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    Verità e libertà

    tra fascino e paura

    Roberto Mancini

    Lo smarrimento umano nella società dell'astrazione

    La nostra situazione storica è disperata e piena di promesse. Disperata per la continua aggressione alla dignità umana e al creato; piene di promesse per l'irriducibilità dell'umanità al male che la opprime e per l'indistruttibile vicinanza dell'amore di Dio. Gli individui diventano propriamente persone uniche, creative e responsabili nella misura in cui assumono con coscienza la loro libertà e imparano a riferirsi a una verità che illumina la loro vita. Quindi l'incontro della libertà con la verità è al centro del percorso dell'umanizzazione, il quale riguarda sia i singoli che le comunità e l'umanità intera. Ma in quali condizioni storiche e culturali oggi ci è dato di sperimentare un cammino simile? Per evitare un discorso astratto occorre in primo luogo tenere presenti gli ostacoli principali che si frappongono all'umanizzazione in una società come la nostra.
    Il mondo contemporaneo ha un suo "ordine" per modo di dire: in realtà per lo più è un caos organizzato. Tale stato di cose non deriva solo dal processo della globalizzazione del capitalismo, ma è determinato essenzialmente dall'instaurazione del potere per il potere come logica unica vigente su tutto il pianeta. Parlo di un potere che punta a inglobare interamente la vita in ogni suo aspetto [1]. Mentre prometteva al singolo la libertà come autonomia e autodeterminazione [2], la modernità di fatto lo ha sempre più incapsulato dentro un nuovo "ordine" del mondo che è la risultante di almeno cinque sistemi globali di potere: il mercato egemonizzato dalla finanza, l'apparato della tecnocrazia, il sistema mondiale dei media, la trama disperante delle burocrazie, il sistema geopolitico e militare della lotta tra le nazioni.
    Nel mondo globale emerge la spinta alla disgregazione: delle relazioni interpersonali, dei rapporti politici, dell'interiorità delle persone, degli equilibri della natura. Con l'egemonia del potere come logica globale ha preso forma una società dell'astrazione, che è tale perché ciò che è concreto e reale viene soverchiato da ciò che è astratto e virtuale. Qui astrarre anzitutto vuoi dire estrarre-sradicare i viventi (persone, relazioni, animali, piante) per inglobarli dentro un sistema di potere. Inoltre, astrarre significa in particolare svuotare di umanità individui e collettività e svuotare di senso le loro esistenze. L'intelligenza artificiale soppianta la coscienza umana e il calcolo la contemplazione, il conformismo da automi rimpiazza la libera adesione filosofica o di fede a un senso per la vita e il regime dell'indifferenziazione – dove non si distingue tra bene e male, tra progresso e regresso – imprigiona le culture nella confusione e nel disprezzo verso ciò che è considerato straniero. Il malessere senza sbocco del regime dell'astrazione induce a cercare novità, svolte, purchessia. Che "il cambiamento" sia divenuto un termine passe-par-tout indiscutibile nella vita pubblica della società attuale, senza neppure chiedersi se sarà un cambiamento positivo o negativo, è un sintomo allarmante del degrado culturale, cognitivo e politico del tempo presente.

    Fascinazione, paura, desiderio

    Lo scenario descritto sinora serve a evidenziare una tendenza dominante, che tuttavia non è incontrastata. Mi interessa solo far notare come in questo periodo della storia la verità sia migrante, fuggiasca, clandestina, neutralizzata da false rappresentazioni e privata della sua naturale interlocutrice: la libertà degli esseri umani. Quest'ultima infatti viene scoperta ed espressa raramente, soprattutto non viene posta al centro di quell'azione educativa che dovrebbe essere svolta con cura per dare seguito all'alleanza tra la generazione adulta e quella nuova. In un contesto del genere per molti è difficile concedersi la possibilità di lasciarsi attrarre dal fascino della libertà autentica e ancor meno da quello della verità. Per questo tipo di attrazione spesso mancano la disponibilità della persona, la tensione emotiva di sentimenti adeguati, l'attenzione del cuore, la veglia della coscienza, l'acume della ragione. Quello che più viene inibito è il desiderio radicale dell'essere umano, che per sua indole tende alla felicità di una comunione piena e irreversibile, dove verità e libertà possono giungere alla loro congruenza in armonia.
    È facile che la verità sia semplicemente rimossa dall'orizzonte delle cose rilevanti per la vita, mentre la libertà è esposta al rischio di essere travisata a causa di quell'individualismo compensativo che serve al singolo per potersi sentire un "io" originale e padrone di sé proprio quando in realtà è un soggetto dominato dai sistemi di potere globalizzati. Così al posto del desiderio dell'anima e del cuore sovente s'insediano desideri di corto respiro, probabilmente indotti dalle rappresentazioni del consumismo o direttamente dalla paura di non farcela in una società organizzata come se fosse un videogioco pieno di pericoli da sventare velocemente a ogni passo. I desideri di sicurezza, di benessere materiale, di possesso, talvolta anche di potere occupano il residuo, esiguo spazio della vita interiore delle persone, ma in effetti essi hanno per radice la paura, una paura che può essere modulata e acuita nelle varianti che vanno dall'ansia all'angoscia sino al panico [3]. Finché prevale una tendenza del genere, l'adesione alla fede si riduce o a pratica religiosa convenzionale oppure diventa semplicemente irrilevante.
    Considerando che la confusione, gli interessi miopi, la paura, il conformismo e le ideologie oggi in circolazione – prime tra tutte il neoliberismo e il nazionalismo – comportano l'incapacità di riconoscere tanto la libertà quanto la verità, è necessario effettuare una chiarificazione di entrambi i termini. Chiarificazione divenuta difficile nella misura in cui la vita pubblica e l'orizzonte culturale della nostra società globalizzata sono dominate da ignoranza e prepotenza, due elementi che si alimentano a vicenda. L'ignoranza implica non solo l'abbandono della ricerca e della conoscenza, ma anche l'incuria per il pensiero critico, la superficialità, la predilezione per il pregiudizio e gli stereotipi. E soprattutto si radicalizza in ignoranza esistenziale: al di là della miseria cognitiva, essa consiste nel non aver mai scoperto un altro e più adeguato modo di esistere. Di conseguenza l'ignoranza diffusa, sempre molto comoda per chi concentra nelle proprie mani il potere, è un ingrediente costitutivo di quel nichilismo organizzato e quotidiano che si traduce come indifferenza per il senso e i valori e come obbedienza acritica ai sistemi di potere, per cui ci si trova a vivere secondo schemi automatici di comportamento.
    La prepotenza a sua volta viene esercitata come normale nel sistema politico e in quello economico. Ma ancor più radicalmente ricorre con una certa probabilità ovunque si dia una delle differenze strutturali della condizione umana, che in quanto tali sarebbero una ricchezza inestimabile dell'umano. Mi riferisco alla differenza tra i generi, a quella tra le generazioni e a quella tra le culture. Accade sovente che queste differenze diventino pretesto per un rapporto di potere dell'uomo sulla donna, dell'adulto su chi è piccolo, del nativo sullo straniero. Senza contare le differenze che invece sorgono come discriminazioni tra chi ha e chi non ha, tra chi decide e chi subisce le decisioni. Libertà e verità per loro natura sono incompatibili con questo generale sistema di perversione della condizione umana. Perciò riprendere la domanda su che cosa siano realmente è necessario per trovare un orientamento per l'esistenza personale e anche per la propria partecipazione alla vita comune nella società e nella storia.

    Libertà e verità

    Comprendere lo statuto della libertà è arduo finché si rimane ancorati all'idea esclusiva del "libero arbitrio". Essa da un lato è insufficiente a dare conto dell'interezza della libertà stessa, dall'altro è un'espressione impropria. Dovremmo infatti sentire una disarmonia tra il sostantivo e l'aggettivo: la libertà implica necessariamente la facoltà deliberativa per cui possiamo decidere e scegliere qualcosa in base a ciò che davvero vogliamo, ma non è affatto detto che tale facoltà sia qualificabile come arbitrio. Identificare libertà e arbitrarietà porta a fare della prima una sorta di capriccio ai confini con l'assurdo, perché la seconda non ammette il vincolo di un criterio di senso e di valore. Aleggia qui il mito della libertà "assoluta", cosicché essere liberi sarebbe fare poter fare ciò che voglio, senza condizionamenti.
    Sotto l'idea del "libero arbitrio" c'è, più che il rispetto per l'unicità della persona e per la sua coscienza, l'associazione con l'idea di potere. Tendiamo a confondere la libertà con il potere. Invece essa è costituita senza dubbio dalla facoltà di scelta autonoma, ma nel contempo chiede il riconoscimento di un senso, di un criterio valido. Fiorisce nella consapevolezza e nel discernimento, non nell'incoscienza e nell'indifferenza. Inoltre la libertà non è disincarnata: implica il rispetto e l'attuazione della dignità della persona. Libertà è fedeltà a se stessi, per cui se "scelgo" qualcosa che sia degradante, questa "scelta" compromette anzitutto la mia stessa libertà. Nel contempo la libertà tende alla comunione, è ricerca dell'alterità, tensione all'incontro, adesione alle relazioni vitali. In ciò è tutt'uno con la responsabilità, intesa come capacità di rispondere originalmente, per la persona unica che siamo, alle presenze, ai doni, alle situazioni e ai problemi della vita. In sintesi, la stoffa della libertà è fatta non di arbitrio, ma di scelta, dignità, fedeltà, comunione, responsabilità.
    Per questa sua speciale costituzione, la libertà ha un legame essenziale con la verità. Perché solo nel riconoscimento di ciò che è profondamente vero essa può trovare il senso necessario a orientarsi, a impegnarsi, a dedicarsi. Se la libertà di una persona non si dedica ad altri, al bene comune, a una verità più grande del mero sopravvivere, essa implode e si perde. Siccome non possiamo barare con noi stessi, il senso della vita non può essere inventato, possiamo solo incontrarlo. Ciò indica già qualcosa di essenziale dello statuto della verità. Essa è la fonte del senso dell'esistenza e ogni sua autentica rivelazione ci illumina la vita. La verità cercata dalle filosofie, professata dalle fedi, indagata dalle scienze, espressa nell'arte e onorata negli atti di giustizia è l'unica fonte di senso credibile e valida che abbiamo.
    Non si tratta però solo di conoscenza e comprensione. Non si tratta cioè solo e tanto di capire la verità, quanto di vivere secondo verità. II nostro essere e la nostra libertà sono fatti in modo che se restano senza alcun rapporto con essa non riescono a respirare. Per vivere umanamente dobbiamo a un certo punto aderire con tutta la nostra persona a una verità vivente e interiormente presente che sia per noi sorgente di luce, di senso, di forza nonviolenta, di orientamento. Nell'esperienza dell'umanità, attraverso i secoli e le diverse civiltà, è emerso che la verità non è un riferimento formale, poiché in realtà essa è l'amore. Un amore radicale, antecedente, universale, capace di relazione con noi. Un amore che è più di un'emozione, un sentimento o una passione, in quanto è l'origine, il fondamento e la destinazione della vita. Un amore che, propriamente, è la vita, dato che senza di esso ci troviamo solo in situazioni di morte. Se i fondamentalisti di ogni genere riducono la verità vivente alla sua formulazione concettuale o dogmatica, è perché essi hanno interesse non per la verità, ma solo per ottenere potere. La verità invece chiede la conversione, quella nuova nascita che ci conduce a diventare veri – senza che mai possiamo noi essere la verità –, dunque testimoni e servitori della verità che l'amore è.
    Per questa sua natura viva e complessa, la verità chiede diverse forme di riferimento. C'è un piano metafisico e religioso che riguarda la ricerca intima dell'anima, del cuore, della coscienza, della ragione di ciascuno e anche delle comunità. Poi c'è il piano della verità storica, che va portata alla luce pena il perpetuarsi di situazioni di oppressione e di iniquità. Inoltre c'è il piano della verità giudiziaria, che riguarda la necessità di fare fronte ai crimini e di ristabilire la giustizia. È d'altro canto decisivo il piano della verità morale della dignità umana, di ciascuno e di tutti, e del valore del creato. Come si vede c'è una laicità della verità stessa, che chiede a ognuno di vivere con responsabilità in un legittimo pluralismo che non costringa nessuno e che nel contempo eviti sia l'indifferenza sia l'esclusivismo di chi si pone come padrone del vero.
    Al di là di qualsiasi relativismo e assolutismo cognitivo, la verità ci riguarda sia perché se viene oscurata resta compromessa l'esistenza e risulta oppressa la vita comune, sia perché essa vale per noi anche come autenticità di ogni cosa: se cerchiamo un'amicizia, cerchiamo una vera amicizia, se aspiriamo a un lavoro, aspiriamo a un vero lavoro e così via. Entro queste coordinate si capisce che la libertà non ha nulla da temere dalla verità: questa è l'unica a non negare la libertà stessa. È infatti proprio nel rapporto con la verità che essere liberi non solo è un diritto, ma diventa anche un dovere umanizzante. Dovrebbe ormai essere chiaro che la verità vivente può sì essere cercata, ma soprattutto essa deve poter essere accolta.

    La svolta: gli eventi di accoglienza

    Non è affatto casuale che sia il rispetto per la persona umana, sia il rispetto per la verità [4] si schiudano nell'accoglienza. La risposta alla situazione di alienazione diffusa nella società dell'astrazione sorge da quell'autentico punto di svolta e di rinascita che è costituito dagli eventi di accoglienza. Sono eventi che hanno la profondità adeguata a coinvolgere tutta la persona e a darle accesso a una dinamica di comunione. Anzitutto l'accoglienza attua un riconoscimento integrale dell'essere umano e conferisce a tutti coloro che la vivono il respiro della gratuità, perché non si viene più misurati sulla prestazione, sul merito, sulla colpa, sul colore della pelle, sull'identità di genere, sulla classe sociale o sul passaporto. Viene riconosciuta la dismisura della dignità originale di ciascuno nella comune dignità umana e solo questo poi ci restituisce la misura di ciò che vale e del senso delle cose.
    Non si riflette abbastanza sul fatto che la vita, per potersi dare e sviluppare, è sempre vita accolta. E ciò riguarda chiunque, non solo lo straniero. Anzi nel prendere atto di queste evidenze della realtà si comprende finalmente che nessuno è "straniero", visto che siamo tutti membri della stessa comunità umana e del creato. Oggi questa evidenza è divenuta misteriosissima perché il risentimento e la paura sono i sentimenti più facilmente contagiati nella società. Di conseguenza si fa presto a essere ridotti a "stranieri" e trattati come tali: con lo straniero etnico sono respinti gli stranieri generazionali (i giovani), gli stranieri economici (esuberi, poveri), gli stranieri per genere (le donne). Naturalmente anche la verità diventa straniera in una mentalità che ragiona esclusivamente in termini di potere, di competizione, di lotta per la sopravvivenza e trova normale l'iniquità, la diseguaglianza, lo squilibrio in tutte le relazioni vitali.
    L'inclinazione corrosiva e perversa di una mentalità simile si coglie nel fatto che ormai pure chi osa agire con spirito di solidarietà, dandosi da fare per aiutare chi per varie cause è più in difficoltà, viene visto male e persino giudicato come se stesse facendo qualcosa di criminale. In questo senso la vicenda di Riace e del suo sindaco Domenico Lucano è un esempio paradigmatico della contraddizione tra lo spirito di giustizia di chi opera per il bene comune dell'umanità e la stolta aggressività di quanti credono nei muri di separazione, nel respingimento, nell'abbandono degli altri come se queste cose fossero giuste e necessarie. La stupida etichetta di "buonismo" utilizzata per delegittimare chiunque non accetti di considerare normale la disumanità fornisce un indicatore della perversione tipica della logica corrente, che rovescia i termini della realtà: si scredita l'impegno per il bene e si assume ciò che è male con stima e obbedienza. Chi si mette in quest'ottica di conformismo aggressivo verso "l'altro" è qualcuno che ha perso ogni contatto con la realtà, con la verità e anche con la propria umanità. Chi respinge si respinge.
    Un equivoco spesso ricorrente porta a ritenere che l'accoglienza sia un gesto un po' a sé e per giunta realizzato da qualcuno a favore di altri, ma come se fosse un atto unilaterale dove c'è chi dà e chi riceve. Invece l'accoglienza autentica è l'inizio di una dinamica di comunione nella quale le persone –sia chi è accolto che chi accoglie – sono trasformate, affinano i loro talenti, imparano un modo migliore di esistere, scoprono la maniera di coabitare il mondo senza distruggerlo e senza distruggersi. Le dinamiche di accoglienza sono decisive per ogni reale processo di apprendimento trasformativo ed esso riguarda sia i singoli che le collettività. Le esigenze poste dallo svolgimento dell'accoglienza in ospitalità e dell'ospitalità in vita comune e cittadinanza democratica elevano, se affrontate con saggezza e giustizia, la qualità della convivenza per tutti.
    Questo fatto ci offre un'indicazione essenziale per intendere il rapporto tra libertà e verità: cominciamo a capire che né l'una né l'altra sono privatizzabili giacché non stanno entro l'angustia dell'individualismo e si dileguano se si assume l'atteggiamento prepotente del fondamentalismo o comunque di qualsiasi forma di esclusivismo. Voglio dire che la chiusura egocentrica, l'indifferenza, la logica del potere, l'approccio impositivo e autoritario sono tutte posizioni che in vario modo compromettono la libertà e l'esperienza della verità.
    Le esperienze di accoglienza ci insegnano l'arte del contatto. Mentre la connessione affidata alle tecnologie lascia chiunque nell'isolamento del soggetto individualista e consente solo un simulacro di partecipazione, senza coinvolgimento personale e dialogico, il contatto comporta incontro, scoperta, esperienza diretta, rinascita delle relazioni. La cultura del contatto implica un recupero di senso della realtà, ti porta a riscoprire la terra, le piante, gli animali, le persone, le relazioni, i valori concreti e viventi.
    Si capisce che interiorizzare l'accoglienza — sino a farne una forma di vita dove la libertà matura e la verità viene riconosciuta insieme alla dignità delle persone — non è qualcosa che si realizzi spontaneamente. Sono necessari percorsi educativi, per i piccoli e anche per gli adulti, nei quali sia dato il modo di scoprire questa via e di seguirla volentieri. Per questo è un compito ineludibile delle comunità cristiane quello di costituire nel corpo della società delle autentiche sorgenti per l'apprendimento delle relazioni di accoglienza e di comunione. Ciò aiuterà le persone a incontrare il volto della loro stessa libertà, a riconoscere la dignità propria e altrui, a iniziare un'esistenza illuminata dal servizio nei confronti della verità. L'essenziale è che parrocchie e diocesi siano realmente comunità di base, di popolo, aperte e ospitali, pronte a tradurre la misericordia come comunione e giustizia riparativa verso tutti i disamati e gli esclusi che ormai sono la grande maggioranza della società attuale. Coloro che si mettono su questa strada arrivano a rendersi conto concretamente di che cosa voglia dire, per la vita e la destinazione di tutti, la parola che annuncia: «la verità vi farà liberi» (Gv 8,32).


    NOTE

    1 Cfr. M. FOUCAULT, La nascita della biopolitica, Feltrinelli., Milano 2005
    2 Cfr. CH. TAYLOR, L'età secolare, Feltrinelli, Milano 2009
    3 Cfr. F. FALAPPA, L'umanità compromessa. Disintegrazione e riscatto della persona nell'epoca del post-liberismo, Franco Angeli Editore, Milano 2014.
    4 Cfr. L. PAREYSON, Verità e interpretazione, Mursia, Milano 1971.

    (Presbyteri. Rivista di spiritualità pastorale, 2/2019. pp. 87-96)


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