Stefano Rosso
(NPG 1975-03-82)
PROSPETTIVE DELLA NOSTRA RIFLESSIONE
Tutto l'anno liturgico ha valore educativo-pastorale, è una pedagogia, come lo è, del resto, tutta la liturgia per tutti i cristiani in situazione di «formazione permanente» fino «allo stato di uomo perfetto, nella misura della piena maturità di Cristo» (Ef 4,13).
Così la quaresima non va staccata dal tempo pasquale: si è soliti centrare l'attenzione e l'impegno pastorale su di essa, facendo meno caso a ciò che la quaresima deve servire da preparazione: la celebrazione pasquale. La Pasqua non è solo venerdì santo: il mistero del grano che muore nella terra è perché nasca la nuova vita (cfr. Gv 12,24). La quaresima ha senso compiuto solo se insieme al tempo pasquale.
Ma è anche vero che la quaresima ha un valore pedagogico specialissimo in sé, che le dà spicco particolare fra tutti gli altri periodi dell'anno liturgico, proprio come tempo di preparazione e di maturazione: essa si è formata e caratterizzata soprattutto come catecumenato, cioè preparazione al battesimo. Sparito il battesimo degli adulti, dopo essere stata intesa per vari secoli come tempo di digiuno e di penitenza, viene riscoperta oggi come catecumenato di «reciclaggio», catecumenato sempre necessario – anche se dopo il battesimo non importa («il prima o il dopo è secondario»: Paolo VI, udienza 8 maggio 1974) – per la maturazione alla fede.
Questa considerazione ci dice in che modo dobbiamo intendere qui il concetto di pedagogia: si tratta della pedagogia della fede, analogamente a quando si parla di pedagogia divina studiando la storia della salvezza. Di questo va tenuto conto per evitare il generico: in campo di fede è tutto un discorso specializzato.
Posta questa precisazione, si potrà delimitare l'area di studio al settore dei ragazzi: anche questo sarà suscettibile di divisione in ulteriori fasce di età, per una ricerca pastorale più approfondita.
UN CATECUMENATO PER I GIÀ BATTEZZATI
Chiunque ha le mani in pasta conosce le risposte dei ragazzi allorquando sono invitati a riprendere i «catechismi» per una ulteriore e logica formazione alla fede: «Ma io ho già fatto la Comunione, io ho già fatto la Cresima».
I sacramenti dell'iniziazione, chissà perché, troppe volte si chiudono nell'avvenimento, nella data. Come un punto d'arrivo, una meta definitiva... o forse come un passaggio obbligato, e non come una tappa lungo il cammino della propria maturazione alla fede.
D'altra parte la «nuova tappa», anche questa obbligata, per riprendere il discorso dì fede, verrà: il matrimonio; ma nel frattempo quante cose si sono depositate in fondo all'animo anche in coloro stessi che frequentano la chiesa. È possibile pensare ad un cammino verso la fede matura solo attraverso «avvenimenti» o «fatti» isolati?
Le «tappe» sono false se non c'è una strada da percorrere che porti ad esse. Una tappa senza un cammino è un controsenso.
Nessuno nasce cristiano; la vita e l'esperienza cristiana non potrà mai prescindere da un catecumenato (o «neocatecumenato», come oggi lo si preferisce chiamare, per precisare che si tratta di battezzati), neppure forse in una civiltà cristiana. Oggi il catecumenato si impone a tutti i livelli, a rischio, per i cristiani, di restare allo stato di catecumeni cronici per tutta la vita.
Ne consegue che lo spirito della quaresima si allarga e tende ad abbracciare tutta la vita, il catecumenato diventa in certo modo una situazione permanente; nel nostro caso tocca tutti gli anni della formazione cristiana del ragazzo.
Oggi lo studio della liturgia ha liberato la quaresima dal carattere semplicemente negativo, in senso limitativo, inteso come tempo di digiuno-penitenza, per ricuperarne in profondo i valori della conversione (in cui il carattere penitenziale era una espressione parziale). Dalle «pratiche» quaresimali si risale, più a monte, al fine e ai contenuti.
Però, a forza di parlare di conversione, c'è pericolo di farne un luogo comune, un «cliché» vuoto: in realtà essa corrisponde, assieme all'atteggiamento di rendimento di grazie, alla situazione di morte-vita del mistero di Cristo. Come la quaresima è segno e sacramento della sua morte, il tempo pasquale lo è della partecipazione alla nuova vita; la conversione è la morte del «vecchio», il rendimento di grazie («eucaristia») è la vita della «nuova» creatura.
Tutto questo tocca i sacramenti della iniziazione cristiana, ma anche – e qui fa al caso nostro – quello della riconciliazione (intesa come secondo battesimo).
Preoccupazione non insolita di noi operatori di pastorale e sacerdoti in modo particolare è di «portare» i nostri ragazzi ai sacramenti: La quaresima è un tempo veramente propizio per questo. Direi che è una preoccupazione oltre che saggia santa! Facciamo persino i conti delle comunioni distribuite, delle ore passate in confessionale. Tiriamo giù percentuali. Ci rallegriamo o ci contristiamo a seconda delle cifre. L un'ansia pastorale.
Ma una riflessione va fatta. A monte di questa «partecipazione al sacramento» cosa ci sta? L'abitudine, il sentimento? Qualche senso di colpa? La tradizione, la volontà di assolvere ad un «precetto»?
Può un pastore attento e profondamente teso alla maturazione alla fede dei suoi ragazzi tale da trasformarli, adagiarsi sul «numero» dei partecipanti o avvilirsi per le «basse percentuali»? Già D. Milani, traendo motivo da altri interventi della nostra massiccia opera di «catechizzazione» concludeva amaramente sulla scarsa incisività nella vita dei ragazzi fatti adulti!
Qui bisogna, se è necessario, correggere le prospettive. Una pedagogia sacramentale condizionata dalla preoccupazione che i ragazzi si confessino e si comunichino ad ogni costo, per il valore intrinseco di questi sacramenti, è una partenza non giusta: si deve aiutarli onde giungano a vivere veramente la loro situazione cristiana, che esprimeranno nel segno liturgico, che ratificherà il dato di fatto.
È sacramentalismo e non raggiunge bene lo scopo il portare all'Eucaristia un cristiano che non abbia fatto neanche l'inizio dell'esperienza di essere creatura «nuova»; come non è strada giusta l'ansia di portare alla confessione un ragazzo che non senta il bisogno di essere «cambiato», che la sua vita sia «diversa» – per quanto l'età comporta, evidentemente. Bisogna però evitare massimalismi e radicalismi; qui ci preoccupiamo soprattutto di esprimerci con chiarezza.
La pedagogia, come la conoscenza, parte dall'esterno, non dall'ideale che è un punto di arrivo: l'atteggiamento interiore e i valori di salvezza comandano e accompagnano tutta la pastorale, che nel caso amiamo meglio chiamare pedagogia. Il sacramento ratificherà la situazione oggettiva di fede: ma non si deve partire da un sacramento per produrre una situazione di fede. Più che contrapporre, qui c'è da armonizzare: la quaresima, quella del tempo liturgico o quella che noi possiamo distribuire in un arco di tempo di «neocatecumenato» anche assai lungo, deve portare avanti di pari passo il cammino di fede e la sua necessaria espressione sacramentale. È la prospettiva che è cambiata.
IL RUOLO DELLA PAROLA DI DIO
Vi è un'altra riflessione da fare. Ai ragazzi (come agli adulti d'altra parte) offriamo un «messaggio» e ne chiediamo una «risposta» come se fossero, in pratica già «cristiani maturi». A tutti la stessa cosa, da tutti la stessa rispondenza, la stessa fedeltà.
Si assiste al fenomeno di una recessione sistematica dalla vita sacramentaria e dalla fedeltà alla legge di Dio mano a mano che cresce l'età.
Un fenomeno a cui ci si abitua. Quasi una prassi logica di questo difficile cammino alla fede, sembrerebbe, se i metodi di intervento, che conducono a ciò, non partono da premesse diverse.
I ragazzi sono cristiani, è vero, perché battezzati. Ma ben altra cosa è «avere ricevuto la fede «e «vivere la fede». La pedagogia pastorale deve partire da fatti, dalla situazione di maturazione. Molte cose,che 'in essi supponiamo nel momento dell'annuncio, sono, nel concreto, del tutto inesistenti quando non addirittura rifiutate per noti o sconosciuti condizionamenti In cui essi vivono.
Forse noi prestiamo ancora troppo poca attenzione al fattore «parola di Dio»: si celebrano i sacramenti, si «fanno» i cristiani senza avvertire ii peso decisivo di dover necessariamente ripercorrere la storia della salvezza, e tutta, in ogni singolo caso. Si crede in pratica di poter saltare a piè pari tutta l'esperienza dell'Antico Testamento perché siamo nel Nuovo Testamento, perché siamo già battezzati (come se in una civiltà cosiddetta adulta, gli uomini potessero uscire dall'incubatrice già adulti).
A non ripercorrere l'ontogenesi della salvezza, ad un certo punto, non si capisce più che cosa voglia dire fede, non si sa più come comportarsi per essere cristiani.
Qui gioca un ruolo importante la lettura e l'ascolto dell'Antico Testamento: il catecumeno si trova, in certo qual modo, in fase veterotestamentarla.
«Antico Testamento» non «religione ebraica». Noi cristiani leggiamo l’Antico Testamento con occhio cristiano. «La Chiesa ha sempre vissuto il tempo di quaresima confrontando la propria vita con alcune pagine della Bibbia lette con un preciso taglio battesimale e pasquale. Vivere la quaresima significa rivivere il proprio battesimo con tutto ciò che implica di conversione e fedeltà» (A. Bergamini, L'ascesi quaresimale nel lezionario e nel messale, in Riv. Lit. 60, 1973, p. 58).
Il cammino del singolo e di un popolo alla fede nel Cristo, il passaggio attraverso la Pasqua è scritto paradigmaticamente nella Bibbia: non si entra nella fede calandosi col paracadute, la fede non si trasmette per genetica. La fede non può essere che globale di tutta la storia.
La quaresima liturgica è entrare nel gioco pedagogico che Dio ha stabilito per il suo popolo, perché la salvezza cristiana ha una dimensione comunitaria. Il cammino della fede è quello di Abramo, non ce n'è un altro; il cammino della pasqua è quello dell'Esodo; la dinamica della conversione è quella del ritorno dall'esilio: questo è stato fatto in figura per noi (cfr. Cor 10,6), per la costruzione del cristiano di tutti i tempi. In Cristo la Parola si farà sacramento: l'Antico Testamento si realizza e attualizza nel Vangelo: è un cammino indicativo per tutti noi.
La liturgia quaresimale è frutto di esperienza pedagogica: non solo è una grande didascalia, ma è esperienza di vita, che, evidentemente, esige di essere adattata alla storia attuale della Chiesa.
La pedagogia religiosa di questi ultimi decenni ha fatto della strada, inerpicandosi attraverso vari tentativi, nei quali ha speso delle energie immense. Alcuni metodi esigevano mezzi non accessibili a tutti o talenti eccezionali nel catechista o pastore. Forse, se si fosse scoperto prima la imprescindibilità della Parola di Dio, si sarebbe lavorato con più efficacia, con minori insuccessi.
LA PROPOSTA
Quali le proposte? Queste non devono scoraggiare perché solo alla portata delle comunità più preparate. Ma alla mano di tutti.
a) Iniziazione e lettura liturgica della Bibbia.
Dobbiamo scrutare le Scritture; si deve incominciare con una iniziazione biblica di base. Ma la Bibbia va letta sotto l'aspetto liturgico: è nell'ambiente liturgico che la Scrittura diventa vivente, cioè Parola, la Parola che chiama, opera e salva. Qui non c'è distinzione tra mondo dei fanciulli, dei giovani, degli adulti; anzi, sarebbe bene, quando è possibile, non isolare i giovani, soli tra loro: impoveriremmo la loro esperienza di fede, rischieremmo di accentuare solo certi filoni. La presenza della comunità è equilibratrice nell'abbordare la Parola di Dio.
b) Pedagogia dei tempi lunghi.
La quaresima vale più di un corso di esercizi spirituali, che rimangono una esperienza forte, ma troppo puntuale, che spesso resta un bel ricordo.
La quaresima, come cammino neocatecumenale, esige tempi lunghi e, che possono oltrepassare anche la stessa quaresima. La comunità che sceglie come temi di preghiera e di celebrazioni quelli del Lezionario e della Liturgia delle Ore della quaresima (la storia dell'Antico Testamento in parallelo con le sue realizzazioni nel Nuovo), ha bisogno di armarsi di pazienza e non deve prefiggersi delle programmazioni a scadenza; neppure dei risultati immediati, come il lanciarsi subito in impegni apostolici diretti: Dio è il Dio della pazienza, non forza i tempi divismo, il voler realizzare, il criterio dell'efficienza, che diventa poi fine a se stesso e preoccupazione prevalente, è un po' voler dimostrare a se stessi le proprie capacità e non lascia libero il totale e gratuito intervento di Dio). Non voler forzare, lasciare che la parola di Dio agisca nella libertà; essa, se accolta con fede, non resterà senza frutto (cfr. /s 55,10 ss). L'importante è fare il cammino di Abramo, dell'Esodo, dell’esilio e non abbandonarlo; come Abramo che deve aspettare fino oltre ai
100 anni, l'Esodo che dura 40 anni e l'esilio 70!
c) Riconciliazione ed Eucaristia.
L'ascolto della Parola non esclude le celebrazioni sacramentali della riconciliazione e dell'Eucaristia; anzi bisogna, almeno a cammino avviato, lide andare possibilmente di pari passo: il sacramento è la ratifica, ma R esche tappa del cammino. Anche del sacramento si può dire, in certo 1110d0, il «crescit eundo».
Trasmettere la fiducia in Dio che «inizia per primo».
Letto umano, nel cammino catecumenale di fede, non deve fare proli:ma primario; anche se si è tentati di partire di qui: il Vangelo è novità ~iuta. Quando l'uomo vuole salvarsi da sé, con i suoi mezzi, secondo i mai parametri, tutto è sbagliato, non è più fede. In tutta la storia della ablarrza, Dio è partito per primo ed ha operato lui: se ci lasciamo prendere, egli ci piglia anche per il nostro verso umano, perché la salvezza ime tutto l'uomo. Direi che l'antropologia è un problema «a fianco», aie si risolve impostando bene il primo. La preoccupazione dell'operatore pastorale deve essere che tutto proceda con ordine, libertà, misura e semplicità: al primo posto l'uomo da salvare, purché questi si presenti nella osa identità; e l'uomo inserito nella comunità, nelle sue relazioni normali di accettazione e di scambio in cui si manifesta e si libera la sua carica di persona umana.