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    Che cosa significa:

    «Non ci indurre

    in tentazione»?

    Commento al Compendio del Catechismo /52

    Enzo Bianchi

     

    Noi domandiamo a Dio Padre di non lasciarci soli e in balia della tentazione. Domandiamo allo Spirito di saper discernere, da una parte, fra la provache fa crescere nel bene e la tentazioneche conduce al peccato e alla morte, e, dall’altra, fra essere tentati e consentirealla tentazione. Questa domanda ci unisce a Gesù che ha vinto la tentazione con la sua preghiera. Essa sollecita la grazia della vigilanza e della perseveranza finale.

    (Compendio del Catechismo n. 596) 

    La sesta domanda secondo Matteo, l’ultima in Luca, è l’unica formulata in negativo: “Non ci indurre in tentazione” (Mt 6,13; Lc 11,4). Va subito detto che questa versione tradizionale non rende adeguatamente il vero significato dell’invocazione, perché in essa si cela il rischio di comprendere che sia Dio l’autore della tentazione. No, Dio non tenta nessuno, come ci ricorda Giacomo: “Nessuno, quando è tentato, dica: ‘Sono tentato da Dio’; perché Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno. Ciascuno è tentato dalle proprie passioni, che lo attraggono e lo seducono; poi le passioni concepiscono e generano il peccato, e il peccato, una volta commesso, produce la morte” (Gc 1,13-15). Queste parole di Gesù vanno dunque intese come: “Non ci lasciar cadere in tentazione, non abbandonarci alla tentazione (scelta dell’ultima versione CEI)”.

    Il discepolo – avverte Gesù – deve “vigilare e pregare per non entrare in tentazione” (cf. Mc 14,38; Mt 26,41), chiedendo l’aiuto e la protezione del Signore nell’ora della prova. “La vita dell’uomo sulla terra è una prova” (cf. Gb 7,1), perché l’uomo è sempre tentato di contraddire l’amore di Dio, di vivere senza e contro gli altri. Essere tentati fa parte del cammino della sequela di Gesù: anch’egli, infatti, nei giorni della sua vita terrena fu messo alla prova (cf. Eb 4,15) e nella sofferenza imparò l’obbedienza (cf. Eb 5,7-9). Quando dunque siamo sedotti dagli idoli, quando ci diamo tante ragioni per non ascoltare la Parola di Dio, quando abbiamo paura delle sofferenze a causa delle persecuzioni che appaiono all’orizzonte della vita cristiana, allora più che mai dobbiamo sentire il Signore Gesù vicino. Egli lotta accanto a noi e in noi, e ci chiama a fare nostro il suo combattimento.

    Accanto alle tentazioni quotidiane vi è anche la grande prova, quella della non-fede, che normalmente appare in due stagioni particolari della vita: all’inizio e alla fine del cammino di sequela, prima della morte. La domanda che in questi frangenti ci si pone è: “Vale la pena? Valeva la pena?”; “Il Signore è con noi sì o no?” (Es 17,7). Anche in questo caso occorre pregare: “Padre, non abbandonarci alla tentazione”, per non cadere preda della confusione (cf. Sal 31,2; 71,1: “In te, Signore, mi rifugio: che io non resti confuso per sempre!”), ossia la desolazione somma di chi non comprende più se Dio è con lui, lo smarrimento di chi perde la capacità di dare senso alla propria esistenza.

    Nel nostro cuore convivono fede e incredulità: l’importante è non ritenersi esenti dalla tentazione, perché in questo caso saremo da essa vinti in anticipo, senza neppure accorgercene… Bisogna invece sempre essere pronti alla lotta, confidando nell’aiuto di Dio e invocandolo perché ci soccorra nell’ora della tentazione, evitando che in essa noi soccombiamo.

    (Famiglia cristiana, 18 agosto 2013)


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