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    Una PG secondo la Christus Vivit


    Frère Alois di Taizé

    (NPG 2019-06-24)


     

    Per cominciare, vorrei ringraziarvi per la vostra accoglienza. Saluto in modo particolare il Presidente della Conferenza Episcopale, il Cardinale Bassetti. Ringrazio anche Don Michele Falabretti di averci invitati al vostro incontro, ci siamo conosciuti e abbiamo vissuto insieme il Sinodo dei Vescovi lo scorso ottobre, ed è nata una bella amicizia.
    Come Comunità abbiamo una lunga relazione con la Chiesa Italiana. Molti italiani vengono a Taizé e partecipano agli incontri internazionali. Ricordo anche, per esempio, che alcuni mesi prima della caduta del muro di Berlino, a maggio del 1989, i giovani italiani erano tra i più numerosi all’incontro Est-Ovest che avevamo animato a Pécs, in Ungheria.
    Mi è stato chiesto di parlare oggi delle parole coraggiose dell’esortazione Christus vivit. Mi sono detto allora: facciamolo in due. Comincerò dunque con un commento sull’esortazione a partire della nostra esperienza a Taizé, poi Frère John aggiungerà una riflessione più sistematica.
    Si, l’esortazione contiene parole coraggiose. Papa Francesco ha il coraggio di aprire dei cammini che ci fanno riflettere, che smuovono i nostri atteggiamenti pastorali. Durante il Sinodo ha anche messo in pratica diversi gesti coraggiosi, come quello di richiedere la presenza di 35 giovani delegati di diversi paesi e favorire la presenza attiva di rappresentanti delle altre Chiese cristiane.
    Mi sembra che il Sinodo si sia interrogato sui giovani, ma ancora di più sulla Chiesa, in particolare a partire da questa domanda: come essere più accoglienti verso i giovani?

    Rinnovare la giovinezza della Chiesa

    Ho iniziato la lettura dell’esortazione con una domanda precisa: quali consigli ci fornisce il Papa? Via via si è realizzato in me un cambiamento. Ho sentito pagina dopo pagina che il Papa voleva parlarmi personalmente. Voleva far rivivere in me lo slancio della fede. Lui parla al giovane che è in me, rinnova in me una giovinezza.
    Il Papa vuole rinnovare la giovinezza della Chiesa facendoci concentrare sull’essenziale della nostra fede: «Christus vivit!» è davvero l’essenziale. Devo prima di tutto ascoltare in me stesso questo messaggio. Prima di avere un piano d’azione si tratta di lasciarmi - io stesso - rinnovare dall’amore di Cristo.
    Il Papa ha ripreso nell’esortazione il racconto dei discepoli di Emmaus come una griglia di lettura per coloro che si impegnano nella pastorale dei giovani. Senza dubbio è diffuso un certo scoraggiamento, su di noi pesa spesso una certa fatica. Il disinteresse che sempre più i giovani mostrano verso la Chiesa ci lascia a bocca aperta.
    Il Papa lo dice in un modo molto realistico: «un numero consistente di giovani, per le ragioni più diverse, non chiedono nulla alla Chiesa perché non la ritengono significativa per la loro esistenza. Alcuni, anzi, chiedono espressamente di essere lasciati in pace, poiché sentono la sua presenza come fastidiosa e perfino irritante» (CV 40).
    Aggiungerei che tra coloro che sono ancora legati alla Chiesa, la critica è a volte ancora più forte. La rivelazione degli abusi è uno choc che destabilizza profondamente la Chiesa.
    Il disincanto verso la Chiesa va di pari passo con un disincanto più generale verso le istituzioni e la politica.
    Dove trovare la freschezza di una sorgente, se non vicino al Cristo stesso? Lui è passato per l’odio, la violenza, la morte, ed è resuscitato, ci accompagna, cammina al nostro fianco. Christus vivit! Non diciamo troppo in fretta: lo so, lo so molto bene… Se non ci lasciamo toccare da questo messaggio ogni giorno, con tutte le nostre attività rischiamo di fare solo del rumore e le nostre celebrazioni diventano riti senza vita.
    Sentiamo la gioia di avere Cristo come amico. Affidiamoci allo Spirito Santo, questo soffio di Dio che abita i nostri cuori. Papa Francesco insiste: il kerygma non è solo un riassunto della fede, l’importanza della fede non implica solo l’insegnamento dottrinale e morale. No, il kerygma contiene il cuore della nostra fede: Cristo stesso, che rivela il Padre, Dio d’amore, nello Spirito Santo. Godiamo la gioia di essere chiamati «amici» dal Cristo, di metterci sotto il suo sguardo d’amore.
    Il capitolo quattro di Christus vivit ci conduce alle fonti della fede cristiana. Francesco parla al nostro cuore. Che freschezza nelle sue parole! Dio è il Padre «che ti ha dato la vita e che te la dà in ogni momento» (113). Lui si mostra «come un innamorato che arriva al punto di tatuarsi la persona amata sul palmo della mano per poter avere il suo viso sempre vicino» (Isaia 49,16) (114).
    Allora la nostra preghiera può essere assolutamente semplice. Continuo citando il Papa: «Cerca di rimanere un momento in silenzio lasciandoti amare da Lui» (115). Questo amore rispetta la nostra libertà, «non si impone» (116). Il Cristo ha aperto le sue braccia sulla Croce (118) per tutta l’umanità, perché «solo quello che si ama può essere salvato. Solo quello che si abbraccia può essere trasformato» (120).
    «Guarda le braccia aperte di Cristo crocifisso, lasciati salvare sempre nuovamente» (123). Ma contempla anche il Cristo resuscitato «felice, traboccante di gioia» (126). Questo amore non ha paura di toccare la realtà, «ma è precisamente attraverso le nostre contraddizioni, fragilità e meschinità che Lui vuole scrivere questa storia d’amore» (120).
    Per questa ragione non saremo mai abbastanza attenti alla presenza dello Spirito Santo. «Dove ci sono il Padre e Gesù, c’è anche lo Spirito Santo. (…) E quando lo accogli, lo Spirito Santo ti fa entrare sempre più nel cuore di Cristo, affinché tu sia sempre più colmo del suo amore, della sua luce e della sua forza» (130). «Invoca ogni giorno lo Spirito Santo» (131).
    Senza questo rinnovamento personale, non sarà possibile quello - pur così necessario - della Chiesa. Nei paragrafi 34-42 il Papa prende una forte posizione a favore di questo rinnovamento della Chiesa. Nella storia, essa ne è stata capace. «Nei suoi momenti più tragici, sente la chiamata a tornare all’essenziale del primo amore» (34).
    E nel suo stile un po’ provocatore, io direi profetico, il Papa ci interpella: «Una Chiesa sulla difensiva, che dimentica l’umiltà, che smette di ascoltare, che non si lascia mettere in discussione, perde la giovinezza e si trasforma in un museo. Come potrà accogliere così i sogni dei giovani? Benché possieda la verità del Vangelo, questo non significa che l’abbia compresa pienamente; piuttosto, deve sempre crescere nella comprensione di questo tesoro inesauribile» (41). Chiede alla Chiesa di non essere «eccessivamente timorosa» per aprirsi alle domande dei giovani, ad esempio sul ruolo delle donne nella Chiesa o sulla sessualità (42).
    Il Papa ha anche delle parole coraggiose sulla crisi aperta dalla conoscenza degli abusi nella Chiesa, nei paragrafi 95-102. Anche tra noi fratelli della Comunità riflettiamo molto su questo negli ultimi tempi: questa crisi ci rende più attenti a vivere in maniera corretta la prossimità e la distanza con i giovani. La fiducia concessa al nostro ministero deve essere vissuta con responsabilità! Senza allora monopolizzare i giovani, per i nostri progetti o affettivamente, conserviamo però un senso di paternità e maternità spirituale, che abbia come risultato di dare libertà e vita.

    Ascoltare, accompagnare

    Ascoltare il Cristo ci prepara ad ascoltare gli altri e a guardarli con lo sguardo dello stesso Cristo.
    Ascoltare è il primo passo nella pastorale: ascoltare coloro che mi sono state affidate e affidati vuol dire dargli uno spazio in me, cercare di sentire quello che loro sentono. Questo significa prendere del tempo - una grande difficoltà nel mondo d’oggi - per discernere i segni della presenza di Cristo nelle loro vite.
    Ascoltare, accompagnare: sono due parole chiave del Sinodo che ritornavano ogni giorno. Questo si ritrova profondamente nella nostra esperienza a Taizé. Frère Roger dava molta importanza a questo, prendeva ogni giorno del tempo per ascoltare i giovani personalmente e ci invitava a farlo anche noi. Oggi ogni sera dei fratelli continuano a rimanere in chiesa per questo ascolto personale e dei sacerdoti - arrivati con i giovani - ascoltano le confessioni.
    Anche per i volontari, che passano diverse settimane o dei mesi a Taizé, l’accompagnamento personale è essenziale perché il loro soggiorno sia un vero tempo di discernimento per la loro vocazione. Tra i grandi temi che i giovani affrontano in questo lavoro di discernimento, constatiamo anche noi quelli che il Papa ricorda: «la formazione di una nuova famiglia e il lavoro» (258).
    Sul piano personale, l’ascolto è essenziale. Ma bisognerebbe anche ascoltare le intuizioni dei giovani sui grandi temi dei nostri tempi, ad esempio sull’ecologia o sulle migrazioni. Metterci, insieme ai giovani, all’ascolto del mondo per trovarvi i segni di speranza, i segni della presenza di Cristo.
    Sull’ecologia, Francesco ci ha donato l’enciclica Laudato si. I giovani, e non solamente loro, cristiani e non cristiani, vi trovano una motivazione profonda per il loro impegno. Vediamo a Taizé quanto sono impegnati i giovani su questo problema. Alla fine dell’estate, avremo un programma speciale sulla solidarietà con la Creazione con dei giovani e degli esperti che verranno da numerosi paesi del mondo.
    Quanto alle migrazioni, esse costituiscono un segno dei nostri tempi, anche se sempre ci sono stati movimenti di popolazioni. Senza dubbio è una sfida difficile, ma non è anche un segno che Dio ci dona per rinnovare oggi la sua alleanza con noi? Il Papa lo dice: c’è in questo come «un paradigma del nostro tempo». «Come non ricordare i tanti giovani direttamente coinvolti nelle migrazioni? Queste rappresentano a livello mondiale un fenomeno strutturale e non un’emergenza transitoria» (91).
    Apro una parentesi: l’Italia è stata molto generosa nell’accoglienza dei migranti, ma è stata lasciata troppo sola dagli altri paesi europei. Sono numerosi coloro che chiedono un coordinamento e una collaborazione tra i vari paesi europei, ciascuno secondo le sue possibilità. Di certo non ci sono facili soluzioni, ma senza gli incontri personali non troveremo delle risposte a questa sfida. In questo senso, rallegriamoci dell’impegno di molte persone, gruppi e parrocchie nell’accoglienza dei migranti e nella creazione di questi incontri personali.
    È anche la nostra esperienza a Taizé: una vera amicizia è nata tra i rifugiati accolti durante questi anni e i fratelli della comunità. Questa amicizia ha toccato anche i cuori dei volontari della nostra regione che hanno partecipato con noi nell’accoglienza, anche se alcuni di loro non erano credenti! Una rete di solidarietà è stata messa in piedi, al di là di quello che si poteva sperare. E la presenza dei migranti non ha solo toccato i fratelli che se ne occupano, ma ha dato una freschezza a tutta la nostra comunità.

    Come rinnovare la pastorale?

    Per procedere, vorrei adesso partire da questa domanda: cosa possiamo fare? Come rinnovare concretamente la nostra pastorale?
    Per cominciare, mi sembra che siamo chiamati ad agire come Gesù stesso. Riunendo un gruppo di giovani, prima ancora di animare delle attività, iniziamo ad amarli con l’amore di Cristo. Ascoltiamoli, parliamogli dell’amore di Gesù, invitiamoli ad essere portatori del suo amore andando verso le persone che soffrono: i bambini abbandonati, i senza tetto, le persone anziane, i migranti…
    Senza troppa fretta di proporgli le nostre idee, cerchiamo di scoprire i loro doni perché si manifestino, attraverso un impegno concreto per gli altri, una pratica artistica o le diverse forme di studio. Grazie a questo accompagnamento possiamo anche aiutare dei giovani a conoscersi meglio e, con alcuni, a rispondere all’amore di Dio con l’impegno di tutta la loro vita.
    A Taizé noi cerchiamo innanzitutto di pregare con i giovani. Tre volte al giorno, quando suonano le campane, le nostre attività si fermano e ci mettiamo alla presenza di Dio. I semplici canti ripetitivi nelle diverse lingue introducono a una comunione con Dio e tra tutti. Un lungo momento di silenzio permette una preghiera più personale. In questi momenti di preghiera comune, evitiamo che ci siano troppe parole. Nelle introduzioni bibliche leggiamo la Scrittura e la commentiamo, brevemente e il più semplicemente possibile. Subito dopo, in piccoli gruppi di scambio, i giovani sono incoraggiati a condividere le loro riflessioni e anche le loro domande.
    Un altro campo di riflessione proposto dal Papa concerne la creazione di «spazi fraterni» «Per tanti orfani e orfane nostri contemporanei – forse per noi stessi – le comunità come la parrocchia e la scuola dovrebbero offrire percorsi di amore gratuito e promozione, di affermazione e crescita» (216). Da diversi anni, in questa direzione noi mandiamo da Taizé dei piccoli gruppi di giovani nelle città d’Europa o altrove per cinque settimane di vita di preghiera e di impegno sociale in una Chiesa locale.
    Per quest’anno ho formulato cinque proposte sul tema «Non dimentichiamo l’ospitalità». Ho cercato tra l’altro di incoraggiare i partecipanti ai nostri incontri a «trovare nella Chiesa un luogo di amicizia». In effetti, per condividere con altri la nostra fiducia in Dio, abbiamo bisogno di luoghi dove trovare non solo degli amici conosciuti ma un’amicizia che si allarga verso coloro che sono diversi da noi. Le parrocchie e le comunità locali hanno la vocazione a riunire una varietà di generazioni, di origini sociali o culturali. C’è un tesoro, a volte troppo nascosto, che si deve far fruttificare.
    Anche per Frére Roger era già essenziale che i giovani, dopo il loro soggiorno a Taizé, tornassero nelle loro Chiese locali, nelle loro parrocchie. In questo modo, loro trovano i riferimenti nella fede, nel Vangelo, non nell’esperienza vissuta a Taizé, ma prima di tutto nella partecipazione attiva alla vita della comunità cristiana locale.
    Quando Papa Francesco mi ha ricevuto in udienza qualche settimana fa, sono stato colpito dal suo interesse per quello che noi viviamo con i giovani. Alla fine del nostro colloquio, quando gli ho domandato se fosse d’accordo a registrare un breve messaggio video, lui ha risposto subito di sì. Nel suo messaggio, ha voluto soprattutto incoraggiare i giovani ad avanzare insieme ad altri, a formare dei piccoli gruppi per camminare insieme.
    Durante i grandi Incontri come le Giornate Mondiali della Gioventù, i giovani possono vivere un’esperienza molto concreta dell’universalità della Chiesa. Anche a Taizé noi vediamo che una tale esperienza dà una comprensione più profonda e gioiosa della Chiesa.
    Questi tempi forti sono essenziali per i giovani, ma un accompagnamento e una crescita spirituale durevole sono anche importanti. A Taizé siamo molto consapevoli della necessaria complementarietà con voi che accompagnate i giovani sul posto. Papa Giovanni Paolo II, durante la sua visita a Taizé nel 1986, ebbe un’espressione molto buona: «si passa a Taizé come vicino a una fonte. Il viaggiatore si ferma, si disseta e riprende il cammino. I fratelli della comunità, voi lo sapete, non vogliono trattenervi».
    Se Frére Roger non voleva creare un movimento di giovani attorno a Taizé, ci ha sempre incoraggiato a visitare i giovani là dove vivono. È il senso del pellegrinaggio di fiducia sulla terra che continuiamo da quattro decenni nei diversi continenti. Questo pellegrinaggio ci permette di conoscere meglio e di sperimentare le situazioni concrete vissute dalla Chiesa nelle diverse regioni del mondo.
    Qualche mese fa sono stato felice di soggiornare ad Altamura e a Bari, con alcuni dei miei fratelli., Preghiere comuni, incontri, scambi con i sacerdoti diocesani: per alcuni giorni, abbiamo avuto un bel panorama della vita dei cristiani in questa parte dell’Italia.
    Sono ancora segnato dall’incontro dei giovani che abbiamo avuto in Libano alla fine di marzo. Tra i giovani dei diversi paesi del Medio Oriente e dell’Europa, 90 sono potuti venire dalla Siria, dalle città di Aleppo, di Homs e di Damasco.
    Il pellegrinaggio di fiducia continuerà per noi a settembre in Sudafrica, dove avrà luogo il prossimo incontro africano dei giovani a Città del Capo. E poi ci sarà, come alla fine di ogni anno, un incontro europeo in Polonia, nella città di Wroclaw.
    Sono stato colpito leggendo, alla fine dell’esortazione, come Papa Francesco evoca la chiamata al sacerdozio o alla vita in una comunità religiosa. È molto bello che incoraggi i giovani a non rimanere bloccati nelle esitazioni ma a fare delle scelte che possono coinvolgere tutta la loro vita.
    Qualche anno fa, in una «Lettera a un giovane che vorrebbe seguire il Cristo», dicevo tra l’altro: «Chiamandoti, Dio non stabilisce ciò che tu dovrai compiere. Il suo appello è soprattutto un incontro. Lasciati accogliere dal Cristo e scoprirai il cammino da intraprendere. Dio ti invita alla libertà. (…) Giovane, puoi avere paura ed essere tentato di non scegliere, per custodire tutte le possibilità aperte. Ma come potrai trovare una realizzazione restando fermo al bivio?»
    Vorrei per finire raccontarvi un gran bel momento che c’è stato alla fine del Sinodo. Papa Francesco ha chiesto a tutti i partecipanti di «pregare il documento finale». Vorrei terminare con questo stesso appello: preghiamo questa bella esortazione, conserviamola nel nostro cuore come Maria ha conservato le parole di Gesù nel suo cuore. Allora l’esortazione diventerà una sorgente di gioia e di nuove intuizioni per il nostro ministero nei riguardi dei giovani.

     


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