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    Europa e scuola



    Renato Cursi


    (NPG 2020-03-2)

    Quella che in Italia definiamo “istruzione” non è una competenza concorrente, né tantomeno esclusiva, dell’Unione Europea. Detto in altri termini, in base al principio di sussidiarietà, le politiche in materia di istruzione sono stabilite da ciascun Stato Membro dell'Unione Europea, mentre quest’ultima è chiamata solamente a sostenere, coordinare e completare l’azione degli Stati in favore di una “istruzione di qualità”. Leggendo le disposizioni dei Trattati che fondano questa Unione, si legge anche l’azione dell’UE è intesa a “sviluppare lo scambio di informazioni e di esperienze sui problemi comuni dei sistemi di istruzione degli Stati membri”. Ebbene, un’attività di questo tipo gioverebbe a quei Paesi, come l’Italia, che hanno problemi con la libertà di educazione.
    Se oltre ai Trattati dell’UE, infatti, si leggono anche le statistiche raccolte dal CEEC, ufficio per l’Educazione Cattolica in Europa, si scoprono dei dati apparentemente paradossali. Si scopre, ad esempio, che in Paesi come l’Italia e il Portogallo, in cui si dichiarano cattolici rispettivamente il 75% e l’80% dei cittadini, la scuola cattolica raggiunge solo il 7% e il 4,5% del totale degli studenti, mentre in altri Paesi europei dalla cultura politica notoriamente più secolarizzata, se non “laicista”, in cui i cattolici rappresentano una minoranza o comunque una maggioranza non così significativa della popolazione, l’educazione cattolica raggiunge una percentuale molto più alta del totale degli studenti in età compresa tra i 2 e i 18 anni.
    Proviamo a fare qualche esempio. Nel Belgio fiammingo il 65% degli studenti frequenta scuole cattoliche. Nel Belgio francofono il 48% degli studenti. La percentuale più alta spetta all’Irlanda, che però è un Paese in cui l’insegnamento cattolico ha una lunga e consolidata tradizione e in cui i cattolici sono l’ampia maggioranza della popolazione, con il 75%. Ma le percentuali e i numeri assoluti sono molto più alti dell’Italia anche in altri Paesi europei: in Francia il 19% degli studenti frequenta scuole cattoliche (oltre due milioni di studenti); in Spagna il 18% (quasi un milione e mezzo di studenti). Persino in Olanda, dove i cattolici rappresentano appena il 23% della popolazione e il totale della popolazione è quasi quattro volte inferiore a quello italiano, ci sono più studenti nelle scuole cattoliche che in Italia.
    In Italia spesso si tende a liquidare la questione con l’ironia: “Chissà che educazione cattolica offriranno queste scuole nel nord Europa…”. Piuttosto che leggere i numeri, comparare le realtà e considerare la possibilità di cambiare la propria, nel Bel Paese preferiamo spesso crogiolarci in una chissà quanto fondata superiorità morale o comunque in un atteggiamento che potremmo definire di “presunta superiore cattolicità” nei confronti degli altri Paesi europei. Ed ecco che in Italia movimenti e associazioni cattoliche fomentano le risse mediatiche a difesa della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche statali, mentre rinunciano, chissà quanto consapevolmente, ad affrontare sul piano culturale e politico il tema della libertà di educazione e del suo rispetto sostanziale.
    Questa libertà in Italia è infatti negata nella sostanza a milioni di famiglie che probabilmente avrebbero il desiderio di iscrivere i propri figli in scuole cattoliche, ma che devono rinunciare a farlo perché gli costerebbe troppo, in quanto lo Stato non assicura lo stipendio agli insegnanti di queste scuole, come invece fa in altri Paesi europei come Belgio, Francia, Inghilterra, Irlanda, Malta, Olanda, Spagna.
    Anche se fosse possibile ricostruire le radici storiche di questo paradosso italiano, partendo dal Risorgimento, passando per la Questione Romana e i Patti Lateranensi fino ai giorni nostri, non sarebbe comunque onesto cercare negli errori di ieri gli alibi per le contradizioni di oggi. Forse quella schizofrenia di associazioni e movimenti cattolici italiani descritta sopra è riconducibile al fatto che non si conoscono queste buone pratiche all’opera in altri Paesi europei, le quali, oltre a rispettare la laicità dello Stato, gli fanno anche risparmiare risorse economiche. Ecco allora che, citando le disposizioni dei Trattati UE, servirebbe un maggiore “scambio di informazioni e esperienze sui problemi comuni dei sistemi di istruzione” non solo tra Paesi Membri dell’UE, ma anche tra responsabili dell’educazione cattolica in Europa.


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