Recensione e segnalazione
Con il saluto di don Michele Falabretti
Elledici 2021 - pp. 136 - € 16,00
IN ESTREMA SINTESI
L’Italia Salesiana ha sentito il desiderio e il dovere di ritrovarsi per riflettere sulla salute pastorale dei suoi Oratori – Centri Giovanili e lo ha fatto a distanza di 10 anni dall’ultimo Convegno Nazionale dedicato specificatamente a questo ambiente. Il raduno di Palermo titolato: «Come “Valdocco” oggi? Seminario sul centro giovanile salesiano» è stato organizzato dall’Ufficio Parrocchie-Oratori con la formula del Seminario di studio. Nei tre giorni si sono incontrati alcuni salesiani, laici e giovani più rappresentativi delle realtà salesiane.
Un centinaio di persone motivate e competenti. Un seminario pionieristico per la presenza dei laici e dei giovani. Un testo, questo, che ci aiuta a ripercorrere il cammino vissuto, utile non solo per ritrovare i contributi della riflessione svolta, ma soprattutto per orientare i passi futuri.
GLI AUTORI
Un libro nato dalla collaborazione e dall’esperienza di un’équipe di notevole prestigio, tra cui:
prof. Johnny Dotti, pedagogista e docente a contratto presso l’Università Cattolica di Milano. Amministratore delegato di «On impresa sociale» e già consigliere delegato e presidente di Cgm (la più grande rete di cooperazione sociale in Italia) e di Welfare Italia.
prof. Davide Girardi, dottore di ricerca in “Sociologia dei processi comunicativi e interculturali” (Università di Padova). È coordinatore di ricerca del Dipartimento di Pedagogia dello Iusve, dove insegna anche Sociologia generale e Metodologia della ricerca sociale. Dal 2010/2011 insegna discipline sociologiche presso l’Università di Padova, come docente a contratto.
don Rossano Sala sdb, docente di Pastorale Giovanile presso l’Università Pontificia Salesiana, Segretario Speciale per la XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dal tema I giovani, la fede e il discernimento vocazionale; ha partecipato in qualità di Padre sinodale all’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione Pan-Amazzonica.
don Michal Vojtas sdb, professore straordinario di Storia e Pedagogia Salesiana presso l’Università Pontificia Salesiana, è Direttore del Centro Studi Don Bosco e dell’Istituto di Teoria e Storia dell’Educazione e Pedagogia Salesiana. Membro del Comitato di redazione delle riviste «Orientamenti Pedagogici», «Note di Pastorale Giovanile» e collaboratore con la rivista «Salesianum». Si occupa di consulenza per la progettazione educativa e pastorale.
IL CONTENUTO PER DISTESO
INTRODUZIONE
L’Italia Salesiana ha sentito il desiderio e il dovere di ritrovarsi per riflettere sulla salute pastorale dei suoi Oratori-Centri Giovanili e lo ha fatto a distanza di 10 anni dall’ultimo Convegno Nazionale dedicato specificatamente a questo ambiente.
Il raduno di Palermo titolato: «Come “Valdocco” oggi? Seminario sul centro giovanile salesiano» è stato organizzato dall’Ufficio Parrocchie-Oratori con la formula del Seminario di studio. Nei tre giorni si sono incontrati alcuni salesiani, laici e giovani più rappresentativi delle realtà salesiane. Un centinaio di persone motivate e competenti. Un seminario pionieristico per la presenza dei laici e dei giovani. Sono stati proprio questi ultimi a condurre i tavoli di confronto e ad elaborare assieme ad alcuni salesiani il documento finale.
Due sono state le traiettorie guida di tutto l’evento, di natura ecclesiale e carismatica. La prima è stata il rinnovamento inaugurato dall’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium e dalla spinta del Sinodo sui giovani dove il Papa scrive: «Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una “semplice amministrazione”» [1]. Abbiamo voluto guardare all’oratorio come luogo di missione che invita i giovani e tutta la comunità educativa ad essere missionari. La seconda traiettoria è il dono consegnato a Don Bosco che nella Torino dell’800 ha avviato, con ingredienti attinti qua e là, una esperienza carismatica originale di cura educativa alla luce della fede. Guardando alla sua fi gura e al suo stile di “educare evangelizzando” abbiamo affrontato non un lavoro tecnico o circoscritto a un ambiente specifico, bensì il suo contesto più corretto: quello carismatico e vocazionale, ponendo al centro la qualità delle relazioni.
L’obiettivo era quello di individuare i criteri e i nuclei carismatici dell’oratorio attraverso la ricognizione dello stato di vita degli stessi; una serie di contributi culturali; alcune buone pratiche in atto. Il tutto con uno sguardo privilegiato alla fascia dei giovani 18-28 anni. Il metodo di lavoro è stato quello sinodale del riconoscere-interpretare-scegliere attraverso momenti formativi, laboratoriali, di ascolto di buone pratiche, di scambio, di preghiera e di discernimento.
In questa pubblicazione si troveranno quindi tutti i documenti oggetto di riflessione, di scambio e di discernimento.
Nella prima parte il testo di riferimento per la preparazione al seminario: L’oratorio salesiano tra memoria e profezia [2], di Don Vecchi e il documento di presentazione della ricognizione quantitativo e qualitativo degli Oratori-Centri Giovanili Salesiani d’Italia.
Nella seconda sezione vengono presentati i testi delle tre conferenze: Lettura storico carismatica dell’oratorio-Centro Giovanile, di don Michal Vojtas sdb; Rilettura del questionario e individuazione delle sfide dei giovani, del prof. Johnny Dotti; Indicazioni carismatiche sugli Oratori-Centri Giovanili, di don Rossano Sala sdb ed infine le schede sintetiche delle 5 Buone Pratiche presentate.
Nell’ultima parte si trova il documento di sintesi finale elaborato al termine del percorso di ascolto-discernimento. Non è una raccolta di ricette bell’e pronte da scoprire e poi applicare, ma sono chiavi di lettura, iniziative in atto, provocazioni da accogliere per darci slancio e irrobustire o iniziare percorsi virtuosi
NOTE
1 Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium del Santo Padre Francesco, n. 25.
2 Don Juan E. Vecchi, L’oratorio salesiano tra memoria e profezia, in AA.VV., Oratorio Salesiano tra società civile e comunità ecclesiale. Atti della conferenza nazionale CISI, Tipografia Don Bosco, Roma 1987.
L’INCORAGGIAMENTO DELLA CHIESA PER IL NOSTRO CAMMINO
Saluto di Don Michele Falabretti
Responsabile del Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile della CEI
Buona giornata! Ringrazio don Roberto per quello che ha detto e grazie davvero a tutti voi per avermi invitato. Uno che fa pastorale giovanile non può non voler bene ai salesiani. Dovete sapere che quando ero un bambino, il mio curato (il prete che si occupa dell’oratorio) ci raccontava e ri-raccontava la storia di Don Bosco: a puntate, aveva sempre un episodio nuovo. Per me, dunque, l’identificazione tra Don Bosco e l’oratorio è sempre stata automatica. Poi ho avuto altri contatti con il mondo dei salesiani: soprattutto ora con il lavoro per Note di Pastorale Giovanile, in particolare con don Rossano Sala e il gruppo di redazione oltre che con l’Università. Custodisco un’amicizia nel cuore perché andai a fare il prete dell’oratorio nel paese nativo di un grande salesiano che purtroppo è morto giovane: don Vincenzo Savio (Vescovo di Belluno-Feltre, 1944-2004). Tutti gli anni del suo episcopato sono coincisi con gli anni della mia permanenza nel suo paese natale. Il nostro legame è stato davvero fortissimo e ricordo qualche nostra discussione sull’oratorio molto bella e, per certi versi, molto divertente.
Le cose da dire sull’oratorio sono sempre molte: ho messo insieme i pensieri un po’ di corsa perché pensavo, per una volta, di ascoltare soltanto. Provo a dire quali sono le preoccupazioni, i temi legati a questo tempo, a questa situazione e anche le linee progettuali rispetto all’oratorio dopo il Sinodo nella Chiesa italiana.
Parto da una considerazione che potrebbe esservi utile: in Italia c’è un rapporto stretto fra l’oratorio e Don Bosco: l’ho potuto constatare personalmente perché qualche vescovo, in qualche territorio, ha delegato l’oratorio al mondo salesiano. Questo sarebbe già un tema di riflessione: non perché lo abbia delegato ai salesiani ma perché, come è emerso fortemente dal sinodo, l’educazione è opera educativa, e in quanto tale non si delega a nessuno. Nel senso che se non c’è la Chiesa, la comunità tutta impegnata su questo fronte, alla lunga non va bene. Faccio un esempio concreto: se l’esperienza oratoriana è delegata ai salesiani, sia in territori del Nord sia in alcune zone del Sud, c’è un duplice rischio. Intanto, laddove poi la comunità salesiana deve chiudere si rischia di non avere più nessuno che si occupa di educazione. Ma la questione più grave è che oggi si tende, soprattutto da parte del clero diocesano, a non riconoscere nell’opera educativa una parte del proprio ministero. E quindi: se ci sono i salesiani meglio (l’educazione la fanno loro), se non ci sono, cerchiamo qualcun altro: l’Azione cattolica, gli Scout, una presenza di qualunque tipo che faccia educazione. Questo genera l’idea che c’è sempre qualcuno che fa educazione (quasi per magia), ma non è la comunità cristiana.
Un parroco che non spende tempo per formare i suoi laici, per pensare insieme a loro, che non coinvolge mai le persone in un percorso di corresponsabilità, di azione, di “sogno”, combina grossi guai. Non si tratta di scaricare la colpa sui seminari, ma di chiedersi come mai tra i capitoli della pastorale, del ministero ordinato stia sparendo sempre di più l’idea che l’educazione è parte e compito dell’evangelizzazione, che esiste un nesso tra evangelizzazione ed educazione. Il risultato è che spesso ci sono molti giovani in Italia che dicono: «Mi sento più capito dal prete anziano piuttosto che dal prete giovane».
Questo è il primo pensiero che vi consegno: sarebbe bello che dove ci sono i salesiani che si occupano di educazione, possano coinvolgere gli altri nella loro competenza; trasmettendo il loro stile a quanti in un determinato territorio si occupano di pastorale, perché i giovani non vanno lasciati soli. In altre parole (è una prima grande richiesta che mi sento di farvi): che nel vostro modo di lavorare siate attenti affinché gli altri, anche chi non partecipa della vita dei salesiani, senta e percepisca questo nesso tra evangelizzazione ed educazione e impari a fare pastorale giovanile.
Se vent’anni fa potevamo incontrare tantissimi giovani (pensate con quanti giovani andavamo alle GMG) e ci potevamo immaginare un mondo dove – lasciatemi usare questa espressione – ci si poteva “rubare” i giovani, oggi i cali numerici sono vistosi. Eppure i giovani in circolazione ci sono ancora. Ma è il numero degli educatori, operatori pastorali e impegnati in educazione che ancor più e in modo preoccupante si contrae, e un gran numero di giovani rimane senza alcun riferimento. Alla luce di questo, il tema della sinodalità e della corresponsabilità, del camminare insieme, direi che non è solo una necessità, ma diventa un’opportunità: l’opportunità di fare alleanze e di far sì che le competenze in qualche modo si uniscano.
Mi preoccupa una seconda cosa, quella che talvolta definisco “la pastorale del gioco in scatola”: in tempi così confusi, in tempi di cambiamenti così rapidi, cresce l’idea che la parrocchia e l’oratorio siano fi niti perché sono un “sistema”, e noi non possiamo mettere i giovani in un sistema. Io credo che il vero problema sia la scarsa volontà di prendersi a cuore l’educazione. L’educazione è un lavoro in perdita ed è una fatica. Crescono quelli che si rifugiano nelle loro nicchie e dicono che il mondo non funziona più, tranne quello che fanno loro: è la pastorale dei giochi in scatola, la pastorale che consegna pacchetti pronti dove tu devi solo eseguire una cosa pensata da altri. Questo va contro la progettazione pastorale educativa, fa emergere molto le singolarità ma non crea comunione. E io non accetterò mai di rinunciare all’oratorio perché l’oratorio, oltre che essere casa e scuola di vita, è scuola di comunione, scuola di relazioni e casa della comunità. Questa dimensione nella Chiesa non possiamo perderla. L’idea di un educatore come unico competente o grande cabarettista che intrattiene le folle è un’idea che non si radica nel territorio, non entra nella storia, è piuttosto l’idea di una ritirata dal mondo: noi ci mettiamo da parte, facciamo le nostre attività; chi viene, viene e gli altri si arrangino. Proprio per questa ragione c’è bisogno di sostenere l’idea che la pastorale va pensata, costruita, vissuta insieme.
La terza cosa: il tema dell’iniziazione cristiana. Abbiamo capito tutti che bisogna coinvolgere di più le famiglie, i genitori, ma a parte questo sforzo non è che si possa stravolgere tutto, a meno che non si torni alla Chiesa dei primissimi secoli che battezzava l’adulto dopo un certo di cammino. Ma nel momento in cui (nel quarto secolo) la Chiesa decide di battezzare i bambini, decide una logica, uno schema di approccio alla fede diverso: non si arriva più ai sacramenti quando si è maturata la fede, ma la Chiesa off re il percorso inverso. Ti do il battesimo quando ancora non comprendi, comincia a camminare e vedrai che strada facendo capirai. È interessante, mi sembra molto vicina alla logica del brano di Vangelo di questa mattina: “andate dal sacerdote” e strada facendo guarivano, cioè la fede come un cammino di vita, un cammino che in qualche modo non finisce mai, che ti accompagna fi no all’ultimo dei tuoi giorni.
Se è così, terminato il cammino di iniziazione cristiana, a noi viene affidato quel segmento che corrisponde alla pastorale giovanile. Se escludiamo gli oratori salesiani e quelle regioni in cui l’oratorio fa ancora il suo dovere, dove è ancora una presenza viva, il grande tema dei preadolescenti e degli adolescenti rimane sostanzialmente scoperto, al netto dell’impegno associativo. Si potrebbe dire che in Italia si rischia il saluto alla cresima dandosi appuntamento alle GMG. Ma di mezzo c’è preadolescenza ed adolescenza: l’età della vita in cui ciascuno scopre e costruisce la propria identità! Pensiamo, ad esempio, cosa è oggi l’identità sessuale: noi siamo cresciuti con l’idea che la sessualità ti è data, è un dono, definisce la tua persona. Oggi gli adolescenti sono sempre più attratti dall’idea che la sessualità sia una scelta: vedo, capisco, faccio esperienza poi scelgo, decido. È un processo, come molti altri, che avviene in questo modo soprattutto se un adolescente è solo. In quell’età incontra il professore di filosofia, di scienze, di matematica; quelli che, spesso, demoliscono tutto ciò che si è ascoltato al catechismo. Allora c’è bisogno di prossimità proprio nell’età dell’adolescenza: noi non li possiamo stare ad aspettare a vent’anni per fare la gita turistica. La GMG non è una gita turistica, ma se aspettiamo che abbiano vent’anni, li incontreremo (se li incontreremo) dopo un tempo di vuoto. Rischieremo di apparire ai loro occhi come un’agenzia viaggi.
Credo che l’oratorio oggi possa portare nella vita della Chiesa italiana qualcosa di unico: l’accompagnamento, la prossimità, l’educazione nel tempo dell’adolescenza, il tempo in cui ciascuno decostruisce il mondo dell’infanzia ma lo ricostruisce facendolo suo. A me piace sempre dire che nell’adolescenza tutti smontano, smantellano la propria infanzia, i rapporti, le relazioni, anche i rapporti coi genitori, come si smonta una costruzione dei Lego per ricostruirla. Attenzione, perché i mattoncini sono ancora quelli, ma si fa una cosa nuova con gli stessi mattoncini. Noi abbiamo bisogno di recuperare le forme di prossimità, di accompagnamento in quell’attraversamento della vita che risulta essere fondamentale come è l’adolescenza. Uno dei luoghi più seri che può fare questa cosa è proprio l’oratorio.
Chiudo con alcuni riferimenti veloci alle Linee Progettuali. La prima cosa che abbiamo detto è che progettare e progettare insieme è la condizione fondamentale. Quando faccio il percorso per i nuovi incaricati di pastorale giovanile cito un articolo di Note di Pastorale Giovanile del 1967, bellissimo. Si dice della necessità di un centro; si dice (pensate: nel 1967): sembra di perdere tempo a stare insieme attorno a un tavolo a progettare, perché si sottrae tempo alla lettura di un articolo e allo studio, ma invece se ne guadagnerà. La pastorale funzionava soprattutto come uno studio personale che poi andava semplicemente applicato. Oggi sono comunque necessari lo studio e la lettura perché un lavoro buono è quello che mette insieme una formazione, una cura personale di spiritualità, intelligenza e una condivisione di ciò che si è letto e studiato. È ciò che ci permette di dire “sappiamo fare”, non per presunzione, ma perché il saper fare è un esercizio continuo di collaborazione. Anche quello che state facendo in questi giorni va in questa logica.
Le Linee Progettuali offrono parole coraggiose e si riferiscono a tre ambiti: il primo è quello dell’educatore e dell’équipe educativa: noi abbiamo bisogno di alzare le competenze. Oggi un’azione pastorale dell’oratorio deve mostrare una consapevolezza e una competenza maggiore. Stare da adulti davanti ai ragazzi è una cosa che sta diminuendo a partire dai genitori. È il tema della nuova antropologia che si sta sviluppando attraverso il mondo della rete: noi ci troviamo davanti ragazzi che sono nuovi, diversi. Siamo nel 2019, ormai tutti gli adolescenti che incrociamo sono nativi digitali. È sufficiente avere un profilo Facebook o navigare nei social per capire quali nuove antropologie si stanno sviluppando?
Il secondo ambito tocca la capacità di accompagnare, del saper aver pazienza: ci si accorge che non si possono pretendere e chiedere le cose troppo in fretta. L’erba non cresce perché si tirano i fili. C’è bisogno di una pazienza educativa, di attesa, di saper stare e trovare un equilibrio tra lo stare adulto che “chiede” e lo stato adulto che “attende”: è una tensione continua, due atteggiamenti che vanno fatti crescere con sapienza. Dobbiamo prendere coscienza che ci troviamo davanti a una generazione che ha una forte consapevolezza di sé, che non si lascia istruire troppo facilmente. Accettano di vivere le cose che sono convincenti, che comprendono, che capiscono, nelle quali sentono di poter esprimere qualche cosa. Nel prossimo annuario della pastorale giovanile italiana ho pubblicato la fotografi a di una ragazza che è andata sotto al palco dei fotografi a Panama con un cartello: “Pope call me” e il numero di telefono. Io non mi sognerei mai di chiedere al Papa di telefonarmi... I ragazzi oggi chiedono un rapporto, di interagire, interloquire. Non si accontentano di un’omelia; sembrano dirci: «io voglio parlare con te, ho delle cose da dirti. Se mi ascolti, poi forse anche io ascolterò te adulto».
Il terzo ambito riguarda il tema della comunità nel suo percorso di cammino sinodale e il tema della celebrazione della liturgia. Noi viviamo liturgie povere, ma attraverso la liturgia cresce la spiritualità dei giovani. Sono rimasto impressionato in modo negativo dalla veglia di preghiera di Panama per una serie di ragioni che adesso non ho il tempo di spiegare; ne dico almeno una. Il tema della veglia di preghiera era: «Ecco, io sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la parola»: non abbiamo letto una riga di Parola di Dio, non abbiamo pregato una riga di salmo. Avanza una spiritualità dell’emozione, avanza una spiritualità dove io vado davanti al Signore, gli comincio a dire le mie cose: non cresce una spiritualità che ha un atteggiamento di ascolto e di fede. Questo è preoccupante.
Chiudo. Credo che la capacità di progettare in continuazione, di guardare dentro la realtà, di essere capaci di discernimento, facendolo insieme, di condividere un pensiero che legga il respiro del mondo si vede quando non solo si scrive (e talvolta si pubblica) un bel progetto e tutto finisce lì. È vero e buono un progetto che fa verifica e la fa come la manutenzione nelle grandi strutture. Io vi auguro che questo sia un momento di progettazione, di crescita, ma anche di “manutenzione”.
Vi chiedo scusa: io non volevo farvi una lezione, vi ho comunicato più che altro pensieri a ruota libera. Sono davvero convinto che la scuola salesiana possiede un pensiero che viene da lontano. È un modo di fare che non butta lì le cose, che le costruisce in modo intelligente. E se non lo chiedo a voi di continuare a essere così, a chi lo devo chiedere? Vorrei chiedervi di essere un po’ sale e lievito nella Chiesa italiana su queste cose. Grazie per il vostro servizio e per il vostro ascolto.
L’ORATORIO DEL TERZO MILLENNIO È ESPERIENZA CONCRETA DI RELAZIONE, CORRESPONSABILITÀ, DISCERNIMENTO PER LA MISSIONE
Il testo del documento finale non è stato redatto da un’équipe di esperti che voleva decidere a priori il volto del nuovo oratorio e consegnarlo a qualcun altro. L’assemblea ha fatto dei piccoli passi, con umiltà. Sono passi quasi da fermi, come quelli che si fanno in montagna o quando il terreno è un po’ incerto. Non affrettati, ma mettendo giù bene il piede, trovando un punto d’appoggio e andando avanti.
Il desiderio è stato di consegnare, prima di tutto, uno stile di stare insieme, l’armonia di un metodo e un contenuto.
Questo aspetto metodologico deve riscattarsi dai troppi tecnicismi e dall’abitudine tipica salesiana di avere delle mode le quali suscitano inevitabilmente, prima o poi, delle allergie.
C’è stata la volontà quindi di creare uno schema, un simbolo, sia per favorire una memorizzazione visiva degli elementi esposti, sia per capire come essi sono connessi tra di loro. L’obiettivo è quello di interiorizzare questa schematizzazione come modo di fare e di percepire la sinodalità.
La sintesi nasce proprio alla luce dell’ascolto reciproco nei gruppi e alla luce dell’interpretazione condivisa. Il titolo scelto per riassumere tutto ciò è stato: “L’oratorio del terzo millennio: esperienza concreta di relazione, corresponsabilità, discernimento per la missione”. L’accento è stato posto in particolare sul concetto di “esperienza concreta” in quanto le parole “relazione, corresponsabilità, discernimento e missione” non devono rimanere esclusivamente dei concetti, si devono calare all’interno della realtà.
In questo documento di sintesi viene usato il termine “oratorio” come semplificazione, mantenendo però la tensione tra oratorio (fanciulli, ragazzi e attività di massa) e centro giovanile (adolescenti, giovani e giovani adulti in attività strutturate).
Viene mantenuto inoltre nel documento l’equilibrio fra le polarità che sono emerse dai gruppi di lavoro, e cioè l’equilibrio fra il carisma e la Chiesa, fra le identità e la missione, fra tutti e alcuni, fra il fare e il pensare, tra la tradizione e la novità, fra la forma e il contenuto e fra lo spazio e il tempo. Sono polarità che dobbiamo tenere in tensione tra di loro, per non assolutizzare nessuna di esse.
Da ogni tavolo del seminario è emersa una convergenza su alcuni concetti chiave che, grazie al lavoro e all’intuizione di alcuni grafi ci professionisti, hanno portato alla creazione di un logo di facile memorizzazione.
Esso ha almeno due livelli di lettura:
il primo, letto in senso orario, vede al centro la parola chiave missione che è attorniata da tre poli grandi: quello della relazione, della corresponsabilità e del discernimento. Le altre parole chiave sono delle intersezioni tra questi poli: la parola casa fra relazione e corresponsabilità; sinodalità tra corresponsabilità e discernimento ed infine accompagnamento tra discernimento e relazione.
Un secondo livello di lettura, seguendo un metodo trinitario, prova a dargli profondità come una spirale, dove tutte le parole convergono in un unico centro ma richiamandosi a vicenda.
Il documento non è un testo scritto per esteso, ma semplicemente una sorta di elenco di punti che stanno sotto alle sette parole chiave. Si leggano tenendo presente che l’intento è quello di renderle il più concrete possibili, calate nella realtà.
RELAZIONE
- Prossimità con Dio e con gli uomini;
- Apertura e contatto con un gran numero di giovani;
- Relazioni tra consacrati e giovani; giovani e giovani; consacrati, laici e le famiglie (CEP);
- Esserci nelle situazioni di svantaggio esserci nelle situazioni di fragilità;
- Spirito di famiglia e senso di appartenenza;
- “Manutenzione” delle relazioni, dei progetti e dei cammini;
- Nuove forme di aggregazione, nuovi contesti per condividere.
CORRESPONSABILITÀ
- Rinnovata corresponsabilità con i giovani e con la Famiglia Salesiana;
- Protagonismo giovanile che deve diventare corresponsabilità;
- Corresponsabilità nella missione, perché siamo tutti battezzati valorizzando nello specifico ciascuna vocazione;
- Percorso che promuove la continuità.
DISCERNIMENTO
- In ascolto dei tempi di Dio senza avere fretta (spostato al primo posto);
- Discernimento sinodale da attuare con autorevolezza;
- Discernimento comunitario alla luce del Vangelo, capace di ascoltare i desideri e le esigenze dei giovani, progettando e pregando insieme con loro e per loro;
- Studio e acquisizione di competenze;
- Sfida culturale per stare cristianamente nelle questioni del tempo di oggi;
- Nuova pentecoste: dalla sana inquietudine ed eccedenza un sano discernimento.
ACCOMPAGNAMENTO
- Generare: camminare accanto all’altro e poi scomparire per far spazio all’altro;
- Per far crescere c’è bisogno di adulti che facciano gli adulti;
- Accompagnamento personale che aiuti la scoperta, l’accoglienza e la fedeltà della vocazione;
- Fondamentale è l’accompagnamento della comunità con fi gure di adulti significativi.
CASA
- Ponte fra la strada e la Chiesa;
- L’oratorio è più questione di tempo che questione di spazio;
- Luogo di inclusione per favorire l’appartenenza;
- Casa con le porte aperte, ti accoglie e ti invita a partire;
- Creazione e generazione della casa con i giovani: quando mi sento a casa appartengo e do il mio contributo.
SINODALITÀ
- La sinodalità e il discernimento come metodologia della progettazione oratoriana;
- Guadagnare una visione condivisa per dare una risposta alla questione del “chi sono” e del “per chi sono”;
- Pensieri fatti assieme, non risposte preconfezionate;
- Passi concreti per rivivere il sinodo nella CEP usando metodologie che ci educano ad un cammino sinodale.
MISSIONE
- Testimonianza personale e comunitaria come impegno missionario;
- Percorsi di protagonismo giovanile territorialmente significativi ovvero esperienze integrali, integranti ed eccedenti;
- Estasi della missione: portarsi fuori da sé nella cura dell’altro;
- Uscire e far uscire: oratorio missionario;
- Cura/salvezza delle anime: “Da mihi animas”;
- Autenticità e fedeltà creativa a Don Bosco: in ascolto oggi dell’azione dello Spirito Santo e fi ducia nella Provvidenza.
INDICE
Introduzione
L’incoraggiamento della Chiesa per il nostro cammino
PARTE PRIMA
L’oratorio salesiano tra memoria e profezia
Gli oratori nel paese del giovanimento
PARTE SECONDA
Oratorio per il futuro con le radici nel passato. Lettura storico carismatica dell’oratorio salesiano
L’oratorio salesiano del Terzo Millennio: laboratorio di senso e sfida all’eccedenza
Indicazioni carismatiche sugli oratori-centri giovanili
Raccolta delle schede delle cinque buone pratiche
PARTE TERZA
L’oratorio del Terzo Millennio è esperienza concreta di relazione, corresponsabilità, discernimento per la missione