Tre vie
verso l'assoluto
Giovanni Reale
A Platone in quasi tutti i tempi è toccata la fortuna di essere tra i filosofi più letti. E la ragione appare molto semplice: non parla ai soli filosofi, ma a tutti gli uomini di cultura che in qualche modo vogliono affrontare o comunque desiderano ascoltare i problemi ultimativi dell'uomo. Hegel diceva che tre vie portano verso l'assoluto: l'arte con la relativa problematica della bellezza, la religione e la filosofia. Fra queste tre forme dello spirito poneva una distinzione gerarchica e un preciso nesso strutturale basati sulla sua dialettica. Ma, anche se non si accettano tali implicazioni speculative del panlogismo hegeliano, resta in ogni caso vero che le tre forme spirituali con cui l'uomo stabilisce rapporti con l'assoluto sono proprio quelle da lui indicate.
Ebbene, Platone – e questo è un caso quasi unico nella storia dell'uomo – ha saputo esprimere in modo straordinario tutte e tre le forme della spiritualità umana.
La tradizione antica ci informa che, prima di incontrare Socrate, aveva composto opere poetiche, distrutte subito dopo l'incontro con il maestro, per votarsi alla filosofia. Ma in lui la forza e la potenza espressiva dell'arte rimasero, e le usò al servizio della Filosofia. E noto che la sua prosa è una delle più belle (e sotto certi aspetti la più bella) della grecità. Ma, soprattutto, il suo genio si espresse nella creazione di possenti immagini e di miti metafisici di dimensione davvero michelangiolesca.
Ecco un altro dei motivi per cui Platone viene cercato dagli uomini di cultura: con il suo parlare per immagini sa comunicare le verità filosofiche in dimensioni fantastico-poetiche, che ancor oggi, come ai suoi tempi, sanno fare "incantesimo", e oggi, in particolare, possono liberare da quella forma di inaridimento prodotto dalla mentalità scientifica, soprattutto nella sua escrescenza scientistica predominante.
Platone non ha collegato la bellezza con l'arte, ma con la forma sublimata dell'eros. E in questa dimensione ha saputo indicare una straordinaria funzione ermeneutica del bello. Per lui il bello è una rivelazione del Bene e del vero, anche nella dimensione del fisico, poiché la bellezza, unica fra tutte le realtà intelligibili, ebbe in sorte di essere visibile anche dagli occhi del corpo, come un predominare dell'ordine sul disordine, in ultima analisi come un manifestarsi del Bene.
Gli uomini di oggi, che nella cultura contemporanea assistono a una dissacrazione del Bello, trovano in Platone una indicazione preziosissima di quello spessore metafisico del Bello e, leggendo le sue parole, provano quel "brivido metafisico" che, a suo avviso, il Bello provoca quando viene fruito nella sua autenticità.
Nei confronti, poi, della seconda via verso l'assoluto, la dimensione religiosa, a Platone è stata riconosciuta, già dai tempi antichi, una posizione di primato. Come si sa, per mille anni i Cristiani hanno desunto proprio da lui le categorie razionali con cui esprimere la loro fede a livello di logos.
E converrà richiamare qui alcuni punti già enunciati ma che appare indispensabile ripetere, per la completezza del discorso. La creazione del termine "teologia" e del concetto che esprime sul piano metafisico è di Platone; sua è la creazione dell'immagine-concetto di "conversione": fare filosofia nel senso più autentico per Platone significa voltarsi dalla tenebra alla luce. I Cristiani hanno ripreso da lui l'immagine per esprimere in modo emblematico la loro metanoia, quella "conversione" che è cambiare modo di pensare (e di essere) in modo strutturale. Platone ha portato in primo piano anche il concetto di "imitazione di Dio" come vertice della virtù, "imitazione" che consiste nel portare ordine nel disordine, nel fare unità in tutto quanto, nella vita dei singoli e nella società, è molteplice e disperso, scisso e antitetico. Suo è infine il concetto che lo spessore umano, la consistenza della persona, dipenda in modo radicale dalla misura in cui si sa guardare in faccia la verità.
Venendo ora alla terza via, quella della filosofia, le osservazioni potrebbero essere moltissime. Ma anche in questo caso converrà riprendere un concetto già più di una volta affrontato, perché si tratta, in questo particolare contesto, del concetto di fondo.
Mi riferisco alla metafora della "seconda navigazione" la sua operazione di scoperta del mondo soprasensibile. La "prima navigazione" era quella compiuta con le vele dei filosofi Naturalisti, rimasti legati al solo sensibile. La seconda navigazione (in senso proprio, quella che gli antichi facevano quando la caduta del vento li costringeva a usare con grande fatica i remi per procedere) è il trascendimento della dimensione del fisico nel metafisico, quindi la scoperta dei valori e delle realtà metasensibili. Le realtà fisiche sono tutte con-cause, ma non le cause ultimative. Il sensibile non spiega se stesso, se non apparentemente e parzialmente. Solo oltre il fisico sta la spiegazione del fisico stesso. L'uomo, in particolare, si spiega solo se si ricupera anche l'altra dimensione del soprasensibile.
Proprio questo è piaciuto (e piace tuttora, anche se in parte può essere disturbante) ai molti che hanno avuto e hanno in Platone il loro filosofo preferito; sentirsi dire: "stai attento, o uomo, perché tu non sei a una sola dimensione."
In un certo senso, Platone è come la voce della coscienza e della ragione, la quale instancabilmente incalza l'uomo di oggi, esortandolo a non volersi ridurre a una sola dimensione. E le parole di Platone riecheggiano in quelle che Shakespeare fa pronunciare al suo Apleto: "Vi sono in cielo e in terra assai più cose di quante ne sogna la tua filosofia."
Penso non potrebbe esservi risposta migliore di questa, alla domanda perché Platone parli all'uomo d'oggi: perché parla all'uomo come tale, all'uomo di sempre.
(da: Valori dimenticati dell'Occidente, Bompiani 2006, pp. 355-357)