(NPG 2021-06-30)
Una profonda disaffezione nei confronti della democrazia è ormai conclamata, destando preoccupazione in tutto il mondo. Il malcontento affonda le radici tanto nella frustrazione dovuta a un progressivo impoverimento, quanto nella paura della perdita di identità, personale o del proprio gruppo, ed è alla base dell’affermazione di leader e movimenti che si definiscono antisistema. Le analisi di LS e FT ci offrono numerosi elementi per approfondirne le cause, ribadendo ciò che tutti Papi del postconcilio hanno affermato: la politica è una forma di carità e l’impegno per la promozione del bene comune è parte integrante della missione di evangelizzazione dei cristiani. La crisi della democrazia non è quindi un motivo per indulgere alla lamentazione, ma una sfida e una vocazione per la comunità cristiana e per tutti gli uomini e donne “di buona volontà”.
Un’attenzione particolare va data ai giovani, offrendo loro spazi di protagonismo, a partire dalla scoperta del gusto per il servizio, senza trattarli come “tappabuchi” o cloni delle generazioni precedenti: il Sinodo del 2018 ce lo ha fatto capire molto bene. Per questo bisogna accettare che le modalità del loro impegno sono legate al loro modo di vedere la realtà e ai tratti specifici della loro cultura generazionale. Ad esempio, oggi, in media, i giovani si avvicinano all’impegno sociale non per appartenenza a un’associazione o a un ideale, ma per produrre cambiamenti reali, stare bene in gruppo e acquisire abilità. Considerano il volontariato o il servizio un mezzo, non un fine. Inoltre, sempre in media, tra i giovani la sensibilità per i temi ecologici e della sostenibilità è molto più alta che nelle generazioni più adulte e nell’insieme della comunità ecclesiale: anche i giovani cattolici fanno parte della “generazione Greta” e possono aiutare le nostre comunità a camminare lungo la linea tracciata da LS.
Infine, l’impegno sociale e il contatto diretto con i poveri restano per i giovani – e per tutti! – una occasione fondamentale di scoperta o approfondimento della fede e di discernimento della propria vocazione: per questo rappresentano per la Chiesa un ambito su cui investire in termini di accompagnamento, nella consapevolezza, ribadita dal Sinodo, che anche le scelte in merito all’assunzione di responsabilità all’interno della società, in ambito professionale, politico o associativo, hanno una significativa valenza vocazionale.
Piste di impegno e creatività
La presenza della Chiesa in ambito sociopolitico non è certo una novità, ma qualcosa di ben radicato in una tradizione che in ogni epoca ha saputo trovare forme organizzative adeguate al proprio tempo, dalle istituzioni sorte su impulso degli ordini religiosi, al movimento mutualistico e cooperativo, all’associazionismo su base professionale, ai movimenti politici e sindacali, associazioni di volontariato, organizzazioni di cooperazione internazionale, ecc. Questa spinta non si è esaurita e continua a dar vita a nuove iniziative, anche nel nostro tempo. Ne menzioniamo qui due, in ragione del fatto che si rivolgono primariamente a un pubblico giovanile con una caratterizzazione esplicitamente formativa: le scuole di formazione all’impegno politico e sociale e l’esperienza del servizio civile all’interno di realtà istituzionali legate alla Chiesa. Sono state e sono ancora risorse preziose, su cui continuare a investire per assicurare un rinnovamento che le mantenga in linea con le esigenze del nostro contesto. La lettura della realtà in cui viviamo, alla luce degli stimoli di papa Francesco, consente di identificare alcune sfide a cui prestare particolare attenzione proprio in chiave formativa.
Nell’epoca dell’individualismo: leadership e partecipazione
In un’epoca di frammentazione e in una cultura dominata dall’individualismo, non è scontato promuovere dinamiche che puntino alla costruzione di un soggetto autenticamente collettivo. Anche se va contro la mentalità corrente, bisogna sempre ricordare che l’azione in ambito politico e sociale, per la promozione della giustizia e la tutela dei diritti, non è mai uno one man show, ma piuttosto qualcosa di corale, in cui confluiscono e sono valorizzate le capacità e le competenze di molti.
Al di là dei talenti naturali, anche il lavoro in équipe si impara, e un investimento formativo in questa direzione è fondamentale, soprattutto per coloro che sono chiamati a ricoprire ruoli di leadership. Servono virtù relazionali, quali la disciplina dell’ascolto, la prontezza nel perdono e la disponibilità a mettersi in gioco secondo una vera e propria spiritualità di comunione, e competenze, ad esempio relative all’animazione di percorsi di discernimento comunitario e di processi decisionali trasparenti. Fatte salve le molte eccezioni, dobbiamo riconoscere che si tratta di punti su cui anche nelle strutture ecclesiali e nelle organizzazioni a ispirazione cristiana si fa parecchia fatica.
Altrettanto importante è un investimento per formare alla partecipazione quella che un tempo si sarebbe chiamata “la base”: contro una mentalità che accentra tutto nella figura del leader e riduce gli altri al ruolo di spettatori o tifosi, bisogna ribadire che tutti hanno un contributo da recare in vista del bene comune, e tutti hanno una responsabilità da esercitare, anche se non occupano posizioni di comando. Il futuro appartiene a organizzazioni sociali e politiche (ed ecclesiali) capaci di dare a tutti un posto e una possibilità di contribuire a partire dalla propria originalità e singolarità, diventando palestre di costruzione di quel “noi” inclusivo a cui punta il progetto di papa Francesco.
Nell’epoca del pluralismo: rapportarsi con le differenze in modo costruttivo
I processi sociali, oggi come in passato, sono anche luoghi di conflitto, e la promozione del bene comune continua a richiedere di costruire mediazioni tra visioni anche radicalmente diverse e in competizione. Si tratta di una capacità che è andata via via smarrendosi nell’evoluzione del sistema politico verso l’attuale assetto basato sulla spettacolarizzazione della politica pop, la cui regola sembra essere quella di piantare continuamente la propria bandiera per ottenere visibilità mediatica. Quanto queste dinamiche siano problematiche lo vediamo poi dalla fatica a costruire coalizioni stabili, dal livello locale a quello nazionale, e ancora di più nel momento in cui occorre trovare accordi a livello europeo.
Peraltro, in un contesto di pluralismo socioculturale sempre più spinto, la capacità di costruire un rapporto costruttivo tra posizioni e visioni costituisce un punto nevralgico per la società nel suo complesso, e non solo per il sistema politico. Non giovano a questo riguardo le dinamiche di new media e social network, i cui algoritmi finiscono per rinchiudere le persone in circuiti in cui incontrano solo chi già la pensa come loro, e insieme demonizzano la diversità secondo i meccanismi dell’hate speech.
L’educazione al confronto e al dialogo con la diversità rappresenta dunque una priorità, in vista della costruzione di una società più fraterna. In questa linea, le pratiche di fraternità concreta, a partire dalle esperienze di vita comune che molte comunità cristiane propongono in varie forme, in particolare ai giovani, rappresentano valide occasioni per sperimentare processi di integrazione e apprendere che cosa significa lasciare spazio alla differenza per arrivare a un sempre più profondo incontro con l’altro che via via diventerà cultura. Altrettanto importante sarà favorire occasioni di rilettura di quelle situazioni in cui ci si trova a confronto con le molte diversità del nostro mondo, come l’esperienza all’interno del mondo della scuola, per decodificare i vissuti emotivi che questo genera e consolidare la capacità di maneggiarli.
Nell’ottica del dinamismo della Chiesa “in uscita” e capace di dare un contributo alla società in cui è inserita, occorre scongiurare il rischio che gruppi, movimenti e associazioni, e più in generale la comunità cristiana stessa, si trasformino in circuiti chiusi tendenzialmente autoreferenziali, in cui circola un solo punto di vista. Saranno quindi strategiche le occasioni di incontro e dialogo con persone e gruppi esterni ai circuiti ecclesiali, ad esempio tramite iniziative comuni o la partecipazione a coalizioni o alleanze. L’impegno per la giustizia e per la cura della casa comune offrono opportunità molto stimolanti in questo senso.
Nell’epoca della frammentazione: vivere la tensione tra globale e locale
Uno dei problemi che incontriamo nella promozione del bene comune è quello che possiamo chiamare la discrasia tra i livelli: per la stragrande maggioranza delle persone, la vita si svolge a livello locale, dove si sperimentano un radicamento emotivo e i legami affettivi che sostengono l’identità. Invece le grandi questioni, da cui dipende anche l’andamento di quelle vite, dai cambiamenti climatici ai meccanismi dei mercati finanziari, ai movimenti migratori, si collocano su un livello globale, su cui si muovono a proprio agio ridotte élite tecnocratiche, il cui punto di vista diventa determinante. Infine la politica tende a muoversi principalmente su un livello nazionale, con il rischio di smarrire il contatto con la base, ma di deluderne le attese non potendo maneggiare efficacemente dinamiche che si svolgono a un livello superiore. Uscire da questa impasse richiede di riconnettere i diversi livelli, ad esempio collegando i problemi locali con le grandi questioni globali e promovendo prospettive coordinate di azione locale in vista della trasformazione dell’ordinamento giuridico, politico ed economico globale nella direzione della solidarietà e della collaborazione tra i popoli. LS ci offre uno stimolo importante quando al n. 219 afferma che «Ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie», cioè con la creazione di soggetti collettivi capaci di unire una prospettiva globale e il radicamento locale, con le energie emotive che i legami comunitari rendono disponibili, così da diventare i promotori del cambiamento. Alcuni movimenti sociali emergenti, come Fridays for Future o #Blacklivesmatter, devono la loro fortuna proprio alla capacità di articolare la dimensione globale con quella locale dei territori su cui si muovono i militanti. Non pare azzardato affermare che la Chiesa cattolica, proprio per la sua strutturazione contemporaneamente globale e locale, possa disporre di grandi opportunità di azione in questo ambito, a condizione di prenderne consapevolezza e di imparare come sfruttarle.
Andare alla radice
Entra qui in gioco un livello formativo più fondamentale, quello della coscienza, cioè dell’ambito in cui la persona fa esperienza della propria libertà, della responsabilità che ne consegue e anche della Trascendenza che la abita senza mai lasciarsi controllare. Senza una continua formazione della coscienza, anche l’esercizio dei diritti e dei doveri di cittadinanza, così come l’impegno per la costruzione di una società più giusta e fraterna, rischiano di rimanere prigionieri della volubilità delle emozioni o della manipolazione di chi sa sfruttarle a proprio vantaggio, ad esempio in termini di tornaconto elettorale.
Una coscienza allenata a rileggere criticamente gli eventi e a riconoscere le risonanze emotive che questi producono, saprà invece difendersi da questi rischi, trovare energie e motivazioni per proseguire nell’impegno anche di fronte alle inevitabili frustrazioni e fallimenti; soprattutto sarà capace di orientarsi quando i cambiamenti sempre più vorticosi in cui siamo immersi generano situazioni inedite – dalla bioetica all’intelligenza artificiale – nelle quali non si può fare affidamento su regole consolidate: quando non sono disponibili mappe, per muoversi senza sbagliare direzione serve la bussola. Il metodo del discernimento e i suoi passi “riconoscere, interpretare, scegliere”, che, come abbiamo visto è alla base della struttura dei testi del magistero di papa Francesco, si rivela prezioso proprio in queste situazioni. Ma occorre apprenderlo, o meglio acquisirvi dimestichezza e conservarla con l’esercizio: anche questo è un fronte formativo che spesso papa Francesco ha indicato alla comunità cristiana. In tutto questo, non bisogna dimenticare che il discernimento, nel suo significato integrale, non è un metodo per prendere decisioni assennate ed efficaci, ma una forma di preghiera, cioè un modo per incontrare il Signore della storia. Formare al discernimento significa allenare la coscienza ad ascoltare la voce dello Dio e a disporsi ad accogliere la sua chiamata a collaborare alla liberazione del suo popolo: è questo il nucleo fondamentale dell’esperienza di Mosè al roveto ardente, che a suo modo ogni credente è chiamato a ripetere.
BOX 15
Conversione ecologica: i giovani rispondono all’appello
Sia LS sia FT affrontano temi che riguardano da vicino i più giovani e stanno loro particolarmente a cuore, visto che «si domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi» (LS, n. 13). Numerosi giovani nutrono un forte desiderio di cambiamento, in particolare nella direzione di stili di vita più rispettosi dell’ambiente, più equi e solidali, più inclusivi e fraterni. La concretizzazione di queste attese, in un clima culturale profondamente segnato da individualismo e consumismo, propone una sfida educativa.
Non mancano le esperienze che l’hanno raccolta, proponendosi di elaborare strumenti e orientamenti che aiutino i giovani a sperimentare modalità alternative e innovative di vivere insieme. Qui ci limitiamo a presentare due realtà che hanno un respiro internazionale.
In Francia, nel villaggio di Forges (Île-de-France) è nato nel gennaio 2018 il Campus de la Transition (<https://campus-transition.org>). A promuoverlo è stato un gruppo composto da religiosi, professori universitari, studenti e dirigenti di impresa, animati dall’intento di dare vita a una realtà, più precisamente a un “ecoluogo”, in cui l’offerta di esperienze formative e innovative in tema di transizione ecologica, rivolte in particolare a giovani affinché diventino a loro volta promotori di cambiamento, si coniugasse con uno stile di vita improntato alla sostenibilità e sobrietà. A favorire questo connubio è anche la disponibilità di una sede, in precedenza usata come scuola, con un parco di sei ettari, che può ospitare una foresta-giardino, un frutteto e un orto biologico. Inoltre, tre ettari di bosco sono stati destinati a favorire la contemplazione della natura. Infine, l’edificio, un vero e proprio “colabrodo” dal punto di vista termico, si è rivelato un cantiere prezioso per sperimentare soluzioni di isolamento innovative e sostenibili.
La seconda esperienza, denominata Faith & Politics (<http://faithandpolitics.eu>), si svolge a Venezia con cadenza biennale e vede la partecipazione di giovani interessati ad approfondire l’impegno sociopolitico come cristiani. Proprio la provenienza dei giovani da tutta Europa, dall’Est all’Ovest, costituisce uno degli aspetti più interessanti di questa proposta, perché permette un confronto sorprendente e creativo tra persone che vengono da esperienze differenti e con una storia molto diversa per quanto riguarda il modo di concepire il rapporto tra fede e politica.
La settimana formativa non si limita a proporre incontri o workshop, ma sollecita i partecipanti a un lavoro personale di rielaborazione e appropriazione dei contenuti alla luce della loro esperienza di cittadini e credenti. L’obiettivo è che alla conclusione dell’esperienza i partecipanti possano giungere alla propria sintesi su che cosa significhi essere presente e attivo come cristiano nella vita pubblica ai vari livelli possibili.
BOX 16
Il futuro del lavoro dopo la Laudato si’
Un progetto internazionale
Il futuro del lavoro non è qualcosa di predeterminato, ma sarà quello che insieme come famiglia umana vorremo e sapremo costruirci. Non dipenderà da leggi o forze impersonali e anonime, ma da scelte collettive concrete, dal modo in cui struttureremo la società e l’economia. È questa l’intuizione alla base del progetto “The future of work – Labour after Laudato si’” che una rete di partener internazionali ha avviato nel 2016.
L’obiettivo era offrire un contributo alla riflessione avviata dall’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) in vista del proprio centenario (2019), rileggendo i cambiamenti che incidono sul mondo del lavoro – lo sviluppo delle nuove tecnologie (intelligenza artificiale, automazione e robotizzazione), i cambiamenti climatici e l’imperativo di costruire un’economia sostenibile, l’aumento delle disuguaglianze tra i Paesi e all’interno di ciascuno di essi, gli squilibri demografici globali e i movimenti migratori – a partire dal paradigma dell’ecologia integrale proposto dalla LS, e in particolare dalla sezione dell’enciclica dedicata al lavoro (nn. 124-129).
A dicembre 2020 è stato presentato il Rapporto che condensa i risultati del lavoro svolto. Si intitola Care is Work, Work is Care (che si può tradurre come Prendersi cura vuol dire lavorare, lavorare vuol dire prendersi cura). Propone una visione del lavoro come esperienza integralmente umana, che articola varie dimensioni: sociale, economica, ecologica e spirituale. In particolare, se sulla base della LS il lavoro è inteso come una relazione tra persone e con l’ambiente, non può esservi estranea la dimensione della cura, perché senza cura nessuna relazione può durare. Al tempo stesso, la cura della casa comune e la ricerca della sostenibilità richiedono lavoro. Il legame lavoro-cura rappresenta l’orizzonte al cui interno pensare il futuro del lavoro, e non solo per le professioni di cura. Nel videomessaggio rivolto all’International Labour Conference il 17 maggio 2021 papa Francesco ha richiamato proprio il nesso tra lavoro e cura, facendo riferimento al Rapporto Care is Work, Work is Care.
BOX 17
La presenza della Chiesa nei “polmoni verdi” del pianeta
Il delicato equilibrio del nostro pianeta, nel presente e ancor di più nell’immediato futuro, dipende da alcune aree, «che richiedono una cura particolare a motivo della loro enorme importanza per l’ecosistema mondiale, o che costituiscono significative riserve di acqua e così assicurano altre forme di vita» (LS, n. 37). Tra questi luoghi, al contempo importanti e fragili, vi sono i due grandi polmoni verdi del pianeta: l’Amazzonia e il bacino fluviale del Congo, territori ricchissimi in termini di biodiversità e che svolgono il ruolo essenziale di regolatore climatico grazie alle foreste tropicali.
In entrambe queste regioni le Chiese locali sono da tempo impegnate a proteggere il territorio e le popolazioni autoctone, in particolare da iniziative speculative come la deforestazione e il land grabbing. Grazie al paradigma dell’ecologia integrale, che evidenzia l’interconnessione fra problemi ambientali e sociali, è possibile fare un passo ulteriore, articolando i diversi ambiti e livelli: le sfide con cui ci si confronta non sono solo ambientali, ma anche economiche, giuridiche, culturali, storiche, teologiche e pastorali. Nella loro azione, le Chiese hanno saputo sperimentare forme di presenza innovative, visto che si tratta di aree che si estendono sul territorio di più Paesi (nove nel caso dell’Amazzonia, sei in quello del bacino del Congo), per offrire risposte originali ai bisogni e alle richieste con cui si confrontano.
REPAM: Rete ecclesiale pan-amazzonica
Un primo esempio di questa nuova presenza ecclesiale è la Rete ecclesiale pan-amazzonica (REPAM, <https://redamazonica.org>), istituita nel 2014 con il compito di coordinare l’attività delle diocesi, dei religiosi, dei movimenti laicali e delle organizzazioni non governative cattoliche presenti nella regione, di svolgere attività di advocacy, di organizzare la pastorale itinerante, di comunicare all’esterno tramite network internazionali e di promuovere progetti locali di sviluppo sostenibile. La dimensione sovranazionale, il carattere ecclesiale e l’impegno per la difesa della vita hanno da subito contraddistinto l’identità della Rete.
La REPAM nasce all’interno del percorso compiuto dalla Chiesa in America latina, con particolare riferimento alla V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano di Aparecida, e ha svolto un ruolo cruciale nell’animazione del percorso di preparazione al Sinodo speciale del 2019 “Amazzonia: Nuovi Cammini per la Chiesa e per una Ecologia Integrale”.
REBAC: Rete ecclesiale del bacino del Congo
Sull’esempio della REPAM in America latina, le Chiese africane hanno deciso nel 2015 di dare vita a una nuova struttura, chiamata REBAC (Rete ecclesiale del bacino del Congo, <https://rebaccongobassin.org>), con il compito di organizzare e rafforzare il contributo delle realtà ecclesiali locali agli sforzi per contrastare i cambiamenti climatici.
La REBAC si ispira a una visione inclusiva, attenta alle popolazioni del Nord e del Sud del mondo, ai popoli autoctoni e alle comunità locali, alle generazioni presenti e a quelle future. Presta grande attenzione alla dimensione formativa, in particolare dei più giovani, perché le persone che vivono nel bacino del Congo si familiarizzino sia con la problematica dei cambiamenti climatici e dell’ambiente sia con la visione di REBAC. Un altro fronte di impegno prioritario è la creazione e il rafforzamento delle organizzazioni della società civile e delle comunità locali, affinché si impegnino in favore della tutela degli ecosistemi della regione.