Mario Pollo
(NPG 1991-09-36)
La domanda su chi possa essere definito animatore ha una risposta che è semplice e complessa nello stesso tempo. Infatti la risposta a questa domanda è costituita dall'affermazione che l'animatore è un educatore che realizza il suo particolare compito secondo lo stile ed il metodo dell'animazione. Ora se si analizza questa risposta si scopre che, al di là della sua semplice evidenza, essa nasconde, sotto l'espressione «secondo lo stile ed il metodo dell'animazione», un insieme complesso di problemi e, quindi, di risposte che ad essi offrono le varie pratiche di animazione. Sovente queste risposte danno vita, se messe l'una sopra l'altra, ad una sorta di torre di Babele. Per cercare di porre ordine in questa confusione di lingue è necessario stabilire i cardini che fissano gli elementi fondamentali delle attenzioni, del modo di porsi nei confronti dei giovani e delle competenze che sono richieste ad un animatore per esprimersi correttamente nello stile dell'animazione. In altre parole è necessario definire il profilo tipico che disegna concretamente la figura dell'animatore. Questo profilo nasce dall'intreccio delle qualità e delle capacità che l'animatore deve possedere in generale con quelle che a lui sono richieste dalle caratteristiche tipiche del metodo dell'animazione. Infine, è parte integrante del profilo dell'animatore la sua capacità di riformulare la propria figura in modo da offrire risposte adeguate alle nuove sfide che il contesto sociale e culturale in cui opera lancia alla sua azione educativa.
LE QUALITÀ E LE CAPACITÀ DELL'ANIMATORE
Il cuore dell'obiettivo generale dell'animazione culturale è, come è noto, costituito dallo sviluppo della coscienza dei giovani e, quindi, della loro capacità di vivere in modo consapevole, critico e progettuale l'avventura dell'esplorazione dello spazio-tempo che la vita ha loro donato. Questo obiettivo, estremamente impegnativo, richiede all'animatore una collaborazione senza incertezze sul terreno della consapevolezza critica e riflessa. Infatti un animatore non può educare alla consapevolezza muovendosi in modo inconsapevole nella realtà in cui opera. Questo significa che un animatore per essere tale deve possedere gli strumenti per analizzare i problemi che i giovani vivono e a cui la sua azione educativa deve dare una risposta il più possibile adeguata. Lo stesso grado di consapevolezza l'animatore deve possederla intorno agli effetti, diretti ed indiretti, dei processi che egli promuove per rispondere in modo educativamente efficace ai problemi stessi. Senza questa doppia consapevolezza, senza cioè una limpida coscienza critica, l'animatore non può sviluppare un'azione educativa, che come tutte quelle autentiche sia segnata dalla metodicità e dall'intenzionalità, oltre che dall'amore. Questa consapevolezza è frutto, oltre che di una costante attenzione alla realtà in cui l'animatore opera e vive, anche di precise e specialistiche competenze. L'animatore, per sviluppare quella coscienza critica che gli consente di osservare e capire i problemi che i giovani vivono e di impostare una consapevole risposta educativa, deve infatti acquisire quelle conoscenze e abilità di tipo contenutistico e metodologico derivate dalle scienze umane che gli permettono di compiere delle analisi approfondite sia dei giovani, in quanto individui, sia dei gruppi e dei sistemi sociali all'interno dei quali i giovani stessi vivono. Ma non solo. All'animatore, infatti, è richiesta anche la conoscenza del dominio specifico in cui esercita la sua azione. Dominio che può variare da quello pastorale a quello sportivo passando attraverso un gran numero di domini intermedi. Si può quindi affermare che l'animatore, oltre che la competenza dei metodi e dei contenuti tipici dell'animazione, deve possedere in modo adeguato anche quella del dominio in cui applica la sua azione. Questo significa che i saperi tipici dell'animazione debbono integrarsi in un tutto armonico con quelli fondamentali del dominio in cui l'animazione si svolge. Questo non vuol dire che l'animatore non abbia una sua professionalità specifica autonoma, ma solo che questa deve esprimersi attraverso il linguaggio specifico dell'attività particolare in cui essa si svolge.
Questo tipo di competenza fonda il riconoscimento sociale dell'animatore come educatore e, quindi, la sua piena appartenenza alla funzione sociale della riproduzione della cultura. Infatti l'animatore è tale solo se, oltre a possedere le competenze necessarie, ha un riconoscimento sociale del proprio ruolo. Non possono esistere animatori clandestini o «underground», perché alla funzione dell'animatore verrebbe a mancare quel carattere tipico e indispensabile della funzione educativa che è la sua legittimità sociale. E' chiaro che questa legittimità non è data solo da riconoscimenti di carattere giuridico-formale o similari provenienti da tutta la collettività, ma anche, se non soprattutto, da quelli espressi dal gruppo sociale particolare al cui interno si svolge l'animazione. La condizione della consapevolezza critica e riflessa dei problemi e dei processi, tale da consentire un'azione educativa intenzionale e metodica, che si fondi su delle specifiche competenze e che si esprima in una funzione educativa socialmente riconosciuta è, come si è detto all'inizio, necessaria ma non sufficiente a definire il profilo dell'animatore, in quanto essa deve esercitarsi all'interno dello stile e del metodo dell'animazione culturale.
LO STILE E IL METODO DELL'ANIMATORE CULTURALE
Per esprimere un'azione educativa nello stile dell'animazione culturale è necessario che l'animatore condivida il fatto che lo sviluppo della coscienza del giovane, intesa come assunzione di capacità di governare nel segno dell'autonomia e della libertà il proprio personale progetto di vita, muove dall'acquisizione di una identità personale radicata nella memoria della cultura, passa attraverso una capacità di partecipare ai vari livelli della vita sociale in modo solidale e, infine, si conclude nella scoperta del senso religioso dell'esistenza attraverso l'apertura al trascendente, al radicalmente Altro. Questo itinerario dello sviluppo della coscienza viene proposto dall'animatore al giovane all'interno di un'esperienza di gruppo formativo in grado di produrre una esperienza di comunicazione interpersonale autentica al proprio interno. Infatti il metodo dell'animazione si fonda sulla capacità dell'animatore di trasformare gli aggregati giovanili in gruppi primari a carattere educativo. Lo strumento che l'animatore ha a disposizione per raggiungere questo obiettivo, che è il cuore del metodo dell'animazione, è molto semplice, ed è costituito dalla relazione, ovvero dalla gestione sapiente del processo comunicativo che egli instaura con il gruppo e i suoi componenti. Questo processo comunicativo richiede due competenze. La prima è di carattere esistenziale mentre la seconda è di carattere tecnico-scientifico.
LA COMPETENZA ESISTENZIALE DELL'ANIMATORE
Affermare che l'animatore deve possedere una competenza esistenziale significa, di fatto, affermare che l'animatore non sceglie l'animazione «per mestiere», ovvero sulla base solo di motivazioni di tipo tecnico-scientifico, ma perché condivide, per motivi religiosi o etici, il progetto d'uomo che l'animazione persegue. Per l'animatore la scelta dell'animazione è, infatti, per prima cosa una scommessa sull'uomo e sulla vita. Su questa opzione radicale si fonda la sua professionalità specifica. Il risultato di questa intersezione è la figura dell'animatore come tecnico militante. Anche se una persona conoscesse tutte le teorie, tutti i metodi e tutte le tecniche dell'animazione, ma non vivesse il suo agire educativo con la passione richiesta da una autentica scommessa sull'uomo e sulla vita, secondo gli obiettivi e l'antropologia dell'animazione, essa non potrebbe pretendere di chiamarsi animatore. Questa passione per l'uomo e per la sua vita, l'animatore la esprime interamente nella relazione che instaura con il gruppo e i suoi membri.
Il primo carattere che indica una relazione segnata da questa passione, e quindi il possesso della competenza esistenziale da parte dell'animatore, è dato dalla accoglienza incondizionata nei confronti di ogni giovane, anche del più distante dal proprio modello di vita. Accoglienza che si traduce nella fiducia che l'animatore manifesta al giovane che questi, al di là del suo stato attuale, possiede in sé tutte le risorse e le potenzialità per realizzare, secondo la propria irrepetibile originalità, il progetto d'uomo che gli viene proposto attraverso l'animazione.
Il secondo carattere è dato dalla capacità dell'animatore di cogliere la profonda originalità, segno della libertà, che ogni giovane mette in gioco nel percorrere l'itinerario educativo dell'animazione e, quindi, il profondo rispetto dei tempi, dei ritmi e di tutte le diversità che ogni persona esprime. In questa accettazione della libertà del giovane c'è anche la consapevolezza dell'imprevedibilità dell'evento educativo e, quindi, del suo eventuale insuccesso. Questo richiede una profonda umiltà, un atteggiamento antiprometeico dell'animatore, che sa che molto spesso le ragioni del successo e dell'insuccesso educativo sono al di là del suo agire.
Il terzo carattere che segna la competenza esistenziale dell'animatore, infine, è la sua capacità di vivere la complessità multidimensionale della relazione educativa con il gruppo e i suoi membri. Questa capacità è quella che gli consente di gestire, oltre ai contenuti della comunicazione, quelli della metacomunicazione, ovvero la dimensione in cui si dà l'accettazione o il rifiuto emotivo e si afferma, quindi, la verità o la falsità esistenziale di ciò che viene detto.
Il quarto carattere nasce dalla capacità dell'animatore di vivere lo squilibrio della relazione educativa a cui viene dato il nome di asimmetria. L'animatore, infatti, per svolgere efficacemente il suo ruolo educativo deve valorizzare al massimo la differenza generazionale che lo separa dal giovane. E questa differenza si basa sul fatto che l'animatore è portatore di una responsabilità educativa e di un patrimonio esistenziale e culturale che deve - e questo è l'imperativo della conservazione e dello sviluppo della civiltà umana - trasmettere al giovane. Questa trasmissione può avvenire solo perché c'è una asimmetria, una differenza di potenziale, tra l'animatore e il giovane. L'asimmetria, tuttavia, non significa che tra l'animatore e l'educando debba esistere una relazione autoritaria, in quanto essa deve essere sempre fondata sulla criticità e sulla democraticità, ovvero sulla persuasione e sul dialogo. L'essere animatore comporta, perciò, la capacità di costruire una relazione asimmetrica, democratica e critica con i giovani. Questi caratteri, di cui l'ultimo appare più tecnico anche se è anch'esso genuinamente esistenziale, indicano null'altro che la capacità dell'animatore di amare i giovani, in modo però che essi lo sappiano, che camminano con lui lungo l'itinerario dell'animazione. La relazione dell'animatore con il giovane non si esaurisce però all'interno di queste modalità di rapporto, in quanto essa deve anche essere il luogo in cui la memoria si fa presente, il tempo diviene storia, la solidarietà si manifesta insieme alla costellazione di valori ed all'esperienza del trascendente che tessono il senso della vita. Infatti l'animatore imposta correttamente la relazione educativa quando onora, per prima cosa, il suo compito di essere, per il giovane, lo strumento attraverso cui il tempo diviene storia. Per fare in modo che questo avvenga l'animatore deve porsi come memoria vivente.
La trasmissione della memoria e l'educazione alla progettualità
L'animatore deve fare memoria se vuole aiutare il giovane a fondare la sua identità in una storia. Egli deve però essere in grado di proporre la memoria come qualcosa di vivo. Fare memoria non è quindi solo ricordare, ma è anche operare affinché la propria storia, personale e sociale, diventi parte di quel sapere culturale da cui il giovane attinge per formare il progetto originale innovativo della propria vita. Da questo punto di vista il fare memoria è la capacità dell'animatore di rivisitare criticamente la propria storia e quella della propria generazione alla luce delle storie che l'hanno proceduta e che la seguiranno e che stanno cominciando a riflettersi negli occhi dei giovani. Una memoria che non si fa presente non aiuta i giovani a divenire autori della loro vita in senso pieno attraverso la progettualità.
La socializzazione e la costruzione della coscienza
La coscienza, per divenire lo specchio limpido in cui l'uomo legge la verità su se stesso e sulla propria vita, deve passare dalla porta stretta costituita dall'incontro-scontro del soggetto con l'altro. Un incontro-scontro segnato dalla fatica della costruzione di una relazione autentica al cui interno la persona cerca di vedere se stessa attraverso gli occhi dell'altro, accettando pienamente la irriducibile diversità di questi. Una corretta socializzazione è alla base della costruzione di una coscienza in grado di innalzare sopra le fredde paludi del soggettivismo egocentrico e narcisista. L'animatore deve diventare un protagonista di questo processo di socializzazione ponendosi come «l'altro» significativo del giovane.
L'educazione alla solidarietà
Questo intreccio tra socializzazione e costruzione della coscienza trova la sua naturale conclusione nei processi che disegnano nel progetto di vita del giovane l'avventura della solidarietà. La socializzazione autentica, la scoperta dell'altro come fondamento etico della propria vita, la coscienza limpida di sé sono la base di quella forma dell'agire umano che è la solidarietà. E' questa l'avventura più bella che un giovane e un animatore possono compiere insieme. L'animatore per educare alla solidarietà deve viverla e deve farla vivere al giovane all'interno di una esperienza comune.
L'educazione ai valori
I valori, come è noto, prima di essere delle entità astratte sono degli atteggiamenti, dei comportamenti che manifestano storicamente l'orientamento esistenziale di persone e di gruppi sociali. L'educazione ai valori è, perciò, la costruzione da parte dell'animatore di esperienze esistenziali in cui il giovane possa sperimentare la verità dei valori che la cultura dell'animatore professa. Questo significa che l'animatore per educare i giovani ai valori deve viverli. Ma non solo. Egli deve anche avere il coraggio di sottoporre i suoi valori, i suoi atteggiamenti e i comportamenti che li manifestano nella vita quotidiana al confronto critico della demistificazione giovanile. Questo non perché l'animatore debba necessariamente rinnegare i suoi valori tradizionali, ma perché egli deve sempre reinterpretarli e verificarli se vuole che essi mantengano inalterata la loro produttività esistenziale.
Educare ai valori è sempre una esperienza di verifica dei valori personali oltre che della propria coerenza esistenziale.
L'educazione al senso della vita
Quando il giovane ha tessuto il proprio progetto di vita con la memoria e l'ha illuminato con lo sguardo limpido della sua coscienza, quando l'ha aperto ad una socialità intrisa di solidarietà, quando la sua vita è orientata dai valori, allora, affinché nasca dalle profondità dell'essere l'autentico amore per l'uomo e per la vita, è necessario che il giovane scopra che questo può avvenire solo attraverso l'ancoramento della sua vita alla dimensione trascendente. Il senso della vita non può nascere dall'autonomia umana, ma solo dal luogo del mistero di ciò che è radicalmente oltre la vita umana anche se ed essa vicina. Solo se il giovane riceve il dono della fede può formulare il suo sì pieno e convinto alla vita e, al di là di tutte le esperienze negative, vedere irrompere nella sua coscienza la consapevolezza della dignità e grandezza della condizione umana. E' il momento in cui il salmo 8 viene compreso in tutta la sua maestosità, la bellezza della vita si manifesta in tutta la sua gratuità e la forza del desiderio incanala la propria energia creatrice nel progetto teso a espandere le ragioni della vita nelle culture umane che regolano l'esistenza individuale e sociale delle persone.
L'animatore come limite
Affinché la relazione dell'animatore con il giovane possa produrre le dimensioni esistenziali prima descritte, è necessario che essa sia anche uno scambio vitale tra desiderio e limite. Dove l'animatore nutre il proprio agire dell'energia creatrice del desiderio e il giovane dà al desiderio la creatività che nasce dal suo incontro con le regole e le norme che sono tipiche delle forme in cui si dice la civiltà umana. Se l'animatore non si offre come limite al desiderio del giovane, la creatività non fiorisce ed il giovane non supera i confini ristretti dei propri bisogni e di una ricerca miope di felicità immediate. Se non c'è questo scambio, il limite radicale della morte crea angoscia, e per questo viene rimosso, e non viene integrato nell'orizzonte di senso della vita umana.
LA COMPETENZA TECNICO-SCIENTIFICA DELL'ANIMATORE
Queste competenze esistenziali per attivarsi e divenire produttrici di educazione debbono però essere integrate con un sapere tecnico-scientifico in grado di offrire all'animatore gli strumenti per gestire le dinamiche del gruppo, i processi comunicativi e il percorso di realizzazione degli obiettivi particolari del gruppo. Questo sapere è formato, oltre che dalla teoria dell'animazione culturale, dalla conoscenza teorica e pratica della teoria della comunicazione umana, dalla conoscenza della psicologia e della metodologia della ricerca. A queste competenze debbono essere aggiunte quelle relative alle tecniche di animazione e, come detto all'inizio, quelle tipiche del dominio specifico dell'attività del gruppo giovanile. E' chiaro che questo sommario elenco di competenze fa presagire una figura di animatore assai professionalizzato e distante da modi della pratica quotidiana dell'animazione. Ora, il fatto che debba essere professionalizzato non vuole assolutamente dire che non possa divenire un ottimo animatore un volontario o un militante. Tutt'altro! Questo discorso vuole semplicemente affermare che per divenire animatori bisogna seguire un rigoroso itinerario formativo teorico e pratico, come del resto avviene per ogni seria attività educativa e sociale in genere. La maggiore diffusione di questa riflessione sulla figura dell'animatore intorno alle competenze esistenziali invece che a quelle tecnico-scientifiche, è motivata dal fatto che le prime sono acquisibili solo attraverso una «conversione personale», frutto di una maturazione umana realizzabile solo in alcuni contesti, non molto diffusi nell'attuale cultura sociale, mentre delle seconde esiste una offerta sovrabbondante sul mercato. Normalmente una significativa esperienza all'interno di un gruppo o di una associazione giovanile di tipo religioso o/e di impegno volontario, se segnata da un adeguato cammino educativo, può contribuire alla acquisizione delle competenze esistenziali dell'animazione.
Conclusione
Quella dell'animatore è una figura complessa ricca di intenzionalità umane, etiche e religiose, che si pone nei confronti del compito educativo carica di un forte impegno, che può essere considerato una vera e propria militanza. Ma la militanza da sola non è sufficiente a fare un animatore, se non è sostenuta da adeguate competenze. Tuttavia occorre dire che la figura dell'animatore riceve i suoi giusti contorni solo quando chi la interpreta è mosso da un'autentica passione per l'uomo e per la vita, ed ha raggiunto un livello adeguato di maturità umana.