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    La pastorale giovanile in Europa e la nuova evangelizzazione


     

    Studi di PG

    P. Dante da Cunha, Segretario generale del CCEE [1]

    (NPG 2012-05-42)


    N
    on sono in grado di dire cosa si stia facendo in ogni Paese a livello di pastorale giovanile: sarebbe un lungo e prezioso lavoro di ricerca da compiere con i responsabili nazionali. Ma dal mio osservatorio – il CCEE – ho la possibilità di uno sguardo complessivo che – se non va nei particolari – almeno può cogliere alcune linee generali e indicare tendenze o semi che stanno germogliando e che promettono un futuro di speranza per la pastorale giovanile e per la vita di fede dei giovani europei.[2]

    La realtà sociale

    Anzitutto desidero rilevare tre punti sulla realtà sociale – tra i tanti altri ai quali ci si potrebbe riferire – che mi sembra fondamentale tener presente in questo discorso:

    – Il secolarismo è una nota chiara della cultura europea, sebbene sia più radicata nel mondo occidentale. Nei paesi ex comunisti, infatti, già solo affermare che Dio non esiste rievoca in alcuni la memoria del terribile regime e quindi, normalmente viene riconosciuta l’importanza della religione e della Chiesa cattolica, in particolare per il loro ruolo nella rivendicazione della libertà e della difesa dell’identità. Comunque, sia i giovani dell’Est che dell’Ovest sono sommersi in una cultura del cosiddetto ateismo pratico. Si vive come se Dio non ci fosse, o – se anche la sua esistenza non è negata – non interessa comunque molto. Nel riflettere sul proprio futuro, gli studi, il lavoro, ma anche circa i propri rapporti affettivi, il fondare una famiglia o anche sul modo di organizzare il proprio tempo libero, le vacanze... quanti dei giovani, anche tra i cristiani, tengono presente la fede? Anche nell’ambito della cultura, se pensiamo alla musica, all’arte in generale, o all’uso dei media, di internet o dello smartphone, si segue un modo cristiano di viverla? In tutto questo, di solito, purtroppo, si agisce come se Dio non c’entrasse. C’è una grande divisione fra vita e fede. I giovani sono in parte vittime, nella misura in cui assorbiscono quello che la cultura dominante gli offre, in parte responsabili perché non osano essere diversi. Esiste una triste omologazione!

    – Una seconda nota importante della realtà europea, che apporta tante cose buone, ma anche alcune sfide particolari, è la mobilità delle persone. Questo influenza le giovani famiglie, ma anche i giovani studenti che hanno oramai tantissime possibilità per studiare all’estero, almeno per una parte dei propri studi universitari. Sono tante le università in Europa dove la percentuale di stranieri è più del 20%. Più in profondità, però, troviamo che da un lato ci sono paesi che si svuotano e dall’altro paesi che accolgono quelle persone che hanno lasciato la propria terra. L’identità culturale, nazionale, le memorie e le speranze, tutto è molto importante anche per l’esperienza di fede, per l’integrazione delle nuove generazioni, per la sicurezza e la pace interiore e familiare. La pastorale dei giovani migranti, studenti, lavoratori, famiglie deve riflettere sull’accoglienza e promuovere il dialogo. Pensiamo a temi come l’ecumenismo e il dialogo inter-rituale, ma anche il dialogo inter-religioso. Ricevere con entusiasmo i fedeli che vengono da fuori e dare anche l’opportunità di lasciarsi cambiare dalla presenza di coloro che vengono da lontano e portano, a volte, una fede più viva e radicata, deve essere vista come una grande chance per la Chiesa.

    – Una terza nota, riguardo alla realtà sociale dei giovani di oggi, riguarda la crisi economica e soprattutto la disoccupazione, ma anche la crisi della famiglia e la mancanza di speranza. È chiaro che la pastorale non può risolvere questi problemi; può, comunque, accompagnare i giovani e aiutarli a trovare delle soluzioni. Anche perché spesso questa crisi colpisce giovani molto soli, senza una famiglia unita che li appoggi, che sia capace di aiutarli a non lasciarsi scoraggiare e a trovare delle alternative. Quello che la pastorale deve fare è ricordare in modo tangibile che Dio c’è e ci ama. Non possiamo dimenticare che tutto nella nostra vita, la realtà anche più dolorosa, proprio perché sappiamo che il Signore della storia è nostro Padre, è un bene per noi. Con la fede si vede meglio la vita.

    Una chiara identità cristiana

    Un’evangelizzazione efficace dei giovani richiede un’identità cristiana profonda e chiara, radicata nella persona di Gesù Cristo.

    – Esiste un’Europa di giovani cristiani: essa è sicuramente un’Europa di persone che hanno fatto l’esperienza di un incontro profondo. Oppure, se non hanno ancora trovato personalmente il Signore, lo cercano sinceramente e drammaticamente. Quando colui che cerca incontra un gruppo di giovani cristiani che testimoniano una vita attraente, capace di provocare la sua intelligenza e il suo cuore, è portato a seguirli e, col tempo, può fare esperienza dell’incontro personale con Cristo. Affinché questo avvenga, è fondamentale, però, che la pastorale non sia autoreferenziale, ma si riferisca sempre al Signore. Proprio per questo in tanti paesi europei la pastorale giovanile propone pellegrinaggi, anche a piedi, di tanti kilometri. Il pellegrinaggio non è soltanto una passeggiata, ma un percorso che ha uno scopo ben preciso: un santuario, un luogo d’incontro con il Signore.

    – Ci sono poi esperienze di pastorale giovanile che io chiamerei senza fiducia. Quando si cerca di essere «attraenti» secondo le modalità del mondo. Spesso si cade nel ridicolo! Esperienze basate sul sentimentalismo o che sono un semplice intrattenimento, e che non riescono a sviluppare una personalità matura, capace di accogliere la fede e cambiare il proprio modo di concepire la vita e di viverla.

    – La fede ragionevole implica l’assenso della volontà: dire di Sì a Dio, seguendo l’esempio di Maria. La libertà che i giovani tanto desiderano viene da questo sì e non dall’assenza di legami. Maria è fondamentale nella vita dei cristiani e nella pastorale. Centrale è la pastorale mariana ma ancora di più lo è la devozione a Maria: il rosario è molto attuale, anche tra i giovani. Maria è protezione ed esempio. I santuari mariani come luoghi di Chiesa.

    – Una spiritualità che sia profondamente personale e implichi una chiara appartenenza ecclesiale. Che sia vissuta come un cammino di conversione e si manifesti in una testimonianza comunitaria e personale; che generi esperienze di appartenenza e di identità e che sia al servizio di tutti. Senza amici non si riesce ad avere una fede solida. La fede cresce nella misura in cui si condivide. Questo richiede anche la valorizzazione delle comunità più piccole, dei gruppi parrocchiali e soprattutto dei movimenti che offrono, oltre ad una compagnia nella vita, per i momenti buoni e quelli difficili, anche una proposta educativa per generare adulti nella fede. Questi gruppi sono come delle cellule di un organismo più grande, sono fondamentali per un’esperienza ecclesiale completa e si deve «perdere» tempo con i pochi per potere avere una Chiesa rinnovata.

    – Tutto questo implica anche il rapporto personale con i sacerdoti, con responsabili adulti, con persone di riferimento. La pastorale giovanile ha bisogno di adulti, perché è sempre una pastorale educativa, che accoglie i giovani in un momento della vita in cui si decide il loro futuro. L’educazione fa guardare attentamente alla realtà, e quindi ha bisogno di persone mature che aiutino i giovani, con pazienza, a volgere il proprio sguardo alla vita senza paura e a riconoscere la presenza e la volontà di Dio.

    – Una vera spiritualità cristiana è anche una spiritualità liturgica. Introdurli alla bellezza della liturgia implica non aver paura di presentare una liturgia solenne, senza permettere che la solennità sia confusa con la distanza o il formalismo. I giovani sono sensibili all’autenticità e sono esigenti, non hanno pazienza per le cose finte. La Messa, l’adorazione eucaristica, e tutto quello che è liturgico è centrale nella pastorale giovanile. I giovani hanno bisogno di tempi prolungati alla presenza di Dio. Senza l’esperienza del silenzio, come spazio per trovare Dio presente, la fede non si radica e spesso quello che è virtuale prende il posto della realtà. Ha ricordato il Papa ai certosini di Serra di san Bruno un paio di mesi fa:

    «I più giovani, che sono nati già in questa condizione, sembrano voler riempire di musica e di immagini ogni momento vuoto, quasi per paura di sentire, appunto, questo vuoto. (…) Ritirandosi nel silenzio e nella solitudine, l’uomo, per così dire, si ‘espone’ al reale nella sua nudità, si espone a quell’apparente ‘vuoto’ cui accennavo prima, per sperimentare invece la Pienezza, la presenza di Dio, della Realtà più reale che ci sia, e che sta oltre la dimensione sensibile».

    In Europa vi sono state molte esperienze sbagliate di preghiere troppo sentimentali e non cristiane, e si deve essere coraggiosi a fare un vero giudizio critico. In questo, il mondo cattolico orientale ci può insegnare tantissimo. La liturgia non è una cosa che si fa in fretta, ma un tempo divino del quale si fa esperienza già qui in terra. La liturgia, per questo, non dipende dalla creatività del prete o del gruppo, ma è un dono della Chiesa che ci permette di trovare dentro la nostra vita, in maniera più evidente, la presenza di Dio.

    – Un fatto importantissimo sono i grandi incontri internazionali. Ma sbaglia chi pensa che la GMG da sola basti. È fondamentale l’esperienza di appartenenza ad una Chiesa universale, ad una Chiesa viva, e quindi il conoscere persone da altri paesi, che hanno fatto esperienze simili alle mie e mi aiutano a comprendere che non sono solo in questo. Una GMG è anche un momento di forte esperienza personale. Però questo è vero soltanto se la GMG o l’incontro nazionale o incontro del movimento è accompagnato anche da una parola del Papa, del vescovo o di qualcuno che sia un riferimento e che forse deve poi essere approfondita nel tempo, da tempi di silenzio e di adorazione: l’«io» e il «noi», ecco il segreto di questi eventi.

    – Anche la questione della formazione catechetica è fondamentale. Dove si prende sul serio questo, le radici sono più profonde, la persona più abilitata ad affrontare le tempeste della vita, le sfide intellettuali, le domande e le provocazioni di quelli che aggrediscono i cristiani. Una formazione che sia seria, che faccia i conti con la retta dottrina, che sia rafforzata dall’esperienza di preghiera, che sia un vero lavoro di verifica della pertinenza della Parola di Dio e della dottrina della Chiesa per la nostra vita. La dottrina della Chiesa è un tesoro. Occorre dunque essere capaci di distinguere la sana dottrina dall’opinione è fondamentale.

    Il peccato e la riconciliazione

    – Il mistero della misericordia di Dio e al centro del nostro annuncio. Il peccato e il male non sono realtà secondarie. L’Europa non può comprendersi se dimentichiamo il male, e neanche la nostra vita può essere capita se dimentichiamo il peccato. Il peccato, però, non ha l’ultima parola: dalla coerenza impossibile alla misericordia che ricrea il cuore. La croce di Gesù come redenzione. C’è il pericolo di dimenticare la redenzione e di cadere nel moralismo. La confessione è fondamentale per la pastorale giovanile. Un rapporto personale che sia un incontro con la misericordia di Dio, ossia con un Dio che spinge verso l’alto, ma che non lascia indietro nessuno durante il cammino, e che mi guarda negli occhi. La Chiesa, che è la famiglia di Dio, è anche nostra Madre, capace d’indicarci un cammino e anche di dirci quando abbiamo sbagliato. Questa è un’enorme sfida per la Chiesa. La morale della Chiesa è vera ed è necessaria per vivere in pienezza. Sbaglia colui che cerca di adattare per attirare i giovani, ma sbaglia anche colui che presenta la morale come un insieme di regole senza un rapporto personale con il Signore. L’esperienza della confessione, poi, è quella di un sacramento, è più che un prete che è davanti a me, è il Signore che mi perdona, che facendosi carne diviene tangibile. L’umanità del prete è sacramento della persona di Gesù, non si può dispensare, ma neanche può rimanere in quello che è visibile. Non è soltanto un uomo bravo e simpatico, o un tipo duro e noioso e incapace di capirmi! Il colloquio personale e la confessione aprono la strada alla libertà autentica. Ma è la grazia che fa della Confessione un momento di rinascita alla vita divina. La mancanza di preti non è scusa valida per non mettere al centro della pastorale giovanile la confessione. Anche perché è appunto nel rapporto personale e sacramentale che spesso emergono le questioni circa la vocazione del giovane. Dove ci sono preti che confessano, ci saranno anche le vocazioni.

    Le vocazioni consacrate: un bisogno urgente. È necessario cambiare prospettiva. Il sacerdote e il consacrato come dono di Dio e non come un funzionario. Tutta la pastorale giovanile deve avere un chiaro indirizzo vocazionale. L’Europa oggi soffre tanto della mancanza di preti. Forse anche perché non è più molto chiaro cosa sia il suo specifico. È molto importante fare la proposta del sacerdozio ai ragazzi e della vita consacrata. All’interno di un orientamento vocazionale della pastorale giovanile, oggi si sta cercando anche una pastorale specifica per le vocazioni sacerdotali e consacrate.

    Tutte le dimensioni della vita

    – È fondamentale che sia evangelizzata anche la vita affettiva. Quando una persona trova Cristo, sente che Lui abbraccia tutte le dimensioni della vita. Non rimane in una trascendenza lontana dalla realtà. La vera spiritualità cristiana, non dimentichiamolo, ha al suo centro la comunione con il Corpo di Cristo. Si vede, si tocca, si sente. In un mondo che ha separato il visibile dalla trascendenza, noi cristiani dobbiamo ricordare che il Verbo si è fatto carne. La teologia del corpo del Beato Giovanni Paolo II è una luce bellissima e fondamentale per la pastorale giovanile. I giovani hanno accesso a tante esperienze brutte oggi e il mondo fa finta di non sapere che un’esperienza brutta nuoce al giovane, cerca, anzi di convincere che tutto è buono. La Chiesa deve essere controcorrente anche nel dire la verità circa l’uomo, l’affettività e la sessualità. Senza però dimenticare quello che abbiamo detto sulla misericordia. Noi non siamo i perfetti, i farisei, ma i pubblicani, i peccatori, gli Zacchei che Gesù ha fatto rinascere. Soltanto se siamo certi di esseri abbracciati in tutto quello che siamo, allora possiamo ben capire la differenza tra l’essere lontano da casa ed essere nella festa del Padre.

    – La pastorale giovanile è senz’altro un ambito specifico, che però oltre a toccare la pastorale vocazionale specifica al sacerdozio o alla consacrazione, deve tenere in considerazione anche la pastorale familiare. E questo per due motivi: sia perché i giovani stessi sono inseriti in una famiglia, sia perché molti di loro in futuro fonderanno una famiglia propria. Purtroppo in tanti paesi europei, un’eccesiva specializzazione ha portato allo sviluppo di «due mondi», quello del giovane e quello della famiglia. Bisogna ricuperare l’unità.

    – La nuova evangelizzazione implica che bisogna essere presente nel mondo senza essere del mondo. Nel suo viaggio in Germania il Papa ha insistito sulla necessità di non essere mondani per poter avere un futuro. Essere attivo utilizzando i nuovi mezzi di comunicazione e le nuove tecnologie, senza dimenticare che la salvezza viene dalla grazia e non dalle tante informazioni. Rischiare rapporti nuovi, comunità trasformate che non nascondono la fede. È un dono e un servizio alla società e al mondo. È doveroso l’impegno politico per difendere i diritti umani, ma bisogna affermare con chiarezza che essi si fondano sul fatto che ogni uomo è stato creato da Dio, a Sua immagine e somiglianza ed è stato redento per amore. La dignità dell’uomo è al centro della politica e della Dottrina Sociale della Chiesa. Una pastorale giovanile nell’Europa di oggi non può chiudersi ai problemi del mondo e anche alla politica. È fondamentale formare bene i giovani per avere un giudizio chiaro. È anche importante che quelli che s’impegnano non siano lasciati soli, perché i tempi sono difficili. Importantissimo il sostegno della comunità e dei pastori.

    – Una teologia della vera ecologia: siamo creature, non creatori e dobbiamo recuperare i valori fondamentali associati a questa verità. Abbiamo responsabilità per le prossime generazioni. Amministratori, non usurpatori dei beni divini. L’ecologia umana come punto centrale della difesa dell’ambiente. La difesa della Vita in tutte le sue fasi sta nel centro della pastorale e dell’attività della Chiesa di oggi.

    La missione della gioia

    La gioia è l’espressione della speranza e della fede vissute, e quindi diventa missione.

    La missione dei giovani, sia tra i coetanei, sia tra le loro famiglie e nell’ambito pubblico, è parte integrante della propria esperienza di fede. Per questo si deve spingere i giovani a non tenere nascosta la propria fede. Anche se commettono errori, anche se non sono sempre al 100% coerenti, devono uscire dal proprio piccolo mondo, altrimenti non saranno mai liberi, non saranno mai maturi. Nella pastorale, i pastori, sia i preti che i responsabili, non possono aver paura di scommettere sui giovani. Però non si può dimenticare la responsabilità di accompagnarli e aiutarli a giudicare e a migliorare. Tanti giovani stanno diventando cinici, senza speranza e quindi preoccupati soltanto di se stessi e dell’immediato, senza nessuna convinzione di avere qualcosa da dare agli altri. Le manifestazioni degli indignati fanno vedere che è possibile muovere i giovani. Quello di cui abbiamo bisogno, però, non sono dei giovani indignati, ma dei giovani impegnati. In Europa, in diversi paesi e secondo le sue tradizioni, ci sono molte esperienze di giovani che danno il loro tempo per aiutare gli altri: la carità, come legge suprema dei cristiani è anche il modo più autentico di vivere umanamente. E i giovani che ne fanno esperienza testimoniano che è proprio quando fanno l’esperienza del dono di se stessi agli altri, ai poveri, ai bambini, agli ammalati, agli anziani, che vedono destarsi in loro una vita più vera.

     
    NOTE

    [1] CCEE è il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, il cui scopo è «sostenere la comunione tra i vescovi e di essere un luogo di condivisione pastorale». Notizie e informazioni sulla storia, i membri, gli organi direttivi e la documentazione prodotta sono reperibili sul sito ufficiale in internet.

    [2] Senza entrare nel merito, intendo qui Europa-Europe: Paesi dell’est e dell’occidente, del nord e del sud, delle periferie e del centro, paesi piccoli e paesi grandi; paesi cattolici e paesi in cui i cattolici sono in minoranza, Paesi ricchi e paesi poveri. Consapevole certo che anche dentro ogni paese ci sono tante differenze culturali e differenze tra parrocchie, movimenti, ecc., e una grande molteplicità di esperienze.


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