(NPG 1968-12-16)
Don Lorenzo Longoni
Direttore Federazione Oratori Milanesi (FOM)
Mi affretto a rispondere alle Sue richieste circa l'ottimo studio inviatomi sui «Centri Giovanili». Lei conosce già le mie idee in proposito anche dalle pubblicazioni FOM [1] e per alcune cose sinteticamente espresse in vista del Congresso Diocesano dei Circoli Giovanili dello scorso maggio. Non ho quindi niente di speciale da dire; faccio solo qualche piccola nota per qualche punto.
Il punto che trovo difficile è – se posso esprimermi così – l'equilibrio delle due autorità. Si parla infatti, a proposito della natura del Centro Giovanile, di un «elementare intervento adulto», mentre sia la descrizione di ciò che si dovrebbe trovare al Centro, sia ciò che si dice del «Direttore» suppongono una piuttosto forte azione e responsabilità degli adulti.
In realtà si tocca con tale argomento uno dei punti più delicati non solo del Circolo Giovanile, ma della crescita democratica dei giovani. Forse bisogna rifarsi alle origini storiche del C.G. Il C.G. risulta dall'incontro del movimento giovanile moderno col nostro impegno educativo: è forse approfondendo questo fatto che si potrà far luce sull'argomento. Si tratta infatti dell'incontro tra il «movimento» e l'«istituzione».
Sono perfettamente d'accordo per tutto quanto si dice circa l'animazione, l'attivazione, i gruppi, ecc. Non del tutto – o almeno non rigidamente – con l'affermazione, che sia meglio non aprire un Centro Giovanile piuttosto che non dargli un personale adeguato.
[1] Si può vedere per esempio lo studio accurato e completo «Il Circolo Giovanile» in Eco degli Oratori e dei Circoli Giovanili 1968-4 (n.d.r.).
Giancarlo Verzaro
Presidente delle Associazioni Giovanili Salesiane (AGS) e membro della Consulta Nazionale Apostolato dei Laici e della Commissione «Apostolato dei Giovani»
Credo davvero che oggi si debba saper coraggiosamente «rischiare». E direi, forse azzardando troppo, che si debba saper coraggiosamente rischiare soprattutto nel senso di non temere di gettare all'aria vecchie
e superate strutture che purtroppo si riscontrano tutt'ora e che davvero, a volte, poco hanno di «pastorale».
L'organizzazione è elemento base di un vivere comune, purtroppo però, in non pochi casi questa «organizzazione» ha preso il sopravvento tanto da far somigliare a volte i nostri ambienti e i nostri Oratori a delle efficientissime... società per azioni.
E il rischio di essere presi da questa che chiamerei proprio la febbre dell'organizzazione, lo corriamo forse ancora oggi con i Centri Giovanili se non si sta bene attenti nel distinguere sempre, momento per momento, quelli che sono semplici mezzi da quello che è il solo, l'unico fine della nostra azione: la formazione dei giovani.
Si cadrebbe allora nello stesso errore che ha fatto, in un certo senso, fallire l'Oratorio tradizionale, perché ci si affezionerebbe troppo alla organizzazione per se stessa e non si sarebbe più capaci di «adeguare continuamente la nostra azione pastorale sui bisogni e sulle carenze storiche dei giovani».
A cosa ci servirà avere una Polisportiva che primeggia in tutti i campionati nazionali, o avere un Cinecircolo con 1000 iscritti e tecnicamente perfetto, se quella Polisportiva e quel Cineclub non ci saranno stati di aiuto per la formazione dei giovani che vi hanno partecipato?
E allora penserei che sarebbe utile, specialmente nel momento storico attuale, precisare e chiarire che l'augurio del Capitolo Generale XIX (A.C.G. 103, riportato nello studio) di un ridimensionamento «nel nome e nella struttura dell'Oratorio perché riesca ad attrarre e servire il maggior numero di giovani», non significa soltanto, come purtroppo si pensa anche da molti, modernizzare le strutture materiali dell'Oratorio, fornendolo, per es., di una piscina o altro, ma significa invece, soprattutto, rinnovare le strutture pastorali, i metodi psicologici di azione tra i giovani e con i giovani.
Giacché, a mio avviso, non è più l'epoca di imbarcarsi in competizioni con ambienti esterni ed agnostici meglio forniti e più accoglienti per le attrezzature offerte.
D'altra parte, (non vorrei apparire troppo ottimista) è facile riconoscere che il giovane di oggi non sceglie sempre tra gli ambienti quello che gli offre più attrezzature e più mezzi per il suo divertimento, (e anche se così fosse non potremmo certo sperare di reggere troppo a lungo il confronto con gli altri ambienti), ma quello in cui trova un clima di spontaneità e di amicizia («amorevolezza» appunto) che lo aiuti ad estrinsecarsi liberamente e serenamente in tutta la sua ricchezza giovanile. Per convincersene basta vedere come i giovani creano i loro clubs spontanei; molto spesso è loro sufficiente una stanza per riunirsi, stare insieme e discutere!
D'altra parte è anche vero che molte attrezzature in possesso di nostri ambienti non sono attualmente sfruttate per scopi prettamente pastorali. L forse questo pure un portato di quella che chiamerei una sorta di trionfalismo e «orgoglio di casa» che spinge a volere ogni attività all'interno dei nostri ambienti con tanto di etichetta. Quello stesso orgoglio che vuole spesso il Direttore «tuttofare» ben delineato nello studio del Centro Internazionale. Quell'educatore che era stato abituato a «tuttofare» per i giovani anche se molto spesso non «con» i giovani. Quello stesso Direttore che cerca di organizzare ogni cosa, di preparare tutto, di appianare ogni difficoltà, che elimina dall'ambiente i più turbolenti (che spesso sono anche i più maturi), che evita di dare ai giovani delle responsabilità, dei pesi, perché teme che essi andrebbero via, senza capire che i giovani si allontanano proprio quando non trovano qualcosa che li impegni. Perché è proprio vero che i giovani sono «dei terribili attivisti» e vogliono sempre essere protagonisti della loro formazione. Ai giovani d'oggi non basta più il nostro ambiente per passare qualche ora di svago e di sana spensieratezza alla luce dell'ormai sorpassato «meglio qui che altrove».
È in un simile clima di paternalismo e di «protezionismo» che i leaders vengono combattutti o snobbati dal Direttore, quasi che volessero rubargli un po' del suo mestiere di tuttofare.
È davvero venuto dunque il momento di fidarsi dei giovani, di lavorare «con» loro nella consapevolezza che solo così è possibile lavorare «per» loro. È venuto il momento di rischiare non temendo di buttare
all'aria alcune vecchie strutture sorpassate.
E qui la spinta ci viene da don Bosco e dalle parole di don Ricceri negli Atti del Consiglio Superiore (1967 pag. 50) «non vorremmo noi
fare un atto di fede?».
È forse proprio un po' di fede coraggiosa che ci è mancata; forse anche noi giovani ci stiamo pigramente invecchiando assieme alle strutture!
Un gruppo di giovani
dirigenti di un Centro Giovanile
Abbiamo ricevuto e discusso la relazione sui Centri Giovanili. I motivi ispiratori ed alcune idee pratiche ci trovano completamente allineati; su qualche affermazione facciamo delle precise riserve.
Ci sembra manchi un gradino fondamentale del discorso intorno al rinnovamento degli Oratori: perché il metodo «vecchio» non funziona, non soddisfa? Quali i suoi errori di fronte al mondo dei giovani e alla dottrina conciliare? Senza questa azione critica, che deve impegnarci tutti in una azione di studio teologico e culturale, potremmo correre molti pericoli (conservazione di strutture non più valide o, per contro, non conservare strutture ancora valide, patrimonio autentico della tradizione della Chiesa; ripetere in chiave rinnovata vecchi errori; proporre soluzioni che sono sempre in ritardo con i tempi e che quindi fanno sprecare energie, tempo ecc. e ci costringono ad una continua ed inutile rincorsa dei giovani).
Il rinnovamento di mentalità porta a chiedere:
– la realizzazione coraggiosa dell'affermazione conciliare, richiamata anche nell'introduzione del documento: «L'ordine sociale e il suo progresso debbono sempre lasciar prevalere il bene delle persone, giacché nell'ordinare le cose ci si deve adeguare all'ordine delle persone e non il contrario» (Gaudium et Spes, n. 26).
– una più attenta rivalutazione del rapporto giovani-Chiesa, con piena sottolineatura della funzione educativa della parrocchia. La parrocchia: ecco il centro del rinnovamento! Dalla parrocchia nuova scaturirà l'oratorio nuovo. Da una parrocchia comunità, di famiglie anzitutto, scaturisce la risposta al problema educativo dei giovani.
Non è solo il sacerdote, anche se in gamba, che educa; è anche l'ambiente in cui il ragazzo vive: scuola, famiglia, vita di gruppo... Il Centro Giovanile sembrerebbe isolare i ragazzi per età, per interessi, togliendo quindi importanza a quello che nella Chiesa è il fattore educativo più importante: la vita nella comunità. Una comunità viva saprà organizzarsi da sola e non farà alcuna fatica a inventare le iniziative che si prevedono per il Centro Giovanile, dando inoltre il grande vantaggio di costruirsele da sè, di «sudarsele» una per una.
D'altra parte, vale la pena (ce lo chiediamo) mettersi in concorrenza con tante iniziative pubbliche a finalità sportiva, culturale..., o non è invece opportuno inserirsi in esse? La prospettiva dei quartieri non è poi certo tanto lontana.
Infine una domanda, forse la più importante: qual'è il ruolo dei laici all'interno della istituzione? Quale è il ruolo del direttore d'Oratorio o di Centro Giovanile? Se, come dice il Concilio, le istituzioni devono essere al servizio degli uomini, è contro il Concilio la situazione attuale in cui ogni ricambio del personale dirigente porta necessariamente mutamenti notevoli (legati alla sua personalità e al suo quadro mentale) all'ordine preesistente: oratorio e centro giovanile devono essere saldamente ancorati alla parrocchia, alle famiglie della parrocchia, ricevendo da essa continuità anche nei necessari cambiamenti, mezzi, dirigenti...
In questo quadro il sacerdote perde la figura paternalistica del prete «centro» che fa tutto (quello che può), anche se altri possono fare meglio e così lasciare a lui il tempo necessario per esercitare il suo ministero, per essere cioè davvero «il prete», l'amico, il direttore spirituale. Cioè:
– «la Chiesa è per il Mondo. La Chiesa non ha altra ambizione per sé che quella che la abilita a servire e ad amare» (Discorso chiusura III sessa);
– «la Chiesa non desidera affatto intromettersi nella direzione della società terrena. Essa non rivendica altro a se stessa se non la competenza di servire amorevolmente e fedelmente, con l'aiuto di Dio, gli uomini» (Missioni 12).
Il nostro parere sul documento si può quindi compendiare nei seguenti punti su cui assieme abbiamo discusso trovandoci in perfetto accordo:
– Mancano motivazioni teologiche e pastorali valide (ottime, ma insufficienti, quelle psicologiche, pedagogiche, sociologiche...) che convalidino nel profondo l'atteggiamento di servizio del Centro nei riguardi del mondo giovanile.
– Da un esame globale appare assai più rilevante il fattore «strutture» che il fattore «spirito». Così, ad esempio, nella presentazione generale il fine spirituale-catechetico... sembra secondario.
– La funzione spirituale-educativa si avvale troppo di un metodo teologico-induttivo (... dai valori umani ai trascendenti, dall'uomo alla Parola...). Il metodo porta senz'altro una forte attitudine storica e missionaria, ma corre il rischio di relativizzare la dottrina a rango di cultura... e di perdere il senso della fondamentalità dell'iniziativa divina.
– La gerarchia («direttore», ecc.) è ancora troppo carica di implicazioni temporali e organizzative, soprattutto in un centro che si presenta essenzialmente come culturale ricreativo... A presiedere il Centro ci vedremmo piuttosto un laico particolarmente esperto in questo campo. Il sacerdote rimarrà sempre una figura di primo piano, ma solo in quanto direttore spirituale, consulente... insomma «segno» e «fermento» della vita sacramentale della comunità.
– Le immediate finalità culturali e ricreative tolgono al Centro quella apertura cattolica e quella vitalità missionaria, tali da creare intorno a sè tensioni, inquietudini...
– Appare trascurato (rispetto ai settori tecnici spesso di importanza marginale perchè non determinabili in assoluto rispetto alle situazioni ambientali) il polo liturgico-sacramentale del Centro e in che modo la vita liturgica si immetta nella scoperta dei valori per coglierne il segreto profondo e portarli alla salvezza attraverso il mistero pasquale (morire per rinascere...).
– Non è chiaro come il Centro si possa immettere in un piano organico della pastorale parrocchiale e come possa esaurire la missione catecheticapastorale nei confronti di tutta la popolazione giovanile della parrocchia, mentre esso è impegnato in finalità cittadine di grande impegno.
Don Pietro Gianola
del Consiglio di Redazione di Note di Pastorale Giovanile per la metodologia degli ambienti educativi
IL «CENTRO GIOVANILE»
Il Centro Giovanile è l'organo propulsore della presenza e dell'azione della Chiesa a favore della massa della gioventù adulta in una zona geografica variamente delimitabile: parrocchia, gruppo interparrocchiale, rione, città, paese, zona, ambienti di concreta influenza giovanile.
È azione e presenza della Chiesa, e quindi esige la centralità e il primato degli scopi spirituali, degli influssi, dei messaggi, dei servizi spirituali. Ma connessa con questi si presenta e si impone con diversa urgenza di risposta la gamma dei bisogni, delle disponibilità, degli interessi, delle iniziative, richiesta dalla massa e dai gruppi giovanili adulti. Questa «risposta» deve essere in gran parte attuata in sede di C.G.
– a scopo di attrazione
– a scopo di attuazione altrove non possibile di bisogni e interessi
– a scopo di esercizio guidato di animazione cristiana di ogni manifestazione giovanile e umana, in parte al di fuori come ordinario programma di iniziative.
Il C.G. sembra uno strumento nuovo e originale per estendere un impegno apostolico aperto, capace di azione, di richiamo, di penetrazione. Il metodo della sua azione garantisce l'effettiva partecipazione dei giovani alla organizzazione e al funzionamento delle strutture create per loro e che solo «con loro» possono funzionare, collaborando essi stessi a creare per le masse o per i gruppi e per i singoli, l'organizzazione, le forme di vita, rispondenti agli scopi, ai reali interessi.
Trattandosi di giovani, sono evidenti i limiti di personalità in formazione. Perciò è avvertita la necessità di strutture specializzate che dovrebbero essere capaci di guidare, di integrare (nelle varie circostanze) l'apporto che i giovani possono e debbono dare, con la presenza responsabile e attiva, non invadente e assorbente, ma strettamente propria, del sacerdote e dell'animatore (educatore).
Lo scopo del C.G. è «di aiutare ciascuno a maturare dall'interno i suoi valori personali, partendo dal suo punto base accettato senza forzature, convinti che ogni valore vero, anche se parziale e incompleto, se si sviluppa per la persuasione del singolo, conduce presto o tardi ad un rapporto stabile con Gesù Cristo».
Così il C.G. è «ambiente nel quale spendere la maggior parte del tempo libero, ma solo per convinzione personale e quindi con la adesione dell'animo e senza il pericolo del formalismo...».
L'ambiente giovanile è impostato come luogo di incontro «fluido», che offre delle attività che potrebbero bastare, senza tuttavia esigere l'esclusione tassativa di altri ambienti e di altre attività (pluralismo).
Non più ambiente giovanile «chiuso e obbligatorio» ma ambiente giovanile «ad impegno personale»: impegno a fondo di chi ha più disponibilità di servizio e apostolato, nello sfondo di una più larga popolazione «ad impegno fluido» (apertura leale e accogliente per tutti coloro che hanno il minimo di requisiti).
Perciò qualcuno ha definito il C.G.: «un gruppo di amici aperto a tutti» (in cui la discriminante è nei sottintesi del significato autentico del termine «amici»)
Il C.G. però ha alla base come condizione prima la passione umana e cristiana, soprattutto giovanile, dei suoi organi pastorali, dirigenti, animatori: un Comitato propulsore a largo raggio anche esterno, un Consiglio direttivo con articolazioni nei diversi movimenti o gruppi che fossero dotati di notevole autonomia. Soprattutto questi Consigli direttivi, comunque si vogliano chiamare, sono il sostegno responsabile di tutto l'andamento. Vi devono convergere lo zelo e le grazie sacramentali e carismatiche dei Sacerdoti, Assistenti, e dei laici. Essi per primi devono evitare le chiusure settarie, la formazione di élites irresponsabili e consumative di privilegi, per far prevalere atteggiamenti di apertura, di invito, di ricerca, di uscita coraggiosa e preparata per incontrare gli altri, per dialogare largamente, per diffondere la propria grazia, per assumere la responsabilità dei settori giovanili della zona o degli ambienti di vita corrispondenti alla propria età e condizione.
I GRUPPI ALL'INTERNO DEL CENTRO GIOVANILE
Il Centro Giovanile come «circolo» unitario
È formula ancora valida in determinate circostanze di ambiente. I giovani di una determinata età (generalmente dopo i 18 anni) che manifestano una comune volontà di ritrovarsi, di organizzare un qualche programma formativo, ricreativo, culturale, creano un ambiente d'incontro. Le attività si susseguono entro un programma di interesse largamente comune. Sono spesso riconosciuti «Gruppi» di interesse, di impegno, di servizio, dotati di qualche autonomia. Ma prevale l'organizzazione unitaria, che cerca di rispondere ai bisogni e alle disponibilità medie.
Anche dove si cerca di evolvere verso forme nuove, resta questo il punto di partenza e quasi di riferimento, a volte di ritorno dopo avere invano tentato la creazione di gruppi più differenziati e più spontanei.
Associazioni e gruppi autonomi
È forse la forma nuova e crescente dei C.G. Ferma restando l'unità di cui sono espressione il Centro Propulsore Pastorale e il Consiglio Direttivo del C.G., si nota la preferenza per almeno alcuni raggruppamenti dotati di maggiore autonomia: gruppi interni al C.G., o aventi ispirazioni, attività, rapporti che superano i limiti del C.G., ma che vi trovano però qualcosa di più che una pura ospitalità.
Delineiamo l'ipotesi di:
un Gruppo Universitario dotato di proprie esigenze e programmazioni; un Gruppo di Giovani Aclisti con programmi e prolungamenti d'ambiente, rapporti, che ne definiscono una particolare fisionomia;
un Riparto Asci - Rovers e Scolte;
un Circolo per 15-18enni come è stato delineato sopra;
un Circolo per giovani oltre i 18 anni di convergenza analoga per tutti coloro che non intendono qualificarsi diversamente;
altri Gruppi dotati di precedente o particolare unità e autonomia, finalità ed espressione, che accettano e chiedono di far parte del C.G. entro un quadro più largo di vita giovanile: gruppi culturali, sportivi, di spiritualità e attività apostolica, di attività sociale e caritativa, di preparazione all'azione di ambiente e di raccolta di categorie speciali (GS, GL, GIAC, Catechisti...).
Gruppi d'impegno apostolico interno
Sono quei gruppi di giovani che si motivano direttamente per un preciso e sistematico senso di responsabilità e impegno operativo interno. Il Consiglio del C.G. per sé tende a formare un Gruppo dotato di una certa fisionomia di stabilità e di consenso e convergenza. Può accrescerla con incontri di formazione personale e direttiva, con impegni di esemplarità di vita giovanile cristiana.
Ma in modo particolare rientrano qui i Gruppi Apostolici con impegno sistematico interno.
Pur variando i nomi, merita un primo accenno il Gruppo dei Catechisti, anche se la loro azione diretta si svolge nell'ambito delle Sezioni, delle Associazioni, dei Gruppi dei piccoli e dei ragazzi dell'Oratorio: direzione, catechesi, assistenza, amicizia, esempio, guida della vita d'ambiente... Analogo compito possono assumere Associazioni e Gruppi di A.C., come gruppi GIAC, GF, che concentrano la loro responsabilità e attività, tutta o in parte, nella direzione, nella animazione apostolica degli altri Gruppi del C.G.
In genere sono i Gruppi di Leaders o Animatori laici che hanno varia denominazione, ma comune finalità e funzione operativa interna, dopo una loro maggiore formazione.
I non associati
Costituiscono i margini ad-incontro-fluido. Possono in qualche caso costituire addirittura una forma molto diffusa di presenza al C.G., secondo gli ambienti. All'estero (Germania) vanno aumentando in ambiente anche cattolico, i Centri Giovanili con-la-porta-aperta. Chi vuole entra, s'intrattiene, fa incontri e amicizie, utilizza servizi, segue iniziative programmate nel limite dei propri interessi; se crede va oltre, s'associa e s'inserisce in gruppi più stabili. Però fondamentalmente il C.G. è sostenuto da responsabili, anche militanti, con intenzioni pastorali-apostoliche. È formula diffusa anche al Nord d'Italia come Circolo Giovanile di zona, di paese, come Casa della Gioventù; l'organizzazione vi è minima. Domina la spontaneità della frequenza.
Quello che si dice dei singoli si può estendere anche a gruppi. All'inizio conviene prendere contatti all'esterno, nelle loro sedi, nelle loro attività. Si possono prendere accordi per attività comuni, scambi d'esperienze.
Qualche volta si può giungere, attraverso il richiamo occasionale in ambiente, all'inserimento sistematico. Però non bisogna perseguirlo come sistema. Tutto dipende dalle circostanze locali.
Si è già visto che a questi gruppi all'esterno, di diversa natura e coesione, possono appartenere, e ordinariamente appartengono soci, dei nostri gruppi interni, in altri momenti, in altre espressioni della loro vita. È augurabile una loro presenza «responsabile» individuale o di piccoli sottogruppi, presenza apostolica, di testimonianza, di dialogo. Non si deve essere facili nel ritenere pericoloso ogni incontro al di fuori del C.G. Vi sono gruppi di ogni natura degni di stima, o almeno di sufficiente riconoscimento, anche tra giovani che intendono divertirsi, incontrarsi. C'è poi sempre il principio della natura della pastorale, che è diretta sempre più dalla Chiesa alla penetrazione degli ambienti lontani.
Il Piano della Provvidenza [...] è legato alle nostre decisioni libere e alle nostre scelte volontarie.
Non dispensa da rischi e non ci libera dal dovere di assumere le nostre responsabilità.
Paolo VI (alla Settimana sociale di Francia)