano, che richiede la strategia politica della de-familiarizzazione. Intesa come abbandono dai valori familiari considerati oppressivi, dalle istituzioni naturali di mascolinità e femminilità, vuole spostare la differenza sessuale verso processi di un fluido divenire molecolare fino a rivedere e riformulare ex novo nozioni quali quelle di morale, identità, coscienza, natura, corpo…. La serie, come detto nell’articolo precedente, Transparent ne è un chiaro esempio.
    La natura, e quindi il corpo, allora cessano di essere un confine inviolabile: essi sono, piuttosto, qualcosa che si deve “cosificare”, modificare e intenzionalmente controllare.
    Paragonato a un paesaggio (somato-landscape), il corpo è oggi osservabile grazie alle sempre più sofisticate tecniche di indagine che sono in grado di mostrarcelo nei recessi più reconditi e microscopici e di fornirci immagini tridimensionali delle sue attività fisiologiche, delle sue fasi metaboliche e dei suoi umori. Da tempo ormai l’originario sconcerto, che derivava dal poter osservare ciò che di consuetudine non è dato di vedere, ha decretato «la perdita di quel carattere misterioso del corpo […], il superamento di quel clima di profanazione con cui avevano dovuto confrontarsi Leonardo da Vinci e Andrea Vesalio».
    La possibilità di “immergersi” nel proprio corpo, esplorarlo come ambiente, come una metropoli, diventa così uno spazio di esperienza, «attrattore di nuove epistemologie, un volano di nuove coniugazioni con il mondo». Ma queste “nuove coniugazioni ed epistemologie” sono proprio il tema delle serie e per la loro ambiguità richiedono uno sforzo intellettuale sempre più consapevole.
    Il modello uomo, infatti, non è più sostenibile a causa della sua parzialità e l’interazione, interconnessione con l’animale e con l’altro tecnologico hanno risvolti inediti.
    Si prospetta una “soggettività fluida, estesa”. Si tratta di un cambiamento che può essere interpretato come una sorta di esodo antropologico, una fuga dalla concezione dominante dell’Uomo come signore incontrastato del creato.
    Brian Massumi nel 1998 parlò di ex uomo come di «una generica matrice integrata nella materialità dell’umano e come tale sottoposta a mutazioni significative», che si avvia verso un processo “transpecie” di un divenire animale, terra, macchina. Lo stesso corpo sarà presto superato e considerato semplicemente un residuo arcaico.
    Serie come Altered Carbon (2018) per esempio sembrano essere la realizzazione narrativa di questa trasformazione. L’integrità della specie è stata sostituita dal modello biochimico di espressione della mutabilità della materia umana. Il tuo corpo non è ciò che tu sei puoi mutarlo come una pelle di serpente, abbandonarlo, lasciarlo dietro di te; l'umanità ha raggiunto le stelle, esplorato gli oceani delle galassie, per quanto ci addentriamo nell’ ignoto i mostri peggiori li portiamo in noi o anche Dio è morto, abbiamo preso il suo posto sono le frasi enunciate dalle diverse voci narranti della serie che ci immergono in un inquietante futuro. Siamo a San Francisco nel 2834 e Altered Carbon sa dare corpo drammaturgico a suggestioni che rivelano le nostre paure per una nuova rivoluzionaria tecnologia trasmessa dagli alieni che permette agli umani di essere praticamente immortali. Questo avviene semplicemente trasferendo la propria identità da un corpo all'altro, una volta che il proprio cessa di funzionare: ricordi, coscienza, elaborazioni, paura, traumi di ciascun individuo nella serie, possono essere comodamente trasferiti attraverso una “pila corticale” e i corpi finiscono con il ridursi in semplici custodie simili a computer, nei quali si applicano memorie portatili. Tratta dall'omonimo romanzo Cyberpunk di Richard Morgan è prodotta da Netflix e concilia il poliziesco e il noir, l’action fantascientifico.
    Il corpo umano è un involucro e i personaggi non esitano a martoriarlo, violarlo, sottoporlo a torture virtuali infinite, nelle quali non si muore mai, ma si soffre.
    Una nota caratteristica che potrebbe riguardarci è la descrizione dei neocattolici come una frangia estremista che si rifiuta di trasferire la propria “pila corticale” in un'altra custodia per salvare la propria anima. Si ribalterebbe infatti un principio fondamentale dell'antropologia cristiana dell’unità sostanziale di anima e corpo. La rappresentazione dei neocattolici di fronte alla forte questione etica antropologica è di personaggi che non hanno risposte convincenti, sono per lo più senza cultura, ricorrono al tema del diavolo, e sono vere e proprie “macchiette”: questo ci dice quale immagine hanno gli autori della serie del mondo cristiano e di quello cattolico.
    A questo proposito, si ricorda che le serie sono pur sempre un prodotto dell’industria culturale e il capitalismo avanzato non perde occasione per diventare una forza centrifuga che genera prodotti destrutturanti. Esso «è un moltiplicatore di nuove identità negoziabili. Questa logica innesca una proliferazione e un vampiresco consumo di opzioni quantitative anche a livello esistenziale, grazie anche all’infinita scelta dei generi di consumo: tutti differenti, ma tutti uguali. Tutto ciò elimina i vincoli normativi e amplia la mercificazione di tutto il vivente possibile, anche delle emozioni. Nella sua ansia fagocitante, il sistema economico attuale tende a ridurre i corpi a una superficie informativa e il vero capitale, oggi, sono le banche dati di informazioni biogenetiche, neurali e azionali degli individui. Il datamining è un ambito interessante per l’economia e comprende profili pratici che identificano degli obiettivi strategici specifici per gli investimenti di capitale.
    La serie Black mirror ne parla e la riflessione si estende al tema della morte perché biopolitica e necropolitica in fondo sono le due facce della stessa medaglia.
    Sembrerebbe allora che le serie ci stiano “preparando a vivere”, forse meglio “a sopravvivere”, all’idea che l’umano non sia più un progetto speciale della natura, ma una delle tante opzioni possibili.
    Da tempo monitorizzo le rappresentazioni artistiche del corpo, almeno quelle inserite nel circuito delle mostre e dei cataloghi internazionali e, in questi ultimi anni, delle serie e vorrei dare due chiavi di lettura, che ho tratto dal pensiero del filosofo torinese Luigi Pareyson e che cercano una idea di unità oltre l’apparenza: la prima invita a rintracciare nella più violenta e arbitraria deformazione il proposito di una rivelazione più profonda, per esempio, dare voce a quei bisogni oggi considerati “illegali” come il desiderio di eternità; la seconda, più ardua da comprendere, è che a volte Dio è più vicino a chi dispera per averlo sempre negato che a chi crede di possederlo.
    Per dirla in modo più diretto, questo tentativo di trasformazione e manipolazione del corpo a cui assistiamo impotenti, e a cui assistono i nostri giovani, non potrebbe rappresentare un disperato modo di realizzare quel desiderio antico dell’uomo di eternità? Potrebbe non rispondere solo alla brama di possesso, proprietà e dominio, ma alla ricerca di sicurezza e protezione per colui che è opera di se stesso? Pico della Mirandola scriveva: «O Adamo noi non ti abbiamo dato né una sede determinata, né un aspetto proprio, né alcun dono particolare […] la natura degli altri viventi già definita è costretta dentro leggi da noi prescritte: tu non limitato da alcuna costrizione, potrai secondo il tuo arbitrio, al cui potere io ti affidai, definire la tua natura».
    Sono provocazioni estreme, inedite e ai limiti della perversione, ma si potrebbero guardare con un occhio diverso: rubare[2], strappare l’anima dal corpo per ridurre quest’ultimo all’eterno presente, alla “pura natura” / “senza natura” oppure per preservarla dalla corruzione e dalla morte? Uno strappo che protegge o lacera l’identità umana?
    Non è semplice, perché il pericolo dell’emulazione, della assuefazione, di uno sguardo senza più mistero è il rischio che corrono i giovani sottoposti a queste immagini. Ma non sempre l’esperienza dell’annichilimento può essere negativa. Forse può stimolare a un nuovo rapporto con il proprio corpo, un rapporto significativo sul piano esistenziale, che abita il tempo, e si presenta come rivincita dal nulla.


    NOTE 

    [1] Cfr. J. Le Goff, Nicolas Truong, Une histoire du corps au Moyen Âuge, Liana Levi, Paris 2003, trad. it. Il corpo nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari, 2005.
    [2] Cfr. P. Barcellona – T. Garuffi, Il furto dell’anima. La narrazione post umana, Dedalo, Bari 2008.


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