(NPG 2021-06-20)
Un’unica figura ispiratrice unisce le encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti, quella di Francesco di Assisi, che in FT viene designato come «padre fecondo» per aver saputo suscitare «il sogno di una società fraterna» (FT, n. 4). Un episodio della sua vita viene richiamato come particolarmente significativo: la «visita al Sultano Malik-al-Kamil in Egitto, visita che comportò per lui un grande sforzo a motivo della sua povertà, delle poche risorse che possedeva, della lontananza e della differenza di lingua, cultura e religione» (FT, n. 3).
Quel viaggio è indicato come segno della capacità del santo di andare al di là delle distanze e dei confin i, che costituisce il dinamismo profondo che percorre tutta l’enciclica: «Senza frontiere», come recita il titolo del paragrafo che comprende i nn. 3-8. La preoccupazione per il superamento delle frontiere in FT – basta scorrerne l’indice per rendersi conto di quanto sia forte – costituisce l’analogo dell’attenzione a legami e connessioni in LS: se “tutto è collegato” è il motto della prima enciclica, “oltre le frontiere” è quello della seconda. All’interno della consapevolezza della «comunione sublime» che unisce «noi tutti esseri dell’universo [… in] una sorta di famiglia universale» (LS, n. 89), FT mette a tema il legame di fraternità tra gli esseri umani, da riconoscere e recuperare andando oltre tutti i muri e gli ostacoli che lo impediscono e che fanno sì che sempre ci sia qualcuno che è escluso, lasciato da parte, considerato straniero o comunque “altro”.
FT può quindi nutrire quella spinta a “uscire” che papa Francesco prova a imprimere alla Chiesa fin dalla sua elezione e a guidare quindi iniziative concrete che provino a darvi attuazione, anche a costo di rischiare qualche incidente di percorso. Un invito che vale in particolare per i giovani e quindi per coloro che li accompagnano. Alcuni esempi, che non esauriscono la ricchezza del documento, ci aiutano a rendercene conto.
Farsi prossimo oltre le barriere: il samaritano
Un’icona biblica, a cui è dedicato il cap. 2, fa da sfondo all’intera enciclica: il samaritano, colui che di fronte alla vittima della violenza dei briganti «si commosse» o, per dirlo in maniera più fedele al testo originale greco, «fu mosso nelle viscere». Vive cioè una profonda esperienza interiore, da cui decide di lasciarsi guidare a «farsi prossimo». Sta qui la sua vera grandezza, più che nelle cure mediche di fortuna che presta o nella prontezza a metter mano al portafoglio: farsi prossimo è il gesto supremo, che dischiude la promessa del sorprendente ritrovamento dell’umanità nostra e di chi incontriamo. Siamo di fronte a una comprensione profonda della dinamica della carità, ben diversa dalla sua declinazione puramente assistenziale, che conduce a vedere le persone in difficoltà come sacchi di bisogni da colmare, che, nonostante tutti gli sforzi, non si riempiono mai. Ebbene, come nota FT al n. 81, proprio per seguire questa spinta il samaritano «ha attraversato tutte le barriere culturali e storiche», in particolare quelle che all’epoca di Gesù facevano di giudei e samaritani nemici giurati per ragioni religiose.
Recuperiamo così il significato originale della parabola, che è il modo con cui Gesù risponde all’interrogativo «Chi è il mio prossimo?» postogli dal dottore della legge. Anche se in un modo che a noi non risulta immediatamente trasparente, si tratta di una domanda sui confini. Il comandamento dell’amore del prossimo, infatti, non è una novità della predicazione di Gesù, ma fa parte dei precetti della Legge mosaica. Un dibattito verteva però sulla delimitazione dell’ambito della prossimità: se la solidarietà è il legame che costituisce e rende salda ogni comunità, qual è il suo raggio di azione? Chi comprende e, di conseguenza, chi ne è fuori? È questo il senso dell’interrogativo posto dal dottore della legge e in questi termini risulta subito di attualità: delimitare chi è dentro e chi è fuori, chi ha diritto a beneficiare delle forme istituzionali della solidarietà e chi no, è ancora oggi al centro del dibattito politico e sociale. Per questo, oggi come al tempo di Gesù, «questo incontro misericordioso tra un samaritano e un giudeo è una potente provocazione, che smentisce ogni manipolazione ideologica, affinché allarghiamo la nostra cerchia, dando alla nostra capacità di amare una dimensione universale, in grado di superare tutti i pregiudizi, tutte le barriere storiche o culturali, tutti gli interessi meschini» (FT, n. 83). È questa la ragione per cui il samaritano è proposto non come esempio di buoni comportamenti individuali, ma come modello per «far risorgere la nostra vocazione di cittadini del nostro Paese e del mondo intero, costruttori di un nuovo legame sociale» (FT, n. 66). In altre parole, siamo invitati a recuperare la valenza politica e sociale di questa parabola.
Dal mondo chiuso alle società aperte
Rileggere la parabola puntando al cuore del legame sociale è lo strumento che l’enciclica usa per smascherare un atteggiamento assai diffuso «in un mondo dove compaiono continuamente, e crescono, gruppi sociali che si aggrappano a un’identità che li separa dagli altri» e si comportano quindi come il sacerdote e il levita del brano evangelico, respingendo l’appello a farsi prossimi. È questa la mentalità alla base della cultura dello scarto e su cui si reggono società ripiegate sulla difesa di sé in modo autoreferenziale: «In questo schema rimane esclusa la possibilità di farsi prossimo, ed è possibile essere prossimo solo di chi permetta di consolidare i vantaggi personali. Così la parola “prossimo” perde ogni significato, e acquista senso solamente la parola “socio”, colui che è associato per determinati interessi» (FT, n. 102). L’enciclica osserva come l’individualismo finisca per svuotare quegli stessi valori di libertà e uguaglianza sui quali si fonda la tradizione illuminista e liberale: la libertà scade in isolamento e l’uguaglianza, senza un tessuto relazionale solidale, resta una condizione teorica che non rende giustizia ai più fragili. Se non si coltiva la fraternità, cioè l’atteggiamento del samaritano, la libertà si restringe, perché gli steccati e i muri eretti per difendersi dagli altri, considerati una minaccia, diventano la prigione in cui per paura ci si rinchiude. Analogamente, «Neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che “tutti gli esseri umani sono uguali”, bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità. Coloro che sono capaci solamente di essere soci creano mondi chiusi» (FT, n. 104).
Infine, appartiene alla costellazione dell’individualismo e del mondo chiuso anche una falsa tolleranza che in realtà è relativismo e permette ai potenti di interpretare i valori morali secondo le convenienze del momento: «Quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare» (FT, n. 106). Invece, ribadendo quanto già affermato da Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate (2009), «La carità ha bisogno della luce della verità che costantemente cerchiamo e “questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede”, senza relativismi» (FT, n. 185). La strada per andare oltre alle secche del relativismo è tornare ad appropriarsi concretamente, al di là delle espressioni retoriche, di «un principio elementare della vita sociale, che viene abitualmente e in vari modi ignorato da quanti vedono che non conviene alla loro visione del mondo o non serve ai loro fini» (FT, n. 106), che è il riconoscimento della dignità e del valore di ogni essere umano «sempre e in qualunque circostanza». Per chi sceglie di assumerlo, è proprio questo principio a svuotare di significato ogni frontiera: «Se ogni persona ha una dignità inalienabile, se ogni essere umano è mio fratello o mia sorella, e se veramente il mondo è di tutti, non importa se qualcuno è nato qui o se vive fuori dai confini del proprio Paese» (FT, n. 125).
Le religioni al servizio della fraternità
La dignità dell’essere umano non è di per sé un valore religioso: infatti viene affermato anche da tradizioni di pensiero che prescindono da un riferimento di fede, come ad esempio quella che sostiene la progressiva elaborazione dei diritti umani. Tuttavia le religioni hanno un contributo specifico da offrire a questo riguardo, che deriva dal poter radicare il riconoscimento del valore della persona nel suo essere «creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio» (FT, n. 271). Anzi, solo il riferimento a un Padre comune può rappresentare un autentico fondamento della fraternità tra gli esseri umani: «Come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possano essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità. Siamo convinti che “soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra noi”. Perché “la ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità”» (FT, n. 272). Nella visione di papa Francesco, la custodia e la promozione della fraternità rappresentano il compito che le religioni possono svolgere anche all’interno di società pluraliste e secolarizzate. Visto il contributo che dalla fraternità arriva per la difesa di libertà e uguaglianza, come abbiamo visto sopra, le religioni scoprono di poter ricoprire un ruolo insostituibile. È un punto di cui è fondamentale prendere piena consapevolezza anche come comunità cristiana, e non primariamente in senso teorico: se la vita concreta delle comunità non testimonia lo sforzo di praticare davvero la fraternità, come potremo risultare credibile nel proporla alla società nel suo complesso?
Per mettersi efficacemente al servizio della fraternità, anche le religioni devono inserirsi nel dinamismo dell’uscita, dell’andare oltre. In particolare sono chiamate a uscire da una storia in cui ciascuna definisce e afferma la propria identità in opposizione a tutte le altre, con la conseguenza di conflitti anche molto sanguinosi, di cui sono ancora evidenti le cicatrici. Non bisogna avere paura che questo produca un annacquamento o uno svilimento del proprio patrimonio: «Non si tratta di renderci tutti più light o di nascondere le convinzioni proprie, alle quali siamo più legati, per poterci incontrare con altri che pensano diversamente. […] Perché tanto più profonda, solida e ricca è un’identità, tanto più potrà arricchire gli altri con il suo peculiare contributo» (FT, n. 282, che riprende qui testualmente QA, n. 106). Anzi, per le religioni la strada per uscire dagli steccati identitari passa dalla riappropriazione della loro radice squisitamente mistica, rimettendo al centro la ricerca di Dio: «Cercare Dio con cuore sincero, purché non lo offuschiamo con i nostri interessi ideologici o strumentali, ci aiuta a riconoscerci compagni di strada, veramente fratelli» (FT, n. 274). In altre parole, per mettersi al servizio della fraternità, le religioni non devono secolarizzarsi, o assumere le posizioni più o meno relativiste del politically correct, come talvolta si sente rimproverare a papa Francesco. Esattamente il contrario: devono liberarsi delle sovrastrutture socioculturali per riscoprire quello che sono in radice, cioè via ad Deum. E quanto più assumeremo lo sguardo del Padre, tanto più saremo capaci di scoprirci “Fratelli tutti”. Se le religioni promuoveranno la fraternità, questa in cambio difenderà la loro vera natura. Ci sembra una prospettiva di grande potenza anche in chiave pastorale: aiutare le persone a incontrare Dio è anche il modo per costruire una società più fraterna.
BOX 10
Atlantique
regia M. Diop
Belgio – Francia – Senegal 2019, 107’
Atlantique racconta le migrazioni da un punto di vista africano. A Dakar, un gruppo di ragazze subisce l’improvvisa scomparsa dei propri amici e fidanzati che, dopo aver lavorato in un imponente cantiere senza venire pagati, decidono di abbandonare il Paese, ma trovano la morte in mare. I loro spiriti ritornano in patria per perseguitare l’imprenditore che li ha frodati. Al centro della storia la giovane Ada, destinata dalla famiglia a sposare un ricco imprenditore, ma innamorata di Souleiman, uno dei ragazzi dispersi: in un contesto segnato da povertà e oppressione della donna, Ada dovrà cercare un cammino per trovare la propria identità, anche a costo di rinunciare a tutte le sicurezze offerte dal matrimonio. Opera prima della regista franco-senegalese Mati Diop, Atlantique mescola temi sociali, magia e tradizioni africane, per affrontare un ampio ventaglio di temi: il degrado sociale e ambientale, la condizione femminile, l’insoddisfazione giovanile che nutre un sogno migratorio spesso pagato a prezzo della vita.
BOX 11
Un affare di famiglia
regia K. Hirozaku
Giappone 2018, 121’
Osamu è un operaio che lavora a giornata e arrotonda compiendo piccoli furti. Si imbatte in Yuri, una bambina fuggita di casa a seguito di abusi familiari, e la “adotta” nel proprio insolito nucleo familiare, composto da cinque persone, che vivono insieme condividendo la lotta quotidiana per la sopravvivenza senza essere unite da legami di parentela. Il film introduce lo spettatore nel mondo dei nuovi poveri e dei working poor, coloro che, pur lavorando, non riescono a superare la soglia di povertà e vivono una condizione di emarginazione. In questo quadro di estremo bisogno si fa strada il valore della fraternità, che trasforma questo gruppo umano marginale in una famiglia, con tutta la gamma delle dinamiche affettive connesse. Un film che spinge a guardare oltre la povertà, rintracciando lo spessore umano di tante storie ai margini della società.
BOX 12
Giovanni Grandi
Scusi per la pianta. Nove lezioni di etica pubblica
UTET, Milano 2021, pp. 210, € 12
Il 17 giugno 2020, il filosofo triestino Giovanni Grandi in un post scrive: «Ci ferma un vicino e ci mostra (felice) questo biglietto, che ha trovato accanto a una sua pianta acciaccata. Lo ha lasciato un amico di nostro figlio (undici anni), con firma e banconota. Il mio prossimo corso di Etica pubblica in università non potrà che partire da qui». Sul biglietto si legge «Buongiorno, mi scuso per la pianta. L’ho colpita accidentalmente con un pallone da calcio. Ecco 5 euro per il danno». Ne scaturisce un agile volumetto dove in ogni capitolo si approfondisce un tema di etica pubblica. Il metodo è suggestivo: anziché dai macroproblemi, la riflessione parte da un caso semplice, proponendo di individuare i nodi che questo pone. Ad esempio, nel secondo capitolo, Grandi riflette su come la notizia del suo post sia stata rilanciata senza verificare le fonti, affrontando così il tema delle fake news. La vicenda del biglietto offre anche spunti per riflettere sulla responsabilità: di fronte ai propri sbagli non è scontato essere disponibili a metterci la faccia e la firma. Un volume scorrevole ma nel contempo profondo, che suscita questioni importanti a partire da un fatto semplice.
BOX 13
Giacomo Costa – Paolo Foglizzo (a cura di)
Il lavoro è dignità. Le parole di papa Francesco
Ediesse, Roma 2018 - pp. 262, € 16
Il volume raccoglie e commenta gli interventi più significativi del Papa sul tema del lavoro, dei lavoratori e delle persone che un’occupazione vorrebbero averla. Inevitabilmente incrocia anche la maggior parte delle questioni sociali più brucianti del nostro tempo, dal degrado ambientale alle migrazioni, dalla corruzione al corretto esercizio della leadership. Lo richiede la specificità dell’approccio di papa Francesco, che privilegia l’attenzione alle connessioni e ai legami: un approccio integrato alla ricerca di soluzioni integrali, le uniche che possono sperare di essere efficaci di fronte alla complessità dei problemi.
I testi di papa Francesco non appaiono in una semplice sequenza cronologica, ma sono organizzati in tre grandi capitoli, in applicazione del metodo “riconoscere-interpretare-scegliere”. Il primo si focalizza sull’ascolto della realtà concreta e delle contraddizioni che la abitano, il secondo presenta un ritorno riflessivo su quella realtà che ne evidenzia le principali chiavi interpretative, mentre il terzo presenta parole rivolte dal Papa agli attori che a diverso titolo appaiono oggi sulla “scena” del lavoro.
BOX 14
Pregare con le encicliche
È possibile pregare con i testi delle encicliche, come si fa con i brani della Sacra Scrittura? Certamente sì. Scegli un luogo adatto e fissa un tempo da dedicare alla preghiera. Scegli in anticipo anche il brano sul quale vuoi pregare: orientativamente, un paragrafo di un’enciclica può rappresentare la misura giusta. Un testo troppo lungo rischierebbe invece di portarti a divagare. Poiché si tratta di preghiera, resta focalizzato sulla tua interiorità: non leggi per apprendere nuove nozioni, ma per metterti in ascolto dello Spirito che prega in te (cfr Rm 8,26).
Mettiti alla presenza del Signore con un segno di croce e una breve invocazione. Chiedi la grazia di avere un atteggiamento aperto e docile alla parola che il Signore vuole rivolgerti. Puoi chiedere anche una grazia più particolare, legata al momento che stai vivendo o al brano che stai meditando; per esempio, se mediti i brani di LS che descrivono la crisi ecologica, puoi chiedere di sentire la sofferenza delle persone che vivono in condizioni inaccettabili o quella della terra ferita.
Leggi il testo con calma, soffermandoti e sottolineando le parole o le frasi che ti colpiscono maggiormente. Ogni testo provoca in noi delle reazioni, non solo intellettuali, ma anche emotive, che potranno essere piacevoli o spiacevoli: le risonanze emotive sono importanti, perché rivelano molto della nostra interiorità profonda. Presta particolare attenzione alle resistenze: se ci sono parole che suscitano reazioni di rifiuto, sosta con calma per prendere consapevolezza di che cosa stai vivendo. Al termine del tempo di preghiera, rivolgiti direttamente a Dio e manifestagli che cosa passa nel tuo cuore. Poi prova a “rileggere” quello che è accaduto, prendendo nota dei passaggi che più ti hanno colpito e le reazioni che hanno provocato in te.
Ecco alcuni passi per provare a pregare con le encicliche:
LS, nn. 1-2: il grido della terra e dei poveri.
LS, nn. 60-70: tutto è in relazione: una nuova visione del mondo.
LS, nn. 115-117: le radici umane della crisi ecologica: l’ideologia del dominio che abita in ciascuno di noi.
LS, nn. 138-142: ecologia ambientale, economica e sociale: una mappa per interpretare la realtà che ci circonda.
LS, nn. 147-155: ecologia della vita quotidiana: trasformare se stessi per iniziare a plasmare una cultura nuova.
FT, nn. 6-8: il sogno della fraternità e le resistenze del mondo.
FT, nn. 63-68: un ferito lungo la strada, un appello: chi è il mio prossimo?
FT, nn.104-105: libertà e uguaglianza non bastano: l’urgenza della fraternità.
FT, nn. 271-272: il nostro fondamento è l’esperienza di Dio: le religioni al servizio della fraternità umana.
FT, n. 285: «in nome di...»: l’appello condiviso con l’imam Al-Tayyib.