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    23 Maggio



    Virginia Di Cicco

    (NPG 1999-05-II)


    Il 23 maggio di sette anni fa, un sabato, viaggiavo in automobile, su una strada statale ridotta da ore ad un grande ingorgo.
    Tornavo da una gita, guidava la mia amica del cuore e si chiacchierava e si rideva neanche troppo disturbate da quell’improvviso intralcio.
    Ogni tanto qualche sguardo di solidarietà e rassegnazione scambiato con l’uomo al volante della macchina accanto. Radio accese. Finestrini abbassati. Attesa.
    All’improvviso qualcosa attira la mia attenzione, un movimento brusco del mio vicino, quello degli sguardi di solidarietà.
    Ho paura. L’uomo ha portato le mani tra i capelli e si è appoggiato al volante con i gomiti. Piange. Ha il finestrino tirato giù. Abbasso anche il mio. Allungo una mano. Lo sfioro: «Si sente male? Posso aiutarla?».
    La sua mano stringe la mia. Piange. Io penso a mio padre. È la verità e va detta: sono una donna che probabilmente vedrà il nuovo millennio ma non regge alla vista di un uomo che piange.
    «La prego, mi dica qualcosa», insisto mentre ho la sensazione che l’agitazione contagi il groviglio di macchine intorno a me e tutto pur restando immobile cominci a vibrare.
    Asciuga le lacrime col dorso della mano e mi dice: «L’hanno ammazzato».
    Chi? mi domando immediatamente. Il mio cervello lavora e lavora senza riuscire a coniare un pensiero sensato, una risposta.
    Qualcuno scende dalla propria automobile e parla e gesticola. Qualcuno si abbraccia o abbraccia i propri figli, quasi a difenderli.
    Ed io ancora non capisco. Continuo a guardare il mio vicino, gli stringo la mano, ma ancora non so di cosa lo sto consolando.
    Decido di scendere dalla macchina e mi accorgo solo allora che la mia amica è già fuori e sorride scuotendo la testa. Sorride ma piange. «Hanno fatto saltare il Gatto», mi dice.
    Ed è subito tutto chiaro. Così chiamiamo con affetto il giudice Giovanni Falcone, in uno scherzo che ci lega ai nostri amici siciliani.
    Chiamo subito Claudio sul cellulare. È a Palermo. Occupato. Occupato. Occupato. «Pronto?».
    «Claudio, sono Virginia. Che cosa dice la radio? Sono su una strada statale di Roma. La gente è impazzita. Piangono tutti».
    Per uno strano gioco mi ripete la stessa frase di Patrizia: «Hanno fatto saltare il Gatto».
    Da allora, il 23 maggio di ogni anno io sono a Palermo. Appuntamento alle 17 davanti al Palazzo di Giustizia. Poi tutti all’albero Falcone, la magnolia proprio sotto l’abitazione del magistrato. L’unico albero del mondo con la scorta fissa, giorno e notte. Ed ogni anno mi domando perché solo a Palermo. Perché la gente onesta delle altre città d’Italia, pure quella che io stessa ho visto piangere e abbracciarsi, resta chiusa nelle proprie case e non scende ad incontrarsi.
    «Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa».


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