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    Adolescenti e penitenza: cosa dicono gli educatori


     

    (NPG 1980-09-27)


    Abbiamo chiesto ad un gruppo di sacerdoti che lavorano nella équipe della pastorale adolescenti a Verona, di chiaccherare liberamente davanti ad un registratore e descrivere come vedono il rapporto tra adolescenti e confessione.

    I perché della crisi

    Don Franco
    Per capire quel che succede oggi a proposito di confessione dei giovani mi sembra utile cominciare con alcune osservazioni di tipo teologico. Bisogna anzitutto dire che i nostri adolescenti non hanno maturato un chiaro senso del peccato. IAD vedono come una macchia, come qualcosa da togliere, ma non come la crisi di un rapporto di amicizia. Chi poi lo vede in questo senso, raramente percepisce la dimensione sociale del peccato: in genere si ferma ad una lettura «io-tu» con Dio. Proprio per questo l'adolescente fa fatica a capire la mediazione ecclesiale. Troppo spesso gli adolescenti si chiedono: «perché un prete?».
    A queste osservazioni di tipo teologico vanno aggiunte, per capire la crisi, alcune considerazioni di carattere psicologico. Il contenuto psicologico della confessione (il bisogno di confidarsi, di accoglienza) prevale su quello teologico. Questo spiega anche come certi adolescenti rifiutino le confessioni frettolose: sotto l'aspetto psicologico non dicono niente.
    Un aspetto su cui poi mi piacerebbe sentire il parere degli altri è il come gli adolescenti vivono il rapporto passato-futuro nella confessione. È giusto riconoscere che alcuni rifiutano la confessione-scarico e ricercano la confessione-progetto. Ma fino a che punto?

    Don Antonio (responsabile Casa Serena)
    Ho fatto una veloce inchiesta tra giovani di seconda e terza liceo. Ne traggo alcune conclusioni. Occorre distinguere tra i credenti-praticanti e i credenti-non praticanti. Per questi ultimi la confessione è un fatto scontato, non esiste se non in tappe familiari. Soprattutto a Natale e Pasqua (più a Natale) la famiglia indirizza tutti i componenti alla confessione: un rito sociale, di ambiente e basta. Per i praticanti. Gli adolescenti fanno molta fatica a capire il discorso «prete»: perché deve entrarci il prete nel rapporto uomo-Dio? Poi c'è il discorso del peccato. La frase che spesso, anche se in modi diversi, sento ripetere è: «io mi confronto con la mia morale». All'adolescente mancano dei chiari termini di confronto, dei criteri morali si potrebbe dire, per capire il peccato.

    Don Giuliano
    Stiamo cercando il perché di una crisi. E va bene. Mi sembra importante però riconoscere che la crisi nasce già durante la scuola media e prima ancora. La crisi nasce quando si sviluppa il senso del pudore e della riservatezza che non permettono al ragazzo di parlare con il prete con spontaneità. È a quel punto che il ragazzo si chiede a che serve la confessione. Le premesse per rarefare le confessioni o per renderle insignificanti sono forse qui.
    Vorrei aggiungere che abbastanza spesso trovo dei giovani scoraggiati. Il dover cominciare sempre da capo spinge a chiedere a che serve la confessione-verifica e lo stesso cammino di conversione. Raramente i giovani affrontano questa difficoltà in chiave teologica, di rapporto liberante con Dio. La crisi nasce dall'eccessivo peso all'aspetto psicologico.

    Don Sergio
    Personalmente credo che uno dei motivi più forti di crisi sia la carenza di senso del peccato, carenza che nasce da una morale troppo soggettiva: «a me piace... quindi quel che mi piace è buono...».
    Per quelli che vivono il sacramento mi pare di notare che è un fatto troppo saltuario e legato al bisogno di sfogo psicologico. Rispondendo alla domanda sollevata prima, mi sembra che non ci sia in genere un impegno per costruire il futuro. Preoccupa, al contrario, un eccessivo fatalismo: «tanto, - sento dire - domani sarà come ieri e quindi...», oppure: «oggi vuoto il sacco... ma ne avrò nuovamente bisogno!».
    Mi sembra giusto però, per valutare la situazione, rilevare un fatto che a me fa pensare. Oggi confesso gli adolescenti, più che nel passato. Sia in termini quantitativi (è aumentato il numero di coloro che chiedono di confessarsi), sia in termini qualitativi. Non è infrequente trovare adolescenti e giovani che si propongono un itinerario forte, difficile e coerente di crescita. Certo non oso generalizzare.

    I peccati che gli adolescenti confessano

    Don Antonio (Casa Serena)
    Quali peccati confessano gli adolescenti? Normalmente non sento mai dire le mancanze di carità e giustizia. Io li vedo più preoccupati di un discorso di preghiera e di mancanze sessuali, più che egoismo. Sento molto spesso delle confessioni-disco, senza una vera presa di coscienza delle cose che vengono dette...

    Don Sergio
    La mia esperienza è diversa. Trovo con frequenza accuse contro la giustizia e la carità. Gli adolescenti parlano dei loro problemi scolastici, familiari e così via. La mia impressione è che ci sia più sensibilità all'aspetto sociale del peccato rispetto al passato.

    Don Paolo
    Io trovo molto spesso uno schema fisso di confessione che risale ancora all'infanzia e alla cresima: doveri verso Dio, verso i genitori... Quello che mi sembra emerga è la incapacità di fare una sintesi tra la fede ed il vissuto concreto. Quando si dice che il metro su cui misurare la propria coscienza non è per il cristiano il buon senso, ma la parola di Dio, le beatitudini, la povertà... allora gli adolescenti rimangono meravigliati e sorpresi. C'è uno schema di base, nell'analizzare la propria vita, molto pagano.

    Don Giuliano
    L'adolescente sente il peccato come rottura di un rapporto personale, più che nel suo risvolto «ecclesiale». Per questo nell'accusa prevale la sensazione dello sgravio psicologico, senza confessione di responsabilità verso la comunità di cui in qualche modo si è ritardato il cammino.
    Tra i peccati «sociali» quello a cui gli adolescenti sono più sensibili è la crisi o la rottura dei rapporti in famiglia. Il crollo del clima familiare è per loro un peccato serio. Sentono anche molto il peso di quella forma di violenza che è il linguaggio aggressivo o sboccato.

    La ricerca di un nuovo linguaggio

    Don Franco
    Abbiamo più volte accennato in questa conversazione all'aspetto psicologico della penitenza in termini negativi. Mi sto chiedendo se è tutto quello che si può dire... Io penso che la componente psicologica possa avere un peso positivo per aiutare gli adolescenti a scoprire il sacramento in tutta la sua ricchezza. Certo perché questo possa accadere non basta più parlare con il linguaggio tradizionale. Occorre un nuovo linguaggio: riconciliazione come gioia, riconciliazione come incontro personale con Cristo e con i fratelli. Occorre educare il giovane a capire in profondità certi aspetti psicologici della sua vita fino a percepire il valore teologico del peccato. Questo in genere è visto semplicemente come sconvenienza, come rottura con qualcuno, oppure come soddisfacimento di un bisogno e di un istinto.
    È chiaro, ritornando al discorso psicologico, che tocca agli educatori fare in modo che la confessione non si riduca a semplice sfogo, o a scarico dei sensi di colpa. In fondo questo non sta bene neanche all'adolescente che infatti dopo un poco non si accosta più al sacramento.
    Mi sembra anche importante quello che si diceva prima: educare a vivere la confessione meno in rapporto al passato e più in funzione del futuro. Noi abbiamo cercato di affrontare questo problema durante i campi estivi. Per non ridurre la confessione a «dire i peccati», impostiamo delle intere giornate penitenziali. Intanto ci prepariamo insieme in modo da sensibilizzare ad un'analisi di sé più evangelica e più attenta alla dimensione collettiva. E poi diamo molto tempo alla ricerca personale di un programma di vita per il futuro. La conclusione è alla sera con il ringraziamento fatto tutti insieme.

    Don Giuliano
    Mi sembra siamo entrati nel problema dello «spazio» in cui l'adolescente può confessarsi. Proseguo in questa direzione. Quando l'adolescente si confessa? Quando trova non tanto l'occasione in senso generico, ma piuttosto un clima chelo aiuta a compiere un cammino di presa di coscienza del tutto personale della sua presenza responsabile davanti a Dio.
    Se pur l'adolescente fa fatica a riprogettarsi, perché i suoi progetti sono lenti, sente tuttavia abbastanza il bisogno di fermarsi. In questo «spazio» è capace, se aiutato, di puntualizzare alcune situazioni di peccato personale.
    Ritorna in questo contesto una delle difficoltà più comuni dell'adolescente, e cioè quella dell'accettazione del ruolo del prete. Io credo che spesso egli rifiuta un certo tipo di prete e non il prete in sé. Quante volte gli adolescenti vengono a dirmi: «il mio prete mi liquida frettolosamente». Credo che quando trova il prete giusto l'adolescente impara ad accettare, sempre se aiutato, non solo il tipo simpatico, ma il prete in quanto tale.
    Vorrei anche accennare, nella direzione della ricerca di un nuovo linguaggio, che gli adolescenti sono molto sensibili alla confessione come «dono», come effetto di una gratuita iniziativa di Dio nei loro confronti. È un'esperienza di pochi, ma esiste ed indica una lettura del sacramento a cui fare attenzione con tutti.

    Don Antonio (Casa Serena)
    Penso che per una comprensione nuova della penitenza, la si debba presentare nell'ottica dell'autoprogettazione, con una particolare attenzione non solo a quello che sono oggi ma anche a quello che possono diventare domani.
    È importante, in secondo luogo, far risaltare di più, nel modo non solo di presentare il sacramento ma anche di celebrarlo, la misericordia di Dio. Troppe volte la confessione è attenzione a se stessi; molto meno è attenzione a Dio. Vanno recuperati in questo senso tutta una serie di testi biblici che ci pongono davanti in maniera forte la misericordia gratuita di Dio. L'accentuazione di questa dimensione è di grande aiuto all'adolescente: si sente invitato a non ripiegarsi, ma a camminare in avanti dove qualcuno lo precede e lo attende.

    Don Antonio
    Mi permetto di leggere una testimonianza di una ragazza di 15 anni. «Non so cosa per me sia la confessione. A volte ne sento un bisogno impellente e mi accosto ad un sacerdote, desiderosa del perdono di Dio. Ma quando tutto si conclude, mi trovo ancora al punto di partenza: Ho ancora dentro di me tutti quei dubbi e quesiti che avrei voluto fossero chiariti. Forse non ho trovato il sacerdote che capisca o forse sono io che non ho voglia di confessarmi. Non vorrei che la confessione fosse la solita sfilza di peccati detti al sacerdote che con aria bonaria ascolta, pronto a dire una parola di rimprovero. Vorrei che la confessione fosse un dialogo tra il prete e la persona, un discorso, una discussione e, se necessario, anche un battibecco».
    Ne traggo velocemente una riflessione. Ho l'impressione che i preti in confessione esprimano poco la paternità di Dio. Troppe volte la, riducono a benevola comprensione o a giudizio sbrigativo. Raramente il discorso è di chiarezza e di responsabilizz azione.

    Don Paolo
    Credo anch'io che manchi un'educazione al senso del peccato. Probabilmente perché ancora più a monte manca un'educazione all'integrazione fra fede e vita. La fede viene, nonostante tutto, ridotta ad alcune esperienze più o meno belle e forti, senza però un diretto e concreto contatto con la vita di ogni giorno, che resta così tagliata fuori da un discorso di fede.
    D'altra parte per un'educazione alla penitenza non basta la catechesi sul peccato. Bisogna allargare il discorso. Bisogna partire dalla dimensione umana del sacramento, per educare a vivere il rapporto fra «interno» ed «esterno». Moltissimi dei gesti che compiono sono senza vero senso per gli adolescenti. Non li riguardano. È dalla riappropriazione dell'umanità del gesto che occorre ripartire, perché anche il gesto di parlare con un sacerdote è un gesto umano prima che un fatto di fede.
    Il vero problema però, a mio parere resta quello della identità che l'adolescente è chiamato faticosamente a darsi e ad esprimere nei gesti in modo autentico. Agli adolescenti di oggi manca troppo spesso il coraggio di essere chiari sulla propria identità. Occorre un lavoro paziente, perché diventino capaci di incontrarsi seriamente con il proprio io e dirsi la verità.


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