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    Cattolici e politica 

    in un tempo di

    cambiamento epocale

    Guglielmo Malizia
    [1]

    È del tutto evidente che, come tutti gli altri cittadini, i cattolici devono prendere parte alla vita politica dell’Italia, ma la problematica che nel volume viene trattata riguarda il coinvolgimento diretto e attivo nella democrazia del nostro Paese[2]. Il dato che emerge in maniera chiara è l’irrilevanza dei cattolici in questo ambito. Il libro lo attesta con tutta evidenza, ma non si ferma qui, ne esplicita le cause e avanza proposte per ovviare a una problematica così seria.

    Una situazione preoccupante

    Un primo dato che attesta in maniera inequivocabile l’ininfluenza dei cattolici in politica può essere facilmente identificato negli esiti delle ultime elezioni generali, quelle cioè del 4 marzo 2018. Il complesso delle persone, dei gruppi e delle organizzazioni che nel passato condividevano la stessa sensibilità pubblica, ispirata ai valori cristiani, oltre che a quelli laici con essi consonanti, sono risultati totalmente sconfitti come emerge dal fatto che, o non hanno partecipato alla competizione elettorale o, se lo hanno fatto, hanno ricevuto ben pochi consensi. Le elezioni generali potevano offrire l’opportunità di una confluenza della più gran parte dei cattolici democratici in vista della costituzione di nuovi soggetti politici, aperti anche a forze liberali, e in grado di fare delle proposte valide, innovative, realistiche, sostenibili e capaci di raccogliere un numero rilevante di adesioni. Al contrario gli esiti della competizione avrebbero, a parere di alcuni, segnato l’uscita di scena del movimento politico dei cattolici; in ogni caso, da questo punto di vista non si può non convenire sull’andamento molto deludente delle votazioni che ha sancito la marginalità del mondo cattolico sul piano della vita pubblica a tutti i livelli: propositivo, organizzativo, aggregativo, comunitario e formativo.
    Tale verdetto è stato confermato dalle elezioni europee del 26 maggio 2019. A livello generale è sufficiente richiamare il confronto tra gli andamenti in Italia e nel resto dell’Europa: mentre negli altri Paesi si sono imposti gli europeisti, in Italia la vittoria è andata ai sovranisti. Se si fa riferimento ai numeri, emerge l’irrilevanza di due liste di ispirazione cristiana: il Popolo della Famiglia e i Popolari per l’Italia hanno ottenuto rispettivamente lo 0,43% e lo 0,30% per cui, anche se ambedue i partiti devono essere oggetto del massimo rispetto, tuttavia non si può non evidenziare ancora una volta che, data la logica maggioritaria della democrazia, la mancata aggregazione tra loro e con altre forze li ha condotti a un’umiliante sconfitta. Sugli esiti negativi delle due elezioni appena menzionate ha sicuramente inciso lo scollamento dalle organizzazioni, dalle associazioni e dai movimenti cattolici e di ispirazione cristiana; più gravi, tuttavia, si sono manifestate criticità come l’incapacità di superare le divisioni tra cattolici della morale e quelli del sociale e la mancanza di intellettuali e di persone competenti che sapessero predisporre validi progetti a partire dalla Dottrina Sociale della Chiesa.
    A prova della preoccupante ininfluenza dei cattolici nella politica, oltre a dati quantitativi si possono portare anche altri elementi di natura qualitativa. I credenti si trovano infatti disseminati tra vari partiti e movimenti nei quali, però, non riescono a far valere neppure quei loro valori che sono divenuti parte della nostra Costituzione. Non infrequentemente le proposte dei cattolici e la loro cultura sono ritenute marginali in relazione alla cultura predominante nel Paese. Tutto ciò si riscontra in un contesto in cui si riconosce l’importanza della presenza e delle iniziative dei credenti e della Chiesa nell’area caritativo-assistenziale; però, tale atteggiamento si accompagna alla resistenza o al disinteresse del mondo cattolico a entrare in politica, con la conseguenza negativa di rinchiudere le organizzazioni sociali nei loro piccoli mondi. Pertanto, l’azione politica dei cattolici si presenta dispersa e debole in relazione alla gravità e all’urgenza delle problematiche da affrontare nel Paese e alla necessità di inculturare i valori evangelici nelle legislazioni e nelle istituzioni.
    Un terzo dato di fatto da tenere in debito conto è costituito dalla diaspora dei cattolici nell’area della politica. Se agli inizi degli Anni ’90 si sarebbe potuta auspicare, attualmente essa è divenuta una delle manifestazioni principali dell’ininfluenza dei cattolici in politica.
    Le ragioni per cui la diaspora è errata sono molteplici: ha provocato notevoli contrapposizioni e divisioni nel mondo cattolico; il bene comune e i principi politici vanno perseguiti mediante la cooperazione di tutti; l’unità sui valori precede qualsiasi pluralismo; la diaspora implica che i cattolici siano sempre in minoranza, che le loro proposte non vengano mai accettate e che di conseguenza siano destinati a scomparire politicamente. Inoltre, si avrebbe una situazione paradossale per cui i cattolici si assocerebbero a un partito sapendo a priori che non potranno far valere le loro proposte, né ci si può aspettare - e gli avvenimenti recenti lo attestano come nei casi della libertà di educazione e del suicidio assistito - che i cattolici, appartenenti a diversi partiti, si colleghino trasversalmente fra di loro sulle questioni di loro interesse, ottenendo con un voto di coscienza l’approvazione delle loro posizioni. Inoltre, mentre le altre forze culturali presenti nel Paese potrebbero presentare i loro progetti e trovare consensi sulla scena politica, questo verrebbe impedito ai cattolici.
    L’Autore fa giustamente notare il cambiamento che si è registrato ultimamente circa la natura della posizione degli italiani in politica. Mentre nel passato essa qualificava tutta la persona, collegandosi con la sua visione del mondo, adesso invece ne rappresenta solo una parte. Pertanto, «[…] il cattolico vive scisso da sé. Semplicemente da elettore. A prescindere dalla sua fede e dalla sua appartenenza a Cristo e alla Chiesa»[3]. Di conseguenza, si approfondisce la separazione tra i pastori e una parte consistente del mondo cattolico, tra la pratica della fede e il comportamento in politica per cui sono compossibili nella medesima persona la predilezione per Papa Francesco e il consenso alla chiusura dei porti.
    Di fronte all’irrilevanza dei cattolici in politica non sono mancati i richiami della Conferenza Episcopale alla necessità e all’urgenza di una nuova presenza dei credenti nella vita pubblica del Paese. Finora, non si sono viste molte reazioni positive, forse anche perché non sono state neppure adeguatamente capite. Questa situazione va attribuita molto probabilmente alla carenza di una cultura in grado di comprendere il significato e la rilevanza di questi inviti e al riguardo non si può escludere la responsabilità della stessa Chiesa che non si è impegnata sufficientemente a sostenere le sue Associazioni, Università e Istituzioni culturali nel ripensamento delle proposte del passato e soprattutto nel loro rinnovamento.
    Non va dimenticato neppure il cambiamento di registro che si è verificato nel mondo della comunicazione. Ad un pensiero prevalentemente analitico, logico, dimostrativo si viene a contrapporre (o preferire) un pensiero più narrativo, più espositivo; alle concettualizzazioni generali si controbilanciano le molte forme dell’autobiografia, del saggio esplorativo attento alle sfumature, alle contaminazioni cognitive, ai giochi linguistici, alle ibridazioni dei punti di vista. L’assolutezza della scienza lascia il passo a modi di vedere e di esprimersi più “ermeneutici” (cioè insieme più soggettivi, più interpretativi, più comprensivi). Si parla per questo di “pensiero debole”. In sintesi, si può dire che ha preso il sopravvento la modalità emotiva e utilitaristica della comunicazione e che si riscontra il venire meno di conoscenze diffuse nella popolazione.

    Fattori della irrilevanza dei cattolici in politica

    Come premessa, vale la pena richiamare i modelli principali dell’impegno dei cattolici nella politica. Nel recente passato il primo è costituito dal partito dei cattolici, di cui certamente in Italia non si possono negare il successo e i meriti che sono di molto superiori alle criticità. Il secondo modello consiste nella diaspora in base alla quale, e con riferimento all’immagine evangelica del lievito, i cattolici dovrebbero dividersi tra i partiti per fermentarli dall’interno; sono già stati messi in evidenza i molti punti deboli di tale proposta. La terza impostazione fa leva sull’associazionismo politico e soprattutto sulla elaborazione di un ben definito progetto caratterizzato da una serie di indicazioni qualificanti e sostenuto dal consenso del mondo cattolico.
    Passando ai fattori della ininfluenza dei cattolici in politica, il volume in esame ne indica principalmente tre. Il primo viene identificato nella scarsa considerazione riservata alle regole procedurali della democrazia, soprattutto al principio di maggioranza. In un regime come quello che vige nel nostro Paese, l’inculturazione degli ideali cristiani nella legislazione e nelle istituzioni richiede il consenso di una maggioranza che li condivida e l’esistenza di una massa critica che li promuova. La diffusione del modello della diaspora ha operato in direzione opposta in quanto i cattolici si sono dispersi fra tutti i partiti ed è mancata la formazione di una maggioranza a sostegno del loro progetto politico. La conseguenza è stata che le posizioni dei credenti non hanno ottenuto il necessario consenso e sono regredite sul piano politico.
    Come gli altri cittadini, il credente è consapevole che in un regime democratico è possibile patrocinare tutti i valori sia umani che cristiani in cui si crede a condizione che si faccia parte di un’aggregazione e non disseminati fra tutti i gruppi, le organizzazioni e i partiti. Per l’approvazione delle idee che si vogliono promuovere è decisivo che insieme ad altri si arrivi a divenire maggioranza. Pertanto, bisogna evitare la diaspora e puntare invece ad essere il più possibile uniti e coesi.
    Un altro fattore determinante va ricercato in una fede e in una spiritualità cristiana che hanno perso di vigore e che, di conseguenza hanno provocato una separazione tra i valori religiosi della persona e la sua attività politica. Una dinamica simile si è registrata sul piano delle organizzazioni cattoliche e di ispirazione cristiana che sono state raggiunte dal fenomeno del secolarismo che ha provocato un indebolimento della formazione e della mentalità credente. Al riguardo, ha influito anche il fatto che parrocchie, diocesi e aggregazioni abbiano delegato ad altri la preparazione politica dei credenti coinvolti nella gestione della cosa pubblica.
    Da questo punto di vista sono particolarmente istruttive le vicende riguardanti la diffusione della Dottrina Sociale della Chiesa. Le organizzazioni e i movimenti cattolici e di ispirazione cristiana continuano a menzionarla nei loro statuti e regolamenti, ma la considerano come una raccolta di affermazioni di principio astratte incapaci di risolvere i problemi concreti per cui non vengono tradotte nella pratica. Di fatto, i membri di tali aggregazioni non la conoscono e ciò vale specificamente per i giovani. La situazione nelle parrocchie è altrettanto problematica. Al riguardo è sufficiente ricordare che la maggior parte dei catechisti la ignorano e, pertanto, non la insegnano nella loro attività educativa. In questa maniera si priva la vita della Chiesa di uno strumento essenziale per il discernimento e la progettualità.
    La terza causa consiste in una serie di equivoci e di vedute sbagliate che, una volta accettate, contribuiscono a provocare l’irrilevanza dei cattolici in politica. Uno di questi fraintendimenti consiste nell’opinione, diffusa negli ultimi anni, per cui non potrebbero più aversi schieramenti di ispirazione cristiana; il motivo di tale affermazione andrebbe cercato nella mancanza di deleghe da parte della Chiesa. In questo caso si equivocherebbe sul fatto che, invece di disperdersi in una diaspora ininfluente, i credenti, insieme ad altre persone di buona volontà, decidano di fondare un partito di ispirazione cristiana. È vero che erroneamente sono state interpretate come contrarie alla nascita di un partito di cattolici alcune parole di Papa Francesco, da lui pronunciate nell’aprile del 2015, senza tener conto che una tale spiegazione, se vera, avrebbe sancito la fine di tali partiti ancora attivi negli Stati dell’Europa centrale a partire dalla Germania e dalla sua CDU. Quello che va veramente escluso è che sia compito del Papa, dei Vescovi e della Chiesa in quanto tale creare partiti i cattolici; a loro spetta invece educare al discernimento, a una fede matura e alla vocazione al sociale, fornendo accompagnamento spirituale e culturale a coloro che militano nella politica per cui sarebbe necessario favorire nei seminari la conoscenza della Dottrina Sociale della Chiesa. La decisione di fondare o meno partiti di cattolici e di quando crearli è compito dei fedeli laici senza aspettare, come è accaduto in passato, una delega o un accompagnamento da parte della gerarchia e dei sacerdoti.
    Un equivoco diffuso tra i cattolici consiste nell’opinione secondo la quale il credente sarebbe libero di decidere riguardo alla politica in maniera totalmente indipendente rispetto agli orientamenti della comunità cristiana; di conseguenza, egli potrebbe aderire a qualunque partito quando e come ritiene opportuno. In contrario, va sottolineato che i credenti in quanto tali non possono lecitamente abbandonare la propria identità cristiana.
    Oltre agli equivoci appena menzionati è opportuno richiamare alcuni pregiudizi che possono comportare la rinuncia a coinvolgersi nella politica. Per esempio si può ricordare l’opinione secondo la quale l’esercizio del potere sarebbe sostanzialmente corrotto, o quella per cui l’autorità costituirebbe una realtà diabolica. Indubbiamente la politica può implicare rischi a livello morale, ma al tempo stesso va sottolineato che essa è basilare e necessaria per il raggiungimento del bene comune.

    Proposte in prospettiva di futuro

    Se si vuole rendere importante e influente la partecipazione dei cattolici alla politica, la prima indicazione che il volume in esame fornisce è che bisogna ripartire dalle fondamenta e più precisamente da una conversione convinta che si estenda a tutti i livelli: quelli pastorali, educativi, politici, economici e culturali. Questo comporta la partecipazione diretta delle diocesi, delle parrocchie e dei movimenti, soprattutto riguardo alla formazione politica delle persone chiamate ad operare nell’area socio-politica. In tale ambito è necessario preparare «cristiani ben consapevoli della dimensione sociale della loro fede, che assumono con coraggio e responsabilmente la loro vocazione al bene comune»[4].
    Per ripartire dalle fondamenta, non basta coinvolgere i singoli credenti, ma bisognerà dar vita a un nuovo movimento sociale cattolico, come laboratorio e palestra di vocazioni al servizio del bene comune e senza abbandonare l’ispirazione cristiana anche quando si è inseriti in aggregazioni aconfessionali. Condizioni necessarie per far emergere questa tipologia di fedeli possono essere identificate nelle seguenti e cioè che: nel mondo cattolico si attivi un’azione sociale di popolo; si riesca a predisporre un progetto di trasformazione del Paese, di bene comune e di cittadinanza attiva e responsabile; venga elaborata una nuova cultura politica al centro della quale si collochi la Dottrina Sociale della Chiesa che va insegnata in particolare ai giovani e anche sperimentata; si promuova una spiritualità conforme e un discernimento costante nelle aggregazioni cattoliche o di ispirazione cristiana.
    Nel suo magistero Papa Francesco sembra dare la priorità ai movimenti popolari piuttosto che ai partiti. Pertanto, i primi dovranno rafforzarsi, ovviare al pericolo di farsi strumentalizzare o, peggio, corrompere dal sistema economico e impegnarsi nella rifondazione dell’attuale democrazia che si presenta oligarchica, populista e che emargina i poveri. Per rendere sempre più rilevanti i credenti nella politica, è necessario preparare delle alternative basate su realtà sociali di chiara identità cristiana e su un popolo in movimento. I punti di riferimento principali sono i seguenti: «a) fedeltà al vangelo; b) presenza vitale di movimenti nella società; c) non un partito cattolico unico, che sarebbe del tutto anacronistico; e) pluralità partitica laica e di ispirazione cristiana; f) comunione con i propri pastori»[5].
    A questo punto, mi pare opportuno riportare il pensiero dell’Autore del saggio in esame riguardo alla questione del “partito cattolico. Il volume non sostiene l’opzione del partito cattolico che, comunque, non è mai stato creato, né lo si dovrebbe, perché, come scriveva don Luigi Sturzo, la religione ha una natura universale, del tutto lontana dal carattere parziale della politica. La DC non può essere etichettata come partito cattolico, né la si può considerare un partito di soli cattolici. Sulla stessa linea, l’Autore parla «[…] della eventualità che vi possa essere - date determinate condizioni storiche, come ad esempio la strumentalizzazione del voto cattolico, la dannosità delle decisioni politiche di partiti nettamente antidemocratici, laicisti e libertari -, all’interno del legittimo pluralismo delle scelte politiche per i cattolici, anche quella di un eventuale partito di ispirazione cristiana, comprendente cattolici, uomini di buona volontà, liberali cultori della giustizia sociale, credenti protestanti o appartenenti ad altre religioni, ossia di un insieme di cittadini convergenti su una piattaforma di beni-valori condivisi»[6].
    Sul tema del saggio in esame, non basta certamente limitarsi alla rifondazione, ma bisogna pensare anche al resto dell’edificio e al riguardo si richiamerà in sintesi il contenuto di quello che il volume chiama “il trinomio di Papa Francesco inscindibile per i cattolici: buona politica, diritti e bene comune”. Incominciando dalla prima dimensione, la buona politica è quella che è finalizzata al servizio del bene comune, inteso come il bene di tutti, e che esige l’apporto responsabile di tutti. Con riferimento al n. 74 della “Gaudium e Spes”, si può precisare che la politica richiede di impegnarsi insieme al fine di creare le condizioni sociali di un futuro umanamente degno e giusto per tutti, mediante il contributo di tutti. I cittadini e i loro rappresentanti sono invitati ad attuare un grande bene, non separatamente, ma cooperando tra di loro mediante il dialogo pubblico al fine di assicurare ai singoli, alle famiglie, alle organizzazioni e ai popoli il raggiungimento della pienezza umana in Dio. Pertanto, essi vanno preparati a servire il bene comune, formandoli alla virtù teologale per eccellenza, la carità, e alle virtù umane della giustizia, della equità del rispetto reciproco, della sincerità e della onestà. Ancora più precisamente, la politica deve essere redenta attraverso l’evangelizzazione del sociale. Sul lato negativo, bisogna liberarla dai vizi distruttivi quali il disprezzo per il diritto, l’inosservanza delle norme comunitarie, l’arricchimento illegale, la xenofobia, il razzismo, lo sfruttamento delle risorse naturali per un guadagno individuale immediato e soprattutto la corruzione che distoglie l’attività politica dalla sua finalità propria, quella cioè di realizzare il bene comune.
    Passando al secondo elemento del trinomio, i diritti umani, la questione principale riguarda la loro fondazione che si presenta estremamente debole nelle due posizioni prevalenti, una individualistica e libertaria e l’altra contrattualista: infatti, la prima esalta i diritti singolarmente senza il corrispettivo dei doveri e cade nell’arbitrio; l’altra è esposta agli umori mutevoli delle deliberazioni maggioritarie delle assemblee parlamentari. Per trovare una base incontrovertibile bisogna ricorrere alla Dottrina Sociale della Chiesa e a San Tommaso. Tale fondamento viene offerto dalla persona umana in quanto “capax veri, boni et Dei”. Al riguardo vale la pena citare le parole dell’Autore: «È nella capacità umana di perseguire la ricerca del bene, di riconoscerlo, di aderirvi liberamene orientandosi a Dio, che si trova il fondamento della inviolabilità, della dignità della persona e dei suoi diritti»[7].
    L’Autore si sofferma a indicare alcuni orientamenti fondamentali per l’educazione della coscienza dei cittadini e dei popoli. In primo luogo, si tratta di far scoprire che la persona possiede una capacità naturale di conoscere, di volere e di scegliere il vero, il bene e Dio. L’educazione politica deve includere la formazione ai doveri e non solo ai diritti, quella sovra-storica della coscienza oltre a quella storica, quella religiosa e non solo quella umana perché non si possono separare i diritti da Dio senza perdere il criterio principale di riferimento. Una raccomandazione speciale riguarda l’uso critico dei mass media a cui si devono preparare le persone data la capacità delle nuove tecnologie della informazione di formare le coscienze non solo nel bene, ma anche nel male.
    Rimane da considerare l’ultimo elemento del trinomio, la concezione di bene comune, che dovrà essere in consonanza con la buona politica. Frequentemente tale nozione è considerata come equivalente a interesse generale per cui viene ad assumere una caratterizzazione giuridica e amministrativa a scapito della sua naturale appartenenza all’area dell’etica; in altri casi, è intesa come bene totale, cioè come la somma dei beni o l’utilità media. Queste concezioni sono del tutto insoddisfacenti perché il bene comune è un bene fondamentalmente umano nel senso che si riferisce alle persone, ai gruppi, alle organizzazioni e alle società umane. Esso non può essere considerato come la sintesi di interessi particolari, ma costituisce un insieme ordinato di beni-valori riguardanti la realizzazione della persona umana in Dio. Esso si definisce in relazione ai doveri e ai diritti ed è funzione dei fini delle persone. Inoltre, non può essere attuato in qualunque modo, ma in relazione a una scala di valori.
    Tale concezione del bene comune rinvia a una nozione di giustizia sociale che non sia formale e che, invece, sia basata su una comune ricerca del bene. Modelli culturali secondo i quali l’etica pubblica è solo procedurale e la giustizia è priva di contenuti sostanziali non possono offrire contributi positivi a livello dell’equità nelle nostre società pluraliste perché essi implicano che l’obbligazione politica resti senza una giustificazione soddisfacente. Pertanto, è necessario ripristinare l’ottica in base alla quale le persone operano anche nella politica secondo la rettitudine del loro giudizio. Nel privato e nel pubblico, i soggetti agiscono sulla base di un ordine intenzionale che corrisponde alla loro nozione di bene, regolando il raggiungimento dei singoli beni. Certamente non si può pretendere che le persone non tengano conto della loro visione del bene, mentre si può domandare loro di «[…] perseguire la ricerca di regole pubbliche alla luce del vero bene umano, verso cui tutti hanno il dovere morale di convergere»[8].
    In sintesi, il trinomio di Papa Francesco vuole significare che la buona politica rimanda a una società dove si opera secondo un agire politico virtuoso, rivolto ad organizzare e ad orientare con costanza le condizioni sociali alla realizzazione umana delle persone da sole e in gruppo. In tale contesto emerge che l’essenza del bene comune è la dignità umana, intesa come capacità di vero di bene e di Dio, per cui si può affermare che ogni persona è in grado di realizzare il bene comune che risulta dalla sua natura e dalla sua vocazione. Pertanto, anche nelle nostre società frammentate e multiculturali è possibile che tutti i cittadini confluiscano su una piattaforma di valori condivisi che viene a costituire il quadro di riferimento per l’attuazione del bene comune.
    La semplice presentazione del volume che, come è stato detto sopra, non ha potuto evidenziare tutta la ricchezza di argomenti del saggio, ha già fatto emergere molti aspetti positivi del libro. Ad essi va aggiunto che il libro costituisce un atto di coraggio per aver affrontato un argomento molto discusso. Particolarmente apprezzabile è pure lo stile narrativo dell’opera che si caratterizza per una prosa asciutta. Soprattutto è condivisibile la finalità principale del saggio e cioè identificare le ragioni profonde dell’irrilevanza dei cattolici in politica a partire dagli effetti negativi provocati dall’ideologia della diaspora per poi elaborare proposte in vista della formulazione di una nuova cultura politica; in aggiunta, va sottolineato che questi obiettivi sono stati perseguiti con una grande ricchezza di argomentazioni valide ed efficaci.
    Giustamente l’Autore ha evitato di limitarsi a mettere in evidenza i fattori della situazione attuale e, invece, ha sostenuto la necessità di impegnarsi a ripensare le istituzioni economiche e finanziarie che costituiscono uno dei fattori principali della perpetrazione di tante ingiustizie e di tante limitazioni degli spazi di libertà. Inoltre, egli non si è limitato ai momenti della descrizione della situazione e della identificazione delle cause, ma ha avanzato una serie di proposte efficaci che toccano tutti gli aspetti rilevanti, culturali, economici, sociali, politici e pastorali, e in particolare ha toccato una dimensione che di solito viene trascurata, quella educativa, indicando finalità, obiettivi, contenuti, metodologie - e alcuni di essi è riusciti a segnalarli nella presentazione - che risultano del tutto validi e condivisibili.


    NOTE

    [1] Professore Emerito di Sociologia dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana.
    [2] Cfr. Toso M., Cattolici e politica in un tempo di cambiamento epocale. Prefazione di Stefano Zamagni e Postfazione di Vittorio Possenti, Roma, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, 3° edizione, 2019, pp. 200.
    [3] Toso M, o.c., pp. 42-43.
    [4] Toso M., o.c., p. 76.
    [5] Toso M., o.c., pp. 80-81.
    [6] Toso M., o.c., p. 83.
    [7] Toso M., o.c., p. 123.
    [8] Toso M., o.c., p. 139.


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