Emmanuel Giunta *
(NPG 2017-04-75)
A Bologna ho avuto occasione di partecipare al mio primo convegno di Pastorale Giovanile Nazionale. Ogni cosa ha influito a lasciarmi dentro l’importanza della responsabilità che si ha nell’aver “cura” dei giovani, dalla più semplice alla più importante.
Nella mia giovane vita ho partecipato a tantissimi convegni con numeri altissimi di partecipanti, ma a Bologna, anche se eravamo in settecento, mi sentivo in mezzo a colonne più alte di me. La mia prima impressione, già prima di arrivare, è stata quella di pensare di non essere all’altezza di tutti quei partecipanti: erano perlopiù sacerdoti, ma erano presenti anche vescovi ed educatori laureati; io invece solo uno studente di ventidue anni, che si sforza di occuparsi dei giovani.
I relatori, sorprendenti testimoni, con parole dotte e con le proprie testimonianze sono riusciti ad invertire e stravolgere l’idea della figura dell’educatore.
La nostra visione dell’educatore, l’uomo che riesce in ogni sua azione, forte, capace di risolvere ogni problema, il superman che non si lascia intimorire da niente perché già sa che riuscirà in ogni sua impresa. No.
L’educatore e la sua fragilità, l’educatore è la sua fragilità. Colui che nell’insuccesso riesce ad “attendere” il successo. Colui che semina in ogni circostanza, prendendosi “cura” di ogni seme in ogni terreno, attendendo che esso germini, gioendo anche se non sarà lui a cogliere il frutto. Il suo non fallire sta nell’accettare il fallimento.
Pensare ai giovani è pensare di dare una chance a chi attende un’occasione di salvezza, a chi non riceve la cura necessaria per divenire un solido albero da frutto.
L’educazione sta nel mostrarsi fragile a tal punto da far capire che anche nelle fragilità altrui sta una forza, e che se si riesce ad uscire dalla propria visione di superuomo si scopre un vero uomo.
Un’esperienza, questa, che non si esaurisce solo in quei ultimi giorni dei febbraio, ma che trova il suo pieno svolgimento nei propri ambienti diocesani e parrocchiali, dove tanti sono i giovani che attendono cure, tante le fragilità che desiderano emergere, tanti i dubbi che devono sorgere anche senza ricevere una risposta.
Il nostro modello pedagogico resta sempre quel Vangelo che narra di un “Uomo” che riesce ad attirare tramite la sua fragilità: dalla sua nascita in uno scenario precario, al compimento della sua missione nella sofferenza del Getsemani, finendo con il fallimento della morte sulla Croce, la potenza di Dio si svela nella fragilità dell’uomo.
Questo mi ha dato coscienza del mio lavoro, della mia missione all’interno della pastorale giovanile. Il mio sforzo costante, l’attendere, la cura, verso un cammino che va nell’orizzonte dell’eternità ma resta sempre giovane. Che cambia i suoi attori ma non il protagonista.
Ancora guardo e riguardo quelle relazioni, e colgo nuovi aspetti ogni volta, nuove prospettive, nuove vie.
Certo di avere ricevuto molto, ringrazio Dio per questa opportunità e tutti coloro che materialmente si sono impegnati a realizzare questo convegno.
Sforzandomi ancora e sempre di più, investendo questo talento, cercando di trasmettere a chi incontro questa responsabilità, questa vocazione alla cura dei giovani, chiedo a Dio sempre di inondare di Spirito Santo la Chiesa tutta, affinché ringiovanisca sempre il suo volto, rinvigorisca le sue membra e attiri a se tutti i suoi figli che attendono.
* 22 anni, nato a Palermo nel 1994, frequenta il III anno del corso istituzionale di Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia. Fa parte del Rinnovamento nello Spirito. È segretario diocesano della pastorale giovanile di Monreale e Delegato Regionale Laico per la pastorale giovanile in Sicilia.