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    Appunti di pastorale giovanile /4



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1971-09-2)

    Abbiamo scelto di partire dall'uomo. Da quella persona concreta che sta davanti all'educatore.
    Quel giovane ha un sacco di problemi; ha la testa piena di mille cose. L'educatore ha compreso una cosa grande: non deve fare il vuoto, per riempirlo di Cristo. Non ci riuscirebbe mai. E la «fede» non avrebbe uno spazio su cui aderire.
    Gli dà una mano, per mettere ordine. Il giovane ha scoperto che non è serio vivere trascinato dalle cose. Soprattutto ha la percezione, chiara, che la sua voglia di essere uomo, uomo vero, autentico, si realizza solo se riesce a scendere dentro quella ridda di stimoli che fanno il suo quotidiano. Sa ormai, e ci crede, che è uomo se passa dalla cronaca alla storia.
    Ma proprio a questo livello nascono le complicazioni.
    Prima non ne aveva nessuna. Viveva. Ed era felice.
    Ora ha voglia di essere uomo. E questo lo tormenta. Anche perché, ormai, non può più essere uomo da solo; non può più essere felice, senza far felici gli altri.
    Ha scoperto Dio.
    Lo pregava tutte le mattine, fin da bambino.
    Ora se lo risente vivo, all'opera: uno che c'entra. Alleato alla sua fame di umanità, di autenticità, di libertà e di liberazione.
    Dio incomincia a diventare «interessante».
    Ci sta a dividere con Lui la sua vita e la sua gioia. Anche perché se la ritrova sempre tutta sua. Più piena. Più vera. Più sua.
    Quel giovane ha riconquistato la fede: ne ha fatto una realtà della sua vita. I suoi gesti possono ora, anche soggettivamente, essere atti di fede, speranza, carità, nella Chiesa. Per l'educatore, e per lui, i problemi non sono finiti. Si tratta di comprendere come i singoli atti quotidiani possono diventare atti salvifici, di dimensione teologale.

    Quarta parte

    DAL DONO DELLA FEDE-SPERANZA-CARITÀ AGLI ATTI SALVIFICI

    La vita quotidiana vissuta come «dare la vita per gli altri» ( = servizio nelle piccole e grandi cose) è già in linea di continuità con la Pasqua di Cristo.
    Ma questo «dare la vita per gli altri», quando diventa atto specificamente cristiano? Quando l'uomo inserisce la sua azione e tutta la sua persona in Cristo, attraverso un atto libero e cosciente.[1]
    L'adesione personale a Cristo ha come tavola di verifica e di realizzazione i singoli gesti del «quotidiano».
    L'adesione personale a Cristo è quindi fare atti salvifici: «compiere atti di fede, speranza, carità nelle quotidiane situazioni concrete» (RdC, 30), nella Chiesa (aspetto ecclesiale e liturgico-sacramentale). Ora questo è possibile:
    * per il dono soprannaturale infuso dalla fede-speranza-carità (dono dello Spirito Santo);
    * dono portato alla attualità (a tradursi in azioni) attraverso la costruzione di abiti acquisiti corrispondenti (frutto cioè di educazione e corrispondenti alla fede-speranza-carità e legati alle situazioni di vita).
    La costruzione di questi abiti dipende dall'opera dell'educatore e dalla collaborazione attiva del soggetto.
    C è quindi un entroterra naturale, «educabile» da costruire. Prima di tutto, per creare uno stato di servizio vero (e non fittizio: prefabbricato per farsi una coscienza tranquilla): un servizio che serva davvero l'uomo, sull'esemplarità del servizio che il Figlio di Dio ha reso, quando ha posto le sue tende fra noi.
    La consapevolezza della sacramentalità della propria vita in ordine alla costruzione del Regno può essere falsa: credere cioè di essere a posto, solo perché sono stati compiuti determinati gesti, o perché si è offerto agli altri un «servizio» comunque.
    E, seconda istanza, per creare quegli atteggiamenti di fondo, quei catalizzatori che permettano la traduzione in atti espliciti, nella verità, della fede-speranza-carità.
    I problemi sono quindi due, molto collegati: come due aspetti di una stessa realtà:
    * con quali atteggiamenti, da coltivare sul piano naturale, si può essere in linea di continuità con il soprannaturale;
    * quali atteggiamenti naturali favoriscono lo sviluppo dei doni soprannaturali.
    Ritorniamo perciò alle riflessioni teoriche, alla ricerca di meccanismi psicologici e teologici che hanno, al proprio interno, enormi risvolti di carattere educativo-pastorale.

    ASPETTO NATURALE DEL SOPRANNATURALE

    Per una comprensione più precisa è necessario riprendere tutto il discorso precedente, richiamando alcuni punti fermi di teologia, in collegamento con le rispettive indicazioni metodologiche.
    Il farsi uomo di Dio porta con sé il farsi umano di tutto il suo Regno, di tutte le realtà specifiche del Regno di Dio. Ad esempio la visione beatifica sarà goduta «attraverso l'umanità di Cristo» e non in modo disumano: sovrumano non è mai disumano.
    * Allora tutte le realtà cristiane hanno un aspetto umano, un aspetto cioè che come umano è profondamente vivo in ciascuno. Se lo si ritrova e lo si ridesta, si ha già un profondo mezzo per far assimilare il regno di Cristo.
    * Sul piano dei metodi si parte da questa deduzione teologica: non c'è aspetto umano che non abbia il suo corrispondente sovrumano e non c'è aspetto sovrumano che non abbia il suo corrispondente umano. Così l'Uomo-Dio ha creato il suo regno.
    * Per «corrispondente» non si intende solo una analogia didattica, un paragone, per cui diciamo: Dio Padre è come il padre. Ma si intende una corrispondenza molto più reale, corrispondenza di partecipazione e di sacramento, per cui ogni padre è sacramento di Dio Padre, ogni padre è un poco padre come Dio è Padre. Dai papà terreni partiamo per conoscere, ma poi rovesciamo il corso del pensiero e diciamo: mio padre è un po' come Dio Padre, nel quale la paternità è piena. Così quando diremo: la Fede è come la fede umana, intendiamo dire che il nostro aver fede in qualcuno è sacramento, è inizio del nostro aver Fede in Gesù ed ogni fede è un poco, con molte impurità naturalmente, attuazione della Fede infusa. Così per l'amore umano e l'Amore infuso, per la grazia umana e la Grazia divina, per la tenerezza umana e la Tenerezza con cui Dio ci ama. Partecipazione e sacramento.
    * Allora vi è una sola realtà come una medaglia a due facce: la faccia naturale e la faccia sovrannaturale. Questo lo si può dedurre dal fondamentale passo della lettera agli Efesini: «il mistero... consiste in questo: riunificare nell'unico capo, Cristo, tutte le cose, le terrestri e le celesti» (Ef 1,10). E costituiscono questa realtà sia le parti umane o terrestri e sia le parti divine o celesti.
    Per il metodo è importante scoprire il contributo che proviene dalla «faccia naturale», per esempio della virtù della fede. Con Gesù Cristo, che si lascia plasmare il volto dalla storia, abbiamo un fatto nuovo: proprio i padri esistenti, proprio il nostro credere reale, quello che ci fa vivere oggi al lavoro, nella famiglia, nelle amicizie, nei patti, proprio esso «corrisponde» alla Fede soprannaturale come la pasta corrisponde al lievito: senza la pasta il lievito è inutile, cioè fuori storia, fuori luogo, fuori vita. Con la pasta, cioè innestandosi nel credere quotidiano di ognuno, la Fede infusa diventa realtà storica, concreta, attuale, immediata.[2]
    In altri termini, per riportare in dimensioni di praticità le annotazioni precedenti, si può schematizzare il processo così.
    La fede, come la speranza e la carità (le virtù teologali) è dono: un dono dinamico, che cresce, nel battesimo e nella recezione degli altri sacramenti, a ritmo con la maturazione della personalità. Ma nessun dono è già di per sé atto. C'è un passaggio da colmare nella vita, il dono deve diventare «momento di vita».
    Come, quindi, dal dono, che si presuppone, si può passare al «momento di vita»? È l'interrogativo che la pastorale si pone.
    Se una persona non è abituata ad atteggiamenti di fiducia, a credere negli altri, il dono della fede rimane a livello potenziale: la vita avrà un suo percorso e la fede un altro: siamo nella disintegrazione. Tanto più che il modo normale di vivere la fede, come virtù, è «credere negli altri», come sacramento del nostro credere in Dio. C'è quindi una profonda continuità tra dono della fede e questo fascio di atteggiamenti che permettono gli atti di fede. Lo stesso vale, per esempio, per la speranza. La speranza teologale è vivere nella certezza che «le cose andranno a finir bene», per la morte e risurrezione di Cristo.
    Non è possibile vivere nella vita quotidiana questo clima di speranza, se il tono di fondo è la ricerca immediata del risultato del proprio lavoro, l'utilitarismo spicciolo, l'assenza totale del gratuito, in una parola, l'assenza di una prospettiva di tempi lunghi.
    Non ci potrà essere speranza teologale, se non attualizzando il dono attraverso la costruzione, frutto di educazione (intervento pastorale), di questi atteggiamenti di fondo che sono già speranza, umana se si vuole, ma in perfetta linea di continuità con la speranza teologale, anzi, il modo con cui la speranza teologale si fa atto di speranza. Il dono della speranza qualifica ontologicamente l'atteggiamento abituale di speranza che uno vive. Ma questo atteggiamento abituale non si improvvisa: è frutto di uno sforzo di educazione maturato attraverso le sue scelte personali, la guida degli educatori, la pressione del gruppo cui appartiene, ecc.
    Allora ritorna la domanda: che cosa, concretamente, è possibile fare? qual è il compito pratico della pastorale?

    LE FUNZIONI DELLA PASTORALE, OGGI

    La funzione della pastorale è centrata su questi aspetti:
    * come è possibile collaborare con i soggetti per la autocostruzione degli abiti corrispondenti, per un esercizio personale e personalizzato (non disintegrato) della fede-speranza-carità;
    * la ricerca dei momenti forti di questi interventi, per facilitare l'integrazione;
    * la ricerca e la costruzione di «contrafforti» di sostegno, per non permettere che questi abiti franino sotto la pressione della vita (per esempio: il gruppo come punto di sostegno);
    * la ricerca di quali sono gli atteggiamenti «corrispondenti», urgenti oggi, nel tipo di civiltà in cui i giovani sono chiamati a vivere, anche in base alle indicazioni del RdC: «Per alimentare una mentalità di fede che consenta di vivere da figli di Dio, la pastorale deve raggiungere gli uomini nel tempo e nel luogo in cui essi operano, vale a dire nelle situazioni di vita che è loro propria.
    Sono pertanto da studiare fenomeni come la rivoluzione scientifica e tecnologica, il processo di secolarizzazione, la diffusione del benessere e della civiltà dei consumi, gli squilibri sociali ed economici, il nuovo volto della famiglia nella società, la diffusione della cultura, la trasmissione di idee e di valori attraverso gli strumenti della comunicazione sociale, il pluralismo culturale e religioso, la urbanizzazione, la democratizzazione della società, la nuova coscienza della dignità e della responsabilità personale dell'uomo» (128).
    Se la fede va vissuta nell'oggi, a partire dalla situazione storica e locale, la corrispondenza tra natura e soprannatura dovrà avere i toni dell'oggi nei due sensi:[3]
    * ricerca dei punti di convergenza, tra la mentalità attuale e la fede, per favorire l'innesto;
    * ricerca dei punti di divergenza, per sgombrare il terreno da ostacoli che non permettono l'integrazione tra fede e vita.
    A partire da una analisi sommaria della civiltà dei consumi, uno dei fatti che maggiormente condiziona la mentalità giovanile, si può avanzare un elenco esemplificativo, da verificare.[4]
    Sembra possibile vivere la fede oggi a condizione di assorbire questi

    atteggiamenti:
    - senso della fiducia
    - senso del mistero
    - senso del gratuito
    - senso dell'attesa
    - senso del concreto invisibile
    - i tempi lunghi
    - clima di calma, di ascolto interessato
    - la morte come strada alla vita
    - senso della amicizia, della libertà

    contro:
    - l'efficienza
    - l'utilitarismo
    - il concreto visibile
    - i tempi brevi
    - la fretta, la superficialità
    - il fare (RdC, 43).

    Già all'interno di questi atteggiamenti è urgente un'opera di differenziazione. Il «senso della fiducia» per esempio è senso della fiducia di quella persona, a partire dalle sue situazioni concrete e specifiche (fiducia nei «suoi» genitori; o fiducia nelle ragazze, perché la sua precedente esperienza gliene ha descritto un'immagine avvilente; ecc.).
    Ma, ancora una volta, è possibile ricercare gli atteggiamenti e fare opera di coltivazione degli stessi, solo attraverso una reciproca comprensione tra adulti e giovani, educatori ed educandi. Il modo di credere all'efficienza, per esempio, ha sfumature, motivazioni, agganci profondamente diversi. Solo entrando ciascuno nella visione delle cose dell'altro (l'empatia rogeriana...) si può innestare ciò che è in linea di continuità con la fede, nel «dato» vissuto, attraverso un'opera di accettazione e di purificazione. E in questo, tutti sono educatori e tutti sono educati. Perché tutti hanno molto di valido, di sicuro, che è già fede-speranza-carità in atto; e molto da convertire, per fare strada alla fede-speranza-carità.


    NOTE

    [1] Cf Roqueplo, o. c.
    [2] Negri, Predisporre la pasta perché riceva il lievito (ciclostilato).
    [3] Cf l'articolo sullo stesso tema, in «Note di Pastorale Giovanile», 1970/12.
    [4] Il tema sarà ripreso, per analizzare con maggior precisione questa proposta pastorale. Questi appunti hanno il solo scopo di sottolineare il problema.

     


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