Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    settembre-ottobre 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024


    Newsletter
    settembre-ottobre 2024
    NL sett ott 24


    Newsletter
    luglio-agosto 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2021 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2021ANNATA 2021: 122 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    invetrina2

    Etty Hillesum
    Una spiritualità per i giovani Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


     

    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV





    Guerra e pace nella storia

    della coscienza cristiana

    Franco Giulio Brambilla


    Una ricca analisi della dimensione teologica e storica della pace, dal mondo antico fino al nostro tempo, ci aiuta a leggere il decisivo compito della coscienza cristiana per trovare una possibile, per quanto stretta, via alla pace.

    La pace tra teologia e storia

    Opus iustitiae pax, «la pace è l'opera della giustizia» (Is 32,17) «giustizia e pace si baceranno» (Sal 85 , 11 ) , «vi do la mia pace, non come la dà il mondo» (Gv 14,27). Queste tre citazioni bibliche molto conosciute ci dicono che la pace è un dono escatologico che, se accolto dall'alto, rende capaci gli uomini di trasformare le forme della loro convivenza, di generare rapporti giusti. Questa duplice valenza della pace, come dono di Dio e come modo della convivenza tra gli uomini, è immersa nella vicenda storica, che presenta un'esperienza della pace più precaria e contrastata. Nella cultura greco-romana la pace è intesa come "intervallo" dalla guerra o come "ordine imposto".
    Emergono quattro modelli di pace, che esprimono i due aspetti fondamentali della pace, quello teologico-salvifico e quello storico-civile, che formano i due grandi filoni che confluiscono nella cultura occidentale. Quando la coscienza cristiana s'introduce nel mondo ellenistico (greco-romano), in un primo tempo vive soprattutto il primo aspetto, quello teologico-salvifico (la pace come dono escatologico), perché si colloca nella cornice sociale epolitica dell'impero, affermando la differenza della pace che viene da Dio. Dopo la svolta costantiniana e la caduta dell'impero, i cristiani devono fare i conti anche con l'aspetto storico-civile della regolazione dei rapporti di forza (la pace nel suo aspetto di compito). La riflessione dí Agostino sarà strategica a questo proposito e la dottrina della "guerra giusta" va collocata su questo mutato sfondo storico, quando la coscienza cristiana dovrà fare i conti con le durezze della storia e dovrà incanalare la forza dei popoli nuovi, che s'affacciano con un'altra concezione della convivenza civile.
    Ecco, dunque, il problema essenziale: qual è il rapporto tra la dimensione teologica della pace come esperienza di vita buona nello spazio della convivenza sociale e la dimensione storica della pace come esperienza della regolazione dei rapporti giusti nella convivenza tra i popoli. Suddivido il mio intervento in due parti: La prima parte è storica ed ermeneutica, e dipingerà un trittico che: a) disegna quattro modelli della pace nel mondo antico risalendo alle nostre radici; b) ad esso segue il tempo in cui i cristiani si assumono la responsabilità della convivenza civile dopo Costantino, collocando in questa cornice la dottrina della "guerra giusta"; c) infine approda al momento contemporaneo, quando, con i grandi interventi dei Papi e del concilio Vaticano II, si recupera la dimensione teologale della pace come forma profetica per l'esperienza civile, dentro un orizzonte ormai globalizzato. La seconda parte è più breve e propone un percorso in cinque passi di riflessione e discussione.

    La pace nella Bibbia e nel mondo antico

    La concezione della pace che emerge nel mondo antico ci presenta sostanzialmente quattro modelli, che alimentano i due grandi filoni culturali che formano le radici dell'Europa: il filone greco-romano e il filone ebraico-cristiano (per questa parte si veda più ampiamente W. HuberH.R. Reuter, Etica della pace, Queriniana, Brescia 1993, pp. 30-57). In primo luogo, la pace come intervallo. Nel mondo greco, la pace (eiréne) non indica un rapporto tra gli umani né un modo di agire né un rapporto giuridico. La pace è vissuta come un "intervallo" dentro uno stato di guerra o di bellicosità nella comunità civile sperimentato come permanente. La pace è la situazione di sospensione del pólemos, della guerra, è la quiete prima e dopo la tempesta, lo stato sereno di vita che fa da intervallo in mezzo all'infuriare delle battaglie. Pace non è dunque un concetto della filosofia politica, ma ha radici nel mito, che vede il mondo trasformato in cosmo nella lotta contro il caos. L'idea della pace viene da quelle forme fondamentali della vita che fanno anzitutto esperienza dell'aggressività e della violenza, e che dunque sperimentano la pace come interruzione, sospensione, regolazione di quello stato. Così anche nell'epopea antica espressa dall'Iliade e l'Odissea, la pace viene vista come cessazione, temporaneamente stabilita dagli dei, dell'ingiustizia e dell'uso della violenza. La ricerca del nómos è il compito politico per la convivenza nella pólis e la lotta per la distribuzione dei diritti e dei beni fondamentali nella società è il principio regolatore della pace. Qui si colloca la difficoltà: questa lotta per il nómos (diritto/legge) è regolata dalla comunità o dal diritto del più forte? Perché, da un lato, è l'aristocrazia che guida l'eu-nomía, e dall'altro ciò spinge a chiedere sempre più l'uguale distribuzione dei diritti e dei beni nella pólis (isonomía). La religione politica della Grecia è fondata sulla isonomía e non sulla eiréne, sul buon governo e non sulla pace.
    Con Platone e Aristotele l'ideale della pace, che proveniva dal mito, fu messo in rapporto con la ragione (lógos). Per Platone il fine della pace può giustificare la guerra, ma è l'educazione che forma alla felicità e alla vita buona e che deve porre un freno all'insaziabile desiderio di autonomia degli uomini. Per Aristotele, i rapporti fra gli umani e l'ordinamento della città si fondano sull'amicizia tra gli umani. Come si vede, per entrambi la società è lo specchio dell'anima individuale e delle sue pulsioni ed essi considerano l'ordinamento della città come spazio vitale tra gli uomini. Il loro orizzonte è quello della Grecia con la sua organizzazione in città-stato e manca loro uno sguardo più globale e internazionale. Solo nel 387 il termine pace indica la situazione imposta militarmente dal re persiano, così che la pace è l'intervallo di benessere conseguente all'interruzione della guerra vittoriosa.
    Vi è poi la pace come ordine imposto. La pace nel mondo romano, la pax romana, rimane ancora un'interruzione della guerra, ma adesso assume una valenza nuova, tende a essere non solo l'intervallo della lotta e della violenza, ma un programma politico, un ordine stabile imposto con la violenza. Non a caso ancora oggi la parola latina pax con un aggettivo, pax americana, pax sovietica o pax atomica, significa l'assenza della guerra portata dalle armi e garantita dal dominio esercitato da un potere forte. L'episodio più importante del mondo romano riguarda Augusto (63-14 a.C.) che pensò di arrivare a un mondo governato dalla pax romana o pax augusta (si veda l'Ara pacis augustae). L'Egloga IV di Virgilio parla di un passaggio dall'età del ferro all'età dell'oro e l'iscrizione di Priene (9 a.C.) presenta Augusto come salvatore divino del mondo che metterà fine alla guerra e la cui nascita è portatrice di lieti messaggi (euangélia) di un'era nuova. Quel tempo diventa poi un modello («Le città sono splendide ed eleganti e tutta la terra è come un parco», scrive Publio Elio Aristide) quando su tutte le regioni regna la pax (romana). La pace è così l'aspetto pianificato dell'azione militare, è la nuova situazione giuridica creata dall'imposizione della pace. Questo ordinamento deve favorire la tranquillità (otium) e la sicurezza (securitas) e suppone all'interno dell'impero la concordia (concordia).
    In terzo luogo, vi è la pace come forma di vita. Nell'Antico Testamento, shalom è un termine molto comune nella vita quotidiana ed è capace di elevarsi a una dimensione religiosa: esso indica benessere integrale, che abbraccia tutto l'uomo, il suo corpo, l'anima, la comunità, il gruppo, l'ambiente naturale e tutte le relazioni in cui l'uomo vive. Potremmo dire che per l'ebreo pace è la vita buona in tutte le sue relazioni garantita dall'alleanza con Dio. Il termine deriva da una radice che significa "avere a sufficienza" e quindi indica una forma di vita in cui tutti "hanno a sufficienza", prima di tutto nel campo dei beni, ma poi in tutte le relazioni, umane, sociali e cosmiche, così che il termine significa anche dare e ricevere soddisfazione e riparare. Perciò shalom comprende giustizia e pace come dice il Salmo 85,11: «giustizia e pace si baceranno». Pace significa la "piena soddisfazione della vita", e si esprime nella forma elementare del saluto, come modalità dell'incontro tra le creature («Ha shalom il nostro vecchio padre», dice Giuseppe ai suoi fratelli). Pace indica, dunque, per la mentalità ebraica, che il saluto (l'ingresso nella relazione) partecipa alla realtà, mette in relazione viva con la vita dell'altro, libera dal timore, è aiuto nel bisogno, è esperienza permanente di comunione.
    L'esperienza originaria della pace per Israele non è né un ordinamento politico né un ordine del cosmo, ma deriva dall'esperienza della liberazione dall'Egitto e dall'alleanza con Dio, che dà avvio alla storia di un popolo, le cui relazioni interne e con il mondo sono guidate dall'esperienza del patto, della comunione. Qui abbiamo una priorità dell'esperienza della pace rispetto alla guerra. Di qui provengono le famose espressioni: «effetto della giustizia sarà la pace, frutto del diritto una perenne sicurezza» (Is 32,17). Questo modo di dire (opus iustitiae pax) ha un chiaro carattere ideale e sarà molto usato dalla tradizione cristiana, ma se viene sganciato dalla mentalità ebraica finisce per stravolgersi nel suo contrario. Giustizia e pace non sono dunque misure astratte, ma forme della vita e sono inserite nelle relazioni tra gli uomini e il loro mondo: la pace è un'esperienza di benessere comunitario e la giustizia è la solidarietà e la comunione all'interno della convivenza umana. In più, l'esperienza dell'esilio dopo la caduta di Gerusalemme porterà a un'attesa escatologica della pace messianica mondiale, a una visione della pace come dono divino, come promessa escatologica (cfr. Is 2,2-4).
    Infine, la pace come dono promesso. L'ultimo modello della pace, che raccoglie questa eredità escatologica, è la pace come dono promesso. Il Nuovo Testamento riprende il termine greco eiréne, che peròriempie del significato ebraico dello shalom e viene radicalizzato come dono di Dio o del Risorto. Dei cento passi del NT dove ricorre il termine "pace", la maggioranza delle ricorrenze del termine significa appunto il saluto nell'accezione ebraica. Ora però il saluto diventa promessa del dono escatologico della pienezza di vita con Dio e dell'integrità della vita dell'uomo sofferente sotto il peso del male. «Va' in pace, e sii guarita dal tuo male» (dice Gesù alla donna guarita, Mc 5,34). La pace è la liberazione dal male e il dono per vivere. Interessante a questo proposito il detto sul tributo a Cesare: di fronte alla pax romana e alla reazione violenta degli Zeloti, Gesù propone un'alternativa che enfatizza l'aspetto escatologico del dono della pace. L'espressione "date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio" (cfr. Mc 12,13-17) non dice solo la distinzione di due ambiti, ma ha una più vasta portata. Gesù dice di rendere a Cesare quanto è di Cesare, riferendosi all'immagine che è coniata sulla moneta e che utilizzano anche coloro che vogliono opporsi con la forza, ma dice di dare a Dio l'altra immagine "impressa nell'uomo stesso". Perciò la parola pace è equivalente a "regno di Dio" e ha il suo luogo nella comunità delle beatitudini. I discepoli devono essere indifesi e senza bastone e con sulle labbra il saluto della pace (Lc 10,3-11). Questo tratto escatologico della pace come dono promesso mette in crisi e rinnova i linguaggi tradizionali, il saluto («Grazia e pace a voi...»), la relazione (il bacio santo), tutti i rapporti di inimicizia perché siano trasformati in relazioni di benevolenza e di pace («Vivete in pace tra voi», lTs 5,12; «Abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace», 2Cor 3,11). In Luca il dono escatologico della pace assume persino un tratto apologetico (cfr. il Gloria del Natale, 2,14), messo in concorrenza con la pax romana. Alla fine, la pace viene a identificarsi con la pasqua di Gesù e il saluto/dono del Risorto (Gv 20).
    Particolare dell'ambone del duomo di Barga con l'Annunciazione a Maria e scene della Natività di Gesù.

    Il tema della pace nei primi secoli cristiani e la dottrina della "guerra giusta"

    I cristiani dei primi secoli furono coscienti della differenza tra la loro visione e la concezione diffusa nell'ambiente romano. Essi vissero nell'ambito delle loro relazioni comunitarie l'aspetto escatologico della pace e non si sono subito messi a confronto con la pratica romana della pace come ordine imposto. Anzi fu probabilmente questa concentrazione escatologica sull'esperienza ebraico-cristiana della pace uno dei motivi della diffusione del messaggio cristiano. Nei primi secoli, l'unico punto critico di frizione fu l'atteggiamento cristiano di fronte al servizio militare, che comportava anche il giuramento all'imperatore e il sacrificio alla sua immagine.
    I primi autori cristiani non hanno avuto un approccio univoco né particolarmente articolato alla "questione bellica". Nei primi tre secoli si va dalla posizione possibilista di Clemente d'Alessandria, a quella prima aperta poi nettamente contraria di Tertulliano nel suo "secondo periodo", in cui il servizio militare è condannato in sé stesso e non soltanto per il pericolo di idolatria – posizione invece questa comune a molti Padri – fino alla posizione radicalmente contraria di Cipriano di Cartagine.
    Solo con sant'Agostino la situazione muta radicalmente. Con l'editto di Milano la religione cristiana diventa religio licita e nel corso del IV secolo essa si diffonde sempre più, ramificandosi nella società e venendo gradualmente assunta nella forma civile e sociale dell'impero. All'inizio del V secolo con la caduta di Roma e il sacco di Alarico (410), Agostino si assume la responsabilità, nella sua opera De civitate Dei, di pensare il rapporto tra dimensione escatologica del cristianesimo e forma storica della convivenza umana.
    È in questa cornice che, per la prima volta, sant'Agostino, allo scopo di delimitare le condizioni dell'atto bellico in risposta a un'ingiusta aggressione, formulerà le condizioni della cosiddetta "guerra giusta", segnalandone quattro: 1. la violazione del proprio diritto da parte di un aggressore ingiusto; 2. la guerra come necessità, cui rassegnarsi; 3. la tensione della volontà verso il bene («la pace nella volontà, la guerra nella necessità», cfr. Lettera 189,6); 4. la dichiarazione da parte dell'autorità legittima.
    Nella stessa linea si muoverà san Tommaso, che in STh, II-II, q. 40, art. 1 (Utrum bellare semper sit peccatum), riferendosi ampiamente ad Agostino, provvede a fissare le seguenti tre condizioni (ivi, resp.): «Perché una guerra sia giusta si richiedono tre cose: Primo, l'autorità del principe per ordine del quale deve essere proclamata [...]; Secondo, si richiede una causa giusta, cioè una colpa da parte di coloro contro i quali si fa la guerra [...]; Terzo, si richiede che l'intenzione di chi combatte sia retta, e cioè si miri a promuovere il bene e ad evitare il male». Si tratta dell'interpretazione di gran lunga prevalente nella storia della cristianità, che tuttavia fa capo ad alcuni presupposti, presenti nel mondo antico e medioevale, ma sempre più messi in discussione con l'avvento della modernità.

    Guerra e pace nell'epoca contemporanea

    Nel Novecento, a fronte di eventi bellici di sempre maggior impatto e distruttività, gli interventi del Magistero hanno prodotto una drastica revisione della dottrina della "guerra giusta". Benedetto XV, nella Nota ai capi dei popoli belligeranti del 1° agosto 1917, esponeva «alcunipunti che sembrano dover essere i capisaldi di una pace giusta e duratura»; mentre prima ancora del termine del secondo conflitto mondiale, è notevole la seguente affermazione di Pio XII: «Le risoluzioni finora note delle Commissioni internazionali permettono di concludere che un punto essenziale d'ogni futuro assetto mondiale sarebbe la formazione di un organo per il mantenimento della pace, organo investito per comune consenso di suprema autorità, e il cui ufficio dovrebbe essere anche quello di soffocare in germe qualsiasi minaccia di aggressione isolata o collettiva. Nessuno potrebbe salutare questa evoluzione con maggior gaudio di chi già da lungo tempo ha difeso il principio che la teoria della guerra, come mezzo adatto e proporzionato per risolvere i conflitti internazionali, è ormai sorpassata» (Radiomessaggio natalizio 1944).
    Il processo di drastica revisione della dottrina della "guerra giusta" si compie con Giovanni XXIII, in Pacem in terris: «Si diffonde sempre più tra gli esseri umani la persuasione che le eventuali controversie tra i popoli non debbono essere risolte con il ricorso alle armi; ma invece attraverso il negoziato. Vero è che sul terreno storico quella persuasione è piuttosto in rapporto con la forza terribilmente distruttiva delle armi moderne; ed è alimentata dall'orrore che suscita nell'animo anche solo il pensiero delle distruzioni immani e dei dolori immensi che l'uso di quelle armi apporterebbe alla famiglia umana; per cui riesce quasi impossibile pensare che nell'era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia» (n. 67). Tra le posizioni di Pacem in terris più rilevanti sul piano politico internazionale, assume rilievo la proposta di procedere a un progressivo disarmo (PT 5961), in vista di approdare a un vero e proprio "disarmo integrale" (PT 61).
    Il concilio Vaticano II provvede a puntualizzare ed esplicitare meglio la posizione ecclesiale soprattutto in Gaudium et spes, nella sezione del capitolo sulla Promozione della pace e della comunità dei popoli (GS 77-90) intitolata alla Necessità di evitare la guerra. Principali contenuti: si condanna l'utilizzo di ogni tipo di armamento scientifico (GS 79a), del terrorismo come metodo bellico (ivi), del genocidio (79b), la guerra totale (80), l'accumulo sfrenato degli armamenti, anche se a scopo deterrente (81); confermando pertanto e anzi approfondendo la linea restrittiva nei confronti della possibilità e della conduzione di un conflitto armato. Circa l'eventuale ricorso alle armi, sia pure come extrema ratio e non come scelta positiva, l'argomentazione è rintracciabile in GS 79d.e. Sí noti che non vi è più riferimento alla "guerra giusta": la guerra si situa tutt'al più nell'ambito della legittima difesa.
    Di Paolo VI è memorabile il Discorso ai delegati delle Nazioni Unite del 4 ottobre 1965, in cui si proclama un orientamento nettamente contrario al colonialismo in tutte le sue forme, a favore invece dell'estensione del principio dell'uguaglianza ai rapporti tra i popoli (n. 5), contrario a ogni tipo di intervento bellico (celebre il «non più la guerra, non più la guerra!» del n. 6, più e più volte ripreso in seguito), l'invito a «educare l'umanità alla pace» (n. 7), ad agire per il disarmo collettivo devolvendo nel contempo parte della minor spesa per gli armamenti a favore dei Paesi in via di sviluppo (n. 8), a instaurare un "sistema" di solidarietà e di cooperazione internazionale (n. 9) fondato sui diritti e i doveri dell'uomo (n. 10), facendo da ultimo appello alle risorse spirituali dell'umanità e alle coscienze di tutti, in primo luogo dei suoi responsabili (n. 11).
    Innumerevoli gli interventi a favore della pace da parte di Giovanni Paolo II. Basti ricordare, tra le sue affermazioni più ricche di risonanza, l'intervento a Coventry del 30 maggio 1982: «Oggi la portata e l'orrore della guerra moderna – sia essa nucleare o convenzionale – rendono questa guerra totalmente inaccettabile come mezzo per comporre le vertenze tra nazioni. La guerra dovrebbe appartenere al tragico passato, alla storia; non dovrebbe più trovare posto nei progetti dell'uomo per il futuro». Ripetuti gli appelli al negoziato internazionale per la riduzione degli armamenti, in particolare degli armamenti nucleari. Vedi, tra i molti, il seguente messaggio, che riprende e trasmette ai responsabili delle principali potenze mondiali e al Segretario dell'Onu le conclusioni di un gruppo di studio a raggio internazionale, invitato ad affrontare la questione dalla Pontificia Accademia delle Scienze nella riunione del 2324 settembre 1982; esso intende: «mettere in risalto la mancanza totale di un'alternativa all'ipotesi della guerra nucleare che non sia la riduzione – oggi – e l'eliminazione – domani – di tutti gli armamenti nucleari, simultaneamente effettuata da tutte le Parti, mediante accordi concreti e con l'impegno di sottoporsi a controlli efficaci» («L'Osservatore Romano», 24 dicembre 1982).
    Come si è potuto sin qui intravedere, il recente magistero ha progressivamente ristretto l'ambitoentro cui è possibile giungere, da parte dell'autorità politica, alla decisione estrema e da sottoporre ad accuratissime verifiche di acconsentire, in via eccezionale, limitata e controllata, a una risposta bellica, quello della legittima difesa, di cui la difesa – anche armata – rappresenta appunto un caso ancora possibile, entro l'attuale condizione storica, sempre nell'impegno costante a far sì che tali condizioni vengano un giorno a cessare del tutto. Una sintesi efficace dell'attuale posizione della Chiesa è rintracciabile nei passi del Catechismo della Chiesa Cattolica (2a ed., 1999), tratti dalla Parte III, Sez. II, Cap. 2, III: La difesa della pace, in particolare i nn. 2307-2309.

    Il compito della coscienza cristiana

    In conclusione, la coscienza cristiana ha un duplice compito di fronte alla pace. Il primo e più importante è di ricevere e vivere il dono escatologico della pace, come bene promesso: questo è l'aspetto proprio e specifico della tradizione cristiana e coincide con il cuore dell'evangelo. Si tratta della pace come dono e stile di vita, come promessa e come forma della vita delle comunità e della formazione delle coscienze. Il secondo è il discernimento delle condizioni della pace e degli strumenti per raggiungerla nel contesto drammatico di un mondo globalizzato, con tremende capacità di distruzione e dí violenza e, nella condizione attuale, di una "terza guerra mondiale a pezzi" (papa Francesco). I credenti che hanno responsabilità civile e politica dovranno operare un saggio discernimento che potrà trovare la via stretta da percorrere fra tutte le forme di promozione della condizione della pace (personali, sociali e istituzionali) e la necessaria protezione delle persone di cui sono responsabili, sotto il profilo della convivenza civile e della sicurezza personale.
    I due aspetti sono tra loro profondamente intrecciati: la crescita di una coscienza ed esperienza del dono supremo della pace deve far trovare quelle vie che migliorano la qualità del rapporto sociale non solo in una nazione, ma nella convivenza tra i popoli, alimentando un reale spirito di ospitalità e di accoglienza che disarma l'aggressività tra i popoli e la forma ancora più subdola dello scontro tra i blocchi di influenza economica, politica, culturale e religiosa. 

    FEERIA, 2023/2 - n. 64 - pp. 43-48


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2025


    Incontrare Gesù
    nel Vangelo di Giovanni
    Marta e Maria


    I sensi come
    vie di senso nella vita
    I cinque sensi


    Noi crediamo
    Ereditare oggi la novità cristiana
    Nicea


    Playlist generazioneZ
    I ragazzi e la loro musica
    Nicea


    Pellegrini con arte
    Giubileo, arte, letteratura


    Ragazzi e adulti
    pellegrini sulla terra


    PROSEGUE DAL 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana


    A TERMINE DAL 2023


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    Main Menu