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    Custodire, sostenere ed educare insieme la speranza


    Gustavo Cavagnari

    (NPG 2021-05-43)

     

    Una persona ha bisogno, nel succedersi dei giorni, di piccole o grandi speranze: essere corrisposto nell’amore, ricevere un riconoscimento professionale, aver successo in una impresa, guarire da una malattia, risolvere positivamente una crisi. Queste aspirazioni alla felicità, questi desideri di crescita, queste attese di miglioramento sono dei “motori” che spingono la vita, la tengono in cammino, la muovono in avanti. Ogni volta che noi spendiamo energie nel lavoro, attiviamo il pensiero nello studio o coinvolgiamo gli affetti in una relazione, mettiamo in campo delle dosi di speranza che sono in grado di mobilitare la nostra routine, giustificare i nostri impegni, portarci a fare dei gesti anche eroici.

    Conoscere, serbare e diffondere la grande speranza

    All’opposto, chi non spera più niente si rassegna a sopravvivere o, peggio, si lascia spegnere. Ne sono figura evangelica quei due discepoli che dicono col volto triste: «Noi speravamo» (Lc 24,21). La “disperanza”, infatti, diversa dalla disperazione spirituale, è lo stato d’animo di chi chiude gli occhi al futuro per non rischiare che possa andare peggio e vive il presente immerso nel proprio mondo, riducendo il pensiero a impulso e andando avanti in “riserva” nel serbatoio della vitalità.[1] Sfortunatamente, l’inevitabilità dell’invecchiare, l’irruzione di eventi inaspettati, la sofferenza, gli affetti feriti, la stanchezza a causa delle prove, gli inganni sofferti, l’avvicendarsi di fallimenti, la disillusione per la perdita di credibilità delle figure di riferimento… possono portare a che molti facciano i conti con se stessi, verifichino quanto la propria speranza sia corta e povera, vivano nella paura di non ritrovare le forze e alla fine accettino la sensazione di morire quotidianamente in modo “liscio”, senza intoppi e senza sorprese. L’animo non mitigato da nessuna speranza, appunto, uccide lentamente.[2]
    Se da una parte può capitare che le nostre aspettative non si compiano, e ci causino frustrazione, delusione, amarezza, sconforto, dall’altra può anche capitare che siano soddisfatte, e ci rechino quindi felicità e compiacimento. Pur tuttavia, neppure in questi casi siamo certi di poter possedere per sempre quanto ottenuto. Inoltre, sappiamo che quando una speranza è soddisfatta, subito ne sorge un’altra. Di fatto, sempre si spera qualcosa in più.[3] Per i cristiani, l’unica speranza che, soddisfatta, non avrà bisogno di anelare qualcosa altro, è quella soprannaturale. Essa spera appunto la vita eterna, promessa da Dio a coloro che lo amano (cf. Rm 8,28-30) e fanno la sua volontà (cf. Mt 7,21). Se la fede teologale ci fa credere quaggiù in Colui che attendiamo di vedere lassù «faccia a faccia» (1Cor 13,12) «come egli è» (1Gv 3,2), la speranza teologale ci fa pellegrinare con pazienza e perseveranza verso l’incontro con Lui con la fiducia di arrivarci (cf. 2Tm 2,5; Gc 1,12; 1Pt 5,4). Allora, la nostra vita (cf. Gv 10,10), la nostra gioia (cf. Gv 15,11), la nostra maturità (cf. Ef. 4,13), la nostra conoscenza (cf. Col 3,10), la nostra ricompensa (cf. 2 Gv 8)… saranno piene, e questo non ci sarà tolto (cf. Lc 10,42). Che cos’altro continuare a cercare (Sal 24,7)? Perché poggia appunto sulle promesse di Cristo (cf. Eb 10,23) anziché sulle nostre forze, questa speranza, infusa e custodita dallo Spirito Santo, «non delude» (Rm 5,5).
    Siccome il suo essere ignota è la causa di tutte le disperazioni,[4] oggi è prioritario e decisivo tenere desta la preoccupazione per conoscere, custodire e diffondere la specificità della speranza cristiana;[5] in altre parole, accogliere con gratitudine, conservare con fedeltà e vivere nell’umiltà la novità unica e universale che viene dalla morte e risurrezione di Gesù e dagli orizzonti che esse aprono.[6] Senza la certezza di questo solido e positivo significato ultimo, è quasi impossibile avere una speranza robusta. Senza la certezza che tutto è intrecciato di solidi e originari significati, la persona è costretta a ridurre la speranza a qualcosa di precario, di discontinuo, di provvisorio. In un tempo dominato dai beni immediati e concentrato sulle briciole, i cristiani devono perciò interrogarsi sulla forza della «speranza viva» che portano con sé (1Pt 1,3). Ma loro, credono ancora che c’è un compimento trascendente per la vita delle persone e il futuro del mondo?[7]

    Rinforzare, purificare e decifrare nel concreto le molte nostre speranze

    In un certo senso, la speranza soprannaturale assume tutte le speranze naturali che ispirano le attività degli uomini. Inoltre, le dilata in prospettiva di eternità, le preserva della corruzione, le purifica per ordinarle al regno dei cieli e, di sicuro, le trascende.[8] Non le cancella, però; si innesta in esse e le assesta. Tra l’altro, sarebbe impossibile rimuoverle. Malgrado tutta la loro fragilità e fugacità,[9] nelle nostre decisioni e azioni noi continuiamo a investire in queste speranze feriali, finite, immanenti. Non solo noi individualmente, ma anche socialmente. Infatti,

    la singola persona vive dentro ad una rete di rapporti che è la comunità. Le speranze degli individui si travasano nella comunità e le speranze che sostengono una comunità influenzano gli individui. Esiste un’osmosi della speranza tra singoli e società. Per questo si parla anche di speranza sociale, intendendo la passione con cui una comunità “getta avanti” a sé lo sguardo, si dà degli obiettivi, si muove su orizzonti di futuro. Il termometro della speranza sociale è dunque la progettualità: là dove prevalgono lamento, nostalgia e rimpianto del passato, il grado di speranza sociale è basso; è alto, al contrario, là dove si diffondono spirito d’iniziativa, capacità di sognare e fiducia nel futuro.[10]

    Spirito di iniziativa
    Le voci che accusano la speranza cristiana di protendere verso un domani disertando da un vero impegno nel presente, rivelano solo la loro erronea comprensione.[11] Infatti, la speranza, anziché fuga in avanti, è forza fecondante e lievitante della cura del presente, della donazione nel servizio, del farsi carico dell’altro, del coltivare le condizioni che fanno la vita vivibile e feconda. Cercare la dimora futura (cf. Eb 11,13-16; Fil 3,20) è tutt’altro che un semplice rinviare a dopo: chi ha speranza evangelica abita, plasma e trasforma l’esistenza quotidiana. La società nuova, infatti, viene in qualche modo iniziata nella società presente.[12] «La Chiesa insegna che la speranza escatologica non diminuisce l’importanza degli impegni terreni, ma anzi dà nuovi motivi a sostegno dell’attuazione di essi».[13]
    Sotto il profilo della pratica, la speranza cristiana si snoda attraverso tre fasi: leggere e interpretare i segni di speranza presenti nel mondo, offrire orizzonti di senso che aprano alla speranza e impegnarsi in atteggiamenti e comportamenti concreti che sostengano la speranza.[14]
    In primo luogo, chi ha speranza cristiana vede e gode del numero incalcolabile di semi, germi e frutti concreti di speranza che sono in atto nei più diversi ambiti e soggetti, e anche nelle realtà e nelle vicende più disagiate e sofferte della vita ordinaria. Le speranze degli uomini d’oggi, soprattutto di tutti coloro che soffrono, sono pure le speranze dei discepoli di Cristo, proclamava il Vaticano II.[15] Li vede nei tanti uomini e donne che, «nella vita e nelle attività d’ogni giorno, spesso inosservati o addirittura incompresi, sconosciuti ai grandi della terra ma guardati con amore dal Padre, sono gli operai instancabili che lavorano nella vigna del Signore, sono gli artefici umili e grandi – certo per la potenza della grazia di Dio – della crescita del regno di Dio nella storia».[16] Li ravvisa nei santi «della porta accanto» che vanno avanti con pazienza e «lottando con speranza».[17] Soprattutto in questi tempi di pandemia, li scorge in coloro che, invece di «fuggire con la speranza di salvare se stessi», rimangono e si impegnano «con sforzo e sacrificio» affinché la situazione sia meno amara.[18]
    Umanamente parlando, la speranza non è un oggetto che si possiede e può essere dato. È piuttosto un esercizio che ciascuno deve fare a partire dalla scoperta di orizzonti che lo tengano in tensione, nonostante il rischio di illusioni o inganni. Eppure, c’è bisogno di testimoni che possano in qualche modo indicare una direzione, mostrare delle certezze, lasciare trasparire la presenza di Chi è la propria speranza (cf. 1Tim 1,1) e rafforzare il senso di abbandono nella sua provvidenza.[19] Chi ha speranza cristiana condivide perciò quelle ragioni di vita che lo muovono e l’orientano e che magari possono aprire in altri delle brecce in cui lo Spirito semini una più ferma speranza.[20]
    Infine, chi ha speranza cristiana si impegna in gesti e condotte concrete. Da quanto detto prima, ne viene fuori che il primo modo di rinsaldare la speranza è stare accanto. Il racconto dei “disperati di Emmaus” ci insegna che per ripartire «senza indugio» (Lc 24,33), i due discepoli hanno dovuto riconoscere in una luce nuova (cf. Lc 24,31) quello che prima sapevano materialmente, senza capirne il senso (cf. Lc 24,25); e che per ricomprendere in modo nuovo il significato di quanto accaduto, essi hanno anche avuto bisogno di un viandante che restasse con loro, gli offrisse un nuovo orizzonte d’interpretazione, convertisse la loro mente, la guarisse dalla delusione e riscaldasse il loro cuore ferito. Specialmente nella disperazione che viene dalla solitudine – fisica, sociale, affettiva ma anche spirituale – o dalla sofferenza e dallo smarrimento che essa provoca, l’essere-con potrà essere vissuto come con-solazione[21] e, quindi, come presenza che rimane, accoglienza che cura, vicinanza che consola, relazione che riannoda i frammenti, affetto che riconnette.[22] In situazioni di confusione, di disagio, di abbandono… il desiderio di esserci chiede la scelta di investire sulle relazioni come modo concreto per sostenere la speranza oltre i bisogni materiali.

    Colpisce che nell’Apocalisse l’immagine per esprimere il modo concreto di farsi prossimo a chi è nella sofferenza sia l’asciugare le lacrime dagli occhi di chi piange. È con questa pratica che si può creare e suscitare una concreta speranza. È di fronte al disperato che si deve misurare l’autenticità della nostra speranza e la nostra capacità di creare speranza. Senza questo banco di prova, il rimando alla speranza rischia di essere solo retorica.[23]

    Ma non basta. Attuare la speranza comporta la responsabilità di farsi carico di situazioni concrete e impegnarsi per renderle sempre più conformi al disegno di Dio. «Dal nostro operare scaturisce speranza per noi e per gli altri».[24] A partire dell’essere presente e del saper accogliere, insegnare all’ignorante, curare il malato, soccorrere il povero, ospitare l’abbandonato, visitare a chi è solo o proteggere l’anziano possono essere dei grembi in cui la speranza può nascere. In questo senso, la carità verifica la speranza che la fede genera. I fatti, benché possano partire da realtà spicciole, sono capaci di traforare l’assenza di speranza e, inoltre, di provocare attenzione, di generare altre azioni, di moltiplicare cambiamenti.
    Ancora di più. Se la speranza cristiana si esercita attivamente mediante la carità e l’attenzione al prossimo, essa si esercita anche passivamente mediante la pazienza e la resistenza. La pazienza perché, se il credente è certo che Dio realizza le sue promesse e che il suo regno è già attuante in mezzo a noi (cf. Lc 17,21), egli sa anche di vivere nel non ancora, e quindi rifiuta la tentazione presuntuosa di trovare sicurezza in possessi che non si sa quando gli saranno tolti (cf. Lc 12,20). La resistenza perché viviamo in un contesto che sopprime la speranza, molte volte la interrompe sul nascere e non si fa eco delle cose positive. Di solito, ciò che una persona sogna e progetta in avanti viene rapidamente contrastato o messo in discussione, quasi sempre al ribasso. Si pensi ai giovani e a quel discorso cinico per cui devono sedersi piuttosto che sognare. Si pensi a chi intraprende un compito con novità e freschezza e a tutti i gradini che deve salire per raggiungere il suo scopo. Si pensi a quelli che cercano di generare entusiasmo alla vita e sono schiaffeggiati dal “è quello che c’è” o “che si può fare?” delle persone comode.[25]

    Capacità di sognare
    Sognare non è fantasticare, divagare, vaneggiare, come neppure i sogni sono miraggi, deliri, allucinazioni, chimere. Partendo dalla realtà, chi sogna proietta il presente verso un traguardo perfettivo, raffigura altri stili di vita, immagina comunità alternative… e opera un’invenzione di senso che dia una vivibilità diversa al presente. Chi, perciò, spera ragionevolmente nel compimento del traguardo desiderato, non costruisce tanto a partire da che cosa vede nel presente, ma agisce invece a partire da come vede il presente alla luce del futuro prospettato. In questo senso, direbbe il Papa, sognare ci permette di tenere lo sguardo largo, ci porta verso un orizzonte, ci suggerisce un cammino che ci permetta di abbracciarlo, ci porta in là, coltiva la nostra speranza in ogni azione quotidiana. Certo, «i sogni vanno fatti crescere, vanno purificati, messi alla prova e vanno anche condivisi».[26] E poi vanno concretizzati. Il lavoro e la responsabilità di chi sogna è infatti trasformare oggi in realtà quanto si intravede per un domani. Da una parte, per questo ci vuole coraggio davanti alle resistenze, costanza nelle difficoltà, resilienza nelle cadute; dall’altra, apertura, fiducia, affidamento a delle persone significative in grado di aiutare a comprendere i sogni e a renderli concreti nella gradualità e nella serenità. È proprio a partire dalla capacità non solo di sognare, ma di scegliere, di attuare, di perseverare, di rischiare e di coinvolgere che si plasma la differenza tra un idealista e un operatore.
    Chi ha speranza cristiana discerne infine da dove prendono ispirazione i propri sogni, la loro qualità e grandezza, la loro fecondità; anzi, pensa come articolare i propri sogni con i “sogni di Dio” per ciascuno e per tutti e, quindi, come impegnarsi per un’umanità più fraterna.[27] Da questa prospettiva, la speranza cristiana, grazie alla novità dei contenuti della fede – una concezione della persona, dell’inizio e termine della vita, della indole delle relazioni interpersonali e sociali, dell’educazione e la trasmissione dei valori, della carità e sollecitudine verso l’altro, dei modi della cittadinanza e della legalità, delle figure della convivenza tra le religioni e le culture – e, in concreto, grazie all’esperienza di Dio e dell’uomo che essa genera e alimenta, possiede un eccezionale potere di ridefinire gli orizzonti, di trasformare la visione, di qualificare i passi.

    Fiducia nel futuro
    Parlare di fiducia nel futuro può sembrare cosa da ingenui buonisti o, come minimo, da poco realisti, con la crisi demografica, economica o sanitaria che stiamo attraversando. Eppure, è una condizione perché ciascuno possa vivere il presente esercitando le proprie responsabilità in maniera feconda e dispiegando i doni e i talenti che scopre dentro di sé.[28] Ancora una volta, però, quello che ci fa sperare nel futuro non è il futuro in sé – che può essere persino utopico o distopico, a seconda di chi lo pensa –, ma il presente, dal quale si può costruire un futuro eutopico. La fiducia nel futuro è fortemente legata alla fiducia nel presente, dunque. Ci sono ad esempio tanti processi di disgregazione sociale, ma ci sono anche tante risorse che sono messe in campo come anticorpi per opporsi alle derive peggiori; ci sono tante minacce ambientali, ma ci sono anche tante energie che si muovono nella consapevolezza che il problema è grave e va affrontato; ci sono tante situazioni disastrate per diversi motivi, ma ci sono anche in tanti a rimboccarsi le maniche per ricostruire. In questo senso, si dice che qualcosa avrà futuro “se” si compiono certe condizioni; ma questo “se”, in tanto assunto e attuato nel presente, è proprio quello ci fa sperare che le cose possano essere diverse.
    Per chi ha speranza cristiana, ci sono ulteriori e più fondati motivi per avere fiducia nel futuro. Esso appartiene a Dio,

    nel senso che Lui solo lo conosce, lo prepara e lo realizza. Egli certo richiede e sollecita la cooperazione umana, ma non cessa per questo di essere il trascendente regista della storia. […] Solo Dio conosce come sarà il futuro. Noi sappiamo, però, che in ogni caso esso sarà un futuro di grazia, sarà il compimento di un disegno divino di amore per tutta l’umanità e per ciascuno di noi.[29]

    Educare da, con, in e alla speranza

    Per finire. Si parla dell’educazione come di un atto di speranza. Inoltre, di educare dalla speranza, con speranza, nella speranza.[30] Che cosa significa educare oggi alla speranza? È educare: a scovare dentro i luoghi del vivere quotidiano tutti i segni di senso e di futuro, ad apprezzare e ringraziare i piccoli gesti; ad abbandonare i pensieri pessimisti, amari, oscuri, disfattisti, ma anche quelli ingenuamente ottimisti, naïf, idilliaci, illusori; a reagire con resilienza, non rimanendo mai per terra, ma alzandosi, mettendosi in cammino, lasciandosi aiutare; a sostenere gli altri,  accompagnando a maturare, aiutando a vivere in profondità specialmente le esperienze difficili; a conoscere i propri limiti ed essere pazienti con essi; a frequentare le persone che custodiscono nel loro cuore lo stupore; a coltivare ideali che permettano di vivere per qualcosa che supera la propria immediatezza; a sognare un mondo che ancora non si vede, ma che arriverà se si costruisce nel presente, nonostante le incertezze; a maturare scelte libere e consapevoli che, facendo memoria del passato, portino a prendersi cura del presente e lo proiettino verso il domani; a pensare nuove strade adeguate al nuovo contesto in cui ci si muove oggi; a cercare insieme per trovare soluzioni; ad avviare processi di trasformazione; a fidarsi di Dio, riconsegnando tutto a Lui nella preghiera e credendo all’esistenza di una creazione che si estende fino al suo compimento definitivo.[31]

     
    NOTE

    [1] Cf. G. Cavalli, Disperanza, Roma: Fandango 2020.
    [2] Cf. I. Kant, Antropologia dal punto di vista pragmatico, in Critica della Ragion Pratica, a cura di P. Chiodi, Torino: UTET 2013, Parte Prima, Libro III, §76.
    [3] Cf. Benedetto XVI, Spe salvi. Lettera enciclica sulla speranza cristiana (30 novembre 2007), nn. 30-31, in «AAS» 99 (2007) 12, 985-1027.
    [4] Cf. Benedetto XVI, Spe salvi, n. 12.
    [5] Cf. Conferenza Episcopale Italiana, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del 2000 (29 giugno 2001), Milano: Paoline 2001, n. 2.
    [6] Cf. D. Tettamanzi, Il dono di testimoni umili e coraggiosi. Prolusione al IV Convegno Ecclesiale Nazionale (16 ottobre 2006), in “Il Regno-Documenti” 51 (2006), 602-609, qui 603.
    [7] Cf. F. Mosconi – Salvatore Natoli, Sperare oggi, Bologna: EDB 2021, 76.
    [8] Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano: LEV 1992, n. 1818.
    [9] Cf. V. Melchiorre, Sulla speranza, Brescia: Morcelliana 2000, 7.
    [10] E. Castellucci, Seminatori di speranza. Messaggio alla città per la solennità di San Geminiano (31 gennaio 2019).
    [11] Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes. Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (7 dicembre 1965), n. 20, in «AAS» 58 (1966) 15, 1025-1120.
    [12] Cf. Benedetto XVI, Spe salvi, n. 5.
    [13] Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 21.
    [14] Cf. Tettamanzi, Il dono di testimoni umili e coraggiosi, 607.
    [15] Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 1.
    [16] Giovanni Paolo II, Christifideles laici. Esortazione apostolica post-sinodale sulla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo (30 dicembre 1988), n. 17, in «AAS» 81 (1989) 4, 393-521.
    [17] Francesco, Gaudete et exsultate. Esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo (19 marzo 2018), nn. 7, 154, in «AAS» 110 (2018) 8, 1111-1161.
    [18] Francesco, Un piano per risorgere (17 aprile 2020), in «L’Osservatore Romano» CLX/48412 (2020) 88, 10.
    [19] Cf. L. Sandrin, Prendersi cura della speranza, in C. Palazzini (ed.), Le relazioni che curano, Città del Vaticano: LUP, 2013, 13-34.
    [20] Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, nn. 21, 31, 93.
    [21] Cf. Benedetto XVI, Spe salvi, n. 38.
    [22] Cf. J. Goopman, Anatomia della speranza. Come reagire davanti alla malattia, Milano: V&P 2006.
    [23] L. Manicardi, La comune responsabilità per l’umano. Riflessione proposta in occasione di una giornata formativa rivolta ad alcuni operatori della Caritas Ambrosiana (26 febbraio 2008).
    [24] Benedetto XVI, Spe salvi, n. 35.
    [25] Cf. J. Juan, Los contrarios a la esperanza, in «Newsletter RPJ».
    [26] FrancEsco, Sognate in grande. Dialogo durante la Veglia di preghiera con i giovani italiani (11 agosto 2018).
    [27] Cf. C. Borghi, Sogni di Dio, speranza per l’uomo, Roma: San Paolo 2018.
    [28] Cf. M. Delpini, Benvenuto, futuro! Discorso alla città (6 dicembre 2019), Milano: Centro Ambrosiano 2019, 7.
    [29] Giovanni Paolo II, Il futuro dell’uomo è anzitutto futuro di Dio. Catechesi all’Udienza generale (19 novembre 1997).
    [30] Cf. Francesco, Ricostruire il patto educativo globale. Messaggio per il lancio (12 settembre 2019).
    [31] Cf. Francesco, Educare alla speranza. Catechesi all’Udienza generale (20 settembre 2017).


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