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    Francesco di Sales, guida spirituale


    Dialogo immaginario tra il Santo e l’autore

    Gianni Ghiglione

    (NPG 2021-05-34)

     

    L’autore
    Caro Vescovo Francesco di Sales, stiamo per celebrare i 400 anni dalla tua morte e il tuo messaggio di vita spirituale è quanto mai attuale oggi nella Chiesa. Penso soprattutto alla Filotea, un testo straordinario che ha condotto infinite persone a diventare “amiche di Dio”. Le 1300 edizioni in 4 secoli lo confermano! Se venissero dei giovani da te per chiederti di essere la loro guida spirituale, tu che cosa diresti loro?”.

    Francesco (di Sales)
    Io sarei felice di questa richiesta perché nel desiderio di Dio, nella ricerca del bene è presente e operante lo Spirito Santo. L’attuale Papa ha recentemente scritto:
    Più che mai abbiamo bisogno di uomini e donne che, a partire dalla loro esperienza di accompagnamento, conoscano il modo di procedere, dove spiccano la prudenza, la capacità di comprensione, l’arte di aspettare, la docilità allo Spirito, per proteggere tutti insieme le pecore che si affidano a noi dai lupi che tentano di disgregare il gregge. Abbiamo bisogno di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire” (Evangelii gaudium, nn 169-171).
    Il Papa, da buon gesuita, è attento all’importanza dell’accompagnamento spirituale, perché ciò risponde ad un bisogno della nostra epoca: in una società dell’immediato, dove si va sempre più in fretta, è necessario fermarsi per rileggere la propria vita e per raccoglierne i buoni frutti.
    Tornando alla domanda, sono convinto che anche oggi il Signore lavora nel cuore delle persone e dei giovani in particolare. Occorre essere chiari con loro fin dall’inizio: il cammino verso il Signore è un cammino che dà grande gioia al cuore, ma è in salita ed esige decisione e capacità di faticare. Io lo presenterei come un’escursione in montagna con alcune tappe da rispettare.
    La prima tappa è chiarire l’obiettivo. La vetta che ci aspetta è la santità (io la chiamavo devozione), una vetta affascinante. Scrivevo nella Filotea che la santità non è altro che un vero amore di Dio…; un amore di Dio giunto ad un tale livello di perfezione, per cui non soltanto ci dà la forza di agire bene, ma ci spinge ad operare con cura, spesso e con prontezza, allora si chiama devozione… È una sorta di agilità e vivacità spirituale per mezzo della quale la carità agisce in noi con prontezza e affetto… Per essere buoni ci vuole la carità e per essere devoti bisogna avere grande vivacità e prontezza nel compierne gli atti… La devozione ci rende pronti, attivi e diligenti…
    Ma la bella notizia è che tutti possiamo arrivare alla meta finale del nostro cammino, nessuno escluso. Dà coraggio il sapere che lo possiamo fare e che tutti, ciascuno con il suo passo, arriveremo in cima. L’ho detto chiaramente all’inizio della Filotea, che non è indirizzata ad una donna, ma a una persona che vuol diventare “amica di Dio”, che vuol camminare verso una vita cristiana bella e gioiosa. Con questo scritto, mi sforzo di offrire un sostegno a coloro che, con cuore generoso, vorranno cimentarsi in questa impresa. Io intendo offrire i miei insegnamenti a quelli che vivono nelle città, in famiglia, a corte, e che, in forza del loro stato, sono costretti, dalle convenienze sociali, a vivere in mezzo agli altri. La devozione deve essere vissuta in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla nubile, dalla sposa; ma non basta, l’esercizio della devozione deve essere proporzionato alle forze, alle occupazioni e ai doveri dei singoli. Pretendere di eliminare la vita devota dalla caserma del soldato, dalla bottega dell’artigiano, dalla corte del principe, dall’intimità degli sposi è un errore, anzi un’eresia. Poco importa dove ci troviamo: ovunque possiamo e dobbiamo aspirare alla devozione.
    Papa Francesco riprende questa idea quasi con le mie stesse parole. Scrive infatti: Per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi. Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova.
    Dunque zaino in spalla e si parte.

    L’Autore
    D’accordo, zaino in spalla e poi?

    Francesco
    Prima dello zaino e dell’attrezzatura occorre avere una guida. La vetta verso la quale siamo incamminati non è una collinetta, ma una montagna grande. Non ci si può avventurare in solitaria, senza una guida esperta. Ecco perché proprio nelle prime pagine della Filotea ho scritto: Vuoi metterti in cammino verso la devozione con sicurezza? Trova qualche uomo capace che ti sia di guida e ti accompagni; è la raccomandazione delle raccomandazioni. Prega Iddio, con grande insistenza, che ne provveda una secondo il suo cuore. Parla con lui a cuore aperto, in piena sincerità e schiettezza. La guida deve essere ricca di carità, di scienza e di prudenza. E mi ricordo che in una lettera ad un amico ho scritto: Perché mai vorremmo essere maestri di noi stessi per quanto concerne lo spirito, quando non lo siamo per quanto riguarda il corpo? Non sappiamo forse che quando i medici cadono ammalati chiamano altri medici capaci di diagnosticare gli opportuni rimedi? Anche gli avvocati non difendono la loro causa, ben sapendo che l’amore proprio è solito annebbiare la ragione. Chi si guida da sé ha preso come guida un gran pazzo!
    Sempre nella prima tappa inviterei i giovani che se la sentono a partire con il piede giusto, cioè con una buona confessione. Occorre creare da subito una sintonia spirituale con il Signore e là dove c’è il peccato questa sintonia è interrotta o frastornata.
    Ora dobbiamo pensare all’attrezzatura: se non sei ben attrezzato per il viaggio non riesci a raggiungere la vetta.

    L’autore
    Caro Francesco, tu ti rivolgevi a persone che avevano un solido vissuto religioso. Nei tuoi scritti, tu tratti tranquillamente di preghiera, di Messa, di Confessione senza dover aggiungere spiegazioni. Queste pratiche facevano parte del loro bagaglio di vita cristiana e la conoscenza del catechismo, a grandi linee, era un dato acquisito. Era l’ambiente che educava: nelle famiglie si pregava, la S. Messa domenicale era il centro della settimana, ci si confessava sovente e la carità era vissuta con generosità e semplicità. L’edificio religioso, nonostante qualche falla anche vistosa, aveva i muri portanti solidi.
    Oggi invece ci troviamo in una società del tutto secolarizzata. Sembra che nella vita dell’uomo non ci sia più spazio per il sacro, per lo spirito.
    E allora parole quali preghiera, Eucaristia, Confessione risultano insignificanti e mute ai nostri giovani, per cui c’è da colmare un vuoto di conoscenza prima e di pratica dopo. Si tratta, in altre parole, di costruire un terreno solido comune che regga e consenta di partire per il cammino proposto.

    Francesco
    L’attrezzatura giusta per il cammino riguarda le colonne portanti della vita cristiana, che sono la preghiera, la Parola di Dio, l’Eucaristia e la Confessione. Voglio dire ai giovani una parola su ciascuna di queste colonne che reggono l’edificio della vita cristiana. Le puoi rintracciare facilmente nella seconda parte della Filotea, dedicata proprio ad arricchire il cuore con la presenza di Dio.

    La preghiera
    - Inizia ogni orazione mettendoti alla presenza di Dio, che è una viva e attenta presa di coscienza della onnipresenza di Dio.
    - Non andare in fretta per dire molte preghiere, ma studiati piuttosto di dire quelle che dici con il cuore. Un solo Padre nostro detto con sentimento vale più di molti recitati in fretta e di corsa.
    - I bambini, a forza di ascoltare le mamme e balbettare dietro a loro, imparano la loro lingua; avverrà lo stesso per te se ti terrai vicino al Salvatore con la meditazione: osservando le sue parole, le sue azioni e i suoi affetti, imparerai, con il suo aiuto, a parlare, agire e volere come Lui.
    Ma il cuore di tutto consiste nell’esercizio del raccoglimento spirituale e delle preghiere giaculatorie: esso può supplire alla mancanza di tutte le altre orazioni, ma se manca questo non c’è modo di rimediare. Senza questo esercizio non è possibile la vita contemplativa, anzi sarà mal condotta anche quella attiva.

    La Parola di Dio
    Qui il discorso è diverso: vi dedico solo un capitoletto condensato nell’espressione: Devi essere devota alla Parola di Dio; devi ascoltarla sempre con attenzione e rispetto.
    La Parola di Dio è davvero una bella strada da offrire ai giovani: nella Parola scritta c’è il volto e il cuore di Gesù. San Girolamo diceva che ignorare la Bibbia è ignorare Cristo. È stata questa Parola a sostenere il mio cammino verso il sacerdozio e ho faticato parecchio perché mio padre aveva su di me progetti grandiosi. Ma io volevo essere della Chiesa e realizzai il mio sogno nel 1593 diventando sacerdote. Mi preparai tre giorni alla celebrazione della mia prima Messa. E parlando dell’Eucaristia nella Filotea scrivo:

    L’Eucaristia
    Non ti ho ancora parlato del sole degli esercizi spirituali: il santissimo e sommo Sacrificio e Sacramento della Messa, centro della religione cristiana, cuore della devozione, anima della pietà, mistero ineffabile che manifesta l’abisso della carità divina. Per suo mezzo Dio si unisce realmente a noi e ci comunica, in modo meraviglioso, le sue grazie e i suoi doni.
    Per me l’Eucaristia è una progressiva trasformazione in Gesù. In una lettera scrivevo: Coloro che fanno una buona digestione corporale risentono un rafforzamento per tutto il corpo, per la distribuzione generale che si fa del cibo. Così, Figlia mia, quelli che fanno una buona digestione spirituale risentono che Gesù Cristo, che è il loro cibo, si diffonde e comunica a tutte le parti della loro anima e del loro corpo. Essi hanno Gesù Cristo nel cervello, nel cuore, nel petto, negli occhi, nelle mani, nelle orecchie, nei piedi. Ma che fa questo Salvatore dappertutto? Raddrizza tutto, tutto purifica, tutto mortifica, vivifica ogni cosa. Ama nel cuore, capisce nel cervello, anima nel petto, vede negli occhi, parla nella lingua…: fa tutto in tutti e allora viviamo, non noi, ma è Gesù Cristo che vive in noi.
    Cito ancora un passo che mi è caro: Se il mondo vi chiede perché vi comunicate così spesso, rispondete che è per imparare ad amare Dio, per purificarvi dalle vostre imperfezioni, per liberarvi dalle vostre miserie, per trovare forza nelle vostre debolezze e consolazioni nelle vostre afflizioni. Due tipi di persone devono comunicarsi sovente: i perfetti, perché essendo ben disposti farebbero un torto a non accostarsi alla fonte e sorgente della perfezione; e gli imperfetti per poter tendere alla perfezione. I forti per non indebolirsi e i deboli per rafforzarsi. I malati per guarire e i sani per non ammalarsi.
    Come vedi l’Eucaristia era costantemente un cavallo di battaglia nelle dispute con i Protestanti.”

    L’autore
    Sul tuo zelo pastorale per la Confessione faccio parlare Santa Giovanna di Chantal che attesta: Il nostro Beato Padre era assolutamente incomparabile nella carità che ha esercitato in confessionale e nello zelo con cui vi si impegnava. Si dava completamente a questo santo esercizio senza altra misura né limite, se non il bisogno di quanti accorrevano a lui.
    Tutte le feste e le domeniche una grande quantità di persone andava da lui, uomini e donne della nobiltà, cittadini comuni, soldati, serve, contadini, mendicanti, gente malata, scabbiosa, puzzolente, afflitta da mali umilianti: riceveva tutti senza differenze né distinzione, con lo stesso amore e la stessa dolcezza. Non mandava mai via nessuno.
    Dava ai suoi penitenti tutto il tempo e l´agio di cui avevano bisogno per spiegarsi bene. Non metteva mai loro fretta. Nelle feste grandi, negli anniversari o in altre occasioni simili, accadeva che dovesse ascoltare confessioni giorno e notte. Una volta lo vidi completamente esausto: ‘Giornate come queste, mi disse, per me valgono tanto oro quanto pesano per il numero delle confessioni’. Con questa sua incomparabile bontà apriva i cuori più chiusi, ne estirpava tutto il male che c´era dentro e li conduceva ad affetti solidi e a risoluzioni sincere”.
    Quattro grandi temi dunque per un cammino spirituale sicuro, per così dire un Vangelo a portata della gente, dei giovani, che si incamminano verso la meta della santità. Ma come concretizzare questo cammino, come verificarlo, come consolidarlo? Ti ricordo, parliamo di giovani, dunque del mondo non del convento, e di una società che ha altre promesse e altri abbagli.

    Francesco
    Sì, mi rivolgo proprio a loro con alcune cose concrete, cose che ritengo importanti per il cammino verso la santità dei giovani.
    Chi cammina verso il Signore spesso si domanda: Vado bene o mi sto illudendo? Questa è la mia risposta: bisogna controllare le virtù. In altre parole se il nostro rapporto con le persone è improntato a una maggior pazienza, a una maggior bontà e delicatezza di tratto, se riesci a essere umile e riconoscere il bene negli altri e in te... allora sei sulla buona strada. Le virtù sono come delle spie che servono da indicatori. La parola decisiva tuttavia spetta alla tua guida.

    La pazienza
    La prima virtù che ti consiglio di controllare è sempre quella della pazienza:
    Bisogna avere un cuore capace di pazientare; i grandi disegni si realizzano solo con molta pazienza e con molto tempo.
    Dominare la propria anima è la massima aspirazione dell’uomo, e il dominio dell’anima è commisurato al livello della pazienza.
    Bisogna avere pazienza e non pensare mai che possiamo correggere in un giorno le cattive abitudini.
    Voi avete bisogno di pazienza; e io spero che Dio ve la darà, se gliela chiederete con amore e vi sforzerete di praticarla fedelmente e ostinandovi a ristabilirvi nella pazienza ogni volta che, durante la giornata, vi accorgerete di averla persa.
    Abbiate pazienza con tutti, ma principalmente con voi stessi. Voglio dire che non vi dovete punto turbare per le vostre imperfezioni e avere sempre il coraggio di riprendervi prontamente.
    Quando ci si accorge d’una stonatura, non bisogna rompere le corde o abbandonare il liuto, ma mettersi bene in orecchi per scoprire donde venga la stonatura e tendere dolcemente o allentare la corda, secondo che esigono le regole dell’arte.
    E poi, guardando il Cuore di Gesù, mite e umile, ci sono le due virtù che hanno segnato la mia vita e i miei scritti. Ora le indico a te, caro giovane, perché le faccia diventare come i due polmoni della tua vita spirituale.
    Spendi un po’ di tempo a riflettere su queste espressioni che ti offro.

    L’umiltà
    L’umiltà e la carità sono le corde maestre alle quali sono attaccate tutte le altre. Una è la più bassa, l’altra è la più alta di tutte. La conservazione di tutto l’edificio dipende dal fondamento e dal tetto.
    Nessuno arriverà mai alla vetta della perfezione dell’amore di Dio senza essersi profondamente abbassato con l’umiltà.
    Per ricevere la grazia di Dio nei nostri cuori, dobbiamo vuotarli di noi stessi.
    L’umiltà che non produce la generosità è indubbiamente falsa.
    Che abbiamo di buono che non abbiamo ricevuto? e se l’abbiamo ricevuto, perché vogliamo riportarne orgoglio? Al contrario, la viva considerazione delle grazie ricevute ci rende umili, poiché la conoscenza genera riconoscenza.
    Spesso diciamo che non siamo nulla, anzi che siamo la miseria in persona, la spazzatura del mondo; ma resteremmo molto male se ci prendessero alla lettera e se ci considerassero in pubblico secondo quanto diciamo. È proprio il contrario: fingiamo di fuggire e di nasconderci solo perché ci inseguano e ci cerchino; dimostriamo di voler essere gli ultimi, seduti proprio all’ultimo angolino della tavola, ma soltanto per passare con grande onore a capotavola.
    Non abbassiamo gli occhi senza umiliare il cuore; non giochiamo a fare gli ultimi se non intendiamo esserlo per davvero.

    E infine la dolcezza, cioè la Bontà del cuore
    Ti garantisco che ogni volta che sono ricorso a repliche pungenti, ho dovuto pentirmene. Gli uomini fanno molto di più per amore e per carità che per severità e rigore.
    Coloro che si adirano, combattono il male, ma coloro che sanno essere dolci, lo vincono.
    Ho fatto un patto con la mia lingua di non dire una parola quando fossi stato in collera. Per grazia di Dio ho potuto avere la forza di frenare la passione della collera, cui naturalmente ero incline.
    Una buona pratica della dolcezza è quella che si pratica anzitutto con noi stessi, cioè non indispettendosi mai contro noi stessi o le nostre imperfezioni.
    Chi sa conservare la dolcezza fra i dolori e le infermità e la pace fra il disordine delle sue molteplici occupazioni è quasi perfetto. Questa costanza d’umore, questa dolcezza e soavità di cuore è più rara che la perfetta castità, ma ne è tanto più desiderabile.
    Colui che è dolce non offende nessuno, sopporta volentieri coloro che gli fanno del male, soffre con pazienza i colpi che riceve e non rende male per male. Chi è dolce non si turba mai, ma conforma tutte le sue parole all’umiltà, vincendo il male col bene. Fate sempre le correzioni col cuore e le parole dolci.
    Siate molto dolce e affabile in mezzo alle occupazioni che avete, perché tutti si attendono da voi questo buon esempio. È facile guidare la barca quando non è ostacolata dai venti; ma in mezzo ai fastidi è difficile conservarsi sereni, come è difficile seguire la rotta in mezzo alle burrasche.

    L’autore
    Grazie per questo incontro, anche da parte dei giovani di oggi, i giovani delle nostre opere educative e che come Salesiani siamo chiamati a incontrare e per cui essere testimoni.
    Il segreto della santità è dunque, come dici nella Filotea, fare le cose ordinarie in modo straordinario…

    Francesco
    Proprio così.
    “Fare le cose ordinarie in modo straordinario”. Cioè:
    - … con cura: non basta buttar giù un compito, studiacchiare qualcosina, rabberciare un lavoro tanto per dire che le cose sono state fatte. Le cose vanno fatte bene, non con pressappochismo o perché le dobbiamo fare… E questo vale per le piccole mansioni come per i grandi compiti. Le grandi occasioni per servire Dio si presentano raramente, le piccole invece le hai sempre: ora chi sarà fedele nel piccolo, dice il Salvatore, avrà un incarico grande;
    - … con prontezza: non fare come i bambini che si fanno ripetere le cose cento volte. Agire con prontezza significa seguire lo slancio del cuore, come la Madonna che si recò “in fretta” da Elisabetta perché sapeva che aveva bisogno di lei;
    - … con diligenza: questa parola significa “con il cuore”, “con amore”; la santità spicciola si traduce nel mettere amore nelle nostre azioni, nei nostri incontri, nei piccoli contrattempi quotidiani, perché il nostro Re di gloria non dà ai suoi servi le ricompense secondo il livello dei compiti assegnati, ma secondo l’amore e l’umiltà che hanno messo nell’esercitarli.
    In tutto questo non deve mancare la fiducia nella presenza e nell’assistenza del Signore.
    Fa’ come i bambini che con una mano si aggrappano a quella del papà e con l’altra raccolgono le fragole e le more lungo le siepi; anche tu fai lo stesso: mentre con una mano raccogli e ti servi dei beni di questo mondo, con l’altra tieniti aggrappato al Padre celeste, volgendoti ogni tanto verso di Lui, per vedere se le tue occupazioni e i tuoi affari sono di suo gradimento. Fa’ attenzione a non lasciare la sua mano e la sua protezione, pensando così di raccogliere e accumulare di più. Se il Padre celeste ti lascia non farai più nemmeno un passo, ma finirai subito a terra.


    BIBLIOGRAFIA

    FRANCESCO DI SALES, Introduzione alla Vita Devota, a cura di Ruggero Balboni, Milano, Paoline 1993.
    RAVIER André, Lettere di amicizia spirituale, a cura di A. Ravier, Roma, Paoline 1984.
    RAVIER André, San Francesco di Sales, LDC, Torino 2021.
    WIRTH Morand, Francesco di Sales e l’educazione, Roma, LAS 2006.
    GHIGLIONE Gianni, Un anno con Francesco di Sales, LDC, Torino 2006.
    GHIGLIONE Gianni, Don Bosco fu un vero SALESiano? LDC, Torino 2018.
    GHIGLIONE Gianni, San Francesco di Sales, padre, maestro e amico. La spiritualità salesiana nelle Lettere. Prima parte: dal 1593 al 1610, LDC, Torino 2012.
    GHIGLIONE Gianni, San Francesco di Sales, padre, maestro e amico. La spiritualità salesiana nelle Lettere. Seconda parte: dal 1611 al 1622, LDC, Torino 2013.
    GHIGLIONE Gianni, Verso l’alto. Cammino di vita cristiana in compagnia di San Francesco di Sales. LDC, Torino 2021.
    MARCEAU William, L’optimisme dans l’œuvre de saint François de Sales, Paris, Editions P. Lethielleux 1973.
    MOJOLI Paolo, Come cera in mano a Dio, Velar, Gorle-Bergamo 2019.


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