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    Che cos’è l’ecologia integrale?


    (NPG 2021-06-15)


    L’ecologia integrale, il cardine dell’enciclica LS, non è un discorso su una serie di temi abitualmente denominati “ambientali”, come i cambiamenti climatici, la biodiversità o l’inquinamento. È invece l’assunzione di un nuovo sguardo sulla realtà, che parte proprio da ciò che l’ambiente è: non un “oggetto” che possiamo studiare dall’esterno, ma l’insieme delle relazioni biologiche, tecnologiche e sociali all’interno delle quali noi tutti viviamo, pensate nella trama delle loro reciproche connessioni e interazioni. Questa consapevolezza è il frutto del pensiero ecologico sviluppatosi nel corso del Novecento: una rivoluzione di pensiero su cui si innesta anche LS, introducendo così nella dottrina sociale della Chiesa nuove categorie per interpretare il mondo di oggi. L’ecologia integrale, pertanto, non è un tema, ma un metodo e uno stile di pensiero. Esploreremo il modo in cui LS la declina secondo due prospettive che si integrano a vicenda. La prima considera l’ecologia integrale come paradigma concettuale, mentre la seconda la descrive come un percorso esperienziale e spirituale.
    Un modello per interpretare la realtà
    Partiamo dalla domanda: che cos’è un ecosistema? È un insieme costituito da almeno due tipi di componenti: gli organismi viventi e l’ambiente fisico nel quale essi vivono. Tutte le parti del sistema sono interdipendenti e interagiscono senza sosta: si pensi alle catene alimentari o ai cicli dell’ossigeno e del carbonio. Pertanto, nessuna delle parti che compongono un ecosistema può essere compresa in maniera isolata del resto. Sappiamo inoltre che in un ecosistema qualsiasi modifica ne condiziona tutto il funzionamento, attraverso catene consequenziali: per esempio, l’estinzione di una specie animale priva del sostentamento le altre specie che di essa si nutrivano, e così via.
    Quando poi vengono introdotte le tecnologie, i sistemi di produzione e le organizzazioni sociali umane, che stabiliscono una pressione ecologica modificando la natura e prelevando risorse, anche tale elemento antropico costituisce a tutti gli effetti una parte dell’ecosistema. Dobbiamo quindi considerare le particolari forme culturali attraverso le quali le società umane si relazionano al proprio ambiente: una comunità agricola in un Paese in via di sviluppo differisce molto delle società industriali occidentali, non solo per le condizioni pratiche di vita, ma anche per l’insieme delle convinzioni prevalenti, lo stile delle interazioni sociali, le produzioni simboliche. Si stabilisce così un feedback sistemico tra una società, con le sue forme culturali, organizzative, produttive, e la biosfera, con una compenetrazione molto forte tra “natura”, nel senso fisico e biologico del termine, e “cultura”, considerata come l’insieme delle produzioni umane, materiali e simboliche. Le distinzioni tradizionali tra natura, cultura e società perciò sfumano: «quanto parliamo di “ambiente” facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come qualcosa separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa e ne siamo compenetrati» (LS, n. 139).
    Se abbiamo fatto nostra questa visione del mondo, siamo pronti a leggere la realtà secondo il paradigma dell’ecologia integrale, che è un approccio a tutti i sistemi complessi, la cui comprensione richiede di focalizzare i rapporti tra le parti e tra ogni parte e l’insieme. Il modello dell’ecologia integrale è così in grado di tenere insieme fenomeni e problemi ambientali (cambiamenti climatici, inquinamento, esaurimento delle risorse non rinnovabili...) e questioni sociali, come i movimenti migratori o i conflitti armati: pensiamo ad esempio al processo di desertificazione del Sahel, che negli ultimi decenni ha trasformato la regione in una delle aree a maggiore instabilità geopolitica del mondo e nel crocevia dei movimenti migratori e del traffico di esseri umani tra Africa ed Europa. In sintesi, ciò che avviene a livello ecosistemico comporta conseguenze rilevanti sul piano sociale, economico e politico, e viceversa: «non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale» (LS, n. 139). Nel 2015 ne hanno preso coscienza anche le Nazioni Unite, adottando gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, che integrano politiche di tutela ambientale e strategie di sviluppo sociale, culturale, sanitario.
    L’approccio analitico dell’ecologia integrale si può applicare a vari livelli: anche una città è un ecosistema, e così un luogo di lavoro, un quartiere, una famiglia. Sono tutti sistemi di relazioni complesse, all’interno dei quali ci sono o non ci sono le condizioni per realizzare lo sviluppo umano integrale. Di che cosa ha bisogno un quartiere urbano per essere vivibile? Di alloggi adeguati, di infrastrutture energetiche, di attività produttive, di servizi sociali, educativi e sanitari, ma anche di spazi pubblici verdi e ben curati, di un’offerta culturale, di un tessuto sociale e associativo che mantenga vive le relazioni tra gli abitanti. In tale prospettiva, ci rendiamo conto che l’ecologia integrale include una serie di questioni che spesso vengono escluse dall’agenda ecologica, come la vivibilità e la bellezza degli spazi urbani. LS vi dedica parole accorate, affermando che «non si addice ad abitanti di questo pianeta vivere sempre più sommersi da cemento, asfalto, vetro e metalli» (LS, n. 44) e denuncia poi lo stato dei trasporti pubblici, «che in molte città comporta un trattamento indegno delle persone» (LS, n. 153). Mostra infine come la crisi socio-ambientale impatti persino sul rapporto di ciascuno con il proprio corpo (cfr LS, n. 155).
    Un percorso esperienziale e spirituale
    Proprio perché, come abbiamo visto, siamo parte della realtà sistemica che cerchiamo di interpretare, ogni nostra scelta contribuisce a plasmarla: oltre che paradigma analitico, l’ecologia integrale è dunque una opzione esistenziale. Possiamo comprendere questo mondo e le sue storture nella misura in cui ci coinvolgiamo in esso, compiamo scelte, ne sperimentiamo limiti e contraddizioni, affrontiamo il senso di impotenza nei confronti dei meccanismi impersonali dell’economia e dell’apparente onnipotenza dei grandi attori politici ed economici, impariamo a coltivare e a condividere la speranza.
    L’enciclica propone un modello: san Francesco d’Assisi, «esempio per eccellenza [...] di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità» (LS, n. 10), da cui impariamo che il mondo «è qualcosa di più di un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode» (LS, n. 12). L’ecologia integrale chiama quindi in causa uno sguardo contemplativo. I termini “contemplazione” e “contemplare” ricorrono una trentina di volte nell’enciclica, e il loro oggetto è sempre il mondo, con le sue bellezze e le sue ferite. Non si contemplano solo i bei paesaggi, ma la realtà così com’è, attraverso uno sguardo di compassione e affetto che abbraccia ogni essere umano e ogni creatura come realtà che esistono in quanto volute e amate dal loro creatore.
    Questo atteggiamento contemplativo chiama alla responsabilità, sempre sul modello di san Francesco che sapeva tenere insieme «la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore» (LS, n. 10). Richiede inoltre uno sguardo coerentemente unificato, perché «quando non si riconosce nella realtà stessa l’importanza di un povero, di un embrione umano, di una persona con disabilità – per fare solo alcuni esempi –, difficilmente si sapranno ascoltare le grida della natura stessa. Tutto è connesso» (LS, n. 117). Questo rappresenta una sfida all’integrazione personale di politici e militanti di ogni orientamento: la difesa della vita non può essere parcellizzata in opzioni particolari, ma richiede un impegno trasversale su più fronti.
    Se guardiamo al mondo di oggi e alla pervasività di un modello che ha fatto della manipolazione della natura e delle persone un’autentica «cultura dello scarto» (cfr LS, nn. 20-22), dove possiamo trovare le risorse per immaginare un cambiamento di rotta? Su questo piano si insinua anche la tentazione di attendere una soluzione dall’alto, magari un nuovo ritrovato tecnologico in grado di arrestare i cambiamenti climatici, senza bisogno di alcun cambiamento del nostro stile di vita. Questo sarebbe il compimento di quel «paradigma tecnocratico» (cfr LS, nn. 106-114) che pretende di porsi come modello esclusivo per leggere la realtà. Invece, l’atteggiamento contemplativo richiede un cambiamento profondo, che attinga alla «tenerezza, compassione e preoccupazione» (LS, n. 91), cioè alle risorse della relazione di cura, in tutte le sue sfaccettature. Occorre non solo maturare uno sguardo compassionevole nei riguardi di tutte le creature che abitano il pianeta, ma soprattutto difendere il valore pubblico e politico di questo atteggiamento, che non deve essere svalutato «come un romanticismo irrazionale, perché influisce sulle scelte che determinano il nostro comportamento» (LS, n. 11).
    Crescere nella compassione è anche il rimedio a quel «consumismo ossessivo» che è il riflesso, sul piano personale, della cultura dello scarto e del paradigma tecnocratico: «Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare» (LS, n. 204). L’ecologia ambientale e sociale si incontra quindi con l’ecologia umana e culturale, sulla base della convinzione che una vita umana si può definire ricca in virtù di giuste relazioni con se stessi, con gli altri e con la trascendenza. Di conseguenza, la società più ricca non è quella con il PIL più elevato, ma quella che meglio sa promuovere lo sviluppo di tali relazioni.
    La contemplazione finisce per valorizzare anche il senso delle nostre scelte quotidiane, ispirate alla solidarietà e alla cura per il creato: «è molto nobile assumere il compito di avere cura del creato con piccole azioni quotidiane [...] come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via» (LS, n. 211). Può sorprendere leggere in un’enciclica parole così concrete e quotidiane, ma ci sono almeno due buone ragioni per cui questo ha senso. La prima è che nella vita quotidiana ciascuno ricerca e trova la sintesi di ciò in cui crede, incarnandolo con coerenza nelle scelte di ogni giorno. La seconda risiede nella capacità dei gesti quotidiani di educarci e di plasmare la cultura intorno a noi: imparando a riconoscere il valore delle cose, arricchiamo di senso la nostra vita e formiamo gli anticorpi alla cultura dello scarto.
    In sintesi, con LS la dottrina sociale della Chiesa compie un passo in avanti, accogliendo «i migliori frutti della ricerca scientifica oggi disponibile» (LS, n. 15). Inoltre, l’enciclica offre un’inedita prospettiva che mira a integrare la vita spirituale, l’impegno per l’ambiente, il servizio ai poveri, lo stile di vita delle persone e delle comunità. Più che la sintesi del pensiero ecologico della Chiesa, LS rappresenta l’apertura di un cammino, da percorrere come credenti insieme agli uomini e alle donne di buona volontà del nostro tempo.

    BOX 4
    Elena Granata
    Biodivercity. Città aperte, creative e sostenibili che cambiano il mondo
    Giunti – Slowfood, Milano 2019 - pp. 240, € 16

    Le città contemporanee sono il luogo da osservare per capire dove si sta indirizzando il nostro futuro, dove si sperimentano nuove forme dell’abitare e del convivere, ma anche nuove forme di conflitto. La città è l’ecosistema nel quale la maggior parte dell’umanità vive oggi, da osservare con sguardo ecologico, attento cioè a scoprire le connessioni: tra la povertà e la bellezza degli spazi urbani, tra l’istruzione e la violenza, tra la sostenibilità e i diritti sociali, tra la tecnologia e lo studio del paesaggio, ecc. Il contesto urbano fa scoprire che le pratiche ecologiche sono anzitutto occasioni di innovazione sociale, mirate a promuovere nuove e più umane forme del vivere insieme, agli antipodi di uno stereotipo che interpreta l’ecologia come nostalgico tentativo di ritorno al passato. Come avverte l’A., docente di Urbanistica, oggi abbiamo bisogno dell’intelligenza delle connessioni, capace di analizzare la realtà nella sua trama di rapporti per individuare percorsi inediti e soluzioni innovative.

    BOX 5
    Ambrogio Spreafico
    Il capolavoro imperfetto. Il creato tra meraviglia e problema
    EDB, Bologna 2019 - pp. 161, € 16,50

    Meraviglia e problema: i due termini del sottotitolo riassumono i poli intorno ai quali si muove la riflessione di questo libro. La meraviglia risiede nella capacità del creato di rimandare a una dimensione ulteriore, che riempie di gioia chi ne fa esperienza. La dimensione problematica della natura invece è intesa soprattutto come complessità, intersezione di livelli di comprensione che richiedono tutta la nostra intelligenza. Che cosa significa che il mondo è creato? Qual è il suo scopo? L’A. propone un’interessante interpretazione del racconto di Genesi 1-2, mettendo al centro del processo creativo il quarto e il settimo giorno, ossia la creazione del tempo e del sabato, smentendo così una visione antropocentrica che giustifica un dominio dispotico sulla creazione.
    La seconda parte del libro offre una prospettiva di lettura nuova, che ripercorre le narrazioni bibliche mettendo al centro gli elementi naturali, che richiedono così una comprensione teologica appropriata. Le sfide ecologiche di oggi esigono di tornare a leggere la Bibbia con questa attenzione. L’A., biblista e vescovo, ci offre un testo apprezzabile per la qualità della cultura biblica, la chiarezza espositiva e la capacità di tendere un ponte fra la Scrittura e i problemi attuali.

    BOX 6
    FOCSIV
    La guida per comunità e parrocchie sull’ecologia integrale
    FOCSIV 2020, disponibile gratuitamente online www.focsiv.it

    Venti esperienze innovative a opera di comunità religiose e parrocchiali, cooperative, associazioni, diocesi: spiritualità ecologica, accoglienza, energie rinnovabili, recupero e rigenerazione di materiali, agricoltura sociale e altro. Queste esperienze testimoniano un metodo che ha messo da parte l’ecologia “a compartimenti stagni”, compressa su poche questioni pratiche (riciclo di rifiuti, sprechi di energia ecc.), per concentrarsi su come una lettura integrata della realtà può originare dei modelli di vita nuovi, anche dentro la Chiesa. La Guida mostra come l’ecologia si incarni perfettamente in quello stile ecclesiale che da sempre cerca di conciliare l’educazione, la promozione di stili di vita coerenti, la solidarietà e l’azione per migliorare la società attraverso tutti gli strumenti istituzionali. La Guida racconta buone prassi già esistenti che dimostrano che il cambiamento è possibile e trasforma il racconto in un invito alle comunità a fare discernimento, a cercare nel proprio contesto i modi per rispondere alle sfide pastorali e sociali del nostro tempo.

    BOX 7
    Denis Edwards
    L’ecologia al centro della fede. Il cambiamento del cuore che conduce a un nuovo modo di vivere sulla Terra
    Messaggero, Padova 2008 - pp. 168, € 20

    La teoria dell’evoluzione e l’ecologia hanno modificato profondamente la nostra visione del mondo, non senza conseguenze per la teologia cristiana. Per esempio, dal momento che affermiamo che il mondo è creazione di Dio, il modo concreto nel quale il mondo ha assunto la forma attuale diventa una domanda per la teologia. O ancora: che cosa significa che l’essere umano è creato “a immagine di Dio” alla luce dell’interconnessione tra i viventi? Denis Edwards, teologo australiano, affronta in questo libro alcuni temi chiave della teologia fondamentale e dogmatica, alla luce del pensiero ecologico, riscoprendo numerose intuizioni dei Padri della Chiesa. Al centro troviamo un’idea fondamentale: il cuore della fede è una comunione ecologica che evolve nell’amore verso quell’orizzonte di pienezza rappresentato dalla resurrezione di Gesù. Un libro teologicamente rigoroso ma non riservato ai teologi, scritto in un linguaggio accessibile a tutti, per la riflessione e la preghiera di ogni credente.

    BOX 8
    Punto di non ritorno (Before the Flood)
    regia Leonardo Di Caprio
    USA 2016, 96’

    Il documentario segue Leonardo Di Caprio in un viaggio intorno al mondo, alla ricerca delle tracce dei cambiamenti climatici. Le prime drammatiche conseguenze si rivelano già negli Stati Uniti, dove la città di Miami è preservata dalle inondazioni trami te un costoso sistema di pompe. Il film mette in evidenza anche il collegamento tra i nostri consumi quotidiani e i disastri ecologici su scala planetaria, come la deforestazione: è il caso della giungla indonesiana, rasa al suolo per produrre l’olio di palma utilizzato dall’industria alimentare. Un film destinato al grande pubblico per prendere coscienza dei cambiamenti climatici.

    BOX 9
    Antropocene – L’epoca umana
    regia J. Baichwall, N. de Pencier, E. Burtynsky
    Canada 2018, 87’

    Il titolo si riferisce all’ipotesi, divulgata negli anni 2000 dal chimico Paul Crutzen, secondo la quale l’impatto delle attività umane sull’ecosistema globale darebbe inizio a una nuova epoca geologica. Ma l’Antropocene può anche essere considerato la metafora di un cambiamento radicale del modo di interpretare i rapporti fra la nostra specie e il pianeta. Il film fa riflettere su come l’ambiente naturale inizia a essere percepito come realtà vulnerabile, su cui esercitiamo un potere che può essere distruttivo. Non è un documentario di divulgazione scientifica, ma soprattutto un’opera di poesia, che usa l’estetica per muovere la nostra sensibilità. Sottolineiamo il senso di straniamento provocato dalla bellezza della fotografia, tenendo conto che le immagini si riferiscono a luoghi orrendi e per lo più invivibili; la rappresentazione della potenza delle macchine come forza minacciosa; l’alienazione delle persone che appaiono fuori posto nei loro stessi luoghi di vita e lavoro.


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