Luis A. Gallo
(NPG 1998-08-92)
Una atmosfera interiore
Anteriormente, parlando dello Spirito di figliolanza di Gesù, abbiamo accennato di passaggio alla sua preghiera. Ora ci soffermiamo più espressamente sul tema.
Come ogni pio ebreo dei suoi tempi, Gesù ha certamente pregato in privato e in pubblico. Infatti, gli ebrei pregavano comunitariamente, in particolare quando si radunavano il sabato nella sinagoga per ascoltare la lettura della Scrittura e il suo commento, o quando partecipavano alle solenni celebrazioni nel tempio, o ancora quando compivano dei riti familiari come nel caso della cena pasquale. Dai testi evangelici (Lc 4,16; Mt 26,17-18; ecc.) si desume che Gesù vi partecipò anche durante il tempo della sua attuazione pubblica, e che quindi visse con il resto della gente questi intensi momenti di preghiera. Possiamo immaginare con quanto slancio di spirito l’abbia fatto, data la sua profonda convinzione della vicinanza di Dio.
Ma gli ebrei erano abituati a pregare anche personalmente diverse volte al giorno, sin dal primo mattino fino al momento di coricarsi, seminando la giornata di benedizioni e di ringraziamenti a Dio per averli creati, per aver fatto tutte le cose per il loro bene, per aver scelto il loro popolo come sua proprietà peculiare, per essere venuto in suo soccorso nei suoi momenti difficili, a cominciare da quello iniziale della liberazione dalla schiavitù in Egitto... Non mancavano nelle loro preghiere le suppliche per ottenere aiuto nelle più svariate circostanze della vita, e anche le richieste di perdono per le infedeltà all’alleanza espresse nella violazione della Legge da Lui data. Basta leggere certi salmi per averne degli esempi meravigliosi. Come quello attribuito al re David (Sal 50) nel momento in cui prese coscienza, tramite la parola del profeta Natan, del suo grave peccato d’ingiustizia (2 Sam 12,1-13). È tutto un intreccio di pentimento, di suppliche, di benedizione al Dio che scandaglia i cuori e che è sempre disposto a perdonare chi si pente. Possiamo pensare con ragione che Gesù abbia imparato questi diversi modi di pregare in grembo alla sua famiglia, e particolarmente dall’esempio di Giuseppe, che il vangelo qualifica di «giusto» (Mt 1,19) e quindi di uomo veramente credente. Doveva essere davvero un uomo pieno di spirito di preghiera.
Più di una volta gli evangelisti, e particolarmente Luca, danno delle informazioni sulla preghiera personale di Gesù (Mc 1,35; Lc 3,21; 6,12; 9,29; 11,1). Di solito senza dire quale era il suo contenuto, tranne in due casi: quello della gioiosa benedizione uscita dal profondo del suo cuore nel costatare l’accoglienza del suo annuncio da parte dei piccoli e dei semplici (Mt 11,25-26; Lc 10,21), e quello della travagliata notte nell’Orto del Getsemani (Mt 26,39-44; Mc 14,35-39; Lc 22,41-42).
È molto significativa la prima preghiera, perché mette molto bene in risalto il rapporto della preghiera di Gesù con lo Spirito Santo. Luca, a differenza di Matteo, la introduce infatti con queste parole: «In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito» (Lc 10,21). Lo Spirito è quindi come un’atmosfera interiore nella quale si generano quella gioia e quella esultanza che egli esprime nel grido di benedizione rivolto a Colui che l’ha inviato ad annunziare la Buona Novella ai piccoli.
Nel racconto della dolorosa preghiera fatta al Getsemani lo Spirito non viene menzionato, ma lo si coglie tra le righe. È presente come atteggiamento filiale verso Colui che, come dice la Lettera agli Ebrei, «poteva liberarlo dalla morte» (Eb 5,7). Lo Spirito di figliolanza che lo riempie lo muove in quel frangente a «offrire preghiere e suppliche con forti grida e lacrime» a suo «Abbà». Si tratta di un’effusione filiale che, in mezzo all’angoscia più profonda, lo porta a cercare in Lui rifugio e forza. Le tenebre avvolgono il suo cuore, ma egli lotta fino a sudare sangue (Lc 22,44) per trovare la luce, nella convinzione che il suo Padre non lo abbandona. «Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò timore?», recitava il salmista nell’Antico Testamento (Sal 27,1), e non è improbabile che Gesù l’abbia ricordato in quei momenti terribili.
Non si trovano nei vangeli dei dati che portino ad affermare che Gesù abbia rivolto delle preghiere allo Spirito. Egli prega sempre il Padre. Lo Spirito è invece come l’atmosfera nella quale la sua preghiera si genera e si svolge, come la sorgente viva dalla quale sgorga e zampilla.
Alla scuola di preghiera di Gesù
Nel vangelo di Luca si legge che «un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: ‘Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli’. Ed egli disse loro: ‘Quando pregate dite: Padre [...] (Lc 11,1-2). Doveva essere molto colpito dal modo in cui egli pregava e anche della novità di tale modo perché gli facesse quella richiesta. La sua era una maniera di rivolgersi a Dio del tutto particolare, precisamente perché aveva un modo molto particolare di intendere Dio stesso. Con un Dio al quale ci si rivolge chiamandolo «Abbà», non si può avere se non un determinato tipo di trattamento.
E così, i primi discepoli impararono da Gesù a pregare. Tra l’altro, ci tramandarono la bellissima preghiera del «Padre nostro», che i cristiani di tutti i secoli hanno continuato a recitare. È interessante il fatto che, uno dei modi d’invitare i membri della comunità liturgica a recitarla durante la celebrazione dell’Eucaristia da parte del presidente sia il seguente: «Il Signore ci ha donato il suo Spirito; con la fiducia e la libertà dei figli diciamo [...]».
L’appellarsi allo Spirito del Signore, ossia di Gesù vivo e risorto, è un riconoscere che solo mossi da esso la preghiera può essere autentica. Il suo è uno Spirito di fiducia e di libertà, precisamente perché è uno Spirito di figliolanza, quello con cui egli visse tutta la sua vita.
Oltre ad insegnare a pregare con questo Spirito, Gesù insegnò anche a chiederlo al Padre. Non può passare inavvertita, in questo contesto, la peculiarietà con cui Luca tramanda le sue parole riguardanti la preghiera di supplica. Dopo aver ricordato la sua esortazione a farla con fiducia e insistenza, egli riporta queste sue parole: «Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!» (Lc 11,11-13). Le «cose buone» che il Padre celeste dà a chi gliele chiede con fiducia secondo il vangelo di Matteo (Mt 7,11), in Luca sono state sostituite dallo «Spirito Santo». È questo Spirito che occorre chiedere a Dio, perché lo Spirito è la fonte di ogni altro bene.
I cristiani delle prime comunità recepirono questi insegnamenti di Gesù, e li misero in pratica, come si vede nel libro degli Atti degli Apostoli. Essi pregavano assiduamente (At 1,14; 2,42; 3,1; 4,24-30; 6,4; 11,4; 12,5; ecc.). È interessante rilevare che, secondo quella narrazione, in qualche occasione dopo la preghiera fervente della comunità si ebbe un rinnovamento della Pentecoste con la venuta vistosa dello Spirito su di essa. Così, per esempio, in At 4,31 dove si legge: «Quand’ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono pieni di Spirito Santo e annunziavano la parola di Dio con franchezza».
I gemiti dello Spirito
Gli inviti fatti da Paolo ai membri delle diverse comunità a pregare sono numerosi. Si trovano quasi ad ogni passo nelle sue lettere (Rom 12,12, 15,30; 1 Cor 7,5; Ef 6,18; Col 4,2; 1 Ts 5,17, ecc.). In qualche lettera l’invito è espressamente quello di pregare «nello Spirito» (Fil 4,6).
Uno dei testi più ricchi in questo senso è quello della Lettera ai Romani nel quale l’Apostolo, dopo aver parlato delle «doglie del parto» a cui è soggetta l’intera creazione, che è in attesa della liberazione dalla vanità alla quale è stata sottomessa, sostiene che anche noi gemiamo interiormente aspettando la piena adozione a figli di Dio, e perciò anche la conseguente liberazione del nostro corpo da tutto ciò che lo opprime. Poi aggiunge che «lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26). Così, lo Spirito filiale che è in noi, e che ci fa gridare come Gesù: «Abbà» (Rm 8,15), si converte nel nostro intimo in sorgente di preghiera. La sua stessa presenza nei cuori dei credenti è come una supplica e un gemito, perché è soltanto una caparra che aspira ad essere presenza in pienezza, come quella che si dà in Gesù Cristo risuscitato, il quale è diventato «Spirito datore di vita» (1 Cor 15,45). Paolo aggiunge che «colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Rm 8,27). Il Padre, che vede nel segreto dei cuori (Mt 6,4.6.18), percepisce i gemiti che salgono da essi come aspirazione alla condizione filiale definitiva. E si capisce che non è un vedere e un udire indifferente, ma pieno di efficace sollecitudine, come quella che Egli manifestò quando, come racconta il libro dell’Esodo, apparve a Mosè nel roveto ardente e gli disse che aveva «osservato la miseria del suo popolo in Egitto» e aveva «udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti», ed era «sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da quel paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele» (Es 3,7-8).
Questa prospettiva individuale della preghiera «nello Spirito» si apre ad una sua prospettiva universale nell’ultimo libro del Nuovo Testamento, l’Apocalisse, che chiude la visione della travagliata storia di Dio con gli uomini precisamente con queste parole: «Lo Spirito e la sposa dicono: Vieni!» (Ap 22,17). L’intera comunità dei discepoli di Gesù - la sposa - prega in sintonia con lo Spirito perché arrivi finalmente il giorno della sua venuta, e cioè il giorno del pieno adempimento di quanto egli stesso proclamò durante la sua vita: il regno di Dio apportatore della grande e definitiva realtà del cielo nuovo e della terra nuova da lui promessa (Ap 21,1).