Taizé, 31 agosto - 3 settembre
(NPG 1968-02-98)
Noi ci siamo riuniti per incontrarci, per metterci davanti al Cristo, per trovare o per rafforzare impegni di vita concreta per noi stessi. Noi cerchiamo di vivere il Cristo, per gli uomini, e di amare la Chiesa: essa è il Corpo di Cristo. Essa è la continuazione di Cristo nel tempo. E la realizzazione di quel regno che è preda solo dei violenti. Dei violenti: non dei rivoltosi.
Per questo, senza rivolta, noi non vogliamo chiedere nulla, per noi stessi. Ma con la violenza dei pacifisti, abbiamo il coraggio di chiedere, per coloro che non sono della Chiesa.
Per costoro, la nostra pazienza diventa ardente ed è posta alla prova del fuoco quando queste persone per cui noi ci sforziamo di vivere il Cristo, sono giovani indifferenti ad ogni anelito di fede.
Taluni hanno, un tempo, amato la Chiesa, hanno molto sperato, ma non vi sono rimasti: ora la fuggono a passi di velluto.
Altri, nati in una indifferenza totale, non possono scoprire nei cristiani separati il segno di quella comunità di fratelli di cui l'uomo è bramoso. Per tutti questi fratelli chiediamo che l'ecumenismo non sia un sogno nè una parola vuota, ma vita e vocazione che si vada realizzando.
Noi sappiamo che il popolo di Dio, la Chiesa, quando avrà trovato unanimità nelle cose fondamentali, ricomposta nella sua lacerata unità, diventerà luogo di fraterna accoglienza per tutti gli uomini.
Solo così, i cristiani potranno essere, nel mondo d'oggi, una parola viva, al centro dei drammi della guerra, dell'ingiustizia, della segregazione razziale, della fame.