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    I giovani del Sud e la Chiesa



    Michele Cipriani

    (NPG 1975-05-71)

    Premesse

    Abbiamo somministrato il questionario da noi costruito a 1.440 giovani (686 maschi, 754 donne), la totalità degli iscritti all'ultimo anno delle scuole superiori stella zona omogenea Murgia Costiera.
    L'indagine è stata effettuata tra il 4 e il 25 aprile 1968. A poco meno di 7 anni mila raccolta dei dati, quale valore conservano?
    Pur tenendo presente la rapidità del cambiamento sociale, dobbiamo onestamente affermare, confrontando l'indagine lsvet su I giovani e la condizione giovanile in Italia, quella promossa dalla CEI su Evangelizzazione e Sacramenti e le più recenti indagini Doxa, che le indicazioni emerse dalla nostra ricerca sono confermate e talora, come rileveremo, accentuate.
    La preoccupazione direttamente pastorale che motiva questo articolo ci spinge a rimandare il lettore, interessato ad una analisi più approfondita dell'argomento, alla elaborazione completa della ricerca: M. Cipriani, I giovani del Sud e la Chiesa. Edizioni del Circito, Cassano (Bari), 1971.
    Per questo motivo, abbiamo omesso gli apparati scientifici della ricerca e ridotto ai minimo le tabelle.

    CHIESA E RELIGIONE NEI GIOVANI DEL SUD

    Tra i molti indicatori analizzati nella nostra ricerca, riferiamo quelli di particolare interesse per la pastorale giovanile.

    Influenza sulla formazione religiosa

    Per i nostri soggetti la famiglia ha inciso sulla formazione religiosa nella percentuale del 61 %; una percentuale tanto più significativa se si tiene conto che questi giovani, pur essendo passati attraverso le associazioni cattoliche in gran parte e, nella totalità, attraverso i banchi della scuola fino a 15 anni, solo nella misura del 10% e del 17% sono influenzati educativamente dalle associazioni cattoliche e dalla scuola.
    Anche a proposito di una domanda complementare che chiedeva «chi ha determinato il tuo atteggiamento religioso attuale», risulta notevole l'influenza educativa religiosa della famiglia (29%) rispetto alla scuola (11%) e alle associazioni cattoliche (14%) , mentre compare significativamente saturata, la voce «me stesso» (26%) separata in sede di lettura dei questionari dalla voce «altri motivi». L'influenza della famiglia nel Meridione, come viene confermato da altre ricerche, è notevolissima: si manifesta qui con evidenza la necessità di collaborare con la famiglia per una efficace educazione religiosa, e non soltanto religiosa, dei giovani. I decreti delegati opportunamente e doverosamente hanno responsabilizzato e chiamato i genitori alla gestione della scuola e se le speranze da quelli suscitate non saranno distrutte dalla politicizzazione esasperata e da una certa apatia, in parte giustificabile per lo spazio inesistente lasciato nella vecchia scuola alla famiglia, più numerosi e ricchi valori saranno proposti alla crescita educativa dei giovani.
    Dai dati appare con sufficiente evidenza la necessità di cambiare i metodi educativi visto che i giovani non ne traggono adeguato beneficio. Sembrerebbe che le associazioni e scuola siano intese più come luogo di trattenimento e «stazioni di servizio religioso» o ufficio e rivendita di nozioni varie, che non come luogo di fede, speranza e carità, ed istituto educativo. Una lettura delle risposte catalogate sotto la voce «me stesso» e «altri motivi» è di grandissimo interesse per cogliere quanto di più vario ed inimmaginabile possa in realtà determinare l'atteggiamento religioso di un giovane.

    Catechesi inadeguata ed incompleta

    Diversi elementi porterebbero alla conclusione che la catechesi del rito liturgico e della verità religiosa è inadeguata.
    I motivi vari, rappresentati dal 26%, sono soprattutto la trascuratezza, il non sentirne il bisogno e la mancanza di tempo.
    Il 23% dei nostri soggetti ritiene che le suddette pratiche siano «sorpassate per il mondo d'oggi»; la punta più alta (40%) è toccata dai figli unici: dipenderà forse dal fatto che questi, perché unici, e quindi più curati educativamente, hanno una sensibilità diversa e maggior senso critico?
    Sorpassate nella sostanza e nella forma? Una richiesta discreta di aggiornare i riti alla sensibilità moderna? E gli aggiornamenti operati, quali risultati hanno portato?
    Soltanto il 3% ritiene che le pratiche religiose gettino il ridicolo su chi le compie; non è da trascurare il fatto che la percentuale più alta nei sottogruppi è data (7%) proprio da coloro che si dicono influenzati dalla Chiesa e che perciò hanno avuto la opportunità di vedere più da vicino le cose.
    «Non si riesce a capirne il senso» con il 35% di risposte, ci pare un dato che denunzi con sincerità la consapevolezza nell'agire dei nostri soggetti, la difficile comprensione e l'insufficiente e inadeguata catechesi del rito religioso.
    Solo il 12% ritiene che le pratiche religiose sono valide per la gente ignorante.
    Un’altra domanda chiedeva la «funzione» dei dogmi, dei misteri e delle verità religiose. Ecco le risposte in percentuale:

    – Aiutano a dare un senso alla vita: 34.
     Aprono nuovi orizzonti spirituali: 29.
     Sono incomprensibili: 8.
     Arricchiscono il patrimonio culturale: 4.
     Con il progresso della scienza tramontano sempre più: 7.
    – Non hanno niente a che fare con la vita: 10
     Sono contrari allo sviluppo scientifico: 5.
     Sono contrari alla ragione: 4.

    Abbastanza significativo è il 29% di coloro che ritengono che le verità religiose aprono «nuovi orizzonti spirituali».
    A nostro avviso, meriterebbe una attenta riflessione 1'8% di coloro che ritengono«incomprensibili le verità religiose» e il 10% di coloro che ritengono che queste «non hanno niente a che fare con la vita».
    Si vuole denunziare la deficienza di una catechesi adeguata alle esigenze e alle categorie mentali dei soggetti, il fallace tentativo di voler ridurre il soprarazionale e il trascendente nelle dimensioni del razionale e dell'empirico, il distacco tra la religione e la vita?
    Pochi, il 4% accettano la riduzione delle verità religiose ad un elemento che si aggiunge al vasto patrimonio culturale dell'umanità.
    Il fatto che solo il 5% dei nostri soggetti ritenga che le verità religiose siano contrarie allo sviluppo scientifico e il 4% ritengano che siano «contrarie alla ragione» ci sembra possa indicare una migliore consapevolezza delle verità religiose rispetto al passato e l'assenza di pregiudizi ed anticlericalismi tradizionali comuni ad altre zone.
    Si denunzia, ci sembra, con sufficiente chiarezza, una carenza di catechesi rivolta ai problemi civili e sociali più gravi dell'uomo d'oggi; come se il cristianesimo non avesse proprio nulla da dire in merito e tutta la sua attenzione fosse per lo spirituale e il trascendente.
    Una ulteriore chiarificazione a questo discorso proviene dal raffronto con la domanda «la religione cattolica, secondo te, ha un'influenza sui comportamenti morali e sociali».
    E estremamente interessante notare che l'influenza della religione si esercita per il 38% dei soggetti sull'onestà personale e nel comportamento verso gli altri (34%); per il comportamento verso la famiglia, invece, abbiamo il 12,8% delle risposte. Bassissime percentuali si hanno in ordine alla formazione sociale: comportamento civico 5%, ordine sociale 5,3%, professione 3,1%; le donne poi hanno la percentuale più bassa in fatto di formazione alla socialità. La bassa percentuale ci sembra una prova evidente di come la famiglia, la scuola e la Chiesa non formino ancora ad una dimensione sociale, ma si limitino a formare il «buon ragazzo».
    Sarà questa sua mancata incidenza sulla formazione sociale a far ritenere che la religione non abbia alcuna potenzialità morale-sociale e che essa stia all'origine della scarsa sensibilità dei meridionali per i valori societari e comunitari della Chiesa? Siamo di questo avviso. Anche qui si denunzia la carenza di una catechesi sociale.

    Laicizzazione delle motivazioni

    Ci sembra che la mancanza di una catechesi sociale puntuale e attenta alla complessa e mutevole realtà sociale sia forse tra le cause principali che stanno alla base della separazione della fede dalla vita, quasi che possa esserci una fede autentica che non sia pienamente inserita nella vita, e un brano di vita che possa sottrarsi alla fede.
    Ecco le risposte in percentuale, alla domanda «Ritieni che la tua scelta politica...»:
     Debba essere fatta in concordanza con le proprie convinzioni religiose: 36.
     Debba essere indipendente dalle convinzioni religiose: 60.
     Possa essere contro le proprie convinzioni religiose: 3.
    Nel nostro campione è quasi doppio il numero di coloro che ritengono che la scelta politica debba essere fatta indipendentemente dalle condizioni religiose. Si direbbe che in questa risposta si intreccino pregiudizi
    errori e giuste istanze.
    Si vuol forse dire che la Chiesa dovrebbe ingerirsi di meno o pesare affatto nella politica partitica, e per realizzare ciò si afferma la scelta politica indipendente dalle convinzioni religiose? In che misura è vera e
    reale tale ingerenza: è giustificabile in certi casi e per particolari circostanze?
    L'istanza, altre volte pure esigita, di una Chiesa non immischiata nella politica partitica ci sembra valida e da perseguire ed è indice di un sano senso di responsabile laicità e di giusta libertà.
    Ma una religione che non ispiri anche le scelte politiche è una religione che investe tutto l'uomo e i suoi problemi o non è piuttosto «una dimensione» della vita e quindi non più religione autentica?
    Le scelte politiche devono rimanere politiche, ma devono pure essere illuminate dai principi religiosi.
    Il fatto che solo il 3% opererebbe la scelta politica contro le proprie convinzioni religiose manifesta il fondo religioso dei meridionali; il fatto che il 60% opererebbe la scelta politica indipendentemente dai principi
    religiosi, farebbe pensare ad un notevole indebolimento delle motivazioni religiose come fondamento dell'azione umana, ad un processo di laicizzazione dell'agire umano.

    Acuto senso di giustizia

    Degli intervistati il 37% ritiene più importante ed urgente la prospettiva di evoluzione verso una società senza classi e distinzioni, basata sulla eguaglianza perfetta dei diritti e doveri, il 33% verso una società più morale con una riforma di costumi e affinamento della coscienza, il 12% verso una società più giusta dove i lavoratori, oltre a ricevere un buon salario, partecipino agli utili e alla gestione delle aziende. Le tradizionali piaghe del Sud della miseria, del sottosviluppo, della emigrazione e della disoccupazione oltre che ad esprimersi socialmente con il primato di delinquenza minorile e di disadatttati, alimentano nei giovani insoddisfazione e «rabbia», accresciuta dalla crisi petrolifera, che diventano ogni giorno più esasperazione e disperazione tali di cui non si vede chiaramente lo sbocco.

    Atteggiamento di fronte alla Chiesa

    Si può ritenere che i nostri soggetti riconoscono nella propria vita la influenza della religione cattolica e ripongono la loro fiducia nella Chiesa per la edificazione di un mondo più giusto.
    L’86,5% dei nostri soggetti riconosce esplicitamente l'influenza della religione cattolica nella propria vita, il 13,5% la nega.
    Sottoponendo gli uni e gli altri a domande fondamentali, quali la sistemazione, il miglioramento della propria posizione, il matrimonio, l'educazione da impartire, la scelta politica, il dogma, la morale e i sacramenti, per stabilirne un rapporto di coerenza, è risultato che gli influenzati dalla religione cattolica presentano la percentuale più bassa di coerenza nel migliorare la propria posizione, e nelle scelte politico-sociali (riappare la laicizzazione delle motivazioni) , gli altri manifestano la più bassa coerenza nelle pratiche religiose. Si avverte il fondo comune cristiano dei nostri soggetti.
    Volevamo sondare se i giovani avessero fiducia nella religione cattolica per la costruzione di un mondo più giusto.
    A questa domanda, la grande maggioranza (84%) ritiene di sì, perché essa ha validi contenuti ed aiuta tutto l'uomo.
    Il 15% ritiene che la Chiesa cattolica sia incapace di contribuire a creare un mondo più giusto; di questi il 3% perché la Chiesa è avulsa dalla realtà della vita e legata a interessi terreni, e il 3% perché giudica insufficienti i contenuti e l'azione della Chiesa. Le ragioni più numerose che motivano il no sono date dall'egoismo umano, dalla corruzione, dall'insensibilità ai valori dello spirito e dalla incoerenza dei cristiani. Solo pochi legano il no alla intrinseca incapacità della Chiesa a creare un mondo più giusto: percentuale che può con ogni probabilità identificarsi con il 3% di coloro che ritengono la religione «oppio dei popoli».
    Sembra, in sintesi, che i nostri soggetti, nonostante alcuni atteggiamenti critici, credano ancora nella validità della Chiesa per l'edificazione di un generico mondo migliore, manifestando l'assenza di pregiudizi nei confronti della Chiesa ed una continuità con la tradizionale matrice religiosa cattolica del meridione.
    Con un'altra domanda si chiedeva un giudizio globale sulla Chiesa, mediante l'accettazione di una delle seguenti affermazioni (era possibile una sola risposta). Ecco il quadro in percentuale:

    – La Chiesa rappresenta per me la comunione dei Santi, il Corpo Mistico attivo: sono fiero di appartenervi: 24.
     La Chiesa è miracolo di solidità e di grandezza: di origine certamente divina: 16.
     È la parte spirituale del mondo ed ha funzione storica di ritrarre le masse dal male: indispensabile, forse, per chi non sa farsi da solo una norma di vita: 26.
     Nell'80% la Chiesa è irrigidimento su basi convenzionali dello slancio del primo cristianesimo: 4.
     La Chiesa, per me, a volte è niente e a volte è tutto: 23.
     È dispotismo e autorità, contro la libertà: 1.
     È un'arma di certi partiti per tutelare gli interessi della classe capitalistica: 6.

    Il 24% del nostro campione coglie la Chiesa nella sua realtà sovrumana e si dichiara fiero di appartenervi.
    Per il 16% la Chiesa è un miracolo di solidità e di grandezza: di origine certamente divina. Fino a qual punto è «semplice riconoscimento» per una certa perfezione strutturale esterna, piuttosto che per la soprannaturalità della Chiesa? Fino a che punto significa anche adesione e partecipazione attiva alla vita di questa realtà sociale?
    11 49%, percentuale abbastanza consistente, ha un giudizio «ambivalente» di fronte alla Chiesa; il 26% riconosce alla Chiesa la «funzione storica di ritrarre le masse dal male», ma tale funzione è indispensabile, forse, per chi non sa farsi da solo una norma di vita.
    Una tale opinione ci pare non abbia colto l'aspetto trascendente della Chiesa ed anche la sua necessità, almeno de jure, per la salvezza. L'affermazione «La Chiesa, per me, a volte è nulla e a volte è tutto» è condivisa dal 23% dei soggetti; indice soltanto di instabilità giovanile, o non piuttosto, errata concezione della Chiesa, concepita nella dimensione soltanto divina o soltanto umana?
    Il giudizio che abbiamo chiamato ambivalente per le risposte «è la parte spirituale del mondo...» e «la Chiesa per me...», diventa decisamente negativo per 1'11% dei nostri soggetti.
    Il 4% lamenta che la Chiesa è «per 1'80% irrigidimento su basi convenzionali dello slancio del primitivo cristianesimo»; il 6% è «un'arma di certi partiti per tutelare gl'interessi della classe capitalista»; per l'1% è «dispotismo e autorità, contro la libertà».
    Ci pare una precisa critica contro certi comportamenti della Chiesa giudicati formalistici e in opposizione al Vangelo, contro certo politicantismo conservatore, contro l'autoritarismo e il dogmatismo.
    Ci sembra, insomma, di poter dedurre un atteggiamento di transizionalità dei nostri giovani di fronte alla Chiesa; si è ad un bivio: o il rifiuto della Chiesa o la sua accettazione come realtà terrena e trascendente insieme.

    PROBLEMI ALLA PASTORALE

    Abbiamo interpellato i giovani, ci hanno risposto con sincerità e sufficiente chiarezza, abbiamo trascritto sopra alcuni atteggiamenti e aspirazioni, quelli che ci sono apparsi più significativi da un punto di vista pastorale. Ci permettiamo proporre le implicanze pastorali che a nostro avviso deriverebbero dalle rilevazioni fatte e quanto la nostra limitata personale esperienza suggerirebbe.

    Transizionalità dei valori

    Tre fatti, ci sembra, si impongono all'operatore pastorale meridionale: se un fondo di non ostilità preconcetta verso il cristianesimo o di larga empatia verso la religione cattolica, il quadro dei valori tradizionali è in fase di mutamento e si avverte già un nuovo modo di sentire.
    È giustificata la fiducia nella propria azione: manca l'avversione e la spinta anticlericale; bisogna fare appello e collegarsi a questa simpatia e a questo fondo cristianeggiante. Il pensare di dover partire dal nulla nella propria azione pastorale è ingiustificato e vuol dire sciupare preziose energie e possibilità.
    Il pretendere di appoggiarsi ai valori tradizionali quasi non fossero sottoposti a profonda revisione e non mostrassero delle crepe o il volerli riproporre tout-court nella veste tradizionale, significa camminare contro la realtà ed essere destinati a combattere una battaglia perduta e ad essere emarginati. Nel fascio dei valori tradizionali, bisogna individuare i valori veri, quelli autentici, perenni e riproporli nella sensibilità e nella veste di moda.
    Altro atteggiamento deprecabile, e purtroppo osservabile, è la mania di buttare al diavolo tutto ciò che porta il marchio di antico e tradizionale, nella speranza, troppo spesso vana, di riuscire graditi e alla moda, a gente che vive di moda e di novità.
    In ogni periodo di transizione, e il nostro tempo lo è con molta evidenza. capita come il mosto: con il vino buono sono frammisti moscerini, feccia ed altro ancora; si richiede tutta la perizia del mestiere, il tempo e la pazienza per poter gustare un bicchiere di vino schietto ed etichettarlo per vino di qualità.
    Sembrerebbero, oggi, qualità preminenti nell'operatore pastorale la fiducia nella gente e una prudenza coraggiosa che sa cogliere e proporre «nova et vetera» con intelligenza e pazienza.
    La instabilità e sperimentazione sono due categorie mentali da imparare ad ogni costo in un tempo di grande mobilità in tutti i sensi, quale è il nostro.
    Un discorso questo, complicato, ma poiché si tratta di azione pastorale, questa si colloca in realtà nella linea di una collaborazione al principale agente Cristo e al suo Spirito; e questo non potrebbe, né dovrebbe essere dimenticato.

    Revisione educativa

    La limitata incidenza educativa della parrocchia e delle associazioni cattoliche in termini numerici e qualitativi impongono un'attenta revisione dei metodi educativi in vigore. Troppo pochi rispetto a quelli che frequentano le associazioni ne restano influenzati educativamente e costoro, in molti comportamenti, non si differenziano significativamente da coloro che si dicono influenzati dalla famiglia e dalla scuola; questo dato è facilmente riscontrabile con una diligente lettura delle tabelle.
    Da un punto di vista operativo, sembra, bisognerebbe insistere su un'azione formativa più profonda a livello di catechesi, di esperienza liturgica e di impegno verso gli altri. Forse dovremmo essere più esigenti; avremmo persone più qualificate anche se meno numerose. Non più l'associazione come luogo di passaggio per tutti, ma scuola di vita per i chiamati ad una particolare modalità di impegno: quello religioso.
    Fino a che punto i giovani sono disponibili a questo discorso? Più a monte, i giovani credono alla validità della scelta religiosa? Bisogna onestamente riconoscere che molti sono pesantemente condizionati dall'efficientismo e produttivismo imperanti, dalla crisi del sacro che è migrata da tempo dai manuali dei sociologi e impregna la vita anche delle borgate.
    Altra indicazione metodologica da recuperare pienamente è la responsabilizzazione e collaborazione delle famiglie in ordine alla crescita dei figli.
    Senza la partecipazione delle famiglie, a nulla, o quasi, approda l'azione educativa della Chiesa e della scuola; è tanto evidente questo principio pedagogico che anche la legge l'ha recepito e l'ha statuito nei decreti delegati.
    La collaborazione delle famiglie all'azione educativa della scuola e della Chiesa può contribuire moltissimo alla soluzione del coordinamento educativo perché il giovane cresca armonicamente.
    Dobbiamo con piacere riconoscere che i genitori si stanno dimostrando sensibili a queste loro vecchie responsabilità e fanno del loro meglio per rispondervi.

    Il problema della catechesi

    È un grosso problema quello della catechesi.
    La prima cosa è quella di farsi capire. È già così difficile intendersi quando parliamo la stessa lingua, se poi adottiamo un linguaggio teologicamente perfetto ma che non è il linguaggio della gente, allora entriamo nel regno dell'incomprensibile.
    Trasmettere l'Evangelo nella lingua della gente: il primo e più importante canone della catechesi.
    Ci viene richiesto anche con chiarezza dai giovani, di educare alla lettura dei segni e gesti liturgici.
    Un'altra esigenza della catechesi è che scenda dai purissimi cieli dell'astrattismo e illumini i problemi eterni e quelli di ogni giorno, i problemi dello spirito ed anche quelli che sembrerebbero i più banali, ma in una prospettiva che sia di orientamento alla vita.
    Il manicheismo di vecchia data con la relativa difficoltà di approccio ai problemi materiali e la estrema sensibilità del mondo d'oggi alla problematica sociale, dovrebbe, ci sembra, spingere la nostra catechesi ad una maggiore attenzione verso i problemi sociali. Questo, forse, potrebbe aiutare i giovani a far sentire loro che il cristiano non è uomo staccato della vita, ma che è profondamente impegnato alla costruzione di un mondo a misura d'uomo.

    Sete di giustizia

    Si avverte prepotentemente, ad ogni passo, una sete di giustizia da lungo tempo sopportata. Ogni uomo ha una sua dignità di cui si ha piena consapevolezza e che si esige venga rispettata. Si richiede il rispetto, il riconoscimento per quello che si vale, il lavoro, la equa distribuzione dei beni, l'abolizione delle sacche di miseria e delle stridenti sperequazioni.
    Si vuole giustizia e in tempi brevi, possibile a realizzarsi al di sopra delle differenze ideologiche.
    Bisogna predicare la giustizia, ma è soprattutto tempo di «fare» la giustizia. La risposta a questa indifferibile attesa è a vantaggio di tutta la nazione e un'eventuale rottura del limite di sopportazione metterebbe in moto meccanismi e reazioni imprevedibili e non facilmente controllabili. Non abbiamo alcun dubbio che la giustizia è il banco di prova e il segno di credibilità dei cristiani e del cristianesimo nel meridione.

    Gestire bene la fiducia

    Abbiamo detto e ripetiamo che i giovani hanno fiducia nella Chiesa e la fiducia è un capitale tanto prezioso che è la premessa di ogni azione. Bisogna conservare e accrescere questa fiducia, sforzandosi gli operatori pastorali di autenticarsi nel Cristo ogni giorno, di coinvolgere e corresponsabilizzare a rendere il volto della Chiesa senza rughe e senza macchia. Il dono della fiducia deve viversi da tutti, ponendosi in ascolto di Cristo e in ascolto di tutto l'uomo e di tutti gli uomini perché raggiungano la maturità di Cristo in un mondo che sia uno «scenario» adatto a figli adottivi di Dio.

    Conclusione

    Non siamo ottimisti ad ogni costo o di professione, ma crediamo che un sano ottimismo sia giustificato dagli atteggiamenti, alcuni, dei giovani presi in esame.
    Viviamo nel momento esaltante e oscuro del travaglio; si direbbe che stiamo partecipando al parto di una umanità che, sembrerebbe e ci auguriamo, debba essere migliore.


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