La «rete» dell'animazione. Voci per un Dizionario /10
Mario Pollo
(NPG 1991-01-51)
Se si consulta il Tommaseo si scopre una definizione molto semplice sia di moderno che di modernità. Infatti secondo questo vetusto dizionario "moderno" è ciò che è "nuovo, novello. Secondo l'uso presente o Che è dei tempi a noi vicini" e modernità non è che la "Qualità di ciò che è moderno".
In questo senso "moderno" era già stato utilizzato da Dante e dal Petrarca e affonda, quindi, le sue radici nelle stesse origini della lingua italiana.
La modernità è una qualità che varia da epoca ad epoca, da generazione a generazione, e non è che il rispecchiamento dei valori, degli stili e dei modi di vita più recenti che la trasformazione della cultura sociale manifesta.
Non per nulla sin dalle sue origini la modernità si è sempre contrapposta all'antichità rappresentando un polo del conflitto sociale tra novatori e tradizionalisti, tra integrati e apocalittici.
Parlare di modernità oggi significa, perciò, parlare dei caratteri della cultura sociale odierna che la rendono tipica, specifica di questo tempo e la contrappongono a quella di altre epoche.
Visto che la riflessione che si svilupperà in questa voce riguarda la relazione modernità/animazione, si metteranno in luce soprattutto quei caratteri della modernità che sono più rilevanti rispetto ai processi formativi del progetto d'uomo dell'animazione.
Prima di affrontare l'analisi di questi caratteri è opportuna una breve notazione sull'uso, un po' distorto che oggi alcuni fanno della parola e del concetto di modernità.
Esiste, infatti, una corrente di pensiero che tende a fissare la modernità, a far coincidere , cioè, con essa una particolare cultura sociale, ovvero la cultura della cosiddetta complessità sociale.
È questa una operazione scorretta perché non rispetta né la relatività e la caducità che sono insite nel significato delle parole moderno e modernità, né l'articolazione delle forme del moderno che non è assolutamente riconducibile ad un unico modello. Comunque non c'è da preoccuparsi, infatti tra qualche anno l'attuale modernità sarà vecchiume e una nuova modernità pretenderà per se l'esclusività e l'unicità della rappresentanza del moderno.
Il tempo fa giustizia delle facili riduzioni e degli schematismi delle interpretazioni che vorrebbero imbalsamare la storia in modelli rigidi di tipo ideologico.
MODERNITÀ E COMPLESSITÀ SOCIALE
Indubbiamente una gran parte della nostra modernità si caratterizza per la cosiddetta complessità sociale, ovvero come si è visto nella voce "animazione e giovani" per una serie di fattori tra cui si segnalano come rilevanti quelli relativi alla crisi dei sistemi di significato, alla dimensione debole, alla crisi dell'identità e alla frammentazione, oltre a quelli della crisi della relazione educativa adulti/giovani. Ora è indubbio che questi fattori intervengono direttamente nei processi di formazione di sé del giovane oltre che a compromettere, o almeno rendendo oltremodo problematica, la sua concreta possibilità di vivere una vita dotata di senso, segnata dall'amore ed illuminata dalla Fede.
La modernità, alla luce del paradigma della complessità, appare come una riduzione versus banalizzazione della vita che viene a perdere i riflessi del mistero e sembra limitarsi alla affermazione delle istanze individuali del desiderio.
Proprio in virtù di questi caratteri la modernità è da molti letta come contraddittoria rispetto alle istanze di una vita segnata dalla fedeltà al Cristo e, quindi, queste persone postulano che una educazione in senso cristiano debba produrre una sorta di rifiuto della modernità.
Questo rifiuto solitamente viene accompagnato dalla idealizzazione dei modelli di vita appartenenti ad alcune epoche di un passato più o meno recente. Passato che, a ben guardare non ha, di fatto, consentito più di tanto la formazione di progetti di persona radicalmente cristiani.
Sulla sponda opposta a quella di questi nemici della modernità vi è il partito degli amici della modernità i quali postulano che essendo questo il mondo in cui i giovani vivono, altro non resti da fare che assumere sino in fondo la cultura della modernità, adattando il proprio progetto di vita cristiano a questa situazione, magari trasformandolo in alcune sue parti, anche significative.
Qual è allora a fronte di questa situazione il corretto atteggiamento che l'animazione deve cercare di far nascere nei giovani che vivono la sua esperienza educativa?
La risposta a questa domanda non è peregrina in quanto da essa dipende la struttura stessa del rapporto animazione/mondo e animazione/storia e, quindi, le finalità dell'azione educativa dell'animazione.
ANIMAZIONE E MODERNITÀ: LA TRASFORMAZIONE ACCOGLIENTE
L'animazione basa la sua azione educativa sulla concezione che l'uomo realizza il proprio progetto personale di vita e la sua redenzione sempre e solo all'interno di quel frammento di spazio-tempo che è la storia e la geografia della sua vita.
Nessun uomo può realizzare se stesso se non è ancorato a dei luoghi ed alla storia che in quei luoghi si sviluppa.
I luoghi che l'uomo abita, intesi non solo come natura fisica ma anche come insiemi di persone, condizionano, come si è visto nelle voci animazione e progetto e animazione e cultura, la visione di sé, degli altri e della realtà attraverso cui costruisce la propria vita.
Tuttavia per l'uomo è possibile prendere le distanze dai propri luoghi, dalla propria patria culturale e linguistica per formulare, criticamente, una visione diversa della realtà.
È però necessario sottolineare che questa presa di distanza, e, quindi, la diversità del progetto della persona, è resa possibile dalla esistenza di una cultura e di un linguaggio sociale che consente, magari solo per negazione, la formulazione di una diversa visione della realtà.
Ancora, ogni diversità individuale nella visione della realtà, negli stili di vita, nei valori e nella produzione di idee e di modi di vita nasce perché c'è una patria culturale che consente alle differenze individuali di nascere, crescere, stabilizzarsi o morire.
Questa patria culturale alternativa, nonostante tutto, è collocata anch'essa nel continente della modernità.
Infatti positivo e negativo, integrazione sociale passiva e integrazione sociale critica, pragmatismo e progettualità sono, ad esempio, coppie in cui entrambi i poli appartengono alla cultura sociale della modernità, anche se questa tende a valorizzarne uno a discapito dell'altro.
Tuttavia come è noto all'occidente sin dalle origini del suo pensiero filosofico i contrari, gli opposti sono il tessuto stesso della realtà del mondo, il motore segreto della vita.
L'esistenza di una qualsiasi realtà è sempre accompagnata da quella del suo contrario e del suo opposto.
Oltre a questo occorre ricordare che nella cultura sociale della modernità, in virtù del pluralismo tipico della complessità sociale, sono depositati anche tutti i sistemi di pensiero e tutte le esperienze esistenziali e religiose che sono state prodotte dalla storia passata e di cui si ha memoria e da quella presente. Questo significa che nella cultura sociale della modernità sono reperibili e utilizzabili anche i valori, gli stili di vita, i codici morali e le credenze che si oppongono a quelle dominanti.
Non solo, infatti, c'è anche da notare che il pluralismo della modernità rende possibile la formazione al suo interno di movimenti, di aree culturali e di modelli educativi che rifiutano la stessa modernità. Nessuna altra epoca del passato ha mai vissuto come quella attuale forme così estreme di pluralismo culturale, tali da consentire l'esistenza di movimenti che ne vogliono distruggere lo stesso fondamento.
Questa constatazione consente di dire che la stessa negazione della modernità avviene all'interno della modernità e che ne è una delle sue possibilità.
Questo non per affermare l'idea di una cultura moderna talmente onnicomprensiva e totalizzante da non lasciare alcuno spazio a possibilità di alternativa, ma solo per sottolineare che per un contemporaneo, specialmente se giovane, non è possibile elaborare modelli alternativi che a partire dalla modernità che abita.
Certe critiche radicali alla modernità, certe suggestioni di modelli di uomo e di vita alternativi che affascinano alcuni giovani non sarebbero stati possibili e nemmeno pensabili al di fuori della cultura sociale della modernità.
L'animazione fonda il suo atteggiamento verso la modernità su questa constatazione.
Esso muove, quindi, dal riconoscimento delle potenzialità della modernità per muovere verso la ricerca di un progetto d'uomo, di modelli educativi e modi di convivenza umana fedeli ai valori ed al senso della vita generati dalla Fede e, quindi, dalla necessità di realizzare nel frammento di storia che si abita la vita del Cristo.
L'animazione accoglie la modernità non per farsene irretire ma come punto di partenza della trasformazione e della redenzione della stessa modernità.
In altre parole questo significa che l'animazione coglie nella modernità, oltre a quei valori positivi di cui è indubbiamente portatrice, soprattutto la possibilità di trasformazione che essa, almeno apparentemente, offre.
L'animazione ha la pretesa, non certamente illusoria od arrogante, di offrire un percorso educativo che, pur perseguendo degli obiettivi che non sempre sono condivisi e condivisibili dalla cultura sociale dominante, riesca a mantenere le persone all'interno della società che abitano e, quindi, della storia che hanno la ventura di vivere.
Questo obiettivo di adattamento critico alla modernità che l'animazione persegue, oltre ad essere volto a tutelare l'equilibrio psicosociale delle persone, è finalizzato ad abilitare le stesse a divenire artefici di un processo di trasformazione, versus redenzione, della modernità.
L'animazione si pone, quindi, nei confronti della modernità in un atteggiamento di realismo fondato, da un lato, sulla consapevolezza che la modernità non può non essere accolta e, dall'altro lato, sull'utilizzo di tutti i mezzi culturali che la stessa modernità mette a disposizione ai fini della trasformazione secondo il proprio progetto d'uomo che, come è noto, affonda le sue radici nel modello d'uomo che la vita e l'insegnamento di Gesù ha reso disponibile e praticabile nella storia umana.
Quella dell'animazione è una scommessa educativa non facile, in quanto richiede una strategia complessa ed un equilibrio estremo, tuttavia è l'unica in grado di consentire al giovane sia la fuga dalla modernità, sia l'integrazione attiva alla stessa modernità.
L'animazione richiede agli animatori, ai giovani ed alla comunità ecclesiale un impegno ed un lavoro duro nel quotidiano per salvare il pezzo di storia e di cultura nella quale, volenti o nolenti, disegnano il progetto della loro vita.
Questo significa che l'animazione invita i giovani a dire la loro Fede nell'orizzonte, a volte buio e disperato ma sempre aperto alla speranza, della storia umana contando, come invita a fare il salmista, i giorni della loro vita per raggiungere la sapienza del cuore.
La riflessione sul rapporto animazione/modernità è anche una riflessione sul come riuscire a vivere, autenticamente, la propria fede all'interno del relativo, del debole e del frammentario, che per alcuni versi sembra segnare l'esperienza della modernità, senza per questo rinunciare al senso ed alla sicurezza che la Fede dona alla vita umana.
LE STRATEGIE DELL'ANIMAZIONE PER LA TRASFORMAZIONE DELLA MODERNITÀ
Il rapporto dell'animazione con la modernità è fondato sulla scommessa che la modernità può sia ospitare il progetto di uomo di cui è portatrice, sia aprirsi alla instaurazioni di relazioni sociali più autentiche e solidali. Questa scommessa non è fondata, però, su un ottimismo stolido e cieco in quanto l'animazione conosce le reali difficoltà che deve superare per vincerla.
La scommessa dell'animazione si basa sulla fiducia nel ruolo di trasformazione dell'educazione e, quindi, sul ruolo del gruppo come luogo formativo e della efficacia della relazione tra adulto educatore e giovane educando, specialmente quando questa si gioca all'interno di una comunità che si fa essa stessa luogo educativo. In altre parole questo significa che l'animazione crede nella possibilità di esistenza nell'arcipelago della complessità sociale di isole in cui sono stati tracciati i sentieri che conducono il giovane alle porte della sua identità personale, che gli fanno incontrare il volto dell'altro e, quindi, scoprire la città intesa come rete solidale di rapporti umani e che, infine, lo conducono in cima al monte da cui è possibile lanciare lo sguardo verso l'orizzonte che cela il mistero del Totalmente Altro.
Queste isole sono costruite dalla trama dei rapporti che una comunità educante tesse al fine di trasformare il mondo quotidiano del giovane in un cosmo, ovvero in un universo ordinato di senso.
L'animazione, infatti, per vincere la sfida della modernità non può basarsi esclusivamente sull'azione più o meno solitaria dell'animatore ma deve anche poggiarsi sulle fondamenta di una comunità in grado di assumersi pienamente la responsabilità educativa.
Quando la comunità diventa educante e promuove l'animazione allora si ha una notevole probabilità che la modernità sveli pienamente le potenzialità evolutive di cui è portatrice e neutralizzi i fattori di regressione che la affliggono.
Perché la comunità educante sia tale deve svolgere alcune funzioni particolari.
La prima funzione è quella di divenire il luogo che consente al fluire del tempo di divenire storia.
La comunità educante come luogo dove la memoria si fa storia
L'uomo dopo l'emersione della coscienza alla storia ed alla responsabilità, che è stata iniziata parzialmente dal pensiero greco e realizzata nella sua completezza dalla rivelazione giudaico-cristiana, ha la responsabilità di tessere il tempo in modo che possa strutturarsi come storia, ossia di consentire che gli eventi della vita umana abbiano un senso, non solo in sé ma anche come passi di un cammino che dal passato porta, attraverso la sua azione nel presente, verso una realizzazione ed una liberazione della condizione umana che in parte appartiene al tempo e che in parte è alla fine del tempo.
La vita, infatti, si inscrive in una storia, che per l'uomo può essere sia fonte di salvezza che di perdizione nei sentieri facili della distruttività.
È all'interno di questo orizzonte temporale che il cristiano costruisce la sua giornata terrena.
Questo compito è oggi particolarmente importante perché la cultura della modernità tende, come si è visto, a chiudere l'orizzonte di senso della vita all'interno dell'angusto limite temporale del presente. I giovani vivono in modo drammatico questa limitazione temporale attraverso la crisi di tempo che attraversa la loro esistenza.
Il primo compito della comunità educante è, quindi, quello di restituire ai giovani il senso storico dell'esistenza.
Per far questo la comunità educante e, quindi, gli animatori che la fermentano, deve assumere pienamente la coscienza che essa è sia la depositaria della memoria del passato che il crogiolo dei sogni del futuro.
È compito della comunità, e in modo particolare degli animatori, preservare la memoria culturale trasmettendola e nello stesso tempo lavorare per la transizione verso il futuro della società in cui è inserita secondo il progetto, o il sogno, di cui è portatrice.
Questo ruolo che la comunità educante deve giocare, e in modo particolare quella cristiana, è fondamentale ai fini della fecondazione della modernità. D'altronde l'evoluzione della civiltà umana si basa su questa azione educativa che consente alle nuove generazioni di collegare il proprio presente ed il proprio futuro al passato che, di fatto, li ha resi possibili.
Perché questo avvenga è però necessario che l'animatore divenga narratore della memoria che la comunità conserva mentre cerca, faticosamente, di essere fedele nella vita quotidiana al suo sogno di futuro ed a quello della comunità.
La comunità come luogo dove i valori sono vita quotidiana
Una comunità educante è una comunità in cui le persone che la abitano debbono sforzarsi di dimostrare che la loro vita, nonostante le difficoltà e gli insuccessi la affliggono, è una risposta non solo a bisogni, desideri, impulsi emotivi e calcoli razionali ma anche, se non soprattutto, è il segno di una fedeltà ad un insieme di valori.
È, infatti, compito di una comunità di veri adulti la ricerca di una condizione esistenziale non determinata solo dalle necessità della sopravvivenza o da principi di utilità e di ricerca del benessere materiale. L'uomo adulto dovrebbe riuscire, con tutti i limiti imposti dalla sua radicale finitudine, a trovare l'equilibrio tra ciò che deve fare per sopravvivere, o per vivere il meglio possibile, e i valori, dai quali solo può derivare il senso o il non senso della sua vita e del mondo che abita.
Una comunità che non sostiene la tessitura dei progetti di vita dei giovani che si affacciano in essa offrendo loro un ordito di valori, di fatto, rinuncia al dono dello sviluppo delle potenzialità umane dei suoi giovani membri lasciandoli, invece, alla deriva delle circostanze e delle manipolazioni di chi ha il potere di influire, se non di determinare, le circostanze in cui si dice la loro vita.
È la vita quotidiana all'interno di una comunità che sola può far toccare con mano che l'uomo senza valori è un uomo in balia degli eventi della vita e, quindi, delle condizioni politiche, sociali ed economiche in cui essa si svolge, oltre che delle tensioni e degli impulsi che provengono dalla sua persona a livello biologico e psicologico. Infatti la maturità, l'autonomia e la libertà di essere protagonista della propria vita derivano all'uomo dal perseguire un progetto di sé che trascende l'orizzonte, quasi istintuale, dei bisogni, dei desideri e delle passioni.
La comunità come luogo della lotta per il superamento della sofferenza nella vita umana
Una comunità educante ha tra i suoi doveri primari quello di tentare di offrire ai giovani il senso della presenza della sofferenza nel mondo e nella sua vita e, nel contempo, di operare fattivamente per ridurne la presenza.
Nonostante il progresso sociale ed economico la sofferenza continua a mostrare i suoi multiformi volti nella vita umana. C'è, infatti, la sofferenza che sorge dalla natura, c'è quella che nasce dalla psiche delle persone e, infine, c'è quella che è provocata dalla vita sociale. La lotta dell'uomo per allontanare questa presenza inquietante dalla sua vita è un succedersi di vittorie e di sconfitte in cui è, a volte, difficile osservare un qualche progresso significativo.
La cultura delle società complesse, che abbiamo riassunto qui nel paradigma della modernità, sembra aver perso la capacità di dare senso al dolore e le persone cercano, nella maggioranza dei casi, di eluderne la presenza rimuovendolo o rifugiandosi negli analgesici fisici e psichici. Non importa se questi analgesici sono sostanze chimiche, bevande, cibi, svaghi, mass media. Essi sono uniti dalla loro funzione, che è quella di nascondere il dolore, di impedirgli di interpellare la coscienza umana.
In questo tipo di cultura sociale il dolore non è più il mistero che inquieta la coscienza e pone radicali interrogativi al senso della vita umana, esso è semplicemente un evento che la razionalità dell'uomo non ha saputo prevenire o controllare.
L'abitudine, poi, a ricorrere a sostanze esterne per alleviarne la presenza ha ridotto la stessa tolleranza umana alla sua presenza ed ha reso indifese molte persone nei suoi riguardi.
Eppure la capacità di affrontare l'esperienza del dolore rimane uno dei compiti sociali fondamentali della vita umana, nonostante la rimozione della cultura sociale di questo compito di autorealizzazione umana.
Accettare di farsi interpellare dal mistero del dolore non significa, però, rassegnarsi alla ineluttabilità della sua presenza. Al contrario significa ricavare energia e sapere per una efficace lotta nei suoi riguardi.
Divenire uomini adulti significa saper scrutare il mistero del dolore e agire con tutte le risorse disponibili per combattere le cause che lo generano, pur con la consapevolezza che la vittoria su di esso si realizzerà solo alla fine del tempo.
La comunità, con il suo impegno quotidiano è il luogo che può manifestare questo impegno offrendo al giovane esperienze concrete attraverso cui camminare per acquisire questo significativo livello di maturità umana.
La comunità educante come creatrice di limiti
La vita per svilupparsi ed avere qualche probabilità di far affiorare nel suo corso la felicità ha bisogno di trovare dei limiti, ovvero delle regole e delle forme, al cui interno declinarsi. È questa una consapevolezza che è alla base del pensiero occidentale e la si ritrova espressa chiaramente sin dai primi filosofi greci. La vita, almeno quella che si sviluppa tra uomini emersi alla coscienza, nasce e si sviluppa attraverso l'incontro del desiderio, parafrasi dell'energia vitale che muove la vita dell'uomo e dell'universo, con i limiti che le norme, i codici, i saperi e i valori pongono alla sua espressione. La capacità di emettere suoni di un bambino, ad esempio, per divenire linguaggio deve incanalarsi all'interno di precise regole fonetiche. Solo questo flettersi del suo desiderio di comunicazione alle regole del codice linguistico consentono al bambino di acquisire la capacità concreta di comunicare. La coscienza stessa dell'uomo è il regolatore fondamentale di questo incontro/scontro tra desiderio e limite.
Questi limiti, per non divenire una prigione della creatività della vita e, quindi, produttori di morte, devono essere continuamente ed incessantemente rinnovati attraverso un loro continuo riadattamento alle mutazioni delle persone, della società e della natura.
Compito della comunità educante, se vuole essere produttrice di vita, è quello di operare affinché questi limiti esistano in misura adeguata e siano continuamente rinnovati ed adattati alle mutate condizioni storiche ed esistenziali.
Questa sua azione la comunità la realizza, oltre che con la genitorialità dell'educazione, anche attraverso la sua partecipazione attiva alla vita sociale e politica.
La comunità educante deve, poi, dimostrare che i limiti che essa produce o veicola sono sempre superati e superabili dall'amore inteso nel modo che Gesù ha insegnato. Infatti i limiti sono creativi quando sono sottomessi alla legge dell'amore. Sono una prigione quando ricavano da se stessi la loro ragione di esistenza.
La comunità educante come luogo in cui la parola si fa silenzio
La comunità, attraverso gli adulti che la formano, non deve però solo essere attiva, deve, infatti, anche riuscire ad essere passiva, nel senso che essa deve offrire al giovane la consapevolezza che il suo compito esistenziale non è solo quello di trasformare la vita ma anche quello di contemplarla. Questo significa che la comunità deve essere in grado di creare esperienze di silenzio, di lasciarsi, cioè, pervadere da ciò che esiste per riuscire a offrire ai giovani l'esperienza di una comprensione che va al di là delle loro personali precomprensioni e visioni del reale. La capacità di fare silenzio è, tra l'altro, l'unica in grado di consentire ad ogni persona di comprendere e di accettare gli altri nella loro singolarità irrepetibile, così come ogni altra manifestazione del vivente.
In una realtà in cui dominano il soggettivo, il relativo e la fragilità di fronte alla possibilità di comprensione della realtà, il silenzio appare come una delle poche vie che consente una comprensione "oggettiva". Il silenzio consente, infatti, una conoscenza non distorta dalla propria soggettività perché è un tentativo di percepire direttamente la soggettività della realtà contemplata lasciandosene pervadere. Tra l'altro è attraverso il silenzio che la persona umana può percepire le vibrazioni che provengono dalla fonte profonda e misteriosa dell'Amore.
La comunità come presenza al mistero inquietante della morte
La morte è il mistero più descritto e, nello stesso tempo, più rimosso dalla nostra società. Basta infatti accendere il televisore o aprire un giornale per essere inondati da descrizioni, a volte impudiche, di eventi luttuosi reali o immaginari. Qualcuno ha calcolato che un telespettatore medio in un anno vede, tra finzioni e cronache, alcune migliaia di morti.
Questa descrizione, quasi barocca, della morte che i mass media offrono non è che il tentativo di esorcizzarla. La si descrive perché la nostra cultura non ha più gli strumenti idonei per spiegarla, per dare ad essa un significato.
Il pensiero della morte, così come la sua presenza materiale concreta, è sempre più rimosso dalla vita quotidiana delle persone.
La morte quando accade, specialmente nelle grandi città, è nascosta in luoghi separati. Questa rimozione si manifesta poi in modo molto evidente nel generalizzato rifiuto da parte delle persone di considerare che ogni loro progetto, prima o poi, incontrerà il limite radicale della morte. La maggior parte delle persone vive come se non dovesse mai morire.
Eppure, nonostante la nostra volontà la morte è il confine che segna tutti i nostri sogni di futuro e balena da tutte le esperienze del ricordo.
La sfida alla modernità richiede che l'animazione sappia offrire al giovane la capacità di affrontare nel progetto della sua vita il significato di questo evento, se non vuole che la sua vita si inaridisca e perda la sua reale dimensione di senso. La sua stessa salute psichica, presente e futura, dipende dalla sua capacità di dare significato all'evento della morte come confine della sua vita.
Molte angosce, molte nevrosi e molte depressioni che affliggono gli abitanti delle culture delle società complesse sono figlie della rimozione della morte.
Solo l'esperienza di una comunità educante impegnata nella sua vita quotidiana ad offrire il senso al confine della vita umana può sostenere questa ricerca che animatore e gruppo giovanile debbono compiere.
La comunità educante come luogo del già e del non ancora del Regno
Lo scacco definitivo alle potenzialità negative della modernità l'animazione la offre quando il giovane comprende di doversi impegnare nella vita con la consapevolezza di essere un esecutore imperfetto di un disegno più grande, che già esiste ma che ancora deve rivelarsi nella sua completezza. La sua vita ha il compito di essere fedele a questo grande disegno che comprende e ricapitola tutti gli altri di cui è protagonista.
Affinché possa acquisire questa consapevolezza il giovane deve essere sorretto dalla esperienza di una comunità che testimonia la Fede che se si lavora con fedeltà e coraggio alla costruzione del Regno, quale sia la durata ed il successo del proprio lavoro, si abiterà per sempre nel Regno. Allo stesso modo la comunità deve anche essere lo spazio in cui si manifesta la consapevolezza che le esperienze dell'insuccesso, della sconfitta e del fallimento se poste con Fede ai piedi della Croce, diventeranno anch'esse passi importanti nella costruzione del Regno.
Queste consapevolezze, che solo la Fede può dare, sono l'antidoto più efficace sia alle tentazioni prometeiche della modernità, sia alla disperante angoscia che deriva all'uomo dalla contemplazione della sua radicale finitudine attraverso le categorie della debolezza e della fragilità.
La fede apre all'uomo le porte del raggiungimento della sua umanità integrale. Questa Fede è conservata è trasmessa dalla comunità dei credenti attraverso l'annuncio e la testimonianza di cui l'educazione è un volto.
Conclusioni
La modernità, ovvero lo spazio tempo culturale in cui si dice la vita attuale, può essere rigenerata attraverso l'educazione nello stile dell'animazione culturale a patto che questa avvenga all'interno di una comunità che ne assume pienamente la responsabilità. La comunità educante è il solo luogo dove possono, infatti, venir coltivati gli enzimi che venendo a contatto con la modernità la trasformano svelando in essa le positività evolutive che essa contiene e consentire, perciò, ai suoi giovani membri di vivere nel loro tempo e nello stesso istante la loro fedeltà al progetto d'uomo che ha in Cristo il suo referente primo ed ultimo. I mali della modernità non si esorcizzano, quindi, con la fuga in un altro tempo della storia ma assumendola attraverso la mediazione di una comunità che è portatrice di quelle istanze profonde di vita che sono nell'amore per l'uomo svelato da Gesù e di cui l'animazione, a livello educativo, è uno specchio imperfetto.