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    Il ciclo pittorico

    «Il Figliol prodigo

    nella vita moderna»

    di James Tissot

    Note estetico-spirituali di Maria Rattà

    Prosegue il viaggio per immagini nella parabola del Padre misericordioso, attraverso il ciclo «Il Figliol prodigo nella vita moderna» del pittore francese James Tissot. In questa puntata verrà analizzato il terzo quadro della serie.

    3. IL RITORNO 

    «Ritornò in sé e disse:
    “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!
    Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò:
    Padre, ho peccato contro il Cielo e davanti a te;
    non sono più degno di essere chiamato tuo figlio.
    Trattami come uno dei tuoi salariati.
    Si alzò e tornò da suo padre.
    Quando era ancora lontano, suo padre lo vide,
    ebbe compassione, gli corse incontro,
    gli si gettò al collo e lo baciò» (Lc 15, 17-19)

    ritornoopt

    «Il ritorno» («The return»), rappresenta il momento clou della parabola. Tutto viene descritto in un abbraccio. Intenso, drammatico, mozzafiato. È più che un semplice rientro tra le mura di un edificio. Il Prodigo ha finalmente compreso che la vera casa dell’uomo non è fatta di mattoni, denaro, divertimenti, ma dello sicurezza dello "stare a casa"; che la dignità della persona non si “costruisce” né si mantiene nella solitudine, ma nella relazione; che la realizzazione personale non sta nello spendere, ma nel condividere; che la solidità non consiste nell’ergere muri, ma nell’abbatterli.

    Superare la solitudine

    Dove e quando

    La scena si svolge, ancora una volta, sulle rive del fiume, nella luce delicata dell’alba o, più probabilmente, della sera. Lo spettatore viene calato nel concitato clima di uno sbarco. È appena approdata una nave, carica di bovini e maiali. In fondo al pontile, un uomo con un bastone cerca, con fare minaccioso, di guidare gli animali, mentre un altro li spinge. Proprio alle spalle del Prodigo, si consuma una scena similare. Così come nella tela precedente, anche in questa lo spettatore è immerso in un contrasto significativo: da un lato grida, grugniti di maiali, vociare d'altri passeggeri, dall’altro l’abbraccio, nel silenzio, tra padre e figlio. Da un lato la forza bruta della violenza, dall'altro la mite - ma non per questo debole - potenza dell'amore.

    Gli spazi della solitudine interiore

    Il prodigo ha viaggiato in compagnia delle bestie stivate nella nave, quasi animale tra loro nel degrado economico e morale sperimentato nel suo tentativo di emancipazione. Tissot ricorre a questo espediente per realizzare, all’interno di una sola scena, un riassunto di ciò che accade tra «Nel paese straniero» e «Il ritorno». È come un sommario degli eventi - ben conosciuti dal lettore della parabola - che hanno spinto il Animalsgiovane a prendere la sua decisione di ritornare da suo padre: il suo trovarsi «nel bisogno» (Lc 15,14) e il suo ultimo tentativo di autonomia, sottolineato, nel Vangelo, dalla pericope «andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i suoi porci» (Lc 15,15). Il ragazzo aveva finito - forse ancora inconsapevolmente - con il marcare la sua totale perdita di dignità nell’equipararsi, in un certo senso, a quegli animali impuri per gli ebrei [1]: «avrebbe voluto saziarsi con le carrube dei porci» (Lc 15,16).
    Ma la "discesa" del giovane non era finita qui. Altri esseri umani - altri uomini come lui - lo avevano spinto ancora più in basso, con la loro indifferenza e mancanza di solidarietà: «ma nessuno gli dava nulla» (Lc 15,16). È qui che il Prodigo aveva vissuto il suo ultimo e definitivo “spazio” della solitudine. In terra straniera-pagana e in mezzo a gente straniera-pagana, considerato finanche meno di un animale. Il suo isolamento umano e spirituale si era fatto totale.
    Toccando il fondo della completa privazione di dignità, egli aveva fatto ritorno in se stesso, scoprendosi uomo, figlio, creatura amata e ancora una volta affamata, non soltanto più di cibo, ma anche e principalmente di amore. Tale presa di coscienza lo aveva portato a “rivendicare” ciò che egli “era" da sempre. Da qui il suo desiderio di ritornare da colui che lo aveva già “conosciuto”, amato. In questa prospettiva, il suo viaggio di ritorno, pur se compiuto in mezzo ai porci, non era più un permanere o un vagare in uno spazio di solitudine, bensì di comunione: ritrovata con se stesso, sperata con il padre.
    Il taglio prospettico del quadro è simile a quello utilizzato da Tissot in «Nel paese straniero». Il punto di fuga corre verso l’estrema sinistra, fuori dalla scena dipinta. Tuttavia, qui il pavimento appare leggermente irto, come a rendere simbolicamente visibile il percorso di “risalita” del Prodigo e l’apparente “abbassarsi” del padre per riabbracciare, riaccogliere suo figlio. La luce che inonda solo una parte del pontile sembra evidenziare il tragitto che il giovane ha compiuto verso suo padre, ed è quasi come un faro che conduce l’occhio verso i piedi del ragazzo e verso le sue gambe piegate (metafora di umiltà, ammissione di colpa, richiesta di perdono e, dunque, di amore?).
    Sull’estrema destra del quadro, in un angolo angusto, compaiono il figlio maggiore e sua moglie. Si tratta di un interessante espediente narrativo adottato dal pittore. Nella parabola, infatti, il fratello maggiore non assiste al rientro del minore, venendone al corrente soltanto al momento del banchetto organizzato da suo padre per festeggiare l'evento. Collocando già ne «Il ritorno» il più grande dei due, Tissot ne tratteggia in maniera più evidente la psicologia, accentuando inoltre la drammaticità della scena. Avvolti nei loro cappotti neri, quasi bardati a lutto, il maggiore e la donna accanto a lui osservano la scena con disprezzo.

    L’occhio è lo specchio dell’anima

    - Il figlio maggiore e sua moglie

    Il figlio maggiore, a testa alta e con le mani in tasca, serra in bocca uno stuzzicadenti (quelli di epoca vittoriana avevano una foggia particolare ed erano inseriti in un supporto metallico); la donna al suo fianco porta le mani al viso, in un impeto di stupore che la travolge. Si tratta di meraviglia per il sorprendente gesto dell’uomo anziano, che la fa prorompere in un singulto, lasciandola letteralmente “a bocca aperta”, oppure la scuote e la disgusta la condizione di estrema indigenza in cui si è presentato il figlio minore? La tracotanza del maggiore rimarca che quanto accade proprio ora, sotto i suoi occhi, è fuori dalla sua comprensione, dai suoi schemi, dalla sua idea di giustizia e di etichetta: suo fratello ha meritato di cadere così in basso, perché ha violato le "regole del gioco".

    Maggiore e moglie

    In realtà, l’espressione glaciale e di distaccata superiorità dell'uomo e quella stupita della donna al suo fianco sembrano essere le due facce di una stessa medaglia. Entrambi esprimono fin d’ora quello che si evincerà pienamente alla fine della parabola: «all’atteggiamento misericordioso del padre, simbolo della misericordia divina, si contrappone nel figlio maggiore l’atteggiamento dei farisei e degli scribi che si lusingano di essere “giusti” perché non trasgrediscono alcun comandamento della legge» [2]. La loro idea di amore è lontana anni luce da quella del "padre misericordioso".

    - Il padre e il figlio minore

    Padre e figlio sono come immersi in un’altra dimensione. Spiccano in primo piano, in una sorta di tridimensionalità che - a differenza della resa piatta dei due personaggi in abiti neri - sembra voler farli hatbalzare fuori dalla tela.
    La corsa del padre - un padre che non aveva smesso di attendere quel figlio in arrivo (e che Luca descrive in 15,20: «quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò») - viene resa da Tissot attraverso il dettaglio del cappello caduto in terra e che sembra ancora in volo, prima di toccare il pavimento di assi; per mezzo della posa delle gambe ancora piegate, come quella di chi si arresta improvvisamente dopo una corsa; tramite le falde del cappotto che si incollano addosso all'anziano, per effetto del contraccolpo.
    Il figlio minore si è letteralmente gettato ai piedi di suo padre. Nel ritrarlo inginocchiato dinanzi a lui, Tissot rende il senso del “peso” interiore che ha gravato sul suo cuore nel corso della travagliata "fuga" da casa, ma anche quello della liberazione per essersi disfatto di quella zavorra che gli impediva di essere uomo, figlio, fratello, amato. Il ragazzo, per quanto rivestito esteriormente di abiti lerci e poco alla moda, è ammantato di una compostezza e di una dignità interiore che ne trasfigura tutta la persona.

    Hug

    Il suo volto quasi scompare tra le braccia dell’anziano genitore. A occhi chiusi si lascia inondare dal flusso dell’amore paterno. Ha trovato la sua sicurezza. Non ha bisogno di posare lo sguardo su nulla. Può fidarsi “ciecamente” di colui che l’ha accolto. Può sentirne il calore senza bisogno di parlare. Non è necessario proclamare il suo discorso, preparato nel momento della prova. Il padre ha già capito. Il figlio ha già dimostrato. Nelle resa pittorica delle mani del giovane, Tissot sembra citare le mani del padre del Prodigo della famosa opera di Rembrandt. Questa volta è il figlio a esprimere la potenza del suo vissuto e dei suoi sentimenti attraverso le mani: con una sembra carezzare il padre, con l'altra si stringe vigorosamente a lui. In quelle mani c’è tutto il percorso di un giovane uomo che ha imparato - a sue spese - a maturare, e che ha metabolizzato, contemporaneamente, la forza necessaria per rialzarsi e la tenerezza per chiedere perdono, per amare e per lasciarsi amare.
    Il padre accompagna la sua accoglienza - possente e delicata - a una "carezza dello sguardo" su quel figlio ritornato. In realtà, non ha mai smesso di osservarlo, di "inseguirlo", di attenderlo.

    INTERPELLATI DA QUADRO

    La memoria che fa ritornare in sé

    Alla partenza del Prodigo, il padre aveva lasciato che il figlio partisse, senza opporsi. «Da dove viene tale atteggiamento così inusuale e atipico? Il motivo è che c’è un aspetto ben più importante, che si comprende bene nel prosieguo del racconto» [3], e che si esprime nel momento in cui il figlio rientra (ritorna) in sé, per poi ritornare a casa: «c’è da salvare qualcosa nel cuore di quel figlio che sta andando via. Che cosa vuole salvare il padre? È la memoria dell’amore e della sua misericordia, che rimarrà magari non conosciuta, non espressa, ma che si rivelerà una presenza fondamentale nel cuore di quel figlio. Sarà proprio questo amore a fare sì che egli abbia la forza per rialzarsi dal pantano in cui si trova. Non saranno le sue buone abitudini o semplicemente il suo pentimento a sostenerlo, ma l’amore che rimane nel suo cuore proprio per il fatto che il padre non gli nega la sua libertà. Se il padre gli avesse imposto di rimanere, avrebbe cambiato il suo atteggiamento in un’imposizione piuttosto che essere misericordioso e attendere, con il probabile risultato di ottenere una lontananza ancora più profonda» [4]. Il ritorno del Prodigo è l’esito di un percorso di “conversione”, innescato dal tracollo economico in cui si trova a versare e dal bisogno di “cibo”, ma che culmina nella comprensione del suo tracollo morale e, per contro, del grande amore paterno e divino. Il Prodigo, infatti, toccando il fondo si si rende conto che il suo non è solo un bisogno di cose, ma di amore, e così passa dalla dimensione umana e materiale della sua crisi a quella spirituale, comprendendo che il suo peccato non è stato rivolto semplicemente contro il padre terreno, ma anche contro «il Cielo» (Lc 15, 18). La crisi «diventa un’occasione e un momento di crescita. La crisi di per sé segna l’inizio del ritorno: la coscienza di quel figlio, infatti, viene scossa» [5].

    La matematica del perdono

    Nella parabola del Prodigo che fa ritorno a casa è descritto l’itinerario di conversione dell’uomo avvinghiato al suo desiderio di sottrarsi alla propria creaturalità. È un percorso che passa attraverso le tappe della ribellione, della illusoria autonomia, dello sperpero, della dissolutezza, dalla discesa negli inferi dell'io, della perdita della dignità e della "risalita". È proprio in queste tappe che si "materializza" la parabola, che, nella sua forma geometrica, partendo dal basso tocca il suo apice in alto, per poi ritornare nuovamente in basso, ma non più nel punto d’inizio, bensì in uno diverso, perché tutto - dopo un’esperienza di conversione - è mutato. Così, il vero apice della parabola non è il momento dell'illusione, ma quello della presa di coscienza, del ritorno alla "vera", intima, profonda realtà dell'essere e delle cose.
    Il figlio che ritorna dal padre non è lo stesso figlio che ha lasciato il padre. Il padre è il punto fermo, ma solo ora il figlio se ne accorge, e lo vede per quello che realmente è, il “collante” della famiglia, grazie al suo amore smisurato e incondizionato.
    «Salvi, cioè liberi e veri, possiamo diventarlo solo se cessiamo di voler essere un dio, - scriveva Joseph Ratzinger - se rinunciamo al delirio dell’autonomia e dell’autoarchia. Possiamo sempre e solo venir salvati. Solo se accettiamo questo passivo giungiamo alla regione della salvezza, della libertà e della verità. Detto ancora in altro modo: diventiamo noi stessi, ciascuno se stesso, se accogliamo e accettiamo le giuste relazioni. Ma le nostre relazioni interumane dipendono dal fatto che è in gioco il criterio della creazionalità; ma proprio qui è il disturbo, perché la relazione creazionale è disturbata. Perciò solo il nostro Creatore può essere il nostro salvatore. Possiamo essere salvati solo se colui dal quale ci siamo separati viene ancora a noi e ci riapre egli stesso la relazione, che noi non possiamo estorcere. Soltanto l’essere amati è l’essere salvati e solo l’amore di Dio può purificare l’amore umano disturbato, ristabilire la struttura relazionale disturbata» [6].

    La speranza di essere perdonati

    Il Prodigo, assumendosi la propria “responsabilità” di peccatore, ha messo in gioco se stesso, si è dichiarato pronto a ricominciare da capo, a ricostruirsi lasciandosi rinnovare dalla misericordia. In questo suo mutamento profondo sembra infatti non dubitare - neppure per un momento – dell’amore fedele del padre. Quando il ragazzo decide di fare ritorno a casa, dai suoi pensieri sembra emergere un sentimento che non è aleatorio, ma quasi certezza: il padre lo riaccoglierà, fosse anche - nella peggiore delle ipotesi - come uno dei suoi salariati (Lc 15,19). Il suo non è semplice ottimismo interessato. Il Prodigo può sperare perché ha finalmente compreso la modalità dell’amore di quell’uomo che lo ha amato fino al punto di lasciarlo partire e, attraverso l’amore paterno, ha compreso anche l’amore divino. Entrambi questi amori “oltraggiati” esigono una richiesta di perdono. «Sperare è volare, dice Bonaventura: la speranza esige da noi un impegno radicale; richiede da noi che tutte le nostre membra diventino movimento, per sollevarci dalla forza di gravità della terra, per ascendere alla vera altezza del nostro essere, alle promesse di Dio. Chi spera - così egli dice - “deve alzare il capo, rivolgendo verso l’alto i suoi pensieri, verso l’altezza della nostra esistenza, cioè verso Dio. Deve alzare il suo cuore a percepire tutte le dimensioni della realtà. Deve alzare il suo cuore disponendo il suo sentimento per il sommo amore e per tutti i suoi riflessi nel mondo. Deve muovere anche le sue mani nel lavoro…” » [7] Il Prodigo non si mette in viaggio da sconfitto e la speranza che alberga ora nel suo cuore è quella stessa speranza con cui il credente deve animare la propria relazione con Dio: è Lui che ha amato l’uomo per primo (1Gv 4,10), perciò questa «speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori, per mezzo Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). E lo Spirito Santo infonde una sapienza, «la sapienza interiore verso la misericordia di Dio» (Francesco, Angelus, 17 marzo 2013). «Speranza e amore si appartengono intimamente» [8] e proprio la speranza “vissuta” permette di eradicare dal cuore umano «la disperazione e la “temerarietà”» [9]. Ogni storia di conversione, proprio come la storia del Prodigo, presenta «all’inizio della strada l’orgoglio di “essere come Dio”» [10] in cui bisogna «sbarazzarsi del sorvegliante Dio per essere liberi» [11] e attraversa la fase dello sprofondare nel tunnel delle proprie miserie. Ma Dio punta a risollevare l’uomo, così, il convertito comprende che l’amore divino «è per sempre» (Sal 100,5) e non è soffocante, così come non lo è quello del padre misericordioso della parabola. «L’amore si riferisce alla persona come essa è, anche con le sue debolezze» - scriveva Joseph Ratzinger - «ma un amore reale, al contrario del breve incanto di un momento, ha a che fare con la verità e si rivolge in tal modo alla verità di questa persona, che può essere anche non sviluppata o nascosta o deformata. Certamente l’amore include una disponibilità inesauribile al perdono, ma il perdono presuppone il riconoscimento del peccato quale peccato. Il perdono ha la sua strada interiore: perdono è guarigione, cioè esige il ritorno alla verità. Si potrebbe anche dire: il perdono è la partecipazione al dolore del passaggio dalla droga del peccato alla verità dell’amore. Solo questo procedere ed incedere in compagnia può donare al tossicomane (e il peccato è sempre “droga”, menzogna di falsa felicità) di lasciarsi condurre lungo l’oscura linea del dolore. Solo la decisione previa di entrare nel dolore e nella morte del cammino di trasformazione rende sopportabile questa strada, perché solo così nella notte oscura della via stretta di rende visibile la luce di speranza di una nuova vita. Viceversa è vero che soltanto l’amore dà la forza di perdonare, cioè dell’andare insieme con l’altro sulla strada del dolore trasfigurante. Solo l’amore rende possibile di assumere e di portare insieme con l’altro e per lui la morte della menzogna. Solo l’amore rende capaci di restare, nel buio e interminabile tunnel, portatori della luce e di far sentire l’aria fresca della promessa che conduce alla rinascita» [12]. È questo amore capace di attendere in silenzio che consentirà al Prodigo di superare la crisi della sua povertà totale, riconquistando quella ricchezza che già prima era sua.

    Quale ricchezza?

    L’attenzione riservata da Tissot ai dettagli modaioli fornisce lo spunto per una riflessione che anticipa il tema del quadro che concluderà il ciclo. Sarà nella scena de «Il vitello grasso» che il figlio maggiore incentrerà la sua stoccata finale sull’argomento dei beni terreni, dimostrandosi, così, animato dallo stesso risentimento che albergava, all’inizio della storia, anche nel cuore di suo fratello.
    Ne «Il ritorno» lo si vede apparire, così come la donna al suo fianco, elegantemente vestito. La loro ricchezza, tuttavia, è solamente esteriore. Si affannano solo per i beni terreni, estemporanei.
    Il padre, pur essendo curato fin nei minimi dettagli (son ben visibili anche le scarpe bicolore), non vive per i suoi beni: vive per i suoi figli, per i suoi affetti. Il suo cuore non è attaccato alle sue ricchezze, di cui pure si serve per vivere dignitosamente e per garantire altrettanta dignità ai suoi figli.
    Tutto questo, ora lo comprende anche il figlio minore che, pur essendo l’unico in abiti sudici e sdruciti, nella sua povertà è diventato ricchissimo. Spogliandosi dell’orgoglio, della presunzione, dell’egoismo e dell’insensibilità è stato in grado di riacquistare beni senza prezzo: la dignità di creatura e di figlio, il dono della tenerezza donata e ricevuta, la fede.


    NOTE

    [1] Cfr. Lv 11,7.

    [2] Nota nella Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1982, p. 2234.

    [3] Gabriele Maria Corini, Contro la sciatica del cuore. Spunti biblici sulla divina misericordia, San Paolo, 2015, pp. 102-103.

    [4] Ibidem.

    [5] Ibidem, p. 103.

    [6] J. Ratzinger - Benedetto XVI, Progetto di Dio. Meditazioni sulla creazione e la Chiesa, Marcianum Press, 2012, pp. 116-118.

    [7] J. Ratzinger-Benedetto XVI, Guardare Cristo. Esercizi di fede, speranza e carità, Jaca Book, 2009, p. 53.

    [8] Ibidem, p. 57.

    [9] Ibidem, p. 58.

    [10] Ibidem, p. 61.

    [11] Ibidem, p. 61.

    [12] Ibidem, pp. 75-77.


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