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    Una comunità di «giovani-monaci» che provoca i giovani



    Testimonianze sulla comunità di Bose

    (NPG 1972-12-88)

    Di Bose abbiamo già parlato su «Note di Pastorale Giovanile» (1972/2). Abbiamo inoltre curato un sussidio con una documentazione in diapositive («I giovani cercano la preghiera» - «Bose una comunità che li provoca», LDC, 1972). In questo contesto ci pare importante tornare sull'argomento, proprio per i particolari significati che Bose ha nell'educazione dei giovani alla preghiera. L'esperienza di preghiera viene vissuta in questa comunità, all'interno di una vita monastica, reinterpretata nell'attuale «cultura» secolarizzata e pluralista. Ciò che colpisce è proprio questo: «monaci» che vivono i valori classici della tradizione monastica (comunità, celibato, povertà, obbedienza) stando contemporaneamente inseriti nel mondo attraverso la professione e gli impegni sociali. Il luogo in cui la comunità abita è, in certo modo, il segno dell'isolamento monastico ed insieme il punto di partenza della presenza nel mondo.
    Altro elemento interessante è l'affiato ecumenico, di cui la preghiera diventa momento portante. La comunità di Bose è una comunità di giovani-monaci. Questo fatto li rende particolarmente vicini ai loro coetanei, nell'identità vissuta e nella diversità progettata.
    Nei due testi citati sopra, la redazione ha parlato di Bose. A questi rimandiamo. Per completare il quadro, ora parlano i protagonisti dell'esperienza: i giovani che sono andati a Bose. Dalla sintesi delle due voci può nascere il significato di stimolo, nel quadro dell'educazione alla preghiera.
    Come in tutta la monografia, non ci siamo preoccupati di avere una campionatura perfetta. Abbiamo chiesto ad alcuni giovani che erano stati a Bose di inviarci le loro impressioni.
    Riportiamo qualcuna delle risposte che ci sono pervenute: una «testimonianza» viva. Sono chiari i limiti della «documentazione»: gli intervistati sono alcuni dei tanti, la scelta è stata fatta indipendentemente da ogni criterio statistico (qualche indirizzo, a caso). Le risposte quindi rappresentano solamente il mondo e le reazioni dei firmatari.


    TESTIMONIANZE

    Da tempo, in gruppo, eravamo alla ricerca di una esperienza cristiana più autentica nel mondo di oggi: ponevamo come uno degli aspetti importanti del nostro lavoro l'incontro con altre comunità di cristiani che vivessero una simile esigenza.
    Bose ci si è presentata per puro caso, per un gioco di coincidenze e di imprecise e contrastanti informazioni.
    Vi siamo arrivati in cinque, pronti a tornare a casa delusi!
    Cercavamo soprattutto una esperienza di comunità cristiana che vivesse nel mondo, aperta a tutti, che fosse una esperienza di comunità locale (ciò che la parrocchia concepita tradizionalmente non dà più). In effetti questa nostra precisa domanda non ha avuto una risposta concreta, però il contatto con una esperienza autentica, anche se di tipo particolare, ci ha lasciato profondamente colpiti.
    A parte l'ambiente esterno, certamente suggestivo per la sua semplicità e per il respiro della natura presente ovunque (il che però non tocca la sostanza delle cose), il contatto con una vita di fede, incarnata in modo che parli ai «giorni nostri», ci ha confermato nel nostro cammino.
    Innanzitutto è stato salutare per noi il fatto di incontrarci con dei «giovani» che, pur inseriti nel mondo del lavoro in pieno, hanno fatto una chiara scelta di povertà, di celibato, di vita comune, testimoniando il Regno quotidianamente.
    La loro accoglienza sincera ed il dialogo subito intessuto (del resto questo è un punto fermo del loro impegno) ci ha dato la possibilità di metterci a contatto con la loro fede nella Parola di Dio, continuamente assimilata, unico metro di interpretazione dei fatti della vita, fonte del loro cammino cristiano. Parola di Dio letta, studiata, approfondita comunitariamente, nel tentativo di incarnarla nella vita quotidiana.
    Anche la loro vita di preghiera, accentrata nella Parola, ci ha colpito, essa in fondo dimostra che l'essere Chiesa oggi consiste in una profonda scelta comune di fronte a Dio e non in una superficiale volontà di far tutto nuovo, volontà che a lungo andare si dimostra inconsistente. Il loro stesso libro di preghiera ci è molto piaciuto; immediatamente lo abbiamo fatto nostro e lo usiamo per gli incontri comunitari (particolarmente soddisfa la traduzione dei salmi, accessibile a tutti, il più possibile semplice e moderna).
    Non abbiamo potuto fermarci molto a Bose: siamo arrivati alle 9 del mattino (ci separano molti chilometri) ed alle 16.30 siamo ripartiti, non senza aver prima incontrato due gruppi di chiesa, venuti anch'essi a conoscerne l'esperienza: un'altra caratteristica infatti della Comunità è proprio quella di essere ormai diventata un centro di incontri tra gruppi di tutti i tipi, ma con un comune desiderio: quello di una testimonianza più autentica del Vangelo nel nostro tempo. Abbiamo potuto parlare con calma sia con Enzo che con Daniel, abbiamo mangiato con la Comunità, abbiamo partecipato alla loro preghiera di mezzogiorno.
    La realtà ecumenica di Bose infine, è stata per noi una cosa nuova, proprio per il fatto che nel nostro gruppo il problema ecumenico non era stato ancora approfondito. Enzo stesso ci ha spiegato il carattere di «segno» di questa loro scelta e nello stesso tempo di «contributo» al cammino dell'unità, faticoso in seno alle singole chiese. Per noi è stato il raccogliere un messaggio diverso e nello stesso tempo sincero che ci ha aperto ad una indispensabile «coscienza di chiesa divisa» che ci mancava.
    Insomma: un incontro senz'altro positivo, anzi, diremmo di più: un punto fermo del nostro cammino: siamo arrivati a casa più impegnati, più convinti nelle nostre intenzioni, sicuri di un incontro di grazia. A tutti consiglieremmo una visita a Bose, non con la pretesa di ripeterne il carisma, non sarebbe possibile e non sarebbe neanche giusto, ma con la certezza di trovarvi una esperienza viva di fede, un segno che «oggi» «parla» e quindi porta all'incontro con Cristo.
    (Una comunità di Crema)

    L'aspetto preghiera è stato uno dei momenti più belli della esperienza; l'abbiamo colta come desiderio e sforzo di calarsi nel concreto. L'esperienza che abbiamo vissuta ci ha dato nuova forza per approfondire ulteriormente la nostra ricerca; è stato uno stimolo che non mancheremo di consigliare ad altre persone desiderose di intraprendere o continuare una vita alla luce del vangelo...
    (GC.B. e P.T. - Padova)

    A Bose ci sono capitata per caso. Mi ero infatti recata a far visita ad una mia amica la quale mi ha prospettato una visita a tale comunità. Ho accettato, devo dire, più per curiosità che per altro.
    La prima cosa che mi ha colpito è stata la caratteristica dell'ambiente: suggestivo, particolare, ma soprattutto semplice.
    Era tutto semplice: un'oasi di pace, di tranquillità dove mi sono trovata a confronto con me stessa...
    Anzi devo dire che ho trovato me stessa, quello che di essenziale c'è in me ed involontariamente ho incominciato un accurato esame di coscienza. Stare qui ad indicare quello che momento per momento mi succedeva è
    pressoché impossibile. Devo però dire che dopo i miei tre giorni di permanenza a Bose cominciavo a capire il reale valore della vita, la sua importanza e quelle preghiere che all'inizio mi avevano stupito, ora mi riuscivano spontanee tanto da stupirmi.
    ... A cosa è valsa la mia esperienza a Bose? A farmi vedere quello che vorrei e potrei essere.
    ... Un'ultima cosa voglio dire: finché ci saranno posti come Bose e gente come i suoi abitanti, non mancheranno mai le speranze!
    (P.P. - Treviso)

    Ho avuto la possibilità di stare in silenzio una giornata, di lasciare per un momento da parte lo studio, e mi sono trovato così di fronte una pagina bianca di vita in cui ho potuto reincontrare me stesso e incontrare delle persone: e questo è stato il motivo per cui mi sono fermato qualche giorno. Dopo un po' mi sono anche accorto che non mi trovavo in mezzo a persone qualsiasi.
    Chi mi ha ospitato sono persone che cercano di vivere una vita intensa e felice come tutti noi; ma in più credono in Dio e vivono in comunità senza sposarsi.
    Quando mi sono reso conto di questo mi sono chiesto:
    – credo in Dio?
    e ancora:
    – perché quelli di Bose vivono in comunità e non si sposano e io invece voglio sposarmi?
    Per poter rispondere a questa domanda ho cercato di capire il senso della vita monacale (cioè dello stato di celibe) e questo, facendo un confronto, mi ha aiutato a capire il senso della vita matrimoniale.
    (P.V. - Milano)

    Ho sentito parlare di Bose per la prima volta nel giugno scorso dal sacerdote assistente del gruppo giovanile parrocchiale di cui faccio parte. Ho subito desiderato conoscere personalmente questa esperienza di vita comunitaria, perché pensavo potesse essere un esempio, anche se non l'unico, per il mio gruppo che si sta sforzando di diventare comunità. La prima volta che mi son recato a Bose ero in compagnia di tre miei amici e l'impressione che ne ho ricevuta è stata senza dubbio positiva, anche se ho potuto fermarmi solo due giorni. Questo primo contatto mi ha favorevolmente impressionato al punto che ho deciso di tornarci da solo e per un periodo più lungo (circa 12 giorni).
    Ora mi reco a Bose con una certa frequenza (una volta ogni 1-2 mesi) appena gli impegni scolastici mi lasciano libero 3 o 4 giorni.
    A Bose cercavo una comunità che vivesse la chiamata evangelica e senza dubbio l'ho trovata anche se, in un primo tempo, non riuscivo a spiegarmi il senso di certi gesti o di certe scritte.
    Subito sono stato colpito dal modo in cui a Bose si vive la povertà, si pratica l'ospitalità e si prega.
    Si tratta di una povertà di beni reale e non ostentata, motivata dal messaggio evangelico e non da stolta avarizia, di una povertà di spirito che fa vivere i monaci di Bose in una serenità gioiosa, anche se non priva di preoccupazioni, fa capire loro che anche dal più piccolo dei loro ospiti possono avere qualcosa da imparare, li distacca insomma dalla logica mondana pur non togliendoli dal mondo.
    La loro ospitalità è resa più attenta ai bisogni di tutti dal celibato; non è un'ospitalità opprimente oppure indifferente; non è accidentale, è un ministero che si sentono di esercitare come cristiani. Non c'è il pericolo che ti aiutino a scambiare Bose per un ostello e questo fa sentire veramente a proprio agio chi ci è andato per motivi seri.
    La preghiera della comunità di Bose mi ha fatto riscoprire il vero significato della parola pregare. I membri della comunità riescono a dialogare con Dio perché dialogano con le persone che hanno intorno, convinti che dietro ogni persona si cela il Cristo. Inoltre la loro preghiera non è un'alienazione, un chiedere a Dio di risolvere situazioni per le quali loro non si impegnano; davanti al Signore sono loro che si ricordano dei popoli che soffrono, degli amici, degli ospiti, ecc. e si impegnano ad agire in attesa che venga il regno di Dio.
    Per concludere direi che Bose ha cambiato molto nella mia vita: mi ha fatto cogliere appieno il messaggio cristiano e mi ha aiutato e mi aiuta tuttora a viverlo nella mia vita quotidiana e mi ha dato anche una serenità e una tranquillità interiore che mi sono di grande aiuto nei momenti più difficili.
    (G.D. - Milano)

    Siamo andati a Bose perché ritenevamo necessario avere qualche giorno di «ritiro a due».
    È difficile dire se abbiamo trovato qualcosa: certo è che nella pace del luogo e nel semplice ritmo di vita della Comunità di Bose è stato possibile riallacciare un dialogo di preghiera con Dio. Tutto però si è vanificato al ritorno in città e alla vita di ogni giorno.
    Ci siamo fermati solo due giorni per il nostro ritiro senza lavorare. Avevamo con noi la figlia di 8 mesi. Era la prima volta che andavamo a Bose. È stato nello scorso mese di settembre.
    Semplicità di vita, povertà di mezzi (sistemazione a letto, vitto, ecc.), disponibilità dei membri della Comunità, preghiera molto sentita, serietà di impegno nell'esperienza ecumenica. Tutto ciò, a nostro avviso, risulta estremamente difficile se non impossibile metterlo in pratica in un modulo di vita familiare ambientato nella grande città.
    La riscoperta e l'importanza del colloquio con Dio e il senso della sua paternità. A Lui si comunicano le esperienze e si ricordano le persone: questo modo di pregare ci è parso autentico, spoglio di esteriorità liturgiche, fatto in un luogo disadorno (la piccola cappella-grotta). Esso inoltre realizza, con naturalezza, un vero spirito ecumenico.
    Da un lato ci ha fatto nuovamente sentire l'importanza della preghiera, dall'altro ci ha spinto alla ricerca di qualche gruppo in cui sentirci «Chiesa», cioè eseguire una revisione di vita, leggere la Parola e partecipare all'Eucaristia in modo non anonimo come accade attualmente in molte parrocchie.
    Ci è piaciuto l'isolamento del luogo (che abbiamo visto in un magnifico settembre), il silenzio e il raccoglimento che vi si trovano. Le scritte sui muri e gli avvisi nelle stanze aiutano a capire l'esperienza e eventualmente ad inserirvisi.
    Riteniamo in ogni caso utile per chiunque venir a contatto con questa esperienza abbastanza singolare di «neo-monachesimo» (ambiente di giovani che lavorano, pregano, rinunciano a certi agi, scelgono il celibato, tentano l'esperienza ecumenica...). Lo scopo della visita a Bose potrebbe essere la revisione della propria esistenza alla luce della fede.
    Per i più giovani abbiamo personalmente verificato l'utilità dei campi di lavoro a Bose, esperienza che in generale ci sembra assai valida dal punto di vista della pastorale giovanile.
    Siamo sposati da 5 anni – abbiamo entrambi 31 anni – abbiamo 2 figli: un maschio di 3 anni e mezzo e una femmina di 1 anno – professionalmente siamo insegnanti di scuola media superiore.
    (L. e PL.Q. - Torino)


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