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    Non c'è verità

    senza misura,

    né misura senza verità

    Giovanni Reale

     

    Se Agostino può definirsi il filosofo più letto, poiché come già detto un'opera sua o su di lui viene pubblicata in media ogni giorno, va tuttavia osservato che i suoi lettori sono di diversa estrazione culturale e si avvicinano a lui da punti di vista diversi. Alcuni hanno interessi speculativi, altri puramente religiosi, altri mistici, altri pastorali, altri ancora esegetici.
    Anche dal punto di vista strettamente filosofico le interpretazioni di Agostino sono tra loro assai diverse: alcune vorrebbero essere condotte sul piano razionalistico, altre, all'opposto, su un piano fideistico. In conclusione, non è facile entrare in quel giusto "circolo ermeneutico", che costituisce la cifra emblematica del pensiero del filosofo di Ippona.
    Eppure, è stato lui stesso a formularlo, questo corretto circolo ermeneutico, e in modo esemplare: "Io credo per capire e capisco per credere."
    Dunque, nel leggere Agostino sbaglia in partenza non solo chi lo legge in un'ottica del puro Logos, ma anche chi lo legge nell'ottica della pura fede. In particolare, non intende il suo messaggio speculativo chi non ricupera quelle basi culturali del Neoplatonismo sulle quali egli costruisce il proprio pensiero, operando una mediazione fra ragione e fede, che, forse, non ha eguale per profondità e ricchezza.
    Ma va detto che il neoplatonismo pagano viene convenientemente ristudiato solo da alcuni decenni, mentre la comprensione di quello cristiano sembra ancora agli inizi. Non c'è allora da stupirsi se alcune opere agostiniane non sono prese inadeguata considerazione, e in passato non sono state tradotte in italiano.
    Un esempio significativo di queste affermazioni è il De natura boni. Si tratta di un testo di estrema importanza dal punto di vista dottrinale, eppure a lungo trascurato, probabilmente perché, nonostante una sua apparente facilità, è, in realtà, piuttosto difficile, e soprattutto poco comprensibile nella sua profondità, se non lo si colloca sullo sfondo del Neoplatonismo.
    A mio avviso, è un piccolo gioiello di metafisica platonico-cristiana per la profondità dei concetti e per l'essenzialità con cui li presenta. Prima della sua traduzione con testo a fronte, nel 1995, con il titolo La natura del bene, l'opera non era mai stata tradotta in italiano, forse anche perché considerata una delle tante opere antimanichee, e quindi interessante solamente per gli studiosi di storia delle religioni.
    In realtà, La natura del bene è diretta, sì, contro le dottrine dei Manichei, ma la polemica è affrontata solo nella terza parte, mentre la prima è una rigorosa dimostrazione teoretica dei concetti di Bene e di male; e la seconda è una riconferma sulla base dei testi scritturistici delle tesi sostenute, in funzione del circolo ermeneutico credo ut intellegam, intellego ut credam.
    In poche altre opere Agostino ha presentato le connotazioni metafisiche essenziali della natura del Bene (e del male) in modo così preciso e articolato.
    Il Bene, in tutte le sue manifestazioni e a tutti i livelli, implica "misura", "forma" e "ordine" (o, detto in termini analogici, "unità", "numero", "ordine"). La misura implica compiutezza e perfezione, e di conseguenza una precisa determinazione ontologica che costituisce l'essenza, e quindi la forma. La forma, che è un esplicarsi della misura, costituisce l'essenza e l'espressione dell'essenza di ciascuna cosa, ed è connessa strutturalmente con il numero, poiché è il numero stesso che determina la forma.
    La terza connotazione consiste nell'ordine, il quale indica non solo l'ordine interno di ciascuna cosa, ma anche e in particolare il posto che, di conseguenza, a ciascuna cosa compete ontologicamente e assiologicamente nell'ottica dell'unità, o dell'insieme armonico di tutte le cose. Agostino chiama questa terza connotazione anche con il termine (assai indicativo) di pondus, "peso", indicando così la consistenza ontologica e la posizione di valore delle cose. Il peso dell'uomo, per esempio, quel che lo colloca al posto che gli compete nella dimensione dell'essere e del valore, si attua nell'amore.
    Quali sono le opposte connotazioni del male? La "diminuzione" e la "privazione" delle connotazioni del Bene, vale 'a dire una diminuzione e una privazione di misura, di forma e di ordine, in varia gradazione. Fino a quando, seppure diminuite, queste connotazioni sussistono, la cosa permane nell'essere. Quando, invece, la privazione diventasse totale, allora cesserebbe l'essere stesso della cosa.
    Di queste privazioni esistono due ordini differenti.
    Da un lato, sta la diminuzione e privazione di quelle connotazioni di carattere ontologico e fisico. Tali diminuzioni e privazioni graduali determinano i vari gradi di essere delle cose e le loro differenziazioni gerarchiche di valore. Le cose finite e delimitate in questo modo formano come tessere di un mosaico, e sono, di conseguenza, elementi costitutivi del mirabile quadro d'insieme dell'universo. Sono, quindi, momenti particolari dell'ordine generale.
    D'altro canto, invece, la privazione di misura, di forma e di ordine è di carattere morale, e non proviene né da Dio né dalla natura, ma dalla volontà e dalla libertà dell'uomo.
    Nel pensiero di Agostino non esiste un male in sé e per sé, una natura malvagia contrapposta al Bene (come pensavano in particolare i Manichei). La sconvolgente interpretazione del male che egli presenta è questa: si tratta di una scelta che l'uomo fa volontariamente di beni inferiori in luogo di beni superiori, di beni minimi invece di quello massimo.
    Lasciamo però questo punto particolare del male, la cui spiegazione richiederebbe un lungo discorso a parte, e torniamo al punto-chiave di carattere metafisico discusso nella Natura del bene.
    Come abbiamo visto, il Bene è soprattutto misura; le altre due connotazioni ne. dipendono, poiché la forma (o numero) e l'ordine non sono se non una esplicazione dinamica della misura, mentre il male, a tutti i livelli, è dis-misura, e quindi difformità e disordine.
    Esistono fonti a cui Agostino si sia ispirato nel formulare concetti metafisici così profondi? Molti interpreti pensano si debba fare riferimento soprattutto a Sapienza, 11, 20: "Tu hai tutto disposto con misura, calcolo e peso", che Agostino stesso cita più di trenta volte. Ma questa non è se non la fonte da cui ha attinto la sua "fede", mentre la fonte da cui ha attinto la sua "intelligenza" è stata il Platonismo.
    Platone, nei suoi corsi all'interno dell'Accademia (le sue cosiddette dottrine non scritte), forniva questa definizione ultimativa del Bene: "Il Bene è l'Uno, che è la Misura suprema di tutte le cose". E nella sua ultima opera, le Leggi, scrive: "Dio è per noi la Misura di tutte le cose soprattutto, assai più di quanto non lo sia alcun uomo, come si sostiene."
    Con l'espressione "come si sostiene" Platone fa riferimento a Protagora, il quale affermava: "L'uomo è misura di tutte le cose: di quelle che sono per ciò che sono e di quelle che non sono per ciò che non sono." In effetti, i grandi mali dell'uomo di tutti i tempi – e dell'uomo d'oggi in sommo grado – nascono proprio dal porre se medesimo come misura suprema di tutte le cose. E appunto questo si rivela essere fonte di dis-misura (difformità e disordine) in tutti i sensi. Mentre la ricerca del Bene consiste nello studiarsi di uscire da sé, nel cercare quella Misura suprema, da cui deriva ogni forma di ordine e di positivo: concetto che, ispirandosi a Platone e al Platonismo, Agostino esprime in modo perfetto, formulando un messaggio che vale per l'uomo d'oggi come valeva per gli uomini del suo tempo.
    Lo ha compreso molto bene quello che è il maggior interprete di lingua tedesca del Neoplatonismo pagano e cristiano, Werner Beierwaltes, che, in Agostino e il neoplatonismo cristiano, mette sapientemente in ,evidenza proprio la rilevanza veritativa del Messaggio agostiniano per l'uomo d'oggi.
    L'interpretazione degli antichi Neoplatonici pagani e cristiani, primo fra tutti Agostino, non deve rispondere soltanto a un interesse meramente storico, ma richiamare alla memoria qualcosa che manca all'età presente, e di cui è necessario che l'uomo di oggi sia consapevole. Lo storico del pensiero antico che si senta veramente filosofo deve, dunque: "cercare di modificare il pensiero contemporaneo mediante il passato".
    Ci fermeremo, in forma di esemplificazione, al primo saggio che riguarda la felicità secondo Agostino. È un tema che da molti era considerato ormai sorpassato. Non pochi ritenevano che la parola stessa "felicità" fosse da espungere da un discorso rigorosamente scientifico, poiché puramente mitica. Ma, in modo inatteso, la problematica della felicità torna alla ribalta, anche tra i filosofi.
    Tuttavia, molte risposte al problema sono state date procedendo su strade devianti. Per la ricerca della felicità alcuni hanno puntato sulla ricerca di una identità per ciascun uomo reagendo contro un mondo deformante. Altri hanno indicato. la via della emancipazione da una società tecnicizzata, burocratizzata e orientata solo a scopi concreti che riducono la vita dell'uomo a una sorta di catena di montaggio in un ambiente di lavoro assolutizzato. Altri ancora hanno pensato alla liberazione da varie forme di repressione politica e all'indottrinamento socio-politico. Infine, non pochi hanno indicato la strada dell'esaltazione del piacere contro la repressione degli istinti.
    Ebbene, all'uomo d'oggi – scrive Beierwaltes – Agostino manda un diverso messaggio: "La felicità non dipende da soggettivismi o stati d'animo e sentimenti in fondo volubili, né da una verità che si risolve nel 'relativismo' storico, ma dipende, piuttosto, dalla conoscenza di un'idea che permane e si dimostra vincolante e determinante, nonostante le sue trasformazioni storiche."
    Io, riprendendo il concetto agostiniano di Misura, vorrei aggiungere una sola notazione a quelle di Beierwaltes. È desunta dal De vita beata, in cui Agostino spiega che la vera felicità non può raggiungersi se non mediante quella sapienza che tende alla verità; e "perché possa esserci, la verità deve derivare da una Misura suprema, da cui procede e a cui, realizzandosi in modo perfetto, fa ritorno. E al di sopra della Misura suprema non sta alcun'altra misura: infatti, se la Misura suprema è misura a motivo della Misura suprema, medesima, è misura per se medesima. Ma la Misura suprema è necessario che sia la vera misura. Pertanto, come la verità deriva dalla misura, così la misura si riconosce dalla verità. E così non c'è mai stata verità senza misura, né misura senza verità".
    All'uomo d'oggi, che brancola vittima di tutti quei mali derivati dalla dismisura, Agostino insegna che non si può riacquistare equilibrio se non cercando quella giusta misura che si realizza soltanto uscendo, col riconoscere l'esistenza di una Misura suprema, dalla fallace convinzione che crede ciascun uomo misura di tutte le cose.

    Aurelio Agostino, De vita beata, De libero arbitrio, traduzioni di R. Fedriga e S. Puggioni, introduzione di M.T. Fumagalli Beonio Brocchieri, Milano 1995.

    Aurelio Agostino, Le eresie, a cura di S. Fumagallí, Milano 1995.

    Aurelio Agostino, La natura del bene, a cura di G. Reale, con testo latino a fronte, Milano 1995.

    W. Beierwaltes, Agostino e il neoplatonismo cristiano, Milano 1995.

    (da: Valori dimenticati dell'Occidente, Bompiani 2006, pp. 180-185)


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