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    L'esperienza religiosa dei giovani: dimensione teologica



    Raimondo Frattallone

    (NPG 1996-88-52)


    PREMESSA

    Le indagini sociologiche sulla religiosità dei giovani [1] indicano come prevalenti le seguenti linee di tendenza:
    - il permanere di un consistente sentimento religioso, che si esprime in forme notevolmente più diversificate che in passato;
    - una ricerca di novità, talvolta molto estrosa, che traduca in maniera più autentica i loro atteggiamenti e comportamenti religiosi;
    - la frammentazione dei punti di riferimento veritativi, assunti sovente dai giovani in maniera acritica o dalla tradizione, o dalle mode correnti, o da movimenti religiosi ed ecclesiali ben strutturati, ma con una connotazione abbastanza diffusa: l'accettazione passiva o l'accettazione convinta di un pluralismo religioso assunto come valore assoluto, e che in pratica può condurre verso il relativismo religioso ed etico. I diversi fenomeni confluiscono su una ambivalente soggettivizzazione dell'esperienza religiosa.[2]
    Diamo per scontato che, all'interno della odierna cultura pluralistica che indulge ad un certo relativismo e indifferentismo [3] - spesso confusi con il rispetto delle persone e delle loro idee -,[4] ogni gruppo giovanile, e ciascun giovane nella sua situazione esistenziale, devono trovare, e spesso reinventare, la loro strada per giungere alla pienezza di una esperienza autenticamente religiosa e cristiana. Tuttavia il problema che prima o poi sorgerà, dall'intimo del singolo credente o dal dialogo tra i membri di un gruppo, sarà quello del confronto della propria fede con quella degli altri, per stabilire, appunto, un itinerario comune di crescita verso un ideale religioso e morale ampiamente e profondamente condiviso e che in un certo senso trascende i limiti delle posizioni individuali.
    Le riflessioni che proponiamo si muoveranno entro i seguenti limiti:
    - prenderemo in considerazione soltanto la qualità dell'esperienza cristiana;
    - metteremo in rilievo soltanto alcuni punti di vista normativi e non già la vasta problematica implicata nel rapporto tra l'orizzonte sacrale e l'orizzonte etico dell'esistenza umana e cristiana;
    - evidenzieremo soltanto la dimensione strettamente teologico-morale, che è fondamento degli aspetti pastorali e pedagogici che essa motiva dal punto di vista di una fede tradotta in vita quotidiana.
    La teologia è chiamata a chiarificare dal suo angolo di vista il nodo problematico costituito, da una parte, dalla saldatura tra i dati esperienziali filtrati dai vari criteri ermeneutici e, dall'altra parte, dalla possibilità di un loro inserimento nella storia della salvezza in Cristo. Infatti sia i dati sociologici che le loro interpretazioni potrebbero essere finalizzati semplicemente ad un pur raffinato confronto quantitativo con altre inchieste oppure ad un gioco intellettuale che confronta ipotesi di soluzione sganciate dalla realtà. Ma non sono queste le domande che salgono dal mondo giovanile.
    Perciò anche la riflessione teologica dovrà muoversi all'interno di un'ottica triadica costituita dai seguenti elementi essenziali provenienti da una antropologia aperta alla luce della rivelazione: a) innanzitutto deve rivolgersi alla personalità del giovane in quanto egli, nel piano universale di salvezza, è chiamato, attraverso le sue scelte morali, a diventare homo religiosus in Christo, b) in secondo luogo deve organizzare, possibilmente gerarchicamente [5] gli elementi essenziali che costituiscono la vera fede in Dio e la traducono in esistenza vissuta in Cristo; c) infine dovrà delineare la struttura morale di una personalità che procede verso la sua maturazione; ciò comporta un approfondimento del rapporto dinamico che si instaura tra la persona e il Dio rivelato in Cristo, rapporto sostenuto e vitalmente inserito in una comunità ecclesiale che rivela e fa comunione con il Cristo, Via, Verità e Vita.
    Procederemo in due momenti. Dopo una rilettura teologica globale della situazione dei giovani alla luce della Parola di Dio, esporremo gli elementi essenziali della teologia morale utili per una progettazione educativa e pastorale in consonanza con le molteplici istanze dei giovani d'oggi.

    LA RELIGIOSITÀ GIOVANILE E LA PAROLA DI DIO IMPEGNO DI VITA

    Ispirandoci alla teologia narrativa,[6] che avvicina alla nostra sensibilità culturale i modelli religiosi della Bibbia, assumiamo la categoria biblica dell'Esodo come liberazione verso la Terra Promessa per rileggere la complessa e diversificata situazione giovanile odierna.
    Il cammino dell'Esodo, realizzato dal popolo eletto come uno dei modelli fondamentali della rivelazione,[7] offre innanzitutto una serie di comportamenti e di scelte concrete che possono servire da paradigma ermeneutico per molti comportamenti dei giovani; in secondo luogo esso rivela atteggiamenti profondi, positivi e negativi, nei confronti di Dio e della vita morale paragonabili a quelli del nostro tempo; infine esso traccia un itinerario ideale completo che porta l'uomo alla liberazione e al raggiungimento della Terra Promessa, la meta sognata dai singoli e da un intero popolo.
    Per una progettazione pastorale i dati sociologici possono certamente essere riletti con la valida chiave ermeneutica dell'Esodo pasquale portato a compimento dal Cristo. Infatti tale esodo definisce adeguatamente l'itinerario che ogni uomo deve intraprendere se vuol passare «dalle tenebre alla mirabile luce di Dio in Cristo» (1 Pt 2,9); un itinerario che, mentre abbraccia la globalità della situazione giovanile in vista di una piena maturazione delle singole persone, ci consente di impostare concretamente e in chiave di amore salvifico sia la rilettura dei dati che l'elaborazione della soluzione ai problemi che ostacolano l'arduo cammino che conduce un giovane dalla situazione di schiavitù alla piena Luce della Pasqua in Cristo.
    Il cammino pasquale di liberazione, fondato sul rapporto personale e comunitario con Dio in Cristo, si incarnerà nel dialogo quotidiano, cuore a cuore, di ogni giovane con le singole Persone della Trinità.
    Da questo dialogo misterico scocca la scintilla dell'ethos in cui la Parola diventa Comandamento: come un giorno ai piedi del Sinai, così oggi nella rivelazione che Cristo opera nella intimità del cuore di ogni credente.
    Descriviamo sommariamente il cammino dell'Esodo pasquale in Cristo incarnato nella situazione giovanile odierna.

    La schiavitù d'Egitto

    Il fatto bruto della schiavitù, fino a che non diventi coscienza di oppressione della libertà fondamentale della persona, può produrre soltanto dei piccoli moti di rifiuto.
    Solo quando la persona percepisce nella sua profondità l'ingiustizia della schiavitù subita, sorgerà l'atteggiamento etico di indignazione e di rifiuto, in cui è implicito l'anelito verso la giustizia e l'esigenza del riconoscimento pieno della dignità personale.
    Il popolo ebreo vedeva con occhi miopi il sopruso del faraone che chiedeva che si producessero l'identica quantità di mattoni ma senza ricevere la paglia per fabbricarli: cercava la soluzione al problema della paglia e non a quello fondamentale di come liberarsi dalla schiavitù del faraone! (cf Es 5,6-14).
    I giovani imprigionati da molteplici problemi troveranno la strada della liberazione quando porranno al primo posto l'obiettivo di una terra promessa e cercheranno di superare gli orizzonti angusti con i quali ci si illude di risolvere i loro veri problemi trovando altra paglia con la quale continuare a fabbricare mattoni per il faraone. La schiavitù che maggiormente grava su di loro è quella di una cultura asfittica che impedisce di incontrare e dialogare con il Dio vivente.
    La nostra società, che Giovanni Paolo II vede come un teatro di guerra dove si scontrano la cultura della vita e la cultura della morte,[8] tenta di distruggere anche nella mente dei giovani le mappe geografiche che segnano la strada verso la Terra Promessa, e sembra totalmente intenta a soggiogarli offrendo loro la falsa patria del piacere facile e a portata di mano, della idolatria di sé, del mito del diritto ad «avere tutto e subito» e delle svariate forme di alienazione, che affossano l'esistenza nella vuota evasione, nel mito del tempo libero, nella droga, ecc.
    Alle cause esterne della schiavitù si aggiungono quelle provenienti dall'interno della persona; queste sono bene analizzate dagli studiosi di psicologia [9] e nella cultura odierna presentano elementi diversi rispetto al passato, come: l'accentuazione della mentalità critica e della sfiducia nei confronti della società e della famiglia; la poca sensibilità verso i grandi valori della tradizione (religione, famiglia, patria); una diffusa paura di affrontare il futuro su cui gravano le nubi della disoccupazione e della impreparazione culturale; il ripiegamento su piccoli risultati che alimentano la delusione e spingono alla solitudine, ecc.[10]
    Aggredita da tanti condizionamenti la vera libertà dei giovani sembra così ridotta che quasi diventa inesistente; e la dipendenza stabile e strutturale dagli stessi condizionamenti non fa che ridurla ulteriormente. Ma la libertà vera, così compressa, prima o poi si trasformerà in una molla che esploderà in reazioni più o meno violente di rifiuto e di contestazione dagli esiti imprevedibili.

    L'evento salvifico della liberazione

    Un giovane attento a quanto accade attorno a lui non farà fatica a constatare che le dieci piaghe d'Egitto si sono abbattute sulla nostra umanità fino alla morte tragica dei primogeniti! Ma la strada della salvezza è già segnata per coloro che accolgono la parola di speranza del liberatore, si radunano insieme per invocare il Dio salvatore e per fare l'esperienza divina della cena con l'agnello pasquale pronti a prendere la via della libertà.
    La parola-promessa di Dio divenne una scintilla che accese le energie di libertà per i singoli ebrei e per l'intero popolo eletto. La stessa parola-promessa divina entrando nel cuore di ogni giovane rinsalderà il suo anelito alla libertà proponendo gli orizzonti di una salvezza vera anche se remota e da conquistare con stenti e fatiche. Come per gli ebrei liberati dalla schiavitù del faraone, così anche per ogni persona che accoglie la Parola di salvezza, il Dio che libera è un Dio che si pone accanto ad ogni credente e alla testa del popolo dei pellegrini che lasciano le povere sicurezze della terra di schiavitù per intraprendere un lungo cammino affidati soltanto ad una promessa.
    Nel passaggio del Mar Rosso, dove la sconfitta degli Egiziani è accompagnata da una serie di mirabilia Dei, la presenza attiva di Dio permea il desiderio di libertà di ognuno elevandolo al massimo livello di decisione e dischiude un dialogo salvifico fatto di eventi e di parole che nutrirà l'esperienza religiosa e morale del popolo eletto.

    Ai piedi del Sinai

    Il vertice dell'esperienza religiosa di Dio, che lo ha liberato dall'Egitto, Israele la trova ai piedi del Sinai. Come allora ai piedi della santa montagna, ancor oggi le persone possono trovarsi più o meno direttamente coinvolti dall'incontro con Dio: fra Mosè che giunge a vedere e a parlare con Dio, e coloro che cantano e danzano attorno al vitello d'oro, si colloca la maggioranza del popolo con una fede più o meno solida o vanificata.
    Mosè, forte della sua esperienza diretta di Dio, distrugge l'idolo e orienta di nuovo gli sguardi e il cuore degli ebrei liberati verso la montagna, dove il Dio della salvezza farà di una massa di ex-schiavi il suo popolo prediletto.
    Un dettaglio della narrazione dell'Esodo ci interessa più direttamente. Allorché giunge il momento di suggellare con il sacrificio degli animali l'alleanza tra Dio e Israele,[11] Mosè sceglie i giovani come ministri dell'altare: saranno loro i portatori dell'esperienza sinaitica alle generazioni future:
    «Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di buon mattino e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d'Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore» (Es 24,4-5).
    Il cuore dell'Alleanza [12] è costituito dalle tavole dei comandamenti.
    I giovani che hanno toccato con le loro mani il sangue delle vittime sacrificali, segno della presenza divina che è diventata per essi purificazione e salvezza, si uniscono alla voce del popolo che accetta le clausole dell'Alleanza con JHWH, espresse nei Dieci Comandamenti; certamente avranno esclamato con l'entusiasmo irrefrenabile di giovani liberati dalla schiavitù egiziana e diventati partners della Alleanza con il Dio vivo: «Tutto quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo seguiremo» (Es 24,7).
    I giovani sono immersi in situazioni contraddittorie, analoghe a quelle descritte dal libro dell'Esodo, che li spingono ora ad adorare i moderni vitelli d'oro fabbricati da mani d'uomo e tanto ingannevoli quanto a portata di mano, ora a fare una straordinaria esperienza personale e comunitaria di Dio che pronuncia le uniche Parole che donano la vita, ora a intraprendere il cammino verso il futuro sotto la guida della nube divina, luce splendida di notte e fresco riparo di giorno dal sole infuocato del deserto, ora a vivere nella speranza la venuta del Cristo, Nostra Pasqua, che comunica l'energia liberatrice del suo mistero pasquale associandoci alla sua vittoria sul peccato e sulla morte.

    I 40 lunghi anni di deserto prima di giungere alla Terra Promessa

    I quaranta anni trascorsi dagli ebrei nel deserto furono anni nei quali la fedeltà preveniente e misericordiosa del Dio della Alleanza si scontrò continuamente con l'infedeltà di un popolo dalla dura cervice (cf Es 32,9; 33,3). Le ribellioni, le mormorazioni, le bestemmie del popolo contro Dio unite alla nostalgia per le cipolle d'Egitto sono un attentato alla alleanza del Sinai; JHWH però rimane il Dio fedele che punisce per purificare il suo popolo e ricostruire con Israele un rapporto di amore più intimo:
    «Da un lato il deserto è il luogo della tentazione, della 'mormorazione', per usare il verbo tipico esodico dell'incredulità; è il luogo delle forze anti-salvezza che attentano alla liberazione (sete, fame, nemici, ribellione di Israele). Ma d'altra parte, come sottolineerà anche Osea, il deserto è il luogo dell'intimità e dell'amore di Dio che si preoccupa del suo popolo facendo sgorgare l'acqua dalla roccia, imbandendogli una mensa tra le pietraie con la manna e le quaglie, salvandolo dagli assalti degli amaleciti».[13]
    La lunga purificazione dei quaranta anni di deserto si trasforma in un rinnovamento totale del popolo realizzato dalla presenza diuturna di Dio, l'Emmanuele, che cammina insieme al suo popolo e mostra continuamente la sua presenza attraverso i segni della nube, della tenda-dimora divina (cf Es 25,8-9; 26,1-14), rivelando nell'intreccio di parole e fatti le meraviglie del suo piano di liberazione e di salvezza.
    Nel Nuovo Testamento il Corpo martoriato e risorto del Cristo, pienezza della rivelazione e del dono dell'amore salvifico di Dio, riunendo a sé tutti coloro che credono, porterà a compimento l'esodo iniziato dagli ebrei con l'uscita dalla schiavitù dell'Egitto.
    La situazione odierna dei giovani riproduce nella sua variegata gamma di espressioni i diversi atteggiamenti e comportamenti degli ebrei liberati dall'Egitto. Infatti, non mancano, purtroppo, quelli che sono morti sotto il giogo di catene che schiavizzano; in altri sopravvive un tenue filo di speranza su qualche Messia Liberatore; altri accolgono la voce di chi rivela che Dio spezzerà i loro ceppi di morte e li condurrà lontano nella Terra Promessa; altri sono già in cammino ma ancora invischiati nelle remore di un passato che ancora fa sentire il suo fascino; altri infine portano in cuore una forte esperienza di Dio, perché ai piedi della santa montagna ne hanno intravisto i segni della sua presenza, hanno partecipato al sacrificio della alleanza e camminano con la carovana guidata dall'Emmanuele, il Cristo Nostra Pasqua (1 Cor 5,7).
    La vita morale consisterà per tutti nel convogliare l'anelito profondo di salvezza verso una esperienza progressiva del Dio dell'Alleanza, e nel tradurre questa esperienza religiosa, perfezionata in Cristo, nel duplice comandamento dell'amore verso Dio e verso il prossimo incarnato nelle clausole delle Dieci Parole di vita, i Dieci Comandamenti.

    LA RELIGIOSITÀ GIOVANILE INTERPELLA LA TEOLOGIA MORALE

    Il rapporto che ogni persona instaura con Dio sta alla base della visione della vita in tutti i suoi aspetti, compresi quelli della moralità. Se tale rapporto è problematico, incrinato o alterato, l'uomo rischia di perdere la percezione di assolutezza dei valori etici che danno senso alla sua esistenza; e, al contrario, man mano che il credente si immerge nella esperienza personale di Dio, Amore infinito e assoluto, anche la sua vita morale si illumina di una luce arcana e i valori etici assumono la consistenza della assolutezza.
    Il clima culturale che esaspera la soggettivizzazione e il relativismo della morale,[14] e che trova i giovani particolarmente influenzabili, crea una distanza enorme tra l'orizzonte specifico della riflessione teologico-morale e quello dell'ethos quotidiano del mondo giovanile; anzi sembra quasi che i due mondi siano tra loro impenetrabili. D'altro canto è pur vero che la teologia morale, fedele al suo statuto epistemologico, deve non soltanto riflettere sui valori etici e sulle norme che ne derivano, ma deve giungere nella sua fase applicativa a proiettare la sua luce scientifica anche ai problemi etici riguardanti il mondo giovanile.
    L'anello di mediazione tra la scienza etica e il vissuto morale quotidiano dei giovani potrebbe essere costituito dall'orizzonte della loro esperienza vitale e drammatica, che fatica ad assumere e ad armonizzare la dimensione religiosa con quella morale dell'esistenza. La esperienza di vita dei giovani (ora sofferta, ora problematica, ora gioiosa) viene sempre ricompresa, da chi li ama, come una invocazione profonda e struggente (celata sovente sotto le apparenze della solitudine, del dolore, della nausea, dell'indifferenza) che anela ad un genuino dialogo di amore e di verità. Ma il clima diffuso di diffidenza nei confronti del mondo degli adulti fa sì che il giovane si apra al dialogo soltanto quando egli si trova di fronte ad una personalità che testimonia con la coerenza della vita i valori in cui crede, perché sempre, ma soprattutto per i giovani di oggi, contano innanzitutto i fatti e non le vuote parole.
    Tracciamo le linee principali della risposta che la teologia morale offre oggi ai giovani disponibili a dare un senso alla loro vita o ad approfondirlo nella dimensione cristiana.

    Con Cristo un cammino aperto: dalle tenebre allo splendore della Luce!

    Cristo fondamento della vita morale

    Ad un giovane che cerca il senso della propria esistenza soltanto Cristo potrà dare una Parola definitiva di verità e di amore. Egli è non solo il Maestro, ma il Testimone e il Modello che parla prima con i suoi gesti di amore che culminano nella morte in croce e nel trionfo della risurrezione.[15]
    Prima di richiedere la coerenza di una vita morale, il Cristo trasforma ontologicamente la vita del credente rendendolo membro del Suo Corpo, innestandolo nella Sua Vita, trasformandolo in una sua immagine vivente. Su questa fondazione ontologica si innalzerà l'edificio morale del cristiano: «Se sei in Cristo nuova creatura, agisci in Cristo da nuova creatura!» (cf 2 Cor 3,17). Il passaggio dall'essere in Cristo all'agire in Cristo si realizza esistenzialmente nel dialogo ininterrotto tra il credente e Cristo: il Cristo, Parola vivente del Padre che parla nel cuore e nella coscienza del battezzato, attende la risposta coerente di fede-amore tradotta in scelte morali coerenti. Nel dialogo con Cristo il cristiano esperimenta progressivamente che il suo essere-in-Cristo comprende anche le relazioni misteriche con il Padre, fonte della vita e dell'amore, e con lo Spirito Santo, sorgente di comunione e luce per discernere il bene e il male. Così il credente nel suo cammino dell'Esodo percepisce di essere, in Cristo, la tenda dove abita la Trinità.
    Prima o poi il giovane credente che si interrogherà sul senso ultimo della vita, troverà che il Cristo è il punto fermo della sua esistenza, cioè che il Cristo è il Determinante [16] che opera nell'intimo della persona, dove l'essere in Cristo fonda l'agire in Cristo e il passaggio dalle tenebre alla luce.
    Cristo presente in noi rivela innanzitutto se stesso nella sua vita trinitaria,[17] ultimo fondamento della vita morale; perciò nel rivelarsi come Parola del Padre che in Cristo (cf Gv 1,2-3; Col 1,16) ha creato il cielo e la terra, spiega la fondazione ultima della legge naturale scolpita nel cuore di ogni uomo, del credente; e nel rivelarsi come Parola fatta carne che raggiunge il suo vertice nel mistero pasquale della sua morte e risurrezione, proclama la legge evangelica della carità e innesta profondamente la stessa legge nel cuore del credente; e nel rivelarsi come Parola-Amore che effonde lo Spirito in noi, rassicura il nostro cuore che nella vita il Consolatore sarà la nostra guida e la nostra legge spirituale della carità.

    Superare ogni equivoco sul principio della incarnazione

    La vera kenosi della divinità del Cristo non significa «annullamento» del suo essere Dio, o riduzione della presenza delle divinità ad un semplice annuncio escatologico della verità su Dio, ma reale collocazione del Verbo eterno di Dio all'ultimo posto dell'umanità; e sarà proprio dall'ultimo posto, quello riservato agli schiavi o alle persone private di ogni diritto, che il Cristo farà esplodere, proprio dal punto più basso dell'umanità, tutto il suo amore salvifico:
    «L'incarnazione del Logos non significa solo che Gesù nella sua pura umanità annuncia la parola escatologica di Dio, come vorrebbe R. Bultmann. Contro una simile interpretazione kenotica, che elimina la divinità di Gesù, contro questa sostituzione dell'incarnazione della Parola con il farsi parola della carne (= il Gesù terreno), il messaggio contenuto nel prologo di Giovanni dev'essere formulato così: tra noi dimorò non un semplice uomo, incaricato della decisione escatologica di Dio, ma piuttosto la Parola, Dio stesso (Gv 1,1s), che, nella sua gloria divina (1.14b), assume la piena realtà della concretezza storica, della caducità umana (sarx) e della mortalità umana... Con altre parole: l'incarnazione della Parola significa la presenza di Dio nell'uomo Gesù, e non solo l'azione attuale di Dio nella parola di Gesù».[18]
    Il mistero della incarnazione del Cristo, presente nella esistenza dei giovani, non deve subire riduzioni o interpretazioni erronee che sfigurano o mutilano il vero volto di Cristo e quello dell'uomo in Cristo; si rischierebbe di miscomprendere il progetto di Dio su ciascuno di loro e il conseguente fallimento della loro autentica maturazione in Cristo.[19]

    Scoprire come il Cristo rispose alla «invocazione» di liberazione del mondo giovanile

    Al riguardo sono paradigmatici gli incontri di Gesù con i giovani, nei quali la gioia di avere incontrato il Cristo diventa esperienza di fede che fonda l'impegno etico.
    La teologia morale, rileggendo il messaggio morale contenuto negli incontri di Gesù con i piccoli e i giovani, trova nelle parole e nei gesti del Signore i valori etici e gli atteggiamenti morali di cui i giovani sono portatori; inoltre lascia intravedere il metodo adoperato dal Cristo per entrare in dialogo con le singole persone nel pieno rispetto della loro libertà personale e della verità oggettiva.
    Gesù riconosce innanzitutto il valore fondamentale della vita quando risuscita i giovani morti (la figlia di Giairo: Mc 5,21-43; il figlio della vedova di Nain: Lc 7,11; l'amico Lazzaro: Gv 11), il valore e l'atteggiamento della sincerità e della innocenza (quando abbraccia e benedice i fanciulli»: Mc 10,16), il valore della fede e l'atteggiamento di accoglienza del Regno da parte dei piccoli («se non diventerete come i piccoli: Mt 18,3), l'atteggiamento permanente contemplativo dei piccoli che facilmente entrano in dialogo con il Padre che svela loro il mistero della sua Vita e del suo Amore (Mt 11,25).
    L'incontro con il giovane ricco (Mt 19,16-22) è particolarmente significativo per ricostruire come il Cristo accoglie i giovani riconoscendo e mettendo in luce le loro ricchezze straordinarie. Gesù rivela senza indugi il suo amore di predilezione («fissatolo lo amò»: Mc 10,21) che diventa accoglienza e condivisione del cammino morale già percorso dal giovane con una esatta osservanza dei comandamenti. Coglie e valorizza il desiderio di perfezione che il giovane vuol raggiungere alla scuola del Maestro, e gli propone il massimo della realizzazione di sé: una vita in piena comunione con Gesù.
    Giovanni Paolo II commentava così questo brano evangelico nella lettera apostolica indirizzata ai giovani:
    «È l'incontro più completo e più ricco di contenuto. Si può dire che esso ha carattere più universale e ultratemporale, e cioè che vale, in un certo senso, costantemente e continuamente, attraverso i secoli e le generazioni. Cristo parla così con un giovane, con un ragazzo o una ragazza: conversa in diversi luoghi della terra, in mezzo alle diverse nazioni, razze e culture. Ognuno di voi in questo colloquio è un suo potenziale interlocutore».[20]
    Gesù ci insegna non solo ad accogliere, a comprendere e a rispettare il cammino di liberazione di ogni giovane, ma anche a rieducare una domanda incompleta o mal orientata radicalizzando il bisogno da cui essa proviene per riformularla e connetterla ai valori eterni della religione e della morale.

    La fede fonda l'ethos cristiano: lex credendi, lex vivendi

    Il rapporto tra religione e etica si concretizza nel credente nel rapporto tra la sua fede e la sua vita morale: la lex credendi fonda e si incarna nella lex vivendi. E se la fede ha come nucleo generatore una visione cristocentrica,[21] l'intera costellazione delle verità da credere si organizzerà attorno alla fede-esperienza del Cristo.[22] Perciò in una visione organica delle fede il Cristo è il centro di tutte le verità che specificano l'ethos in quanto cristiano. Infatti:
    - Cristo dischiude al credente il mistero del Dio Uno e Trino fondamento ultimo della vita di fede e di ogni scelta morale;
    - Cristo è lo Sposo e il Capo della Chiesa, sua sposa e suo Corpo Mistico, che il cristiano deve considerare come l'orizzonte storico della sua realizzazione comunitaria per l'avvento del Regno di Dio;
    - Cristo prolunga i suoi diversificati gesti di salvezza nei sacramenti, ognuno dei quali richiede al cristiano che li riceve una risposta di concreto impegno etico;
    - Cristo è la luce vera che svela il senso delle realtà terrestri, che chiedono al cristiano di poter diventare strumento per l'avvento di un mondo migliore fondato sulla giustizia, la solidarietà, la pace e la concordia tra i popoli;
    - Cristo, infine, è l'Alfa e l'Omega della storia della salvezza, che il singolo credente e le comunità ecclesiali costruiscono ogni giorno portando frutti di carità in prospettiva escatologica.
    Spetterà alla pastorale e alla pedagogia tradurre questi contenuti di fede, fondamento di un ethos cristiano, in progetti pastorali ed educativi per i giovani. Questi, a partire da una esperienza cristiana autentica di Cristo, Verbo fatto carne nella nostra carne, che entra a far parte della loro esistenza, dovranno essere sostenuti dai pastori e dagli educatori a diventare i protagonisti del loro progetto di vita nella sua fase di scoperta-elaborazione, di progressiva esecuzione e di verifica per una piena realizzazione. E nella misura in cui il Cristo rimane il Determinante che opera la liberazione della persona, Egli sarà pure il punto di saldatura tra la fede professata e la coerenza della vita morale.

    Cristo centro della vita morale del credente

    Se il credente si apre totalmente a Cristo, il Signore si colloca al centro della sua esistenza e, un po' alla volta, tutta la vita si svolge alla sua presenza e in vista del suo beneplacito. Cristo diventa il punto omega dell'orientamento fondamentale di ogni scelta cosciente del cristiano; e quanto più la persona consolida tale orientamento verso Cristo con le sue scelte quotidiane, tanto più l'orientamento si consolida in tutti i settori della vita e si radica nella intimità dell'io personale.[23]
    «Nel credente l'adesione di fede a Cristo, inizio e pienezza del Regno, s'identifica, dal punto di vista etico, con l'opzione fondamentale; perciò non si potrà parlare di cristiano impegnato stabilmente e coerentemente con la sua fede, finché l'opzione fondamentale non avrà sostanzialmente unificato e polarizzato la persona verso l'Assoluto riconosciuto nella fede, nei suoi orientamenti di fondo e nei motivi che lo spingono ad agire».[24]
    La morale cristiana, in quanto vocazione in Cristo [25] e libera risposta del credente, richiede di strutturare progressivamente un organismo virtuoso corrispondente al progetto di esistenza; e i giovani dovranno sentire urgente questo compito. Le riflessioni teologiche proposte da Von Balthasar e accolte dalla Pontificia Commissione Teologica, sviluppano una linea di pensiero esplicitamente cristocentrica:
    «Il cristiano che vive della sua fede ha la possibilità e il dovere di fondare su di essa la propria condotta morale. E poiché il contenuto della fede, Gesù Cristo, il rivelatore dell'amore divino trinitario, ha preso la figura del primo Adamo ed assunto il suo peccato assieme alle ansietà, le perplessità e le decisioni della sua esistenza, il cristiano è sicuro di trovare, nel secondo Adamo, il primo uomo con tutta la problematica che gli è propria...
    Tesi 1. Cristo come norma concreta. Un'etica cristiana deve essere elaborata partendo da Gesù Cristo. In quanto Figlio del Padre egli ha compiuto nel mondo tutta la volontà di Dio (tutto il dovere) e questo egli lo ha fatto «per noi». Così noi riceviamo da lui, che è la norma concreta e perfetta di ogni attività morale, la libertà di compiere la volontà di Dio e di vivere il nostro destino di figli liberi del Padre...
    Tesi 2. L'universalità della norma concreta. La norma che è l'esistenza del Cristo, è personale e nello stesso tempo universale perché in lui l'amore del Padre per il mondo si realizza in maniera totale, insuperabile e completa. Essa si estende a tutta la diversità delle persone e delle loro situazioni morali così come riunisce nella persona del Cristo tutti gli uomini con la loro unicità e la loro libertà. Nella libertà dello Spirito santo essa regna su tutti per introdurli nel regno del Padre».[26]

    I motivi cristiani dell'agire morale

    Le intenzionalità profonde che spingono la persona ad agire sono l'elemento di raccordo tra le convinzioni nascoste nell'intimo dell'io e l'attuazione visibile nelle azioni esterne. Anche per il credente la maggior parte delle sue scelte morali saranno simili a quelle di un non credente; saranno i motivi intimi di fede, esplicitamente cristiani, che conferiranno alle scelte morali la loro connotazione cristiana.[27]
    I giovani di oggi che ricercano l'autenticità della loro vita, quando vorranno essere coerenti con la loro fede (scoperta, assimilata e da professare), dovranno ispirare il loro agire morale ai motivi di fede che formano il tessuto connettivo del messaggio morale del Nuovo Testamento. Di volta in volta il giovane affascinato dallo sguardo di Cristo nella vita quotidiana:
    - agirà nella convinzione di fede che egli deve esprimere la vita nuova in Cristo (cf Rm 6,4; 1 Cor 15,22; 2 Cor 3,17; 13,4; Gal 2,19-20);
    - agirà scegliendo dei comportamenti morali modellati sulla imitazione di Cristo (cf 1 Tes 1,6; 1 Cor 4,16; 11,1);
    - agirà approfondendo la coscienza di essere membro vivo del Corpo Mistico di Cristo (cf Rm 12,5; 1 Cor 10,17; 12,13; 12,27; Ef 1,23);
    - agirà vivendo il mistero pasquale come trionfo, con Cristo, della vita sulla morte tutte le volte che supererà una tentazione o rifiuterà il male del peccato, operando invece la scelta di quel bene offerto dalla situazione concreta (cf Col 3,1-2);
    - agirà talvolta traducendo in opere buone il dinamismo irrefrenabile della carità (cf 1 Cor 13,1-13; Ef 3,17; Fil 1,9; 2,1-2; 1 Gv 4,7; 4,12-18);
    - agirà sovente per la costruzione del Regno di Dio, che nella esistenza di un cristiano è una profonda motivazione che sottostà all'agire morale di ogni credente (cf Mt 5,10; 5,19; 6,33; 7,21; 18,3-4; Lc 9,62; 18,24-25; Rm 14,17; 1 Cor 6,9-10; Gal 5,21);
    - agirà spesso in prospettiva escatologica, considerando cioè la gioia del premio del paradiso una motivazione valida per le scelte più ardue della vita (cf le beatitudini: Mt 5,3-12; il giudizio finale: Mt 25,31-46; Rm 13,12-13).

    L'organismo virtuoso corrispondente al progetto di vita

    Convinti che il progetto di vita è tanto più profondo e solido quanto più esso si salda con una autentica esperienza religiosa, affermiamo che l'impegno per assimilare non una sola virtù ma un armonico organismo virtuoso diventa una garanzia per una maturazione della propria fede in Cristo.
    Tenendo conto della sensibilità e delle problematiche dei giovani, ci sembra che il loro organismo virtuoso debba perseguirsi a partire dalle seguenti quattro virtù fondamentali [28] che si riannodano immediatamente con gli atteggiamenti [29] tipici del loro dinamismo di maturazione: sincerità, fedeltà, coraggio e oblatività.
    Qualche mese fa, parlando ad un gruppo di giovani che frequentavano un corso di etica professionale, dicevo che avrei voluto regalare a ciascuno di essi una bussola che avesse come punti cardinali, invece del Nord, Sud, Est e Ovest, i quattro atteggiamenti suddetti.
    Accenniamo ad alcune modalità che traducono questo organismo quaternario di atteggiamenti-virtù in prassi etica efficace nella vita dei giovani.
    Innanzitutto la bussola dovrebbe servire al giovane che vuol vagliare la consistenza della sua personalità morale e fare quasi una radiografia della propria personalità morale: la ricerca di sincerità, che unisce l'autenticità dell'io con la verità condivisa con gli altri, collegata con la fedeltà ai propri impegni, stimolerà il coraggio di vivere e la oblatività concretizzata nella prontezza a pagare di persona. L'indebolimento dell'uno e dell'altro dei quattro atteggiamento rivelerà i punti deboli e quelli solidi della personalità morale e il cammino di autopossesso che il giovane dovrà percorrere.
    In secondo luogo i quattro atteggiamenti fondamentali saranno utili per verificare la qualità morale dei rapporti interpersonali. Il grado, più o meno superficiale o profondo, di sincerità nel dialogo con un altro, che dà origine ad una fedeltà anch'essa più o meno stabile, potrà mettere in luce fino a che punto si è disposti a impegnare le proprie energie di coraggio e di oblatività per mantenere e potenziare il rapporto con quel tu.
    Infine la bussola dei quattro atteggiamenti può essere adoperata per conoscere il nostro rapporto con il Cristo. L'ideale è quello in cui il giovane giunge a identificare il Cristo in ognuno dei quattro punti cardinali della bussola che orienta la sua esistenza quotidiana: Cristo è il verace e il fedele (cf Ap 1,5; 3,14; 19,11), il coraggioso e pronto al sacrificio di sé (oblazione) (cf Mc 8,31-33; Gv 7,25-26; 18,19-24; Rm 5,6-11; 1 Gv 2,28; Eb 5,7; 9,14; 9,28). Ma il confronto cristico, fatto dal giovane sotto la guida della bussola, potrà anche verificare se il Cristo, presente nell'intimo del giovane ed esperimentato nei suoi momenti di fede-amore, è accolto come l'Amico Salvatore che lo assimila a sé donandogli quel supplemento di veracità, fedeltà, coraggio e oblatività, richiesti dalla concrete situazioni della vita.
    Anche il dinamismo proprio delle virtù teologali della fede, della speranza e della carità agisce nella vita del giovane credente collegandosi con i quattro atteggiamenti fondamentali suesposti, conferendo a ciascuno di essi un esplicito e immediato riferimento a Cristo: la fede diventa stimolo ad approfondire la Parola del Signore e risposta che impegna la propria fedeltà; la speranza solleciterà al massimo gli atteggiamenti etici del coraggio e della oblatività proiettando la persona verso il futuro della propria vita in Cristo; e la carità ricompone tutti e quattro gli atteggiamenti nella sintesi triadica che matura la persona nel suo potenziale di carità a partire dal concreto amor sui per aprirsi al generoso amor proximi e giungere all'adorante amor Dei.[30]

    Le norme concrete per i vari comportamenti fondate in Cristo: intreccio di motivazioni e atteggiamenti cristiani

    Il momento più delicato, che può urtare la sensibilità dell'uomo contemporaneo, e in modo più accentuato i giovani, è quello della ritraduzione dei valori etici e degli atteggiamenti ad essi connessi in norme morali. Se in passato la teologia morale aveva concentrato la sua attenzione sulla formulazione delle norme etiche nella loro minuziosa specificazione, oggi il rischio è che essa approfondisca la fondazione della riflessione morale e della enucleazione dei principi remoti delle norme, rimanga distante dalle urgenze etiche e problematiche della vita quotidiana.[31]
    La recente enciclica Veritatis splendor di Giovanni Paolo II offre un contributo autorevole per una seria impostazione della riflessione sulla fondazione e sulla loro validità universale, segno della dimensione scientifica della teologia morale.
    «L'insegnamento del Concilio sottolinea, da un lato, l'attività della ragione umana nel rinvenimento e nella applicazione della legge morale: la vita morale esige la creatività e l'ingegnosità proprie della persona, sorgente e causa dei suoi atti deliberati. D'altro lato, la ragione trae la sua verità e la sua autorità dalla legge eterna, che non è altro che la stessa sapienza divina... La giusta autonomia della ragione pratica significa che l'uomo possiede in se stesso la propria legge, ricevuta dal Creatore. Tuttavia, l'autonomia della ragione non può significare la creazione, da parte della stessa ragione, dei valori e delle norme morali» (VS 39).
    «La grande sensibilità che l'uomo contemporaneo testimonia per la storicità e la cultura conduce taluni a dubitare dell'immutabilità della stessa legge naturale, e quindi dell'esistenza di 'norme oggettive di moralità' valide per tutti gli uomini del presente e del futuro, come già per il quelli del passato... Del resto, il progresso stesso delle culture dimostra che nell'uomo esiste qualcosa che trascende le culture. Questo 'qualcosa' è precisamente la natura dell'uomo: proprio questa natura è la misura della cultura ed è la condizione perché l'uomo non sia prigioniero di nessuna delle sue culture, ma affermi la sua dignità personale nel vivere conformemente alla verità profonda del suo essere» (VS 53).
    Il comportamento morale sarà tanto più cristiano,[32] quanto più esso armonizzerà la soggettività e l'oggettività della moralità: soggettivamente, la maturazione in Cristo dell'orientamento fondamentale della vita e il potenziamento degli atteggiamenti fondamentali vissuti in Cristo, conferiranno l'intenzionalità cristica alle singole scelte morali; e oggettivamente, la scelta morale sarà una scelta cristiana nella misura in cui essa lasci trasparire il cammino di Cristo nell'oggi della nostra società e della nostra cultura attraverso l'impegno per il Regno da parte del cristiano. Il momento in cui la coscienza del credente decide di realizzare una scelta morale opererà la sintesi eticamente creatrice tra l'intenzionalità del soggetto e i valori evangelici mediati dalla cultura circostante e dalla esperienza normativa della comunità ecclesiale.[33]

    Conclusione

    Nell'articolo di Tonelli è stata proposta l'immagine del giovane trapezista che per la prima volta nel circo deve lanciarsi nel vuoto affidandosi a chi lo accoglierà con le sue solide mani. Ma il giovane non si staccherà dalla fragile predella della sua traballante sicurezza per lanciarsi nel vuoto se vedrà dinanzi a sé con le mani protese pronto ad afferrarlo il volto di uno sfruttatore, o di un nemico, o anche semplicemente di uno sconosciuto.
    Soltanto quando chi gli sta di fronte gli apparirà con il volto dell'amico che gli è stato accanto prima del lancio, gli ha mostrato i suoi muscoli di acciaio, ma soprattutto è pronto a dare la vita per la persona amata, soltanto allora troverà la forza di lanciarsi nel vuoto. E Gesù è l'amico che ha già dato la vita per noi tutti: egli accanto ad ogni giovane ripete senza mai stancarsi il suo confortante gesto di amore di predilezione che rimane ancor oggi la verità più consolante: «Gesù allora, fissatolo, lo amò» (Mc 10,21).[34]

    NOTE

    [1] Cf V. Orlando - M. Pacucci, L'esperienza religiosa nell'attuale vissuto giovanile, in M. Midali - R. Tonelli, L'esperienza religiosa dei giovani. 1. L'ipotesi, Ldc, Leumann (Torino) 1995, pp. 79- 96 (con bibliografia su ricerche socio-religiose degli anni '90); cf pure C. Bucciarelli, Fede, religione, religiosità e condizione giovanile, «Rassegna di Teologia» 19 (1978/6) 483-494; G. Rovati, Giovani e libertà religiosa. Un approccio sociologico, in «Vita e Pensiero» 71 (1988/3) 179-187; A. Longo - G. Brunetta, La pratica religiosa in Italia, in «Aggiornamenti Sociali» 43 (1992/1) 63-77; G. Ambrosio, Pianeta giovani. Verso una nuova conflittualità?, in «Il Regno-Attualità» 39 (1994/8) n. 725, pp. 237-248; M. Emma, I giovani e la fede oggi. Ricerca longitudinale socio-psicologica sulla religiosità dei giovani, Dehoniane, Napoli 1984; G. Milanesi, Oggi credono così, 2 voll., Ldc, Leumann (Torino) 1989; F. Garelli, La religione dello scenario. La persistenza della religione tra i lavoratori, Il Mulino, Bologna 1986; F. Garelli, La generazione della vita quotidiana. I giovani in una società differenziata, Il Mulino, Bologna 1984; Aa.Vv., La riforma liturgica in Italia. Realtà e speranze, Messaggero, Padova 1984; Aa.Vv., La religiosità in Italia, Mondadori, Milano 1995.
    [2] Fede ed esperienza soggettiva non possono essere né separate, né riassorbite l'una nell'altra. La cultura giovanile corre oggi il rischio di dissolvere la verità di fede, veicolata dall'evento storico e salvifico, in una ineffabile esperienza soggettiva. La mediazione della comunità di fede, che ricolloca l'esperienza del soggetto in un orizzonte sincronico e diacronico, può dare quella consistenza storica che farà da ponte tra il soggetto con tutti i suoi limiti esistenziali, e la realtà storico-oggettiva della salvezza con la sua trascendenza. «Per superare la separazione ed evitare il dissolvimento, i cristiani intraprendono oggi nuove strade che permettano all'esperienza umana e spirituale di emergere. Preparano così la compenetrazione di esperienza e cristianesimo, il che rende possibile sia un'esperienza compiuta e purificata, sia un cristianesimo sperimentato come vitale» (J. B. Lotz, Rivelazione, religioni ed esperienza religiosa, in R. Latourelle (a cura di), Vaticano II. Bilancio & prospettive venticinque anni dopo 1962/1987, Cittadella, Assisi 1987, pp. 1197-1216).
    [3] È questo uno dei problemi etici tipici della cultura odierna sul quale si attardano gli studiosi e gli interventi del magistero ecclesiastico. «È conveniente considerare che la domanda morale, prima che una domanda sulle regole da osservare, è una domanda di pienezza di significato per la vita. Per questo motivo il problema della verità in etica si pone, prima ancora che sui singoli comportamenti, sulle questioni ultime dell'esistenza umana. Sono esse, infatti, che decidono il senso della vita e della libertà umana, e sono esse che fondano in ultima analisi i giudizi morali sui singoli atti, giacché la loro liceità o illiceità altro non significano, da un punto di vista oggettivo, se non la loro congruenza o incongruenza con l'immagine della vita umana vissuta nel modo migliore... La conseguenza pratica di tutto ciò è che il senso ultimo che ognuno conferisce alla propria esistenza, e il tipo di vita che ciascuno decide di vivere negli spazi che le norme sociali lasciano liberi, è un tema assolutamente privato, oggetto di scelte personali non giustificabili in termini razionali oggettivi, sul quale è buono e doveroso che l'etica taccia. Si afferma, in definitiva, che ciascuno è moralmente libero di concepire a suo modo il senso dell'esistenza, e che ciascuno è il miglior e più competente giudice sul valore della propria vita. L'etica dovrebbe limitarsi a determinare le frontiere oltre le quali la mia attività non è più una questione privata. Ciò che sta oltre non è un tema etico, vale a dire, non è un tema eticamente risolvibile» (A. Rodriguez Luno, Significato della «Veritatis splendor» per l'etica contemporanea, in G. Russo (a cura di), Veritatis splendor. Genesi, elaborazione, significato, Dehoniane, Roma 19952, pp. 69-71).
    [4] Scrive Giovanni Paolo II: «Comune radice di tutte queste tendenze (la rivendicazione di una completa autonomia morale, e la delega della responsabilità della persona alla legge civile) è il relativismo etico che contraddistingue tanta parte della cultura contemporanea. Non manca chi ritiene che tale relativismo sia una condizione della democrazia, in quanto solo esso garantirebbe tolleranza, rispetto reciproco tra le persone, e adesione alle decisioni della maggioranza, mentre le norme morali, considerate oggettive e vincolanti, porterebbero all'autoritarismo e all'intolleranza. Ma è proprio la problematica del rispetto della vita a mostrare quali equivoci e contraddizioni, accompagnati da terribili esiti pratici, si celino in questa posizione» (Enciclica «Evangelium vitae» [25 marzo 1995] , n. 70).
    [5] Paolo VI esortava a distinguere i contenuti essenziali dagli elementi secondari della evangelizzazione: «Nel messaggio che la Chiesa annunzia, ci sono certamente molti elementi secondari. La loro presentazione dipende molto dalle circostanze mutevoli. Essi pure cambiano. Ma c'è il contenuto essenziale, la sostanza viva, che non si può modificare né passare sotto silenzio, senza snaturare gravemente la stessa evangelizzazione» (Esortazione apostolica «Evangelii nuntiandi» [8 dicembre 1975] , n. 25). Sarà compito della pastorale e della pedagogia religiosa trasformare questo principio in progetti concreti di vita personalizzati per ogni giovane.
    [6] Cf J. Navone - Th. Cooper, Narratori della Parola, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1986; P. Kemp, Per un'etica narrativa. Un ponte tra l'etica e la riflessione narrativa in Ricoeur, in «Aquinas» 31 (1988/3) 435-457; R. Moreno Ortega, Teología narrativa: reseña bibliográfica: 1970-1990), in «Moralia» 13 (1991/4) N. 52, pp. 413-430; C. Rocchetta, Teologia narrativa. II. Per una rilettura della nozione teologica di efficacia sacramentale, in «Ricerche Teologiche» 3 (1992/2) 235-274; M. Russotto, Narratologia e «lectio divina», in «Presenza Pastorale» 63 (1993/3-4) 85-100; G. Segalla, L'etica narrativa di Luca-Atti, in «Teologia» 20 (1995/1) 34-74; M. Vidal, Etica narrativa en los Evangelios, in «Moralia» 6 (1984/1-2) N.21-22, pp. 145-171.
    [7] «M. Noth, isolando nella Bibbia il ritornello teologico costante Jhwh ci ha fatto uscire dall'Egitto, l'ha definito 'la confessione di fede originaria di Israele'... 'Ogni generazione deve considerare se stessa come uscita dall'esodo': questa affermazione del trattato talmudico sulla pasqua (Pesahim 10,5) è la prospettiva più corretta da adottare nella lettura... del libro dell'Esodo. L'evento decisivo della liberazione dalla schiavitù faraonica è come la radice sempre viva da cui nasce l'albero ramificato della storia della salvezza. Esso non è solo memoria di un fatto generatore nella storia sociopolitica di Israele: è soprattutto un evento che può rinnovarsi tutte le volte che Israele è schiavo, nomade, pellegrino, esule e al suo orizzonte Dio fa nuovamente balenare il dono della libertà» (G. Ravasi, Esodo, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Paoline, Cinisello Balsamo [Milano] 1991, p. 507).
    [8] Il Papa fa delle affermazioni di principio che vanno al di là del rispetto della vita fisica: «In forza della partecipazione alla missione regale di Cristo, il sostegno e la promozione della vita umana devono attuarsi mediante il servizio della carità, che si esprime nella testimonianza personale, nelle diverse forme di volontariato, nell'animazione sociale e nell'impegno politico. È, questa, un'esigenza particolarmente pressante nell'ora presente, nella quale la 'cultura della morte' così fortemente si contrappone alla 'cultura della vita' e spesso sembra avere il sopravvento. Ancor prima, però, è un'esigenza che nasce dalla 'fede che opera per mezzo della carità' (Gal 5,6)» (Lettera enciclica «Evangelium vitae» [25 marzo 1995] , n. 87).
    [9] Per quanto concerne l'impostazione della ricerca che sta alla base del nostro convengo, cf P. Grassi, Esperienza religiosa. Una prospettiva psicosociale, in M. Midali - R. Tonelli, L'esperienza religiosa dei giovani. 1. L'ipotesi, Ldc, Leumann (Torino) 1995, pp. 131-140.
    [10] Il terzo Convegno Ecclesiale d'Italia tenutosi a Palermo dal 20 al 24 novembre 1995, dedicò un ampio spazio ai giovani; essi «rappresentano una nuova categoria di poveri che si trova ai margini della società: il loro grido di aiuto richiama la Chiesa a collocarli al centro della sua attenzione pastorale per provocare un analogo fenomeno in tutta la società italiana» (Il vangelo della carità per una nuovo società in Italia. III Convegno ecclesiale - Palermo 20-24 novembre 1995. Testi della giornata conclusiva e Messaggio finale dei vescovi e dei delegati, Paoline, Milano 1995, p. 78). La rivista trimestrale Tuttogiovani notizie. Osservatorio della gioventù, edita dall'Università Pontificia Salesiana e giunta già al n. 39, offre un panorama ampio e aggiornato sui problemi giovanili.
    [11] «Il capitolo 24 (dell'Esodo) descrive il rito della siglatura dell'alleanza... Il testo rivela due strati con due riti differenti di siglatura dell'alleanza. La prima relazione, forse J, è contenuta nei vv. 1-2 e 9-11 e suppone un rito di 'comunione': 'mangiarono e bevvero', celebrarono cioè un sacrificio comprendente un banchetto sacro con le carni della vittima. Si esaltava, così, il tema dell'intimità col mistero di Dio. La tradizione E, invece, conserva nei vv. 3-8 un rito del sangue, probabilmente collegato al sacrificio dell'olocausto in cui la vittima era totalmente consumata dal fuoco e offerta a Dio. Metà del sangue è asperso sull'altare, simbolo di Dio, e metà sul popolo: il sangue è il segno della vita, quindi tra Dio e Israele c'è ormai un'alleanza di sangue» (G. Ravasi, Voce cit., p. 512).
    [12] Cf J. L'Hour, La morale de l'Alliance, Gabalda, Paris 1966; A. Bonora, Alleanza, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1988, pp. 21-35.
    [13] G. Ravasi, Voce cit., p. 511.
    [14] «La grande sensibilità che l'uomo contemporaneo testimonia per la storicità e per la cultura conduce taluni a dubitare dell'immutabilità della stessa legge naturale, e quindi dell'esistenza di 'norme oggettive di moralità' valide per tutti gli uomini del presente e del futuro, come già per quelli del passato: è mai possibile affermare come valide universalmente per tutti e sempre permanenti certe determinazioni razionali stabilite nel passato, quando si ignorava il progresso che l'umanità avrebbe fatto successivamente?... Il progresso stesso delle culture dimostra che nell'uomo esiste qualcosa che trascende le culture. Questo 'qualcosa' è precisamente la natura dell'uomo» (Giovanni Paolo II, Lettera enciclica «Veritatis splendor» [6 agosto 1993] , n. 53).
    [15] Cf R. Tremblay, L'«Homme» qui divinise. Pour une interprétation christocentrique de l'existence, Ed. Paulines, Montréal 1993; O. O'Donovan, Résurrection et expérience morale. Esquisse d'une étiqhe théologique, Puf, Paris 1992; Y. Spiteris, La vita cristiana esperienza di libertà, Dehoniane, Bologna 1993.
    [16] «Dopo la Pasqua la persona di Gesù è divenuta la misura concreta del regno di Dio: per i rapporti dell'uomo col prossimo, con la società, con Dio. Ora non si può più scindere la causa di Gesù dalla sua persona. Fin dal principio del cristianesimo, invece di ridursi a un'idealistica elaborazione di idee permanentemente valide, ruotò con grande realismo intorno alla persona permanentemente valida di Gesù Cristo. Si può dunque dire: la causa di Gesù, che continua ad andare avanti, è anzitutto la persona di Gesù, che per il credente resta straordinariamente significativa, palpitante di vita, valida, rilevante, operante. Che svela essa stessa il mistero della sua storia e rende così possibile la professione di fede, l'omologia in occasione del battesimo e della Cena, nell'annuncio e nell'insegnamento: l'acclamazione nella liturgia e la proclamazione davanti al mondo» (H. Küng, Essere cristiani, Mondadori, Milano 1976, pp. 432).
    [17] Cf H. Urs Von Bathasar, Teodrammatica. 3. Le persone del dramma: l'uomo in Cristo, Jaca Book, Milano 1983, pp. 475-482.
    [18] B. Klappert, Parola, in Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, Dehoniane, Bologna 1976, p. 1200.
    [19] Nel messaggio finale del Convegno di Palermo leggiamo: «Nel nostro sforzo di incarnare l'amore di Dio per gli uomini, abbiamo dedicato la nostra riflessione alle realtà più bisognose di speranza: ai poveri, ai giovani, alla famiglia, alla cultura e alla comunicazione... Ai giovani vogliamo offrire speranza e senso per la vita. Innanzi tutto la speranza e il senso che si dischiudono alla luce di Cristo. Ci impegniamo, quindi, a ridire loro la novità del Vangelo nella rilevanza che esso ha per le loro ansie e per le loro inquietudini. Li ascolteremo nei luoghi della loro esperienza, aiutandoli ad essere critici contro ogni manipolazione, formandoli alla socialità, alla comunicazione, alla vera libertà. Sosterremo, col nostro impegno sociale e politico, progetti che rispondano al loro desiderio di futuro, di cultura e di lavoro, di casa e di famiglia» (Il Vangelo della carità..., p. 88).
    [20] Giovanni Paolo II, Lettera apostolica ai giovani e alle giovani del mondo per l'Anno internazionale della Gioventù [31 marzo 1985] , n. 2.
    [21] K. Rahner, partendo dalla necessità che la fede oggi deve essere proposta tenendo conto delle diverse sensibilità delle persone e fondata sulle loro previe esperienze religiose, propone tre formule brevi della fede cristiana: la prima «teologica» riorganizza i dati della fede attorno alla verità fondamentale di Dio che si è autocomunicato storicamente nella vittoria pasquale del Cristo; la seconda «antropologica» basata sulla autotrascendenza dell'uomo esperimentata nell'atto di amare il prossimo, fondamento di una comunicazione aperta al Trascendente, amore che storicamente in maniera definitiva si è realizzato nel Cristo; la terza «futurologica» parte dalla trascendentalità dell'uomo verso il suo futuro, dove il Cristo è il ponte tra l'uomo e Dio. È evidente in tutte e tre le formule brevi della fede che il Cristo svolge un ruolo fondamentale e insostituibile. (cf K. Rahner, Corso fondamentale sulla fede, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1977, pp. 569-582).
    [22] Abbiamo specificato sopra il concetto di gerarchia delle verità la cui importanza pastorale è stata precisata in: Paolo VI, Esortazione apostolica «Evangelii nuntiandi» (8 dicembre 1975), n. 25.
    [23] «L'opzione fondamentale esprime interamente le possibilità e l'ambivalenza della libertà fondamentale: perciò la persona può scegliere l'orientamento fondamentale della propria vita sia verso il bene e l'Assoluto, sia verso il male e il rifiuto dell'Assoluto. L'opzione fondamentale non è, quindi, un momento della nostra esistenza che facilmente cade nell'oblio, ma è la maniera nuova e originale con cui l'uomo, giunto ad un certo grado di maturità etica, unifica se stesso in vista del proprio futuro in maniera che ogni sua scelta libera potrà ricevere una nuova intenzionalità e l'orientamento verso (o contro) il bene assoluto... L'opzione fondamentale che esprime la bontà della persona vive nelle decisioni categoriali e attraverso di esse porta a maturazione l'eticità della persona. E poiché la vita morale è interamente sotto l'influsso della carità (in Cristo), la realizzazione etica operata dall'opzione fondamentale non chiuderà egoisticamente la persona in se stessa, ma l'aprirà all'amore-comunione con Dio e con il prossimo» (R. Frattallone, Persona e atto umano, in Nuovo Dizionario di Teologia Morale, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1990, pp. 945-946; cf pure Giovanni Paolo II, Enciclica «Veritatis splendor» [6 agosto 1993] , nn. 65-68; K. Demmer, Opzione fondamentale, ivi, pp. 854-861; S. Frigato, Vita in Cristo e agire morale. Saggio di teologia morale fondamentale, Ldc, Leumann [Torino] 1994, pp. 171-181).
    [24] R. Frattallone, La vita come impegno per la causa del Regno, in G. Coffele - R. Tonelli (a cura di), Verso una spiritualità laicale e giovanile, Las, Roma 1989, p. 269.
    [25] Il Vaticano II precisando gli obiettivi della teologia morale afferma che essa deve «illustrare l'altezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo» (OT 16).
    [26] Commissione Teologica Internazionale, Principi di morale cristiana. Nove tesi per un'etica cristiana, (16-21 dicembre 1974), in Enchiridion Vaticanum, Vol. 5, nn. 1009, 1012, 1016.
    [27] Un serio esegeta elenca quattro motivi a fondamento l'etica del NT: l'escatologia, il Corpo del Signore, la imitazione di Cristo e il primato della carità: cf C. H. Dodd, Evangelo e legge, Paideia, Brescia 1981, pp. 35-36.
    [28] «La virtù è ordinata all'agire. Uno dei dati più importanti nella teoria della virtù è quello che la considera ordinata all'agire buono: è principio di atti umani buoni: rende buono l'agente e le opere che compie. È un dato complesso e va precisato. L'agire di cui si tratta, prima che quello transitivo (facere), attraverso cui la persona trasforma e perfeziona la realtà, è l'agere in cui essa si attua nella relazione al bene con tutte le sue potenzialità e possibilità; si qualifica nella prerogativa di principio vero, anche se non primo e unico, del proprio orientamento esistenziale» (D. Mongillo, Virtù, in Nuovo Dizionario di Teologia Morale, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1990, p. 1454).
    [29] Desunta dalla riflessione delle scienze psicologiche e sociali, «la categoria di atteggiamento viene a sostituire, con un vantaggio, la funzione che nella morale tradizionale è disimpegnata dal concetto di abito (= habitus). Di fronte al concetto classico di abito, la categoria di atteggiamento pone maggiormente in rilievo: gli aspetti emotivi e di esecuzione (l'abito faceva emergere soprattutto gli aspetti intellettivi); la dimensione di autentico «allenamento» e di soggettivizzazione (nella nozione e nella realizzazione dell'abito si celava il pericolo di ridurlo a puri «automatismi»). Per atteggiamento morale intendiamo, dunque, quell'insieme di disposizioni acquisite che ci portano a reagire positivamente o negativamente dinanzi ai valori etici. L'atteggiamento è la parzializzazione dell'opzione fondamentale in qualche campo dell'esistenza umana. Se l'opzione fondamentale del cristiano è accettare Cristo nell'insieme dell'esistenza, gli atteggiamenti cristiani parzializzano questa decisione globalizzante: nell'ambito della verità, della fedeltà, del servizio, ecc.» (M. Vidal, Manuale di etica teologica. 1. Morale fondamentale, Cittadella, Assisi 1994, pp. 863-864).
    [30] Cf D. Mongillo, Virtù teologali, in Nuovo Dizionario di Teologia Morale, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1990, pp. 1474-1498.
    [31] Privitera rileva la problematica connessa oggi con l'etica normativa e nel tracciare alcuni criteri per il comportamento moralmente retto ripropone le differenze di una loro fondazione deontologica o teleologica; cf S. Privitera, Etica normativa, in Nuovo Dizionario di Teologia Morale, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1990, pp. 379-380.
    [32] Cf S. Bastianel, Specificità (della morale cristiana), in Nuovo Dizionario di Teologia Morale, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1990, pp. 1271-1278.
    [33] Entro questo spazio di libertà, in cui anche la coscienza di un giovane vorrà tradurre in scelte concrete la sua esperienza di fede in Cristo, si opererà la soluzione, talvolta sofferta, tra la pluralità centrifuga delle sollecitazioni provenienti dalla vita quotidiana e l'istanza di rimanere fedeli al progetto di vita in Cristo messo in discussione o rifiutato dall'ambiente circostante.
    [34] «Il Cristo risponde come già rispondeva ai giovani della prima generazione della Chiesa con le parole dell'Apostolo: 'Scrivo a voi, giovani, perché avete vinto il maligno. Ho scritto a voi, giovani, perché avete conosciuto il Padre... Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti e la parola di Dio dimora in voi' (Giovanni Paolo II, Lettera apostolica ai giovani e alle giovani del mondo per l'Anno internazionale della Gioventù [31 marzo 1985] , n. 15).


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