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    La musica e il musicista: per capire meglio la musica e i giovani



    Fabio Pasqualetti e Giovanni Candia

    (NPG 2019-07-34)


     

    Fra i vari linguaggi dell’arte la musica è tra quelli privilegiati dai giovani d’oggi. L’Instrumentum Laboris del Sinodo dei Vescovi sui Giovani al n. 36 afferma infatti che:

    la musica è un linguaggio fondamentale per i giovani: costituisce la colonna sonora della loro vita, in cui sono costantemente immersi, e contribuisce al cammino di formazione dell’identità in una maniera che, pur nella consapevolezza quasi generalizzata della sua importanza, di rado la Chiesa approfondisce. La musica fa provare emozioni, coinvolgendo anche fisicamente, apre spazi di interiorità e aiuta a renderli comunicabili. Allo stesso tempo trasmette messaggi, veicolando stili di vita e valori consonanti o alternativi a quelli proposti da altre agenzie educative. In alcune culture giovanili il mondo della musica può costituire una sorta di rifugio inaccessibile agli adulti. Data la sua potenza, il mondo della musica è facilmente influenzato e manipolato anche da interessi commerciali se non speculativi.[1]

    Le problematiche racchiuse in questo passaggio fanno comprendere come il mondo della musica vada oltre la stessa musica. Se è vero che la musica da sempre, come tutte le arti, è un linguaggio che gli artisti usano per narrare il loro tempo e il loro vissuto, è anche vero che i tempi cambiano, la società cambia e quindi è importante comprendere la musica nel suo contesto socio culturale. Inoltre, il grande fattore che sta facendo la differenza in tutti i campi è la tecnologia che nel campo musicale si può dire faccia la vera differenza generazionale come se ci fosse un prima e un dopo l’avvento del digitale. Questo aspetto non è secondario perché il fattore tecnologico incide nel profondo delle nostre azioni arrivando fino a modificare il nostro modo di essere.
    Le indagini[2][3] sostanzialmente concordano sul fatto che la quasi totalità dei giovani d’oggi ascoltano la musica in streaming dalle piattaforme attraverso il dispositivo mobile più diffuso – lo smartphone. Il cambiamento più significativo è la personalizzazione dell’ascolto musicale che avviene grazie agli algoritmi delle piattaforme i quali intercettano i gusti dell’utente e ne modellano i gusti. Un altro fattore è la disintermediazione dell’ascolto e della produzione musicale. Piattaforme come YouTube permettono, oltre alla visione ascolto di musica, di presentare al mondo il proprio talento.
    Sono convinto che ogni generazione cerca di esprimersi con quanto ha a disposizione e di rivendicare una propria originalità e sensibilità nel saper raccontare se stessa e il proprio tempo, ma mi domando se in questo momento caratterizzato dalla velocità, dall’immediatezza, dall’istantaneità, dall’emotività, dalla necessità di risolvere tutto con un’app o un click, la stessa musica non sia una vittima del nostro tempo e noi non stiamo forse perdendo qualcosa di cui non ci stiamo rendendo conto? Sono convinto che affrontare il tema della musica e dei giovani non può essere fatto in modo superficiale. Ho pensato quindi che chi può dire qualcosa di più è qualcuno che la musica non solo l’ascolta, ma la produce, la studia, la vive ad un livello di profondità e complessità che sfugge ai più. Mi sono rivolto Giovanni Candia, un giovane musicista, per interrogarlo in merito a: cosa è la musica? quale ruolo svolge nel mondo delle persone? e altre domande che ritengo utili per noi educatori spesso spiazzati davanti a come i giovani vivono la musica oggi.

    Parlando con Giovanni Candia

    Giovanni Candia è un chitarrista, compositore e docente di musica di origini calabresi che vive a Roma dal 2003. Laureato in Scienze della Comunicazione presso l'Università Pontificia Salesiana di Roma, consegue parallelamente la laurea triennale in chitarra jazz presso il Saint Louis College of Music di Roma e il relativo biennio specialistico presso il conservatorio di musica Santa Cecilia. Da sempre amante della didattica musicale, alterna l'attività concertistica in Italia e in Europa a quella di insegnante presso il Saint Louis dove, oltre all'insegnamento dello strumento e di diverse materie teoriche, è attivamente impegnato in progetti internazionali di interscambio didattico.

    D. Una prima semplice domanda: cosa è la musica per un musicista?
    R. Wow! Domanda talmente semplice e diretta da essere spiazzante... Almeno per me! Il punto è che il rapporto tra musica e musicista tende a cambiare nel tempo. Per esperienza personale posso dirti che oggi, rispetto a quando ho iniziato a suonare e a studiare musica, il modo che ho di rapportarmi ad essa è drasticamente cambiato e credo di poter dire con altrettanta certezza che cambierà ancora. Ascoltando le storie di vita di altri colleghi, trovo che questo aspetto legato al cambiamento sia decisamente comune a tutti. Quando da piccoli ci si avvicina alla musica – e ciò può avvenire in mille modi diversi – non ci si pone troppe domande. Può capitare di sentire una grande attrazione verso di essa e, in alcuni casi, tale attrazione contiene in sé un'intuizione di cui in un primo momento si può essere più o meno consapevoli. Allora accade che, ogni volta che si ascolta della musica, si entra in simpatia con essa, un po' come capita quando hai più strumenti in una stanza: se suoni una nota di uno di essi, gli altri tendono a far risuonare la stessa nota, grazie ad un principio noto come “vibrazione simpatica”. Qualcosa risuona profondamente nell'animo di un musicista quando c'è di mezzo la musica. Si è musicisti per aver scelto di seguire tale risonanza, che è una vera e propria “vocazione”, invece di rifiutarla. L'essere musicisti nasce dall'ascolto ancor prima che dal desiderio di esprimersi con la musica o, più probabilmente, le due cose vanno di pari passo. Il passo successivo è, appunto, il desiderio di esprimere tale risonanza. Questo è il momento in cui, generalmente, avviene la scelta del proprio strumento musicale e di conseguenza il desiderio di iniziare a studiare musica e – in alcuni casi – voler intraprendere una formazione di tipo professionale. È interessante constatare come la vita poi faccia il resto, smentendo o confermando mille volte l'autenticità di quel desiderio iniziale. Ad un certo punto nella storia di un musicista, la musica e la vita si avvicinano fino ad intrecciarsi fortemente. Questo è il motivo per cui il rapporto che si ha con la musica tende a cambiare nel tempo: la musica cambia perché la vita cambia, e la vita cambia perché la musica ti cambia. Non bisogna dimenticare che la musica è anche memoria... e per un musicista ciò vuol dire che anche un singolo brano, ha il potere di attualizzare esperienze e frammenti di vita passati e se questo è vero per tutti, chi suona, però, vive la musica “dal suo interno”.

    D. La musica incide sulla visione del mondo?
    R. Credo che accada piuttosto il contrario è la propria visione del mondo che incide sul modo in cui si suona, si compone e si ascolta la musica. C'è una sottile linea che unisce queste due cose e ha a che fare con l'ispirazione. Provo a spiegare, forse un po' poveramente, questo concetto. Da musicista-compositore, per me il mondo è una continua fonte di ispirazione. Chi scrive musica non può che ispirarsi alla realtà circostante, osservandola e vivendola. Ti faccio un esempio concreto. Di recente ho registrato un disco con un quartetto nel quale, oltre a suonare la chitarra, mi occupo della scrittura e dell'arrangiamento dei brani. Bene, in questo disco c'è un brano intitolato Petrichor. Il petricore (in inglese “petrichor”) è l'odore della terra quando viene bagnata dalla pioggia, specie quando non piove da un bel po'. È qualcosa che abbiamo sperimentato tutti ad esempio durante una tempesta estiva, ed è un odore che a me piace molto, anche se non saprei spiegare per quale motivo. È come se “assaporandolo” si possa ascoltare meglio il linguaggio della natura, della terra. Come se l'acqua aiutasse il terreno a parlare. Questa semplice intuizione è finita in un brano... abbiamo provato, con la musica, a transcodificare un linguaggio – quello della natura – che è totalmente diverso da quello musicale. In questo caso il mondo influenza la musica, ma la musica al tempo stesso permette di vedere il mondo da un'altra prospettiva. Azzarderei a dire, per rispondere in modo diretto alla domanda, che la musica aiuta certamente ad entrare più in profondità nella realtà e nella propria quotidianità in generale. Un film avrebbe lo stesso sapore senza la giusta colonna sonora?

    D. Credi che la musica abbia a che vedere nel tuo rapporto con le altre persone?
    R. Certamente! Ed è così da sempre... Ogni tanto mi capita di riflettere su questo aspetto e posso dire che alcune tra le esperienze più belle e significative della mia vita sono connesse alla musica e alle relazioni legate ad essa. Ho sempre amato socializzare, anche se in alcune fasi della mia esistenza non è stato facile, in particolare durante gli anni del liceo. In quel periodo, per la prima volta, la musica fu per me un'ancora di salvezza. Per una serie di circostanze che non sto qui a raccontare, conobbi un gruppo di ragazzi, più o meno coetanei, tutti provenienti da paesi limitrofi, e tutti con un grande talento musicale e con una band praticamente già avviata. Per me, che suonavo la chitarra già da sei-sette anni, che cercavo disperatamente di metter su una band, vedere quei ragazzi fare musica assieme fu una sorta di miraggio, rappresentavano quello che desideravo fare da sempre. Non so se fu il fatto che avessi qualche minima capacità tecnica in più rispetto ad altri chitarristi coetanei della nostra zona, oppure perché avessimo interessi musicali affini o semplicemente perché gli stessi simpatico, ad ogni modo entrai nella band e quella fu per me un'occasione importantissima. Mi accorsi, forse per la prima volta, della potenza che ha la musica nel mettere insieme le persone. Notai come attorno alla band si era creato un discreto circolo di amici che spesso seguivano le prove e venivano a sentirci quando suonavamo da qualche parte. Erano amici con i quali parlare, confrontarsi, condividere. La musica era un mezzo che favoriva tutto ciò, la ragione per la quale un gruppo di persone si frequentavano, la convergenza di sogni e desideri che ciascuno di noi portava dentro di sé e che prendevano forma concreta quando mettevamo mano agli strumenti. C'è qualcosa di misteriosamente profondo che si crea quando due o più persone suonano assieme. Un'intimità autentica che probabilmente nasce dalla compresenza nello stesso terreno di espressione e ascolto, dal dialogo costante tra strumenti e suoni diversi. Quante volte, da allora, grazie alla musica la mia vita ha preso certe direzioni e quante volte ho avuto modo di vivere esperienze belle e importanti soprattutto quando condivise con altri! Quante volte la musica è stata il “timone” della mia vita (attenzione: il timone, non il timoniere...). Ancora oggi, quando ho intenzione di mettere assieme un gruppo di persone per fare musica, anche se si tratta normalmente di professionisti, evito sempre di avviare un progetto dietro al quale non intuisco che possa esserci un'intesa di una certa profondità. Per me la musica spesso è il carburante di una relazione.

    D. Giovani e musica, cosa funziona e cosa non funziona in questo momento secondo te?
    R. Secondo me in questo periodo storico, soprattutto negli ultimi dieci anni, stiamo vivendo un momento potenzialmente molto positivo per quanto riguarda il rapporto tra i giovani e la musica, dico potenzialmente perché, come accade ogni volta che si presenta una buona occasione, bisogna saperla cogliere. Ciò che risulta palese è il radicale cambiamento, rispetto ai decenni passati, nella fruizione della musica: oggi chiunque abbia uno smartphone può ascoltare e soprattutto “vedere” una quantità di musica colossale, che neanche il più sfegatato collezionista di dischi potrebbe aspirare ad avere. Avere, appunto... Una delle cose più sorprendenti del periodo attuale è che non si può più parlare di “possesso” legato alla musica: persino gli mp3 da tempo sono passati di moda. Tutto si guarda e si ascolta online, prevalentemente dal proprio smartphone. Youtube e Spotify costituiscono le miniere, i pozzi inesauribili contenenti quasi ogni genere e forma musicale che l'essere umano abbia mai concepito. Tutto gratis! Bello vero? Adesso per un ragazzo non è più necessario aspettare che finalmente il tanto agognato disco del proprio musicista o gruppo preferito arrivi in negozio, non dovrà più metter da parte dei soldini per comprare la musica che desidera ascoltare, non avrà più la necessità di parlare con chi di musica ne sa più di lui, tanto c'è Internet che risolve ogni dubbio (“santa Wikipedia!”), non sarà più necessario andare in libreria per comprare qualche bibliografia autorevole perché tanto – grazie ai social – conosce anche la marca di banane che mangia proprio il chitarrista preferito. Tutto questo è fantastico, non ti pare?! Vuol dire che adesso un ragazzo potrebbe addirittura non desiderare più...nulla! È tutto lì, alla portata di chiunque! Sembrerebbe proprio una bella notizia,?! Beh, francamente credo di no. Non sarà che tutta questa disponibilità immediata abbia proprio a che fare con “ciò che non funziona in questo momento”? Allora perché prima parlavo di momento potenzialmente positivo? Molto probabilmente l'aspetto negativo di tutto ciò è che quando hai tutto non hai niente perché, come dicevo prima, smetti di desiderare. Questo aspetto andrebbe considerato ancor prima di pensare al ruolo pedagogico della musica. Il rischio più concreto per l'ascoltatore contemporaneo consiste nel costante rigetto, o addirittura disconoscenza, di un terzo asse cartesiano, l'asse zeta: quello della profondità, che rompa finalmente un modello di ascolto lussuriosamente bidimensionale ormai ampiamente diffuso: spesso non si ascoltano più le canzoni per la loro intera durata, si passa subito al prossimo brano, che in genere è il successivo di una playlist generata automaticamente da qualche “intelligente” algoritmo. Si è persa l'unità narrativa alla base del concetto di disco, non ci si interroga sul significato profondo dei testi delle canzoni, figuriamoci poi se ci si pone domande sui suoni utilizzati in un certo disco o su un certo brano, degli accordi di una canzone o delle strategie compositive. Tutto questo sembra inconcepibile eppure... vorrei ricordare che in Italia ci fu un momento in cui la gente, soprattutto i giovani, ascoltavano prevalentemente rock progressivo e musica cantautoriale, musica – al di là delle proprie preferenze di stile – di qualità altissima! Oggi è davvero sorprendente ricordare questo aspetto, eppure è storia! Personalmente cerco sempre di evitare di cadere nella prospettiva del “prima era meglio”, ma resta comunque l'impressione che ci si stia perdendo qualcosa per strada. Un giovane che oggi sa ascoltare la musica e che sceglie di ascoltare musica di qualità è un pesce fuor d'acqua. Cosa c'è che non va? Cosa non sta funzionando? Come siamo arrivati fino a questo punto? È chiaro che per rispondere a questi interrogativi bisogna porsi da una prospettiva che offra una visuale più ampia, non limitata alla fruizione e all'educazione musicale ma che prenda in esame innanzitutto l'educazione in senso lato. C’è tuttavia il bisogno di tornare ad una dimensione autentica della musica e qualcosa pare che si stia muovendo, anche se poco percettibilmente. Conosco giovani che amano ancora parlare dei testi, dei suoni, della storia degli artisti. Ragazzi che vanno ad ascoltare musica dal vivo, che sacrificano parte delle loro risorse economiche per la musica. Hanno intuito che, forse, ne vale la pena. Sono persone che sanno che c'è buona e cattiva musica, quella autentica e quella pensata per un modello d'ascolto disfunzionale, meglio lasciar perdere allora! Queste “pecore nere” hanno intuito che per accogliere la bellezza, quella vera, bisogna puntare ad entrare nelle cose, entrare nella musica, ascoltare e riascoltare, prima di capire, bisogna cambiare e accettare di farsi cambiare, imparare a scegliere, capire qual è la propria musica, senza però diventare ermetici, bisogna imparare a cogliere la storia che un musicista racconta con un brano, con un disco, bisogna saper aspettare, confrontarsi con gli altri e farsi sorprendere, in una parola bisogna saper ascoltare. Tutto questo si può imparare, l'ascolto si può apprendere, il gusto si educa. Per questo però il mondo ha da sempre un disperato bisogno di buoni maestri.

    D. Educare un giovane alla musica, come si fa?
    R. Questa è una domanda particolarmente importante, la cui risposta si ricollega a quanto ti dicevo prima riguardo al bisogno che il mondo ha di buoni maestri e - mi si permetta di dirlo senza retrogusto polemico - serve tanta competenza: per educare alla musica bisogna conoscere molto bene ciò di cui si sta parlando e, se non lo si fa per vocazione e con grande passione, si rischia di fare qualche danno. Vorrei evidenziare questo aspetto perché, purtroppo e ingiustificatamente, spesso la musica e l'arte in generale hanno un peso di rilievo minimo nel nostro sistema educativo e in molti casi tali discipline vengono trattate con superficialità. C'è una diffusa e latente convinzione che chiunque possa occuparsi di educare alla musica, con un po' di buona volontà, in barba alla competenza! Beh, questo è un clamoroso falso mito, come è un falso mito l'idea che la serietà e la competenza necessarie per formare i giovani alla musica equivalgano ad uno “stile pedagogico” dal sapore austero e serioso, anzi! Un esempio lampante che aiuta a smontare questa falsa convinzione lo si sperimenta quando si ascoltano i grandi musicisti o i grandi direttori d'orchestra parlare di musica. Ci si aspetterebbe di annoiarsi ad ascoltare Riccardo Muti parlare di una composizione o delle proprie esperienze artistiche, invece basta guadare qualche intervista su Youtube per scoprire che non è assolutamente così e, soprattutto, ti vien voglia di andare ad ascoltare musica. Ovviamente, quando parlo di competenza intendo non solo una profonda conoscenza della materia, ma anche la capacità di insegnarla e questo, ripeto, è qualcosa che si può fare solo per vocazione. Educare un giovane alla musica vuol dire, in poche parole, portarlo a sperimentare la bellezza. Ma come si fa? Non credo che ci sia una formuletta magica per questo, come non credo che esista una one best way. Personalmente, quando inizio un percorso didattico con i miei allievi (si tratta di studenti di musica, ma credo che lo stesso approccio andrebbe bene anche per giovani ascoltatori) la prima domanda che gli pongo è: «Cosa ti piace ascoltare?». Tutto parte da lì. Aiutare a capire meglio la musica che si ascolta è un ottimo punto di partenza, ancor prima di comprendere se si tratta di buona o cattiva musica... già: c'è buona e c'è cattiva musica esattamente come c'è del cibo che nutre e fa bene e c'è del cibo che fa terribilmente male e il punto è saper riconoscere la differenza. Credo che questo sia il nodo cruciale dell'educazione all'ascolto. Se leggo certi testi di qualche autore di musica Trap ad esempio, mi si gela il sangue a pensare che questa è la roba che gira adesso tra i giovanissimi. Sto facendo un esempio estremo, ma di cattiva musica ne gira parecchio! Sarebbe bello poter parlare diffusamente della differenza tra buona musica e cattiva musica proprio in termini musicali, ma le cose si complicherebbero assai! Rimane vero che se si vuole che un ragazzo impari ad ascoltare la musica in un certo modo, che smetta di ascoltare robaccia, non gli servono sermoni moralizzatori, gli serve un'alternativa, qualcosa che lo aiuti a cambiare i suoi parametri d'ascolto. Questo vuol dire educare un giovane alla musica. Parti dalla sua musica! Se necessario, smontala con lui: per questo servono competenze! Qualche anno fa, all'inizio del mio percorso lavorativo, insegnavo chitarra a bimbi di scuola elementare e spesso capitava che gli chiedessi se ci fosse qualche brano che avrebbero voluto suonare, magari della musica che ascoltavano normalmente. Quando qualcuno proponeva un brano che a lui sembrava il massimo della musica capitava che, al momento di trovare gli accordi del brano, ci accorgessimo di quanto inconsistente fosse l'aspetto compositivo. Se spogli un brano del suo arrangiamento e provi a suonarlo solo con il pianoforte o con la chitarra, ti accorgi se resta in piedi oppure no... in molti casi questi ragazzini erano attratti dal luccichio dei suoni o da alcune furbe strategie di arrangiamento, al punto da non rendersi conto di quanto poco peso avesse il brano in sé e per sé, di quanto insignificante fosse la melodia. Dagli un'alternativa!

    D. Fino ad ora abbiamo parlato di suono, ma la musica è fatta anche di silenzio. Che rapporto ha il silenzio con la musica?
    R. Il silenzio è il respiro della musica, è quindi una necessità. Il silenzio ti dà il tempo di ascoltare quello che una sequenza di note ha da dirti, prima che arrivi la frase successiva. Qualcuno, ora non ricordo esattamente chi, tempo fa disse che le note sono un modo molto bello di andare da un silenzio all'altro. Nulla di più azzeccato! Pensa che uno dei concetti più difficili dell'improvvisazione jazzistica, ma anche della composizione (improvvisare fondamentalmente vuol dire comporre in tempo reale), è proprio la gestione del silenzio. Bisogna imparare a non averne paura. Questo è un aspetto che richiede tempo per essere colto appieno. Ricordo quanto avessi la tendenza a riempire gli spazi vuoti nelle mie improvvisazioni, soprattutto nella prima parte della mia formazione. Con gli anni si impara che il silenzio non è vuoto ma comunica tantissimo. Credo però che per capire questa cosa bisogna pian piano che la vita ti lavori un po'... ecco perché dico che ci vuole tempo. Spesso mi capita di ascoltare dei brani scritti da qualche ottimo allievo, oppure qualche assolo strumentale e la cosa mi fa sempre molto piacere. Quando mi viene chiesto cosa ne penso, a volte mi trovo a rispondere proprio così: «Devi cominciare a togliere qualcosa, ad alleggerire». C'è anche un altro aspetto importante legato al ruolo del silenzio rispetto alla musica: a volte è necessario che la musica gli ceda il passo. Anche chi è abituato ad ascoltare musica buona e persino i grandi musicisti ne hanno bisogno. Ricordo che, qualche tempo fa, nella scuola nella quale insegno, venne a fare una master class un docente belga. Durante la sua lezione ad un certo punto disse: «Come fate a non restare a bocca aperta ogni volta che uscite da questa scuola, visto che siamo al centro di Roma, tra il Colosseo e i Fori Imperiali? Io credo avrei qualche problema...!». È questo il punto: quando si è costantemente circondati dalla bellezza si rischia di diventare indifferenti ad essa. Tutto diventa terribilmente “normale”. Non ci si meraviglia più. Ci vogliono dei momenti di estraneità al bello, per poterlo apprezzare davvero. Il problema è che oggi non è semplice: si è perso il ritmo delle cose. Siamo abituati ad avere la frutta e verdura fuori stagione, figurati tutto il resto! C'è bisogno di silenzio. Anche rispetto alla musica. Quante volte avverto la necessità, per brevi periodi, di non ascoltare musica, di dedicare la mia attenzione ad altro. Quando poi torno a suonare o ad ascoltare, tutto prende una nuova luce, tutto torna a sorprendermi.

    D. Quale ruolo ha la musica nel rapporto con Dio?
    R. La musica rappresenta una delle espressioni più belle dell'animo umano e, dopotutto, ogni essere umano è un pensiero di Dio. Secondo me la musica può arrivare là dove solo l'intuizione osa spingersi, perché la musica, in fondo, è immateriale. Non puoi vederla, non puoi toccarla, eppure c'è e ti parla. Il Signore parla in tanti modi, per chi sa ascoltare. Credo che una delle sue voci sia proprio la musica. È bello pensare che i Salmi fossero strettamente legati alla musica e questo dovrebbe far pensare quanto questa sia importante per la preghiera, per mettere le ali alle parole. Secondo me però, non è solo la musica sacra a parlare di Dio e il modo in cui ciò avviene è un mistero... “il vento soffia dove vuole ma non sai di dove viene e dove va”. Quando un compositore scrive un brano musicale, mette in atto la sua innata creatività, cioè la capacità – che è un dono – di creare qualcosa che prima non c'era, sperimentando ogni volta la propria naturale tendenza a generare vita. Credo che ci sia molta affinità con la paternità e maternità in questo processo. Un compositore “onesto” però, ha una chiara intuizione riguardo al fatto che – in fondo – egli è solo il tramite di qualcosa di infinitamente più grande di lui. Spesso, neanche il compositore è consapevole appieno della bellezza che è capace di generare. Dicevo, citando Giovanni 3, “il vento soffia dove vuole ma non sai di dove viene e dove va”: non deve sorprendere che il Signore possa parlare attraverso ogni tipo di musica. La bellezza non si può controllare.

    D. Parafrasando il detto “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei” con “dimmi che musica ascolti e ti dirò chi sei” si può dire che la musica che ascoltiamo parla di noi?
    R. Certamente! Questa cosa l'hanno capita bene molti artisti... quando si rivolgono ad un pubblico specifico, oppure i pubblicitari quando devono scegliere la colonna sonora di uno spot. Ci sono una serie di “indizi” che danno molte informazioni riguardo una persona: il vestiario, il tono della voce, la gestualità, la prossemica, ecc... insomma tutto ciò che ha a che fare con la parte non verbale del linguaggio. La musica è sicuramente uno di questi indizi. In fondo, credo che tutto ciò abbia a che fare con il fatto che ci identifichiamo maggiormente con un certo tipo di musica rispetto ad un altro. È interessante notare che, data la mutevolezza del gusto, anche la musica che ci piace ascoltare oggi non necessariamente è più la stessa di qualche anno fa. Proprio come un abito, la musica che ascoltiamo parla di noi e, proprio come con gli abiti, nel tempo si modificano gli stili.

    D. Cosa consiglierebbe un musicista a degli educatori che lavorano con i giovani in merito al rapporto che quest’ultimi hanno con la musica? Quali attenzioni dovrebbero avere?
    R. Dicevamo poc'anzi che la musica che ascoltiamo parla di noi... dirò qualcosa di scontato ma credo che, per conoscere e lavorare con i giovani, può essere molto utile sapere cosa ascoltano. Forse potrei dire molte cose a riguardo, ma vorrei tornare a quanto già detto riguardo l'educazione del gusto: non serve dire ad un giovane che la musica che ascolta è robaccia...bisogna offrirgli un'alternativa, non imporgliela. Non è facile e serve tanta competenza: non puoi portare un giovane ad un concerto di jazz, di musica classica o anche di buon rock e sperare che capisca, devi essere capace di condurlo, di aiutarlo a vedere la bellezza nella musica. Questo processo di crescita abbraccia tanti aspetti della vita di un giovane, tuttavia la musica resta sempre un indizio di cambiamento, di maturazione. Un altro consiglio, forse anch'esso un po' scontato, è la necessità di valorizzare la musica in tutti quei luoghi connessi con l'educazione giovanile. Dare ai ragazzi gli strumenti e gli spazi per poter studiare musica e suonare assieme. Bisogna investire in queste attività! A me la musica ha letteralmente salvato la vita, e questo è accaduto perché mi ha permesso di vivere esperienze significative condivise. Prendi un gruppo di ragazzi, fagli organizzare un concerto, dagli i mezzi per farlo e vedrai! Bisogna dare l'opportunità ai ragazzi di usare bene la loro energia, prima che qualcuno subdolamente gliela rubi per motivi assai poco nobili!

    D. Tre album da ascoltare adesso?
    R. Quando c'è da scegliere è sempre difficile...anche perché di musica buona, grazie a Dio, ce n'è tanta! Sono sicuro che se mi rifai questa domanda tra qualche ora potrei già aver cambiato idea, tuttavia ti rispondo di getto:
    The Dark Side of The Moon (Pink Floyd): se la perfezione fosse di questo mondo, potrebbe avere quel titolo! Si tratta di un disco in cui non c'è nulla “fuori posto”. tra l'altro, per chi ha dimestichezza con l'inglese, i testi sono favolosi;
    Season Of Changes (Brian Blade Fellowship): un disco di jazz devo pur consigliarlo! La qualità e la profondità dei brani contenuti in questo disco continua a sorprendermi sempre, oltre a darmi molta pace ogni volta che lo ascolto;
    Five Leaves Left (Nick Drake): testi e musica stupendi. La profondità sconvolgente di un artista scomparso troppo presto. È incredibile pensare oggi che questo disco sia uscito quando aveva appena ventuno anni.

    Molti spunti di riflessione sono presenti in questa intervista e un suo primo utilizzo potrebbe essere proprio quello di offrire questa intervista in lettura a dei giovani per vedere come reagiscono, oppure, prendere una domanda alla volta e rivolgerla sempre a dei giovani raccogliendo cosa pensano. L’obiettivo non è vedere quanto siano vicini o distanti dalle posizioni di Giovanni Candia, ma cosa sentono, vivono e pensano.
    Sono convinto che una delle parole chiave dette da Giovanni, per quanto riguarda il processo educativo, è competenza. Dobbiamo recuperare la capacità negli incontri con i giovani a fare bene le cose, e farle bene con loro. Per esempio capita a volte che un incontro di preghiera o una messa è proprio la musica, sia nella sua espressione canora che strumentale, che lascia desiderare. Se sono convinto che il principio liturgico della partecipazione è fondamentale, per cui non cerco il coro perfetto o il super gruppo musicale, sono anche convinto che la preparazione dei canti e della musica non può essere lasciata all’improvvisazione. Non possiamo non riconoscere che l’alta esposizione a prodotti che dal punto di vista tecnico sono perfetti, non entro in merito al contenuto, ci ha abituati a una certa qualità del suono e dell’ascolto. Questo principio di attenzione a fare bene le cose, dovrebbe valere per tutti i campi dell’educativo.
    Giovanni, parlando di educazione alla buona musica, dice di evitare di rimproverare ai giovani per ciò che ascoltano, ma di offrire un’alternativa. L’alternativa non deve essere solo per la buona musica ma soprattutto per la buona vita. Questo è possibile se siamo capaci di fare della nostra vita una testimonianza alternativa. Se siamo educatori capaci di ascoltare, educheremo all’ascolto, se siamo capaci di silenzio, educheremo al silenzio, se siamo capaci di andare in profondità, sapremo educare alla profondità della vita. C’è un principio semplice della comunicazione che dice: non possiamo comunicare ciò che non abbiamo. Se sono una persona superficiale comunicherò inevitabilmente la mia superficialità. Se sono una persona ricca di cultura e profonda di animo queste passeranno anche se non sono un provetto comunicatore. Credo che il problema della musica e dei giovani abbia bisogno anche di una riflessione sul tema gli educatori e la musica. Non solo i giovani devono essere educati alla buona musica ma anche gli educatori spesso non sono altro che giovani un po’ più grandi che non hanno fatto nessun cammino di formazione e riflessione né sulla musica né sulle varie arti.
    La musica come tutti i linguaggi può essere vissuta a parlata solo per sopravvivere o per scoprire il senso profondo della vita. Per riuscire ad andare in profondità è necessario immergersi nel suo linguaggio, praticarla e studiarla.

    Testi consigliati per approfondimento personale

    Franco Mussida, Il pianeta della musica. Come la musica dialoga con le nostre emozioni, Milano, Salani Editore, 2019.
    Il testo che non richiede conoscenze particolari e sa coinvolgere chiunque grazie alla passione del suo autore Franco Mussida, cantante e compositore, conosciuto anche per esser stato il chitarrista virtuoso del gruppo musicale Premiata Forneria Marconi. Alla fine degli anni ’70 il suo impegno e la sua ricerca lo hanno portato verso ambiti di studio pedagogici e filosofici centrati sul rapporto tra musica e emozioni. Ha fondato il Centro Professionale Musicale e scritto vari libri. Come egli stesso afferma: «La musica e le sue conseguenze, sensazioni, emozioni, sentimenti, stati d’animo e clima emotivo, costituiscono uno stupefacente dialogo con la persona. In fondo per l’ascoltatore sono l’unica cosa che conta. Osservare questo magico dialogo è il tema di questo libro.» (p.13) Articolato in sette capitoli i primi sei sono un’interessante riflessione sulla musica, sugli affetti e sull’incontro di questi due mondi. Il settimo capitolo, che si intitola Metodo per l’ascolto emotivo consapevole, è un interessante percorso quasi step by step da percorre prima personalmente e poi offrirlo ai giovani esercitandoli ad ascoltare con maggiore consapevolezza la musica. L’ultima parte del settimo capitolo riflette anche su vari generi contemporanei cari al mondo dei giovani in particolare l’hip-hop e la musica generata tramite computer.

    Fabio Pasqualetti, Il concerto e la danza, Cinisello Balsamo (MI), Edizioni San Paolo, 2014.
    Un testo che può servire da complemento al discorso affrontato nel dossier di NPG in quanto cerca di comprendere due fenomeni: il concerto e la danza, altrettanto significativi per il mondo giovanile. È stato scritto principalmente per educatori che operano in vari ambiti. All’inizio l’autore cerca di far prendere coscienza del fascino del suono nella vita dell’uomo, la sua relazione con le emozioni, i colori e gli immaginari. Subito dopo, riflette sul rito del concerto come esperienza tra il sacro e il profano. Il concerto risponde anche al bisogno di sentirsi comunità, anche se per una sola notte, in una società socialmente frammentata. Si addentra poi nell’affascinante mondo della danza mettendo in evidenza l’importanza della dimensione espressiva del corpo per i giovani. Ripercorre la storia della musica per ballare, dalla discomusic alla techno e le sue svariate forme. Infine riflette sulla condizione dei giovani d’oggi cercando di riprendere in chiave educativa il perché forme espressive come il concerto e la danza sono spazi preziosi per i giovani che sono alla ricerca di una socialità negata. Testo per la formazione personale dell’educatore. Nel primo capitolo ci sono alcuni esercizi da fare con il suono e la musica che possono essere recuperati all’interno di incontri con ragazzi, giovani e adulti, per imparare a comprendere come la musica generi immagini sonore legate alla propria esperienza personale e alla propria cultura.

     
    NOTE

    [1] SINODO DEI VESCOVI, Instrumentum Laboris, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, Torino, ELLEDICI, 2018, n. 36.
    [2] MUSIC INSIGHT REPORT 2017: Il consumo di musica in Italia e nel Mondo, in https://www.notelegali.it/music-insight-report-2017-il-consumo-di-musica-in-italia-e-nel-mondo/, (06.06.2019).
    [3] ISTAT, Cultura e tempo libero 2017, in https://www.istat.it/it/files/2018/12/C10.pdf, (06.06.2019).


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