Luigi Zulian
(NPG 1969-05-76)
3 - MESSA, COMUNITÀ DI AMORE
Quasi continuamente nella nostra vita moderna ci troviamo in assembramenti di persone. Ma ci sono diversi modi di «essere con gli altri».
Facciamo alcuni esempi.
Quando si è immersi tra la folla in una strada del centro nell'ora di maggior affollamento, non si ha, si può dire, niente in comune con tutta quella massa di gente: ognuno se ne va per i fatti suoi, spesso dando fastidio agli altri...
Quando invece ci si trova, per esempio, al supermarket, c'è un legame, sia pur tenue, che unisce: se non altro l'intenzione di fare degli acquisti proprio in quel dato negozio. Niente di più però.
Diverso è già il caso dello stadio. Qui c'è un legame molto più forte tra le migliaia di persone che urlano sulle gradinate: l'interesse per la partita che si sta svolgendo; tanto ché in certi momenti vibrano tutti «in un cuor solo».
E così si potrebbe continuare in questa scalarità di esempi, secondo l'intensità del legame che unisce le persone che si trovano insieme (gente ad un comizio, scolaresca, maestranze di una fabbrica, truppa, massa orchestrale...).
Ora il vertice sommo è (o dovrebbe essere...) il modo di trovarsi assieme per celebrare il rito della S. Messa. Qui non c'è un gruppo di persone che si sono trovate insieme per caso. E neppure di persone che abbiano qualche cosa in comune. Hanno tutto in comune! E la famiglia di Dio! Sono i fratelli che si riuniscono nella casa del Padre, da lui invitati con infinito amore. E l'amore dev'essere il clima che si respira in questa assemblea.
Qui scompaiono tutte le differenze sociali create artificiosamente dagli uomini; quelle differenze che dividono gli animi, generano odio, discordia, lotte, guerre.
«Non conta più l'essere giudeo o greco, né l'essere schiavo o libero, né l'essere uomo o donna; poiché voi tutti siete un essere in Cristo Gesù; voi siete tutti figli di Dio, per mezzo della fede in Lui» (Gal. 3,26-28).
Operai, impiegati, datori di lavoro, proletari, professionisti, manovali, studenti, professori, ricchi, miserabili, bianchi, negri, padroni, domestici: tutti uguali, tutti fratelli, tutti figli dello stesso Padre; nessun privilegio, nessuna esclusione (che contrasto stridente vedere ancora oggi, in qualche chiesa, i banchi «riservati» per qualche pezzo grosso...).
Qui, davanti al Padre, non ci sono più buoni e cattivi, «aristocratici spirituali» e peccatoracci, più bravi e meno bravi, più fervorosi e meno fervorosi. Ognuno è presente col suo carico di miseria ma anche con tanta fiducia nell'amore di Cristo che tutti ha salvato gratuitamente. I tesori di grazia di uno sono tesori di tutti. La Messa è prima di tutto la «sagra dell'amore»: amore riconoscente al Padre Creatore, al Figlio Salvatore, allo Spirito Santificatore; amore per i fratelli uniti strettamente nel comune cammino verso casa.
Quale accecante evidenza acquistano allora le parole di Gesù: «Se stai per presentare la tua offerta all'altare ( = se stai per entrare in chiesa per partecipare alla Messa) e là ti ricordi che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia la tua offerta là, davanti all'altare, e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello, ed allora verrai a presentare la tua offerta» (Mat., 5,23-24).
Come posso infatti vivere questo clima di amore (assolutamente indispensabile per un'autentica celebrazione liturgica) se nutro antipatie, se conservo rancori, se persisto nell'odio, se non voglio riparare offese fatte magari proprio a coloro che mi stanno accanto, con i quali dovrei pregare: «Padre nostro... come noi rimettiamo...», assieme ai quali dovrei ricevere il corpo di Cristo? Sarebbe un'assurdità!
auspicabile che si diffonda l'uso del bellissimo gesto dell'abbraccio di pace, della stretta di mano, durante la S. Messa, dopo il canto dell'«Agnello di Dio» (come fanno i sacerdoti concelebranti). Ora pensate un po' come diventerebbe vera la nostra Messa se due che hanno avuto un forte litigio, magari in presenza dei compagni, in quel momento, lì, davanti a Dio e ai fratelli, si riabbracciassero! Povere le nostre Messe invece! Ognuno chiuso nelle sue meschinità, indifferente o peggio insofferente degli altri, solo preoccupato che la cosa finisca in fretta per poter ritornare alle cose che piacciono, dopo questa noiosa, necessaria parentesi... È naturale allora che a un certo punto si dia una pedata a tutto e si pianti lì di andare a Messa. Però non si dia la colpa alla Messa, ma a se stessi perché non si è capito un bel niente della Messa, forse anche perché (diciamolo piano, che nessuno ci senta...) i sacerdoti non hanno saputo presentarcela in tutta la sua bellezza.
La Messa, naturalmente, non è soprattutto questo. Però questo è il clima indispensabile, lo spirito col quale ci dobbiamo andare; altrimenti i doni del Padre che ci apprestiamo a ricevere (la sua Parola, il suo Figlio come Vittima e Cibo) risulteranno sterili, senza senso e senza efficacia. Ancora una volta, cioè, avremo avuto il tristo potere di neutralizzare l'onnipotenza di Dio.
4 - SCUSI, È ANCORA «BUONA» LA MESSA?
– Scusi, è ancora «buona» la Messa?
– Sì, sì, il sacerdote non ha ancora scoperto il calice...
Oppure:
– Entriamo? È già ora?
– No, no; sta ancora facendo la predica; possiamo aspettare ancora un po'... O ancora:
– Sbrigati, Luisa, sono già le 11... Finirai per perdere Messa.
– Ma no, sai che D. X. è sempre lungo nella predica. Basta che arrivi per le 11 1/2 ... faccio ancora a tempo a prenderla...
Dialoghi edificanti dei nostri buoni cristiani!
Si comprende allora perché alcuni teologi si augurino che venga tolto il precetto della S. Messa festiva. Secondo loro non sarebbe un cedimento, uno smantellamento pericoloso di una roccaforte del Cristianesimo, ma solo un riportare la S. Messa alla sua genuinità, liberandola da questa sovrastruttura di obbligatorietà che ne ha soffocato completamente la sostanza: il dono di Dio e la nostra risposta amorosa.
Non discutiamo la loro opinione.
A noi interessa soltanto rilevare la mastodontica ignoranza, il travisamento totale della S. Messa nella mentalità di tanti cristiani.
Un po' di colpa, dobbiamo dirlo, ce l'hanno anche i moralisti passati, i quali, forzati dalla necessità di stabilire dei limiti precisi per giudicare della gravità o meno dell'inosservanza di un precetto (ma era proprio una necessità?...) hanno fissato un termine estremo, oltrepassato il quale non si poteva più ritenere di aver soddisfatto al precetto festivo: inizio dell'Offertorio. Ma, come al solito, le loro intenzioni sono state travisate dalla tendenza alla rilassatezza insita nell'uomo. Il termine estremo si mutò in termine normale.
Peggio ancora: entrò nelle menti la convinzione che la vera Messa cominciasse all'Offertorio. Quel che veniva prima era puramente accessorio, serviva di preparazione, aveva quindi un'importanza del tutto secondaria.
Press'a poco si pensava che la prima parte della S. Messa (la Messa didattica) stesse alla seconda (la Messa sacrificale) come, in un concerto, l'accordatura degli strumenti sta all'esecuzione.
Prima del concerto i musici si preparano, si mettono a posto, fanno i primi accordi, scaldano gli strumenti; nel frattempo la gente entra, si saluta, prende posto, scambia quattro chiacchiere... Poi ad un certo punto comincia il vero concerto: più nessuno può entrare, tutti seguono attenti. Forse il paragone sarà un po' esagerato, ma non penso si discosti molto dalla prassi ancora vigente in qualche luogo.
Grazie a Dio, il Concilio e il rinnovamento liturgico che ne è seguito hanno assegnato un buon colpo a queste deformazioni.
Oggi forse c'è meno gente che va a Messa, ma quelli che ci vanno acquistati( sempre più coscienza di ciò che è veramente la S. Messa.
Tra l'altro non fanno più distinzione tra Messa «buona» e «non buona», non calcolano più di arrivare... al tempo giusto, in modo da non perdere Messa ma nello stesso tempo non perdere tempo ad ascoltare la predica...
Ormai si assottiglia sempre più la schiera degli «schiavi della lettera» che uccide, dei calcolatori, dei cristiani «schiva-inferno-e-poi-tira-più-che-puoi».
Mentre aumentano quelli che intendono adorare Dio «in spirito e verità» e quindi si sforzano di vivere sempre più la loro S. Messa, penetrandone lo spirito (il fatto che si dica la S. Messa completamente in italiano ha certamente contribuito).
* * *
La Costituzione Conciliare sulla liturgia all'art. 56 dice: «Le due parti che costituiscono in certo modo la Messa, cioè la Liturgia della Parola e quella Eucaristica, sono congiunte tra di loro così strettamente da formare un solo atto di culto».
E difatti: la Messa è il dono del Figlio fatto all'umanità da parte di Dio. Ora Egli non ce l'ha donato solo il giovedì santo. Prima l'ha inviato a insegnare. Il sacrificio di Cristo sarebbe stato incomprensibile agli uomini se prima non ci fosse stata tutta un'opera di istruzione.
Così è per la S. Messa, dove si prolunga la Presenza di Cristo Salvatore: Presenza del Cristo che annuncia la salvezza (i 3 anni di predicazione – I parte della S. Messa) – Presenza del Cristo che dona la salvezza (giovedì santo, risurrezione, ascensione – II parte della S. Messa).
Due parti complementari quindi, come complementari furono i due periodi della vita di Cristo.
E come sarebbe sballato il ragionamento: «Io mi unisco a Cristo nei giorni della Passione, ma non faccio conto dei tre anni, anzi di tutti gli anni di vita terrena che la precedettero», allo stesso modo sballata sarebbe la condotta di quel cristiano che sistematicamente trascurasse la prima parte della S. Messa per partecipare solo alla seconda.
Non saremo per caso anche noi di questi cristiani?...
5 - L'INCONTRO CON LA PAROLA DI DIO
Leggere la Bibbia è senza dubbio una cosa lodevolissima.
Ancor più meritevoli di lode sono gli incontri di studio, i circoli di cultura biblica, i gruppi del Vangelo. Ci aiutano a conoscere e comprendere sempre meglio il messaggio di Dio.
Ma c'è una differenza notevole tra questi contatti con la Parola di Dio e quello che si determina quando sentiamo questa Parola durante la S. Messa.
Può darsi che la nostra meditazione privata sia più profonda, che negli incontri di studio penetriamo più acutamente il significato di certi passi, che sentiamo o facciamo osservazioni sapienti, mentre durante la S. Messa potremo sentire dei pezzi del Vangelo, dell'Antico Testamento o delle Lettere di S. Paolo di scarso interesse, o (ci sembrerà) mal scelti, commentati forse ancora peggio da un povero prete che mena il can per l'aia o fa dormire...
Ma nel primo caso è sempre un'«opera di uomini»; mentre nel secondo è Dio che ha l'iniziativa. Ecco l'enorme differenza.
Gesù Cristo, Parola di Dio, dopo aver parlato per 30 anni con la sua vita e i suoi insegnamenti sulle colline della Giudea o lungo le rive del lago di Cafarnao o nelle sinagoghe o nel tempio, ora prende a prestito un libro, una voce Per continuare tale predicazione, per renderla attuale e viva, adatta a noi, oggi.
Ecco quanto avviene nella prima parte della S. Messa. È Cristo, presente nel libro della Scrittura e nella persona del suo ministro, che ci parla, ci annuncia la salvezza.
* * *
Tutta la liturgia della Parola tende, come a suo culmine, al Vangelo. Ma prima di ascoltare il Cristo direttamente (Vangelo), ci prepariamo ascoltando gli uomini ispirati che hanno parlato di Lui, prima o dopo la sua venuta (Epistola). Ci si dischiude in questo modo il piano di Dio, con tutta un'opera propedeutica di educazione del suo popolo (testi dell'A.T.) e lo sviluppo, il proseguimento di questa educazione dopo la risurrezione di Cristo (testi neotestamentari). Al culmine, come dicevamo, la Parola stessa di Gesù, Parola-orale e Parola di vita: il Vangelo.
Abbiamo mai pensato a che cosa signifrchi «Parola di Dio», noi uomini chiacchieroni, abituati a parlare a vanvera, senza dare un significato vero alle nostre parole? Parlare veramente significa entrare in intima comunione, riversarsi l'uno nell'altro.
Dio ci parla così e solo così. Non ci dice delle cose, ci rende presente se stesso, con tutta la sua azione efficace, salvifica. La Parola che sentiamo nella Messa cioè è vita, è redenzione, è amore che opera già la salvezza, nel mentre che l'annuncia. Ecco perché la Parola di Dio ascoltata nell'assemblea liturgica è tutta un'altra cosa.
E l'applicazione concreta di questa Parola a noi, oggi, è fatta dall'omelia, che non è quindi un accessorio trascurabile o addirittura una noiosaggine di cui si farebbe volentieri a meno...
È sempre Dio che prende a prestito quella povera voce umana per scendere al pratico nella comunicazione del suo messaggio.
– Ce ne vuole di fede – dirà qualcuno – specialmente quando si sentono certe prediche...
Certo, ce ne vuole di fede, quella stessa fede che faceva preferire il rozzo Pietro ai sapienti dell'Aeropago.
Con ciò non si vuol sostenere che l'omelia sia sempre, come si dice, all'altezza della situazione, cioè che risponda sempre degnamente alla funzione di altoparlante di Dio. Come in tanti altri casi del genere, lo strumento può essere molto inadatto. Ciò non toglie che, per sua natura, sia destinato a questo. L'impegno del sacerdote dovrà essere quello di renderlo sempre più adatto all'uso. Da parte nostra un approfondimento ragionato dello spirito di fede ci aiuterà a superare la scorza anche scostante, se si vuole, dell'elemento umano, per attingere la sostanza divina che vi è racchiusa.
Se sapremo accostarci così alla S. Messa, con queste convinzioni, essa diventerà veramente il centro, il sostegno del nostro cristianesimo. La linfa vitale che assorbiremo ad ogni incontro con la Parola di Dio, Parola fatta Persona, non potrà non produrre i suoi effetti.
Qui troveranno pure la loro soluzione tanti piccoli e grossi problemi di vita, che invece spesso tentiamo di risolvere con mezzucci psico-asceticoidi.
Perché qui è Dio che agisce.
PER LA DISCUSSIONE DI GRUPPO (conf. 3, 4 e 5)
1) Facciamo una piccola inchiesta nella nostra Parrocchia sul significato e l'importanza che la gente dà alla prima parte della S. Messa.
2) In che rapporto stanno la prima e la seconda parte della S. Messa?
3) In che rapporto stanno le due parti della S. Messa con la vita di Cristo?
4) Cosa intendiamo per «Parola di Dio»? Cerchiamo di approfondire il significato di questa espressione.
5) Cosa ne pensiamo del precetto festivo?
6 - L'AMORE PIÙ ASSURDO
Leggiamo nella lettera di S. Paolo agli Ebrei (9,19): «Quando Mosè ebbe promulgato ogni comandamento secondo la legge a tutto il popolo, preso il sangue dei, vitelli e dei capri con acqua e lana scarlatta e issopo, asperse il libro stesso e tutto il popolo, dicendo: Questo è il sangue dell'Alleanza che Dio volle contratta con voi». E per secoli e secoli il popolo d'Israele offrì vittime a Dio in espiazione dei propri peccati, rinnovando continuamente l'Alleanza sancita un giorno là nel deserto. Ma quei sacrifici non potevano raggiungere pienamente lo scopo, «poiché – ci dice ancora S. Paolo (Ebr., 10,4) – è impossibile che sangue di tori e di capri tolga via i peccati».
Dio aveva in mente qualche cosa di più meraviglioso. Quell'alleanza era soltanto provvisoria, figura di un'Alleanza più piena e perfetta, che Egli avrebbe stabilito col suo popolo.
«Ecco, vengono giorni – dice il Signore
E io stringerò con la casa d'Israele e con la casa di Giuda un'Alleanza nuova, non come quella che feci coi padri loro,
nel giorno in cui li presi per mano per cavarli fuori dall'Egitto,
…………
e sarò loro Dio,
ed essi saranno mio popolo.
…………
Perché sarò misericordioso verso le loro iniquità,
e dei loro peccati non mi ricorderò più».
(Geremia, 31,31-34)
Per sancire questa nuova Alleanza non chiederà più sangue di tori e capri; escogiterà qualche cosa che... solo un Dio poteva escogitare: donerà Lui stesso la vittima che gli uomini dovranno offrirgli. E che vittima! Il suo Figlio stesso! Il quale, «entrando nel mondo dice:
«Sacrificio e offerta tu non hai voluto,
ma mi hai preparato un corpo:
olocausti e sacrifici per il peccato tu non hai gradito.
Allora dissi: Ecco che io vengo
– di me sta scritto nel rotolo del libro –
per fare, o Dio, la tua volontà».
L'unione di due amori infiniti, inspiegabili, direi quasi assurdi da un punto di vista umano – l'amore del Padre e l'amore del Figlio, gli offesi! – che convergono (l'uno nel dono, l'altro nell'obbedienza) per salvare e poter perdonare i loro offensori!
Questa la genesi e il significato del sacrificio del Calvario.
Nella S. Messa il Padre raccoglie i suoi figli dispersi, la sua famiglia, per rinnovare il suo dono; e il Figlio continua, ri-attualizza il suo sacrificio obbediente di espiazione.
È appunto la seconda parte della S. Messa.
Si è operato cioè un crescendo mirabile: prima il dono della Parola, ora il dono della Vittima, che diventerà anche Cibo.
È così che vediamo e sentiamo la S. Messa? Ci rendiamo conto dell'amore del Padre e del Figlio nei nostri riguardi? Non si direbbe, guardando il nostro comportamento in chiesa...
Solo la nostra mastodontica incoscienza può spiegare l'indifferenza con cui ci accostiamo a questo mistero e partecipiamo alla S. Messa.
7 - LA RESTITUZIONE DEL DONO
Parole sentite durante una conferenza di aggiornamento sulla S. Messa: «I fedeli se ne stavano lì più o meno annoiati, senza capire niente, mentre il sacerdote diceva e faceva le sue cose per conto suo. Allora, per rendere più viva la partecipazione alla S. Messa da parte dei fedeli e perché anche loro avessero qualche cosa da fare, ecc...».
L'intenzione del conferenziere sarà stata ottima, non discuto; ma l'espressione non era troppo felice. Non riportava certo la motivazione esatta della riforma liturgica: non si è voluto «dare qualche cosa da fare» o da dire in più ai fedeli, perché non si annoiassero o perché partecipassero di più a «quello che faceva il sacerdote». Si è voluto invece rimettere le cose a posto, restituire ai fedeli il ruolo che loro compete, e che era andato man mano scomparendo, sepolto sotto sedimentazioni dovute a svariate cause.
È tutto il popolo di Dio, quindi tutta l'assemblea presente che offre il sacrificio. Il sacerdote, come mediatore, ha la funzione (insostituibile!) di rendere presente la Vittima in questo momento storico, in seno a questa assemblea. Ed ora tutta l'assemblea offre, per le sue mani e mediante la sua voce, questa Vittima presente sull'altare, al Padre, in espiazione dei peccati propri e di tutti gli uomini.
Per questo le preghiere veramente sacrificali della S. Messa sono sempre al plurale:
«Pregate, fratelli, perché il mio e vostro sacrificio...».
«Accetta con benevolenza, o Signore, l'offerta che ti presentiamo, noi tuoi ministri e questa tua famiglia».
«Perciò, Signore, noi tuoi ministri e il tuo popolo santo... offriamo alla tua maestà divina...».
«Guarda con amore e riconosci nell'offerta della tua Chiesa, la vittima immolata...». «Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie...».
Nelle nuove preghiere eucaristiche tutto il popolo interviene subito dopo la Consacrazione, unendosi al sacerdote:
«Annunciamo la tua morte, Signore,
proclamiamo la tua risurrezione,
nell'attesa della tua venuta».
E al termine della grande preghiera eucaristica suggella con il suo Amen la preghiera del celebrante, come a dire: «Sì, o Signore, aderiamo con tutto il cuore a quanto il sacerdote ha detto e fatto anche a nome nostro!».
E questo Amen lo pronuncia mentre il celebrante tiene elevata la Vittima in un gesto di offerta al Padre («piccola elevazione»);
«Per Cristo, con Cristo e in Cristo,
a Te, Dio Padre onnipotente,
nell'unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria
per tutti i secoli dei secoli».
La famiglia di Dio ha così risposto all'iniziativa del Padre.
Mosso dal suo immenso amore, Egli dona all'umanità il suo Figlio stesso. Questi aveva prima istruito i suoi fratelli, aveva portato il messaggio, la Parola viva del Padre, in un contesto di preghiera e di purificazione (prima parte della S. Messa). Ora si fa Vittima per i peccati del mondo intero, in spirito di assoluta obbedienza.
E come tale si offre Lui stesso e si fa offrire dai suoi fratelli (il suo Corpo Mistico, la Chiesa), ri-attualizzando il sacrificio del Calvario (seconda parte della S. Messa). Il popolo di Dio accoglie nella gioia riconoscente questa iniziativa del Padre e fa effettivamente l'offerta. Senza questa corrispondenza il sacrificio di Cristo resterebbe, per così dire, sterile. La S. Messa (nella sua parte sacrificale) ha proprio la funzione di rendere efficace, per questa porzione storica del popolo di Dio, il sacrificio di Cristo. E nello stesso tempo il popolo di Dio (con a capo il Cristo) prega perché questa efficacia sia estesa a tutti gli uomini.
Ecco perché la Chiesa non cessa mai di celebrare la Messa: tutti gli uomini, di tutti i tempi, devono essere progressivamente aggregati al sacrificio di Cristo.
Noi, partecipando alla S. Messa, oltre ad aggregare noi stessi a questo sacrificio, contribuiamo alla aggregazione universale di tutti gli uomini!
8 - UNA SOLA VITTIMA COL CRISTO
Il sacrificio, dicevamo la volta scorsa, resterebbe, per così dire, sterile, se, nell'offerta, non gli si unisse la sua Chiesa.
Ma dobbiamo dire anche che l'offerta del Cristo-Vittima da parte della Chiesa rimarrebbe monca se la Chiesa non offrisse, col Cristo, anche se stessa. Cosa significa in concreto questa offerta?
Si comprende facilmente se si riflette sul perché del sacrificio di Cristo.
L'uomo aveva peccato, rompendo l'Alleanza con Dio. Dio, magnanimo, amoroso, misericordioso, vuole ricostituire l'Alleanza; per questo invia suo Figlio, il quale, col suo sacrificio, chiede e ottiene il perdono per tutti gli uomini. Ora ogni uomo può beneficiare del sacrificio di Cristo; sacrificio che diventerà efficace per lui, se vi aderirà, cioè se si unirà alla richiesta di Cristo. Ma il chiedere perdono implica necessariamente l'intenzione, l'impegno di togliere e riparare l'offesa. Ecco allora cosa significa in concreto l'offerta che l'uomo fa di se stesso, in unione con l'offerta di Cristo: una rinuncia radicale al peccato, un impegno di vita migliore. E giacché è alla Chiesa come tale che Dio ha fatto il suo dono, ed è la Chiesa come tale che ha offerto il sacrificio, sarà anche la Chiesa come tale che si offre e quindi si impegna.
In definitiva la realizzazione piena di questo impegno si avrà nell'amore. «Dove è carità e amore, qui c'è Dio!».
La celebrazione della S. Messa suppone quindi l'esistenza di una comunità in cui ci si voglia veramente bene. E nel medesimo tempo sarà la S. Messa stessa a rafforzare questo legame di amore, prima di tutto tra i convenuti e poi con tutti gli uomini. Non un amore astratto, fatto di belle parole, ma un amore che significa: comprensione, interessamento, attenzione alle necessità altrui, aiuto, sacrificio, rinuncia a sé per gli altri, donazione gioiosa, azione sociale...
Allora sì che il nostro essere Chiesa diventa autentico.
Ed è soprattutto vivendo pienamente la nostra S. Messa che ne prendiamo coscienza e riceviamo la spinta per trasformare in vita vissuta il messaggio ricevuto.
Ma l'offerta che la Chiesa fa di se stessa nella S. Messa, in ognuno dei suoi figli, implica un altro fatto importante.
Cristo sul Calvario offrì in antecedenza, con la sua, la vita di tutti gli uomini, quindi le loro sofferenze, il loro amore. Ed ora ogni uomo, inserito nella Chiesa, allo stesso modo che si aggrega al sacrificio di Cristo, unisce pure la sua vita come «ostia viva», divenendo «una sola vittima col Cristo» (Messa di Cristo Sommo Sacerdote).
Pensate un po' al significato di questa unione.
Le nostre sofferenze fanno un tutt'uno con quelle del Cristo. Vuol dire che, anche se di per sè potrebbero essere di scarso valore o comunque sempre molto limitate, unite a quelle di Cristo partecipano in qualche modo del loro valore infinito: sono assunte nella divinità, sublimate.
La differenza che sussiste tra l'offerta «privata» della mia vita, del mio lavoro, delle mie sofferenze e quella compiuta nella S. Messa, potrebbe essere analoga (e in misura assai maggiore) alla differenza che dicevamo sussistere tra una lettura privata della Sacra Scrittura e la proclamazione della stessa nel corso della celebrazione eucaristica. C'è un passaggio, una sublimazione dall'umano al divino. Pensiero molto consolante per noi!
Così, con l'offerta della nostra vita, la redenzione entra veramente in pieno nella nostra esistenza. E noi diventiamo membri attivi (e non soltanto recettivi) nell'opera della redenzione. «Compio quelle cose che mancano alla passione di Cristo» (S. Paolo).
Cerchiamo di pensare a queste cose quando partecipiamo alla S. Messa, specialmente al momento della «piccola elevazione», al termine della preghiera eucaristica. In quel momento il sacerdote, alzando verso il cielo il pane e il vino divenuti Corpo e Sangue di Cristo, offre a nome di tutti al Padre la Vittima «pura, santa, immacolata»; misticamente uniti a quella Vittima, formanti un tutt'uno con Lui, ci siamo pure noi, che non siamo né puri, né santi, né immacolati, ma «fiduciosi nella infinita misericordia» del Padre, offriamo il nostro impegno di rinuncia al peccato, di unione nell'amore.
PER LA DISCUSSIONE DI GRUPPO (conf. 6, 7 e 8)
1) Che differenza sussiste tra i sacrifici dell'A.T. e la S. Messa? E con quali conseguenze?
2) Chi è il primo e principale «sacrificatore» nella S. Messa? In che senso?
3) Qual è il fine che la Chiesa si è prefisso di raggiungere con la riforma liturgica?
4) Ricerchiamo nelle quattro «preghiere eucaristiche» tutte le espresssioni che esprimono il concetto che è tutta l'assemblea che offre la vittima.
5) La S. Messa può avere un'efficacia anche per i non credenti, i pagani, i non praticanti? In che modo?
6) Cosa significa che la Chiesa deve offrire anche se stessa nel sacrificio della S. Messa?