Un gruppo giovanile di Torino
(NPG 1971-02-62)
Assistiamo oggi al boom dei gruppi sociali. Ne sorgono ogni momento, in ogni dove: con le più diverse specificazioni di impegno, di ideologie, di componenti. E, molte volte, senza un obiettivo concreto, senza qualcosa che vada al di là di un generico «impegno sociale». Oppure scattano per la tangente dell'utopia. Per cui, molti di questi gruppi nascono, prosperano e muoiono nel giro di pochi mesi.
L'esperienza che presentiamo invece ci pare significativa, proprio a questo livello. E partita con dei fini precisi, reali, verificabili quasi con mano. Chi ha già approfondito esperienze e tematiche sociali li può anche criticare, per i molti risvolti «comodi». Eppure erano «quelli proporzionati»: quindi veri e da perseguire, almeno come esperienza di partenza.
Presentiamo questa esperienza «sociale» nel contesto della quaresima, perché è nata, vissuta, è stata realizzata proprio li.
Il punto forte (settimana santa) ha condotto tutto l'arco degli altri giorni: la quaresima è stata vissuta in prospettiva, verso «quella» meta.
L'ESPERIENZA
All'inizio, due gruppi giovanili (17-18 anni), uno di ragazzi e uno di ragazze, che si appoggiavano a due diversi istituti religiosi.
Due gruppi separati, sconosciuti l'uno all'altro, unificati idealmente dall'esigenza comune di «impegnarsi in attività apostoliche, caritative e sociali, e di darsi una finalità e un centro di interesse valido e costruttivo [1].
La situazione in cui agire fu trovata «per caso, o meglio per disposizione della Provvidenza»: una parrocchia romagnola, con il 98% di comunisti atei, il 3% di abitanti che frequentano la Messa domenicale. Un parroco che ha bisogno di presentare ai propri parrocchiani una Chiesa viva ed operante. Una Chiesa che ami con volto e cuore umani. Gente cristiana, aperta ai propri problemi di lavoro e di partito. Giovani che lavorando, sorridendo, cantando, pregando, dicano che cosa è la Chiesa di Dio».
Il tempo: il «triduo sacro» e la festa di Pasqua. Tempo normale per lunghi week-end e per divertimenti: tempo «forte» per chi di cristianesimo ha capito qualcosa.
Attorno a questi scopi di testimonianza cristiana e di partecipazione attiva al mistero pasquale, se ne sono coagulati altri: un incontro integrativo tra ragazzi e ragazze che fosse valido e utile, che dicesse qualcosa; e un arricchimento della propria personalità, visitando non da ignari turisti ma da gente consapevole, da persone che nel lavoro hanno capito di più l'uomo quotidiano, località «artistiche» (Venezia, Ravenna, Firenze). L'attività si è sviluppata lungo due direttrici: la liturgia e il lavoro. Per testimoniare e per avvicinare. Partecipazione a tutte le funzioni del triduo pasquale (ripetute due volte, perché il parroco aveva assunto anche la reggenza di una parrocchia vicina); lavoro nella Chiesa, nell'Asilo, nella casa e nel podere del Parroco. Per tutti, ricerca di un incontro con gli abitanti del luogo: più facile con i bambini, molto difficile con gli adulti, con poche eccezioni.
Il tutto «imbevuto di spirito di disponibilità estrema, che ha contribuito a creare un clima di famiglia carico di serenità e gioia... Da sottolineare questo senso di unione, di partecipazione viva del tutto spontanea».
A CHE COSA È SERVITO?
È questa la domanda che si presenta prima di ogni altra. Gli scopi che hanno raggiunto, preferiamo sentirli dalla loro stessa voce.
Possono intravvedere, gli «adulti», un entusiasmo eccessivo. D'accordo: sembrano, a prima vista, cose da svitati, o almeno da gente che è fuori della vita reale. Ma chi, non importa a che età, ha avuto esperienze analoghe – campi di lavoro, campi scuola... – sa che, dietro a parole che potrebbero sembrare solo una vampata di entusiasmo, c'è qualcosa.
C'è la gioia di chi ha donato. Disinteressatamente. C'è l'esultanza di chi ha scoperto la gioia del gruppo, dell'amicizia, del servizio. C'è, nel profondo, la certezza che Cristo è risorto, perché le cose, quaggiù, cambino finalmente faccia; nell'attesa che si asciughi ogni lacrima e il sorriso illumini il volto di tutti i fratelli, alla fine dei tempi.
• Pensiamo di aver dato veramente una testimonianza cristiana con l'amore, la gioia, il lavoro, il canto, anche se nella realtà non possiamo accertarne i risultati. È consolante aver sentito che qualcuno si è accostato ai sacramenti invitato dalla nostra presenza e dai nostri canti.
• Si è realizzato un impatto soddisfacente tra il gruppo delle ragazze e quello dei ragazzi (non esclusi il Sacerdote e le Suore che si sono perfettamente amalgamati, tanto da sentirli come uno di noi). Si era veramente un cuor solo ed un'anima sola pronti ad aiutarci in tutto e per tutto. La gara di generosità ci ha resi compatti e il desiderio di bene ci sprona a continare l'esperienza e gli incontri.
• Sinceramente abbiamo vissuto insieme una splendida Settimana Santa diversa dalle altre. Le funzioni anche se ripetute non hanno stancato il gruppo, ma sono state la testimonianza della carica interiore e dello spirito di sacrificio di ciascuno.
• Per molti, oseremmo dire per tutti, c'è stato un vero arricchimento spirituale agevolato dall'ambiente religioso del gruppo (non più religione di tradizione, ma fede viva... molti di noi si sono capovolti... hanno cambiato modo di pensare).
PERCHÈ QUESTA ESPERIENZA CI SEMBRA SIGNIFICATIVA
Vorremmo far rilevare alcuni punti che, a nostro parere, caratterizzano e diversificano questa esperienza.
Di alcuni abbiamo già parlato: il senso di concretezza nelle finalità. Obiettivi validi e impegnativi, ma raggiungibili e non utopistici. Un tentativo di sintesi tra il reale e l'ideale: tra le tensioni dei giovani di oggi e i limiti, la banalità del reale, in cui tutti siamo chiamati a vivere.
Da rilevare inoltre l'accurata preparazione e programmazione, condizione per la riuscita di ogni attività. Sul piano spirituale: incontri col parroco del paese di destinazione; approfondimento e discussione sul significato e sui contenuti della testimonianza cristiana, del mistero pasquale, del comportamento morale e della vita di pietà, della preghiera personale e sacramentale... Non restano sul piano della teoria, ma «calando tutto concretamente nella vita quotidiana di ciascuno, accettando o discutendo le opinioni personali».
Sul piano materiale: lavoro personale e di gruppo per raccogliere denaro per viaggio, soggiorno, offerta al parroco. Per non fare i figli di papà, ma per testimoniare, pagando di persona, coerenza e serenità dell'impegno. Ancora: lo spirito fortemente comunitario che ha caratterizzato la vita del gruppo. Un desiderio vivo e reale di mettere tutto in comune. Interessante, a questo proposito, un particolare: per ogni monumento od opera d'arte visitata, un componente del gruppo si era preparato in anticipo, per aiutare gli altri a cogliere meglio i valori dell'arte e del bello. Da notare anche il fatto che tutti si sentivano non spettatori, ma attori delle funzioni sacre: per molti era la prima volta! Una riprova, se ancora ce n'è bisogno, che la liturgia crea sì la comunità, ma anche la esige, come irrinunciabile condizione di autenticità.
Infine – e anche questo ci sembra importante – il «tipo» di incontro che si è realizzato tra ragazzi e ragazze. Oggi si sente a tutti i livelli il problema della mixité, della coeducazione. E molte voci si levano a denunciarne rischi e pericoli. Rischi e pericoli si moltiplicano per mille, quando il gruppo gira a vuoto, macina parole. Proprio per questo l'esperienza di cui stiamo parlando è degna di rilievo: perché dimostra che, se si offre un tipo di presenza fortemente impegnato, il problema del rapporto ragazzi-ragazze all'interno dei gruppi misti passa in seconda linea. Non è più un'ossessione, uno spauracchio. Si crea quasi naturalmente quel clima di amicizia, di rispetto e di collaborazione, logico tra persone che sentono tutte lo stesso ideale e lavorano per raggiungerlo. Quel clima che rende formativi questi incontri.
CHE COSA NE DICONO
Chi dà, nell'atto in cui dona, riceve. E la legge dell'amore.
Anche la nostra esperienza non fa eccezione. Alla fine, tutti i partecipanti si sono trovati più ricchi, più autentici. Molto significativi i loro giudizi. In particolare risalto è messa, naturalmente, l'amicizia. Una ragazza scrive: «Nell'amicizia ho trovato modo di aprirmi agli altri e ritrovare me stessa». E un ragazzo: «Sono stato solo, per molti anni. In questi giorni, non mi sono sentito più solo. Avevo bisogno di amicizia vera più che di molti ragionamenti e l'ho trovata. Per questo ho vissuto molto la mia settimana santa».
Riuscita sembra anche la testimonianza: «Penso che abbiamo dato testimonianza più che con le parole con lo stare insieme, pregare insieme, col cantare insieme; un gruppo compatto fa sempre ottima impressione in chi lo osserva». «Quel battimani del sabato santo, quel canto prolungato nella notte di Pasqua, significavano veramente ciò che tutti interiormente sentivamo: la gioia della risurrezione, del capovolgimento di ognuno». «Abbiamo ricevuto implicita approvazione con il valoroso invito di ritornare il giorno del Corpus Domini...». E una delle suore che hanno accompagnato il gruppo così si esprime: «Il gruppo ha dato veramente testimonianza di fede e di unità. Ho ammirato la generosità incondizionata dei giovani e il loro spirito di donazione, di sacrificio, di adattabilità. E stato un arricchimento reciproco». E, di rimando, un ragazzo: «Quello che mi ha colpito di più è stato il sorriso buono delle suore e l'amabilità, la pazienza, la mitezza del don; traspariva in loro l'ideale che vivevano e che vivono tuttora; è questo che a noi giovani piace tanto».
Questi giudizi positivi non sono frutto di entusiasmo acritico. Vari partecipanti sono stati «messi in crisi», hanno avvertito quasi angosciosamente l'urgenza di una maggior autenticità: «Devo confessare che per me questa esperienza non è stata vissuta in completezza. Aspettavo di più da me stesso. Sentivo di dover fare di più e mi rammarico di non averlo fatto».
* * *
Naturalmente, non tutto è perfetto. Si tratta, come rilevano anche i giovani, di un inizio. Bisogna continuare a camminare, nella ricerca di autenticità umana e cristiana. Qualcuno ha avvertito due tentazioni:
• Il pericolo di sentirsi a posto con la coscienza, perché si è fatto qualcosa; e quindi l'affiorare, anche inconsapevole, di un «diritto», a godersi il resto del tempo, da consumatori.
• Il pericolo di strumentalizzare il povero, l'altro, colui che si aiuta: di fare esperienze e conquiste personali, sulla pelle del prossimo.
Ma è importante fare. Rompere il guscio borghese e individualistico in cui si è dentro. E questi giovani l'hanno tentato. E ci sono riusciti.
NOTE
[1] Sono parole dei giovani che hanno fatto questa esperienza: esse, e le altre che citeremo, sono tratte da un dattiloscritto in cui l'hanno condensata.