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    La chiamata di Gesù

    nel Vangelo di Marco

    Carlo M. Martini

    Nella precedente meditazione abbiamo detto che il confronto tra il catecumeno, che si riconosce ignorante e bisognoso, col suo Signore, prelude all'intimità della chiamata di Gesù.
    Considereremo, in questa meditazione, le chiamate che Marco pone ai versetti 1,16-20; 2,13-14 e 3,13 -19. Presentiamo questi passi nella prospettiva teologica del Vangelo marciano. Marco ha infatti voluto non soltanto tramandare i fatti di Gesù, ma presentarli in una cornice accurata e teologicamente elaborata, in maniera da dare un senso profondo a ogni parola e a ogni inserto redazionale.
    Vi sono studi molto recenti sulla struttura del Vangelo di Marco e sul posto che in esso hanno le chiamate, e in particolare quelle dei Dodici. Considereremo i testi dividendoli in due parti, chiaramente distinte dallo stesso Marco. La prima parte, che comprende i primi due testi, la chiameremo: le vocazioni presso il lago. La seconda parte, con il testo del capitolo terzo, sarà intitolata: la vocazione sul monte.

    Le vocazioni presso il lago

    Esse ci pongono i seguenti interrogativi: dove avvengono queste chiamate? In quale situazione Gesù chiama? Come chiama Gesù? A cosa chiama? Con quale risultato chiama?
    Dove avvengono queste chiamate? Presso il lago. Marco insiste chiaramente su questo particolare che ripete ben tre volte. "Passando presso il mare di Galilea, vide Simone ed Andrea" (1,16); la stessa connotazione di luogo è ripetuta per la chiamata di Giacomo e Giovanni: "andando un poco oltre" (1,18). La medesima situazione locale la troviamo nel cap. 2: "Gesù uscì di nuovo presso il lago" (2,13); "Passando (in greco il verbo è parágon, come in 1,16) vide Levi di Alfeo seduto al banco delle imposte" (2,14).
    Cosa vuol dire il "lago" nella presentazione di Marco? Il lago è il luogo nel quale vive la gente di Galilea e vi lavora: Gesù cerca e trova la gente nella propria situazione. Marco ci presenta Gesù che va per le strade del mondo a cercare la gente là dov'è.
    In quale situazione Gesù chiama? L'evangelista precisa con insistenza: al proprio posto di lavoro. Per ciascuno, la medesima circostanza: "Li vide mentre gettavano le reti in mare: infatti erano pescatori" (1,16). Sono dunque presso il lago, al loro mestiere. Lo stesso per Giacomo e Giovanni: "sulla barca li vide mentre riassettavano le reti" (1,9). Quindi non soltanto sono pescatori, ma stanno pescando oppure si accingono a farlo, preparandosi alla pesca. È interessante quell'insistere che sono lì e stanno facendo il loro lavoro di ogni giorno. La stessa precisazione la troviamo al cap. 2: "Passando vide Levi, figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte" (2,14); quindi non soltanto si parla del suo mestiere, è gabelliere, ma è seduto lì al banco delle imposte, al suo lavoro di ogni giorno.
    Che cosa vuol dire Marco? Che Gesù chiama la gente a seguirlo là dove si trova, nella propria situazione concreta. Va a porgere a ciascuno il suo invito là dove egli è, in una situazione comune, onesta e onorata come quella dei pescatori, oppure in una situazione disonorata e moralmente difficile come quella del gabelliere. Gesù va dall'uno e dall'altro e li chiama.
    In questa situazione il catecumeno riconosce la sua chiamata che a lui, come a ciascuno di noi, è stata rivolta là dove egli era: in una situazione geografica, ambientale, familiare, sociale, caratteriale, diversa. Dio ci ha incontrati e chiamati là dove eravamo, invitandoci alla fede e alla sequela del Cristo. La chiamata, quindi, viene offerta a ciascun uomo là dove egli si trova, nella propria situazione.
    Come chiama Gesù? Viene sottolineato l'aspetto personale: attraverso un colloquio familiare. Vede Simone e Andrea, si avvicina loro, parla e li chiama. Vede Giacomo e Giovanni, si avvicina loro familiarmente, parla e li chiama. Vede Levi di Alfeo e anche a lui, singolarmente, si presenta, parla e lo chiama. Gesù si avvicina a ogni uomo e, là dove egli è, gli fa ascoltare quella parola di speranza e di fiducia che è la chiamata a seguirlo.
    A che cosa chiama? Questo non viene specificato se non in maniera generica, ma al tempo stesso globale: a seguirlo. "Venite dietro a me (déute opiso mou)" (1,17); oppure: "Seguimi (akolouthei moi)" (2,14). Cioè chiama ad andare dietro a lui, a percorrere la sua via, e quindi chiede soprattutto un'immensa fiducia in lui. C'è, in verità, una frase misteriosa: "Vi farò pescatori di uomini" (1,17), ma rimane avvolta nel mistero del futuro. Ora bisogna fidarsi totalmente di lui. Così l'istruzione catecumenale della Chiesa primitiva leggeva l'abbandono fiducioso a Gesù, necessario per percorrere la via verso la conoscenza del mistero. Il catecumeno ha visto qualcosa di Gesù, della sua Chiesa, ha sentito un'attrazione e deve decidersi a impegnarsi, altrimenti non potrà arrivare a percorrere il cammino. Fiducia totale, donazione completa alla persona di Gesù e non a una causa. Perché Gesù non dice "vieni a fare una cosa o un'altra", ma "abbi fiducia nella mia persona".
    Con quale risultato Gesù chiama? Marco sottolinea la subitaneità, l'urgenza della risposta; tutti acconsentono subito: in 1,18; in 1,20; in 2,14. Questa prima serie di chiamate invita ognuno di noi a prendere coscienza di quanto la nostra vita sia stata trasformata dalla chiamata di Gesù. Essa è, per il catecumeno e per noi, la vocazione battesimale: chiamata fondamentale nella quale si radica ogni altra, e che ci ha messo in una via che è la via cristiana; itinerario globale, abbracciante tutta quanta la nostra esistenza e sempre legato alla persona di Gesù che seguiamo. Invita ognuno di noi a prendere coscienza, con riconoscenza, di quanto la nostra vita dipenda dal nome personale che Gesù, nella sua infinita bontà, recando verso di noi la misericordia di Dio e facendola divenire Corpo e Parola, ha voluto pronunciare su ciascuno di noi.

    La chiamata sul monte

    Vediamo ora, invece, il secondo tipo di chiamata, quello che abbiamo definito chiamata sul monte. In 3,13 -19, il testo si fa estremamente più denso e più ricco. Vedremo, prima di tutto, il testo stesso (3,13 -15) che Marco stacca da ciò che precede e da ciò che segue, perché sia maggiormente evidenziato; vedremo poi lo sfondo su cui avviene la chiamata, il luogo dove avviene, cioè il monte, e infine le varie parole, prese una per una, cioè:

    [Gesù] chiamò a sé
    quelli che voleva
    ed essi andarono da lui
    ne fece [costituì] Dodici... perché stessero con lui
    e per mandarli a predicare
    con il potere di scacciare i demoni.

    Ogni parola ha un significato molto ricco in tutta la struttura di Marco. Prima di tutto, il testo è chiaramente distinto, almeno scenograficamente, da ciò che precede e da ciò che segue. Esiste, infatti, al v. 13 e al v. 20 un cambio di topografia. Nel v. 13 Gesù sale sul monte; nel v. 20 va verso una casa. Il soggetto è sempre Gesù, il quale è al centro di tutto questo quadro. Viene enucleato, quindi, un luogo distinto da tutto il resto, in cui Gesù sta per compiere qualcosa di speciale.
    Qual è lo sfondo ambientale nel quale avviene l'azione descritta nei vv. 13 -19? Esso è descritto nei versetti precedenti, soprattutto in 3,7-12. Non è più – come nelle chiamate presso il lago – la vita quotidiana con la gente al proprio posto di lavoro, ma l'immensa moltitudine dei bisognosi; potremmo dire, il dolorante spettacolo ecclesiale del popolo che accorre a Gesù. Tutt'altra situazione rispetto alla precedente. Prima un incontro in un ambiente limitato; adesso è ormai tutta una moltitudine che ha sete e fame della Parola di Gesù, della sua persona, ed è piena di ansia, brucia dal desiderio di essere salvata da lui.
    Marco, di solito così conciso, sa descrivere tutto questo in maniera mirabile: "Molta gente dalla Galilea lo seguì. Dalla Giudea e da Gerusalemme e dall'Idumea, dall'oltre Giordano, dai dintorni di Tiro e Sidone, una moltitudine grande, udito quanto egli faceva, venne a lui. Per ciò egli disse ai suoi discepoli di tenergli sempre vicina una barca, a causa della folla, per non restarne schiacciato. Poiché, avendone guariti molti, tutti quelli che avevano malanni, gli si gettavano addosso per toccarlo. E gli spiriti immondi, quando lo vedevano, gli si prostravano innanzi e gli gridavano: Tu sei il Figlio di Dio! Ma egli severamente imponeva loro di non manifestare chi egli fosse" (3,7-12).
    E messo in rilievo il premere dell'umanità dolorante, in tutte le sue miserie, da ogni parte e non soltanto dalla Galilea e dalla Giudea, verso Gesù. E un grandioso scenario di convergenza dell'uomo verso la persona di Gesù che parla.
    In questo sfondo ecclesiale e che potremmo definire redentivo, Gesù sale sul monte. Che cosa significa salire su questo monte, con cui comincia l'azione che ci accingiamo a contemplare? Non è facile determinarlo. I lavori recenti di cui ho parlato cercano di studiare il significato che può avere questo accenno. Sappiamo che nell'Antico Testamento salire significa solitudine, separarsi dal resto, speciale momento di preghiera. In questo senso Luca parla di Gesù che si separa e sale sul monte a pregare.
    Con Marco siamo però davanti a un quadro diverso. A leggerlo bene vediamo che non c'è, nella sua mente, un Gesù che lascia tutta questa gente con le loro miserie e se ne va in solitudine. Gesù è, invece, presso il lago, e vicino al lago ci sono – lo si vede anche oggi – delle piccole alture o colline. Egli, lentamente, va verso una di esse mentre la gente lo segue, poi, da quella posizione elevata, comincia a gridare, a chiamare per nome. Quindi, la sua è una vera scelta ecclesiale, in un certo senso. Dalla massa di persone che lo seguono, Gesù, sovrastandola, chiama misteriosamente e solennemente alcuni. Certamente questo salire sul monte dà un rilievo al gesto di Gesù, che forse può avere anche altri significati teologici; ma il più evidente è quello che abbiamo descritto. Marco ci presenta chiaramente una scena solenne in cui Gesù, senza separarsi dalla folla, e tuttavia distanziandosene in qualche maniera, quasi per provvedere meglio a essa, abbracciandola, con uno sguardo, chiama í Dodici. Egli non sceglie i suoi nella solitudine; li sceglie nel pieno della sua attività, tra la folla che cerca aiuto presso di lui. Il senso apostolico ed ecclesiale di tale scelta è quindi evidenziato dal modo stesso della descrizione.
    Gesù sale sul monte e "chiama (proskaléitai) quelli che voleva (éthelen) e andarono (apélthon) da lui". Tre tempi diversi: presente, imperfetto e aoristo. Il presente: Gesù chiama. È un verbo tipico di Marco, il quale lo usa nove volte (in Giovanni non appare mai). Marco, tuttavia, lo usa generalmente come participio, mentre qui e in 6,7 è usato nella forma finita, ossia come verbo che descrive un'azione. È riservato, cioè, a descrivere l'azione di Gesù nei riguardi dei Dodici.
    Dal punto di vista esteriore, qual è il contenuto di tale verbo? L'azione è descritta nel modo seguente: nella folla immensa, nella quale ci sono malati, storpi, gente che urla, Gesù grida ad alta voce i dodici nomi, fa segno e questi si staccano dagli altri, venendo verso di lui. Esteriormente è uno scandire con solennità alcuni nomi. Ma dal punto di vista degli atteggiamenti, questo verbo contiene chiaramente l'idea di subordinazione. Chiama in questo modo chi ha potere su di un altro. Un caso tipico in cui il verbo è presente in Marco con questa sfumatura, lo troviamo in 15,44, dove Pilato "si meravigliò [...] e chiamato il centurione..." ecc.; cioè il superiore che chiama a rapporto presso di sé un inferiore. Probabilmente, oltre all'idea di subordinazione c'è anche l'idea di preferenza: uno speciale rapporto con Gesù, insito in questo chiamare che sceglie. La preferenza è comunque chiarissima nel versetto seguente: "Quelli che voleva lui" e qui si esprime la sovranità della chiamata. Anzi, a questo "voleva" non deve forse attribuirsi tanto l'idea di "quelli che a lui piaceva", di "quelli che gli erano venuti in mente", ma piuttosto l'idea del verbo ebraico "quelli che lui aveva in cuore". Il paragone migliore lo trovo in Mt 27,43, che cita un passo dell'Antico Testamento, il Salmo 22(21),8. Lanciando delle invettive contro Gesù in croce, la folla grida: "Ha avuto fiducia in Dio! Lo salvi ora, se lo ha in cuore" (ei thélei: lo stesso verbo di 3,13, éthelen).
    Gesù quindi chiama quelli che vuole, che ha in cuore, che ha prediletto. L'insistenza è poi espressa di nuovo nell'autós: quelli che voleva lui. L'autós non era necessario dal punto di vista grammaticale perché la frase è ugualmente chiara, ma insistendo con il "che voleva lui" si sottolinea che non c'è nessuna qualità, nessuna bellezza o attrattiva da parte di chi è chiamato, ma è lui che li ha in cuore e li sceglie. E questo suo amore il movente delle sue azioni. Forse si può leggere un'altra sfumatura nell'imperfetto "che voleva", "che portava in cuore" ed è l'intensità dell'affetto. La medesima sfumatura dell'imperfetto l'abbiamo in un caso del tutto opposto, al cap. 6,9: "Erodiade ce l'aveva contro Giovanni e voleva ucciderlo (éthelen)"; cioè, covava nel cuore questo desiderio da tempo, con intensità di passione. Qui, all'opposto, Gesù ha nel cuore i suoi, con amore appassionato. lui stesso quindi li chiama.
    Ed ecco la risposta: "Andarono presso (prós) di lui". Marco, qui, non usa il frasario delle prime chiamate: "lo seguirono", cioè il maestro va avanti e il discepolo, il cristiano lo segue. Non dice "andarono dietro a lui", o "lo seguirono", ma andarono "presso di lui", intorno a lui. È raro questo uso di prós con il verbo di moto. Di solito si usa eis per descrivere l'andare a un luogo. Si usa prós soltanto per le persone, a indicare un'intimità che si viene a creare.
    Pròs autón vuol dire, di fatto, mettersi dalla parte di uno, non soltanto andare fisicamente verso, ma stare con qualcuno. Per questo Marco dice: "vennero" (apélthon). Il verbo greco venire, preceduto da apó, indica il lasciare una certa posizione per andare a un'altra. Gli apostoli lasciano la loro posizione comune, in mezzo alla gente, per mettersi strettamente dalla parte di Gesù, insieme con lui. È interessante notare che qui Marco non ha usato un verbo indicante un atteggiamento interiore, per esempio "gli obbedirono", ma invece usa "si mossero", lasciarono il loro posto e vennero là dove era lui. In tutta la descrizione noteremo questo aspetto di concretezza: non si parla soltanto di un'adesione interna, ma proprio del mettersi nella situazione dove Gesù si trova.
    Il v. 14 comprende la frase "E fece [ne costituì] Dodici"; frase molto strana anche in greco, con l'inciso "che chiamò apostoli", inciso non riportato da tutti i codici. Segue poi: "affinché siano con lui per mandarli a predicare e avere potere di cacciare i demoni". Già dalla traduzione è evidente la durezza del susseguirsi e accumularsi di queste frasi, ciascuna delle quali ha un senso pregnante.
    "Fece Dodici". Il significato è certamente forte perché può voler dire: "ne stabilì Dodici". Alcuni esegeti addirittura intendono: "ne creò Dodici"; quasi che, con questi dodici, si ricreasse un popolo. Certamente non è bene premere troppo il testo, ma il verbo si presta a un significato densissimo. Qual è, infatti, la finalità del "fare Dodici"? Esso contiene due verbi in due frasi.
    "Affinché siano con lui": e questo è al centro della scelta, dell'affermazione, della volontà di Gesù. Cosa vuol significare questo stare con lui? Intanto è sorprendente che lo scopo di tutta questa grande scena sia che i Dodici stiano con lui, ma proprio lì è posto l'accento di tutto il brano.
    Stiano con lui, prima di tutto con una presenza fisica, e quindi lo accompagnino. Notiamo che, quando durante la passione la portinaia di Caifa si rivolge a Pietro per accusarlo, non dice: "Tu eri un discepolo", ma "Anche tu eri con Gesù" (14,67). Si vede quindi che la caratteristica di questi uomini non era tanto quella di essere della gente che aderiva intellettualmente, ma che stava fisicamente sempre con lui.
    Questo stare è la prima cosa alla quale Gesù chiama, e in questo essere con lui possiamo leggere forse anche di più se ricordiamo che questa è la formula tipica dell'alleanza: "Dio con noi e noi con lui". Si realizza in questa semplice convivenza il popolo della nuova alleanza, espressa da "Dio con noi e noi con lui". Notiamo infine che il verbo al congiuntivo (hína ósin) indica proprio la stabilità: affinché stessero stabilmente con lui. E quindi: non perché fossero suoi discepoli, perché lo accogliessero, lo accettassero, gli ubbidissero. Prima di tutto, invece, è sottolineato lo stare fisico che è esso stesso oggetto di chiamata, di scelta, di elezione.
    Dall'esser con lui deriva poi l'altra frase con l'altro verbo per il quale "fece Dodici": "per mandarli a predicare". Notiamo che anche qui non si dice: stiano con lui e predichino, ma viene affermato che è lui che li manda a predicare. In altri termini è sempre presente, nel rapporto tra Cristo e i suoi, l'iniziativa di Gesù.
    San Paolo in Rm 10,15 mette quasi in rapporto tecnico, nei riguardi della predicazione, il "mandare a predicare". È dunque Gesù che li manda a predicare, a proclamare, a gridare. Predicare che cosa? È ciò che verrà spiegato in tutto il Vangelo di Marco. Possiamo anticiparlo dicendo: predicare lui, il mistero del Regno, il Cristo. Allora si comprende perché sono con lui: stanno con lui perché devono testimoniare lui. Non sono con lui perché debbono essere istruiti e poi mandati a ripetere, ma perché lo conoscano intimamente in una comunione di vita e poi lo testimonino. Vediamo quanto il senso dell'apostolato come testimonianza personale sia fortemente sottolineato.
    L'altra realtà che scaturisce da questo essere con lui è l'avere potere di cacciare i demoni. Non si dice di cacciarli, ma avere il potere di farlo. Anche qui le parole sono pregnanti. Per esempio, il termine exousian, in Marco, è usato solo per Gesù e per i Dodici. Soltanto Gesù e i Dodici hanno il potere per eccellenza. In 1,22 si dice che quello del Cristo è un insegnamento nuovo con potenza. La frase "cacciare i demoni" ha per Marco una grande importanza perché indica, attraverso gli esorcismi e ciò che essi significano, la lotta che Gesù conduce contro il male; quindi, la sintesi dell'opera di Gesù, alla quale egli associa i suoi. La medesima parola ritorna in 6,7 quando Gesù manda i suoi in missione. Essa è perciò strettamente legata alla predicazione. Ciò vuol dire che, secondo tale concezione, predicazione e lotta contro il male sono strettamente unite. Non si tratta di una predicazione astratta e poi di un'azione benefica, ma di una predicazione che si attua con potenza (cfr. 1,22).
    Desidero concludere questa meditazione con un'ultima osservazione: cosa devono fare i Dodici in 3,14 -15? Devono predicare e cacciare i demoni. Come sarà descritta la loro azione in 6,1213? Che hanno predicato e cacciato i demoni.
    In sostanza: che cosa sono i discepoli? Sono Gesù stesso che prolunga la sua azione. Non sono soltanto i ripetitori di ciò che hanno udito, ma sono l'azione di Gesù che si allarga e si prolunga. Ancora una volta comprendiamo l'importanza dell'essere con Gesù, non tanto per imitare qualche parola o coglierne qualche frase, ma per identificarsi con il suo modo di vivere, di agire, per testimoniarlo e ripeterlo alla stessa maniera. Ecco come Gesù ha preparato i suoi e come prepara tutti coloro che nella Chiesa sono chiamati a essere in permanenza con il Signore.

    (I Vangeli. Esercizi spirituali per la vita cristiana, Bompiani 2016, pp. 67-77)


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